XIV LEGISLATURA
RELAZIONE - N. 3102 - 3024 - 3107 - 3108 - 3109 - 3110 - 3111 - 3112 - 3113 - 3114 - 3115 - 3116 - 3117 - 3118 - 3119 - 3120 - 3121 - 3147-A
Onorevoli Colleghi! - La proposta in esame ha per
oggetto l'istituto della rimessione del processo, alla cui
disciplina codicistica sono apportate modifiche riguardanti
sia i presupposti della sua applicazione sia taluni profili
attinenti ai giudizi che si svolgono rispettivamente innanzi
al giudice procedente, alla Corte di Cassazione ed al giudice
eventualmente designato.
In particolare, le novità più rilevanti riguardano la
reintroduzione del legittimo sospetto quale causa di
rimessione del processo, l'attribuizione al giudice di merito
della facoltà di sospendere il procedimento principale e la
previsione dell'obbligo di sospendere il processo prima delle
conclusioni e della discussione con il conseguente divieto di
pronunziare provvedimenti definitivi nelle more del
procedimento di rimessione, salvo che non si tratti di
reiterazione di richieste già presentate.
Altri profili innovativi attengono alla sospensione del
decorso della prescrizione e dei termini di durata massima
della custodia cautelare per tutta la durata del procedimento
di rimessione, nonché al regime degli atti compiuti dal
iudex suspectus.
1. Fondamento costituzionale dell'istituto della
rimessione.
Prima di esaminare il contenuto specifico della proposta
di legge, è opportuno, per una sua migliore valutazione, fare
riferimento, sia pure sinteticamente, al fondamento
costituzionale dell'istituto della rimessione.
In primo luogo, occorre rilevare che l'istituto della
rimessione, come osservato dal Carnelutti, ha un valore
pratico rilevante, in quanto é posto a tutela
dell'imparzialità del giudice.
Tale istituto ha radici lontane: dal codice del regno
sardo piemontese, che prevedeva la "legittima sospezione", al
codice del 1913, che prevedeva il "legittimo sospetto", al
codice del 1930, che ripeteva la formula precedente.
Tra gli ordinamenti stranieri, il codice francese prevede
la rimessione "pour cause de suspicion legitime", mentre
gli ordinamenti di common law prevedono lo spostamento
della competenza dal locus commissi delicti quando vi
sia rischio di interferenza con il diritto.
La dottrina e la giurisprudenza concordano nel considerare
l'istituto della rimessione come uno strumento diretto a
garantire l'imparzialità e l'indipendenza del giudice e
l'inviolabilità dei diritti della difesa. La rimessione,
infatti, tramite una deroga ai normali criteri di
determinazione della competenza territoriale, consente di
evitare che situazioni locali esterne al processo possano
ripercuotersi negativamente sulla serenità ed imparzialità del
suo svolgimento alterandone l'esito. Assicurare una adeguata
disciplina giuridica all'istituto - il che significa
assicurare alle parti processuali tutti gli strumenti
necessari per evitare qualsiasi rischio di inquinamento del
processo, senza, tuttavia, compromettere l'economia
processuale - rappresenta una insopprimibile esigenza di
civiltà giuridica.
E' evidente che tali rischi aumentano quanto più sono
rigidi i presupposti che la legge prevede per l'operatività
dell'istituto.
Naturalmente ciò non significa che i presupposti devono
essere indeterminati, quanto piuttosto che una elencazione
rigida dei casi di rimessione potrebbe essere in concreto
riduttiva, in quanto rischia di escludere una serie di casi
che nel concreto potrebbero verificarsi.
Proprio al fine di evitare tale pericolo, la proposta in
esame introduce nuovamente tra le ipotesi di rimessione quella
del legittimo sospetto, che era stata esclusa dal legislatore
delegato (ma non da quello delegante) nel 1988 in occasione
della scrittura del nuovo codice di rito.
In oltre mezzo secolo di elaborazione dottrinaria e
giurisprudenziale, cioè prima della entrata in vigore del
nuovo codice, il legittimo sospetto è stato accuratamente e
compiutamente definito ed il suo significato chiaramente
individuato, come peraltro è emerso anche nel corso dell'esame
in sede referente.
Per quanto sulla definizione di legittimo sospetto ci si
soffermerà in occasione dell'esame delle modifiche
all'articolo 45, è importante sottolineare già in premessa,
facendo riferimento alla circostanza che la Corte
Costituzionale non ha ritenuto di censurare la formula del
legittimo sospetto, quando questa aveva valore normativo, che
non appaiono fondate le critiche rivolte alla presunta
genericità del termine e le pur acute osservazioni dirette a
rilevare il margine di discrezionalità eccessivamente ampio
lasciato ai giudici della Suprema Corte ed a censurare
l'eliminazione, quale causa di rimessione, del riferimento
alla libertà di determinazione delle persone che partecipano
al processo.
In realtà la migliore delle leggi è quella che lascia al
giudice saggio un largo margine di discrezionalità per
consentirgli l'attenta valutazione della fattispecie
concreta.
Non sono, altresì, condivisibili le critiche secondo le
quali l'istituto della rimessione violerebbe il principio
costituzionale del giudice naturale precostituito per legge.
D'altro canto la stessa Corte Costituzionale con diverse
decisioni, fin da epoca lontana, ha dichiarato,
nell'equilibrio tra i valori costituzionali in campo, la
legittimità costituzionale della norma che rimetteva alla
Corte di Cassazione il potere - dovere di indicare, nel caso
la richiesta di rimessione fosse accolta, il giudice
competente. Rispetto a quelle decisioni la norma è cambiata in
senso maggiormente garantista, considerato che il giudice
competente a giudicare il processo nel caso di accoglimento
della richiesta è determinato col richiamo ai criteri
stabiliti oggettivamente (si tratta di una tabella
modificabile solo per legge) dall'articolo 11 del codice di
procedura penale per la competenza per i procedimenti
riguardanti i magistrati. Il giudice designato, quindi, è
precostituito per legge.
Qualsiasi riflessione sulla costituzionalità dell'istituto
non può non tenere conto che il passaggio del procedimento dal
giudice originariamente competente ad altro giudice è
determinato dall'esigenza di assicurare l'imparzialità del
giudice ovvero lo svolgimento del processo in un clima di
normalità e serenità, al fine di garantire il diritto delle
parti di essere giudicate da un giudice imparziale ed
indipendente da condizionamenti di natura ambientale o
processuale.
Si tratta in sostanza di un istituto che non viola affatto
i principi costituzionali, ma che è esso stesso uno strumento
volto ad attuare un principio costituzionale, quale quello
della imparzialità e di indipendenza del giudice.
Non trova fondamento neanche la tesi secondo cui
l'istituto della rimessione non sarebbe conforme al dettato
costituzionale in quanto violerebbe il principio
costituzionale della ragionevole durata del processo. Anche in
questo caso occorre tenere conto dei valori costituzionali in
campo e della ratio sottesa al principio costituzionale
che l'istituto della rimessione coinvolge. E' evidente che tra
l'esigenza che non sussistano rischi che il giudizio si svolga
innanzi ad un giudice imparziale e quella di non prolungare i
tempi processuali debba essere la prima a prevalere.
Non si può certo ritenere che l'articolo 111 della
Costituzione trovi attuazione nel caso in cui il processo
arrivi velocemente a decisione ma sia svolto senza garantire
l'imparzialità e terzietà del giudice. E' bene sottolineare
che il principio della ragionevole durata del processo è un
principio diretto a garantire le parti. Il legislatore
ovviamente nel dettare la disciplina della rimessione deve
garantire anche il principio della ragionevole durata e,
quindi, quello costituzionale del buon andamento della
giustizia. Tale obiettivo può essere raggiunto se la
disciplina dell'istituto si conforma in maniera tale da
escludere ogni possibilità di strumentalizzazione
dell'istituto stesso e per finalità dilatorie.
Come si vedrà nell'analizzare il contenuto della proposta,
questo rischio è stato escluso.
2. Contenuto della proposta di legge.
La prima modifica alla normativa vigente riguarda
l'articolo 45 del codice di procedura penale, che ha per
oggetto i casi di rimessione.
Come accennato in precedenza, la proposta approvata dal
Senato introduce - anzi, reintroduce - il legittimo sospetto
tra le cause di rimessione del processo. Inoltre, essa esclude
da queste cause la libertà di determinazione delle persone che
partecipano al processo. E' invece rimasta la causa relativa
alla sicurezza o l'incolumità pubblica. Dalla nuova versione
dell'articolo 45 è stato espunto, anche il riferimento alla
gravità delle situazioni locali alla base della richiesta.
Pertanto, i presupposti della richiesta di rimessione
sarebbero il pregiudizio per la sicurezza o l'incolumità
pubblica derivante dalle situazioni locali di turbativa del
processo e il legittimo sospetto.
La previsione del legittimo sospetto tra i casi di
rimessione non è una novità poiché rappresenta una
reintroduzione di un presupposto, che già era previsto, di
tale istituto. In particolare, il codice previgente,
all'articolo 55, prevedeva, come casi di rimessione, i gravi
motivi di ordine pubblico ed il legittimo sospetto.
La direttiva n. 15 dell'articolo 2, comma 1, della legge 3
aprile 1974, n. 108, di delega per l'emanazione del nuovo
codice di procedura penale - delega peraltro non esercitata -
, confermava quasi integralmente la formulazione dell'articolo
55, disponendo che il Governo ammettesse la rimessione anche
su richiesta dell'imputato "per gravi ed oggettivi motivi di
ordine pubblico o per legittimo sospetto".
Nel relativo progetto preliminare del 1978 (articolo 52),
la commissione redigente ministeriale (cd. Commissione
Conso-Pisapia) collegava però la rimessione non al legittimo
sospetto, ma a "gravi situazioni locali idonee a turbare lo
svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, quando
fossero pregiudicate la sicurezza o l'incolumità pubblica
ovvero la libertà di determinazione delle persone che
partecipano al processo". Sul testo dell'articolo 52, la
Commissione consultiva parlamentare manifestava, però, la
propria contrarietà ad una interpretazione della direttiva n.
15 che escludesse ogni riferimento al legittimo sospetto,
ritenendo più opportuno utilizzare gli stessi termini della
legge di delega, ritenuti sufficientemente chiari. Concludeva
la Commissione, affermando l'indispensabilità "in una materia
di così vasto rilievo costituzionale e politico" di "evitare
ogni possibile dubbio sull'esatta corrispondenza tra il testo
del codice e le direttive della delega".
Successivamente, la legge 16 febbraio 1987, n. 81, di
delega al Governo per l'emanazione del nuovo codice di
procedura penale - delega in questo caso esercitata - ,
ripetendo quasi integralmente il testo dell'indicato articolo
55 aveva espressamente previsto, tra i principi alla base
della delega, la rimessione del processo "per gravi e
oggettivi motivi di ordine pubblico o per legittimo sospetto"
(articolo 2, comma 1, n. 17).
Nella relazione al progetto preliminare del nuovo codice
di procedura penale, la commissione ministeriale incaricata
della redazione del testo (cd. Commissione Pisapia) riferiva
di avere "ampiamente dibattuto sulla disposizione in esame",
in particolare valutando "l'opportunità di adottare la
formulazione della direttiva n. 17 della legge-delega già
suggerita dalla commissione consultiva (con riferimento
all'articolo 52 del progetto del 1978 ed alla direttiva 15
della legge delega del 1974)" per evitare il pericolo di
possibili contrasti o dubbi interpretativi nei rapporti tra
legge delega e normativa delegata "in una materia di alto
rilievo politico e costituzionale". Tuttavia, la commissione
aveva ritenuto di confermare il testo del progetto del 1978
per ovviare agli inconvenienti, segnalati anche durante i
lavori parlamentari della delega del 1974 "e discendenti
dall'adozione di formule generiche come quella dell'articolo
55 del codice di procedura penale"
Mentre la Commissione consultiva parlamentare (cd.
Commissione Gallo) nel proprio parere sul progetto preliminare
del nuovo codice di procedura penale nulla obiettava sulla
norma delegata relativamente ai casi di rimessione, la Corte
di cassazione, nell'analogo parere trasmesso al Ministro di
grazia e giustizia l'8 aprile 1988, affermava, quanto alle
ipotesi di rimessione indicate nell'articolo 46 (articolo 45
nel progetto definitivo), che la formulazione della norma,
eliminando qualsiasi riferimento al legittimo sospetto,
sembrava porsi in contrasto con la direttiva 17 della legge
delega che, invece, espressamente la prevedeva. La Suprema
Corte, in conclusione, riteneva che "all'adozione di una
formula con specifiche indicazioni, che in definitiva può
risultare anche riduttiva con esclusione di casi che invece
vanno contemplati, sembra preferibile l'adozione delle
espressioni tradizionali, ormai ampiamente elaborate dalla
giurisprudenza, semmai rendendo esplicito qualche concetto,
come quello di ordine processuale e in tal modo verrebbe
rispettata la direttiva 17 della legge delega".
Anche il Consiglio superiore della magistratura in sede di
parere sullo stesso progetto preliminare del nuovo codice di
procedura penale (seduta del 19 luglio 1988) valutava come
"del tutto esatti" i rilievi formulati sul punto dalla
Cassazione.
Tali rilievi, affermava il Consiglio Superiore della
Magistratura, "si incentrano sulla assai discutibile
interpretazione riduttiva che il legislatore delegato ha fatto
del disposto della direttiva n. 17 della legge delega che fa
riferimento a "gravi ed oggettivi motivi di ordine pubblico" e
a motivi di "legittimo sospetto": formule la cui ampiezza
invero mal si concilia con la tipizzazione operata dal
legislatore delegato".
Nella relazione al testo definitivo del nuovo codice di
procedura penale, la Commissione Pisapia concludeva sulla
questione in oggetto affermando che "è rimasta immutata la
previsione dei casi di rimessione, disattendendosi i rilievi
formulati dalla Corte di cassazione che aveva ravvisato una
violazione della delega nella eliminazione di "qualsiasi
riferimento al legittimo sospetto". Si è ritenuto, infatti,
che la formulazione adottata - risultante da una meditata
scelta del legislatore delegato - recuperasse integralmente ed
espressamente tutti i criteri elaborati dalla giurisprudenza
nell'interpretazione dell'articolo 55 del codice vigente e
segnalati dalla Cassazione nel suo parere".
A distanza di circa quattordici anni, il problema della
mancata previsione nel codice di rito della ipotesi del
legittimo sospetto come presupposto per la rimessione del
processo penale è stata rimessa alla Corte Costituzionale
dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (ordinanza n.
25693 del 2002). Nell'ordinanza di rimessione è offerto un
quadro dell'evoluzione della interpretazione dottrinale e
giurisprudenziale relativa della nozione di legittimo
sospetto, dal quale emerge chiaramente che la introduzione del
legittimo sospetto tra i casi di rimessione serve a colmare
una lacuna i cui effetti negativi si ripercuotono sulla
serenità dei processi.
Nella citata ordinanza si afferma espressamente che il
legittimo sospetto, secondo l'interpretazione prevalente,
consiste nel ragionevole dubbio che la gravità della
situazione locale possa portare il giudice a non essere,
comunque, imparziale o sereno e le parti a non essere,
comunque, serene. Cosa diversa e di portata più ristretta è
stato considerato dalla giurisprudenza il pregiudizio della
"libertà di determinazione delle persone che partecipano al
processo". Questo rappresenta il condizionamento che queste
persone subiscono in quando soggetti passivi di una vera e
propria coartazione fisica o psichica che, incidendo sulla
loro libertà morale, impone una determinata scelta, quella
della parzialità o della non serenità, precludendone altre di
segno contrario. Il legittimo sospetto è, invece, il
ragionevole dubbio che assume rilievo anche nel caso in cui le
persone che partecipano al processo siano nelle condizioni di
poter scegliere liberamente e ciò per la decisiva ragione che
il processo deve svolgersi in un contesto che non faccia mai
dubitare che le persone che vi partecipano possano non essere
imparziali o serene anche se il grado di condizionamento della
loro libertà non è tale da precludere ogni, alternativa alla
parzialità e alla non serenità.
Come ha affermato la Cassazione nella citata ordinanza,
"la formula legittimo sospetto è, secondo la interpretazione
datane dalla dottrina e, soprattutto, dalla giurisprudenza,
innegabilmente più ampia della formula "libertà di
determinazione delle persone che partecipano al processo",
ponendo l'accento sull'effetto che può scaturire dalla gravità
della situazione locale, sul pericolo, cioè, che possano
essere pregiudicate la imparzialità o la serenità, senza
esigere che quell'effetto sia congruente, per le persone che
partecipano al processo, della impossibilità di scegliere
diversamente".
Si può affermare, quindi, che il presupposto del legittimo
sospetto non attiene ad una condizione soggettiva del giudice,
alla quale occorre porre rimedio rimettendo il processo ad
altro giudice, quanto piuttosto alla particolare situazione
ambientale in cui il processo si svolge. La sussistenza del
requisito del legittimo sospetto, in sostanza, sta a
significare non tanto che il giudice sia sospettato di essere
parziale, bensì che la situazione ambientale considerata
oggettivamente non consente, secondo un giudizio
probabilistico parametrato sui criteri di normalità, di
giudicare serenamente. E' ben diversa l'ipotesi in cui la
rimessione si ricollega all'accertamento del venir meno della
libertà di determinazione del giudice, poiché in tale ipotesi
il trasferimento del processo si giustifica in base ad una
specifica condizione soggettiva del giudice.
Per quanto attiene alle critiche circa l'indeterminatezza
della nozione di legittimo sospetto si rinvia alle
considerazioni svolte nella parte della relazione che si
sofferma sul fondamento costituzionale dell'istituto.
Il comma 2 dell'articolo 1 della proposta di legge in
esame incide sull'articolo 46 del codice di procedura penale,
concernente la richiesta di rimessione del processo.
In particolare, la disposizione in questione è volta a
prevedere la possibilità di partecipazione delle altre parti
del processo alle vicende riguardanti il giudizio di
rimessione, partecipazione preclusa sulla base della vigente
normativa; la norma in esame, infatti, prevede che dalla
notifica della richiesta alle altre parti (il termine è ora
fissato in dieci giorni a fronte dei precedenti sette), queste
ultime possano aderire oppure opporsi entro quindici giorni
dalla ricevuta notifica della richiesta di rimessione,
deducendo motivi, presentando documenti, formulando
osservazioni ed indicando ulteriori elementi a sostegno o a
sfavore dell'istanza. Il giudice di merito dovrà poi
trasmettere immediatamente alla Cassazione il fascicolo con la
richiesta di rimessione, la documentazione allegata e
presentata, i citati elementi addotti dalle parti nonché le
proprie, eventuali osservazioni.
Si tratta di una novità introdotta dal Senato di non poco
conto, in quanto, come vedremo quando sarà esaminato
l'articolo 49 nel nuovo testo, prevedendo la possibilità che
le altri parti del processo e gli stessi coimputati possono
partecipare al giudizio di rimessione promosso da un'altra
parte, consente, insieme ad altre novità introdotte dal
Senato, di ridurre sensibilmente il rischio di reiterazioni di
richieste dilatorie di rimessione. Rischio non irrilevante,
considerato che ha portato la Corte Costituzionale a
dichiarare l'incostituzionalità delle norme sulla sospensione
automatica del processo oggetto della richiesta di
rimessione.
Proprio gli effetti dell'istanza della rimessione sono
disciplinati dal comma 3 dell'articolo 1 della proposta di
legge in esame, che apporta importanti modifiche all'attuale
disciplina contemplata dall'articolo 47 del codice di
procedura penale. In particolare, la nuova disciplina prevede
tre distinte situazioni in presenza delle quali alla
presentazione della richiesta di rimessione può dipendere,
ovvero deve conseguire, la sospensione del processo fino a che
non sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o
rigetta la richiesta. La norma, infatti, fermo restando
l'autonomo potere della Cassazione di congelare l'attività
processuale, prevede due tipi di sospensione del processo: una
prima sospensione, facoltativa, ordinata direttamente dal
giudice del merito ad istanza di rimessione presentata, il cui
limite temporale è naturalmente costituito dalla pronuncia
della Suprema Corte che rigetta o dichiara inammissibile la
richiesta; una seconda sospensione, obbligatoria, ordinata in
ogni caso dal giudice prima dello svolgimento delle
conclusioni e della discussione finale. La questione della
sospensione automatica del processo rappresenta uno dei punti
più delicati della nuova disciplina della rimessione. Vi sono,
infatti, esigenze diverse da contemperare, come la Corte
costituzionale ha evidenziato nella sentenza n. 353 del 1996
che ha dichiarato l'incostituzionalità del comma 1
dell'articolo 47 nella parte in cui prevedeva la sospensione
obbligatoria. L'attenta lettura della decisione della Corte
Costituzionale e della proposta in esame fa risaltare le
differenze tra la disciplina della rimessione di allora e
quella che si vuole introdurre. Da tale differenza si evince
come la proposta approvata dal Senato abbia colmato le lacune
indicate dalla Corte nel 1996.
La Corte Costituzionale, all'epoca, intervenne sullo
stesso processo con due decisioni. Con la prima (n. 460 del
1995) dichiarò inammissibile la questione d'incostituzionalità
dell'articolo 46 comma 3 e dell'articolo 49 ultimo comma del
codice di procedura penale sulla base della considerazione che
tali norme "permettono all'imputato di riproporre ad
libitum la richiesta di rimessione". L'eccezione di
incostituzionalità fu respinta ritenendo insussistente la
violazione della norma costituzionale che sancisce
l'obbligatorietà dell'azione penale. Fin da quella decisione
la Corte aveva ben presente che le reiterate richieste
dell'imputato avevano uno scopo chiaramente dilatorio per
pervenire alla prescrizione dei reati.
Riproposta dagli stessi giudici questione di
incostituzionalità dell'articolo 47, che vietava la pronuncia
nelle more del procedimento di rimessione, la Corte, nel
dichiarare la denunziata illegittimità costituzionale si
preoccupò (come si legge nella motivazione) della evidente
strumentalità delle reiterate istanze di rimessione, anche per
l'approssimarsi della prescrizione del reato. La Corte, pur
riconoscendo che "l'innovazione (la sospensione) risponde
all'esigenza di un razionale contemperamento dei principi di
economia processuale e di terzietà del giudice", volle
impedire eventuali, seppur eccezionali, abusi. Affermò,
quindi, che "pienamente libero nella costruzione delle
scansioni processuali, il legislatore non può tuttavia
scegliere, fra i possibili percorsi, quello che comporti, sia
pure in casi estremi, la paralisi dell'attività processuale,
perché impedendo sistematicamente tale attività, mediante
riproposizione dell'istanza di rimessione, si finirebbe col
negare la stessa nozione del processo e si continuerebbe ad
recare danni evidenti all'amministrazione della giustizia".
Una decisione di convenienza, certamente apprezzabile, per
evitare un blocco del processo, ma fondata su presupposti
diversi da quelli della normativa in esame.
Infatti il comma 2 del nuovo articolo 47 codice di
procedura penale prevede l'interruzione del decorso dei
termini di prescrizione nelle more del procedimento di
rimessione, così come prevede la sospensione dei termini della
durata massima della carcerazione preventiva. Elimina cioè
alla radice i motivi che determinarono la pronuncia della
Corte.
Venuti meno i rischi di una strumentalizzazione delle
richieste di rimessione, l'obbligo di non emettere la sentenza
nelle more del giudizio innanzi alla Corte di Cassazione si
giustifica, oltre che per ragioni di economia procedurale (la
sentenza è destinata a venir meno in caso di accoglimento
della richiesta di rimessione), anche per la irreparabilità
dei danni che la sentenza nel frattempo emanata può produrre.
Si pensi, ad esempio, al pregiudizio che subirebbe l'onore di
chi sia stato condannato da tale giudice od agli effetti
negativi della condanna sulla custodia cautelare.
Pertanto, a fronte della irreparabilità degli effetti
negativi della sentenza di condanna del giudice che rischia
essere considerato successivamente non idoneo a garantire
l'imparzialità del giudizio, appare del tutto irragionevole
consentire l'emanazione di tale sentenza nelle more del
giudizio di rimessione.
Per quanto riguarda poi l'attuale formulazione
dell'articolo 48 concernente la decisione della Corte di
Cassazione, l'articolo 1, comma 4, della proposta di legge in
esame, diversamente della norma vigente che prevede il rito
camerale, stabilisce anzitutto che la decisione della
Cassazione sulla richiesta di rimessione è assunta in pubblica
udienza in contraddittorio tra le parti.
Si prevede, inoltre, che l'ordinanza della Suprema Corte
favorevole alla rimessione va comunicata "immediatamente" (la
formula attuale recita "senza ritardo") sia al giudice
procedente che a quello designato cui il primo deve
trasmettere immediatamente gli atti.
In base alla nuova formulazione dell'articolo 48, il
giudice originariamente investito del processo viene esonerato
dall'obbligo di comunicazione al Pubblico Ministero e di
notifica alle parti private dell'estratto della citata
ordinanza.
La proposta in esame non prevede in caso di rimessione, il
riferimento al potere del giudice designato di dichiarare se e
in quale parte gli atti del primo processo conservino
efficacia anche nel nuovo (terzo comma).
In merito a tale modifica è stato posto il tema della
conservazione degli atti assunti dal primo giudice, nel caso
di accoglimento della richiesta di rimessione. In realtà,
escluso per ovvie ragioni che sul punto possano decidere il
giudice "sospetto" o la Corte di Cassazione (giudice di
legittimità e non del merito) è da ricordare che il codice
vigente attribuisce all'accordo tra le parti l'acquisizione al
fascicolo del dibattimento di atti particolari. Non pare,
pertanto, sussistano motivi per discostarsi da tale norma
generale. La scelta del Senato di non lasciare al nuovo
giudice il potere di determinare quali atti del precedente
processo possano essere utilizzati nel nuovo processo,
preferendo, invece, adottare la soluzione favorevole alla
rinnovazione di tali atti, salvo che le parti siano d'accordo
nel considerarli efficaci per il nuovo processo, appare
conforme ai principi generali.
Al riguardo, basti pensare che nei casi in cui muti il
giudice o la composizione del collegio (ad esempio,
ricusazione o sostituzione per ragioni contingenti) è
pacifica, qualora non vi sia l'accordo delle parti, la
rinnovazione degli atti compiuti. Pertanto, sarebbe una
anomalia se, nel caso in cui il mutamento del giudice
dipendesse dalla circostanza che questo non è stato ritenuto
idoneo a garantire un sufficiente grado di imparzialità e
terzietà, fosse consentito, anche contro la volontà delle
parti, di mantenere gli atti compiuti da quel giudice.
L'ultima norma novellata dal provvedimento in esame è
l'articolo 49 codice di procedura penale (articolo 1, comma 5,
della proposta di legge) relativo alla nuova richiesta di
rimessione.
La disposizione, in presenza di decisione della Cassazione
favorevole alla rimessione, conferma anzitutto la titolarità
dell'imputato e del Pubblico ministero alla riproposizione di
una eventuale nuova istanza volta alla revoca del primo
provvedimento o alla designazione di un nuovo giudice
(articolo 49, comma 1); dalla norma è però eliminato il rinvio
all'osservanza delle disposizioni dell'articolo 47 codice di
procedura penale, relative alla sospensione del processo
principale, peraltro novellate dal provvedimento in esame.
Identica, rispetto a quella vigente, è la formulazione
dell'articolo 49, comma 2, che stabilisce la possibilità di
proporre nuovamente la rimessione, purché fondata su elementi
nuovi, quando la richiesta è stata rigettata o dichiarata
inammissibile dalla Cassazione per manifesta infondatezza e la
possibilità di riproporre sempre la rimessione quando la prima
richiesta è dichiarata inammissibile per altri motivi.
Al comma 3, è previsto, al fine di evitare richieste
dilatorie di rimessione, che nei casi indicati dai primi due
commi, il processo principale non si sospende quando l'istanza
costituisce riproposizione di una già respinta, ovvero quando
la stessa risulti fondata sugli stessi motivi.
In relazione alla questione della reiterabilità di
richieste, è stato posto il tema dei procedimenti con
pluralità di imputati per paventare che da ciascuno possa
essere ripresentata, in tempi diversi con mere finalità
dilatorie, una richiesta di rimessione.
In verità, proprio per l'unicità del processo, deve
intendersi che ogni nuova richiesta, dopo la prima,
costituisca reiterazione e, quindi, non produca la
sospensione. Tanto più che il comma 1 dell'articolo 46 di
nuova formulazione, come si è visto, prevede espressamente che
le altre parti del processo possano, entro quindici giorni
dalla notificazione della richiesta di rimessione proposta da
altri, dichiarare, a pena di decadenza, se aderiscono o si
oppongono alla richiesta stessa. Tale norma, letta con
riferimento alla unicità del processo, qualunque sia il numero
degli imputati, impedisce agli imputati diversi dal primo
richiedente di reiterare la richiesta stessa e quindi esclude
ulteriori sospensioni del processo ed il paventato pericolo
della reiterazione di richieste pretestuose.
E' stato altresì auspicato che nel procedimento di
rimessione sia prevista, sempre al fine d'evitare richieste
strumentali e dilatorie una preventiva valutazione di
ammissibilità. La norma potrebbe apparire superflua qualora si
interpretasse l'articolo 610 del codice di procedura penale
come una disposizione diretta a sottoporre al particolare
vaglio di ammissibilità in essa previsto qualsiasi istanza,
ricorso, richiesta o domanda presentata alla Corte di
Cassazione.
Al comma 6 si precisa che le disposizioni del
provvedimento in esame si applicano anche ai procedimenti in
corso alla sua data di entrata in vigore, prevista, dal comma
7, per il giorno successivo alla sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
In relazione a tali previsioni, si osserva che
l'applicazione ai procedimenti in corso delle disposizioni in
esame è coerente e corrisponde ai principi generali del codice
di rito. Tanto coerente da far apparire superflua la
trasposizione nella norma che, invece, superflua non è giacché
tende ad evitare che l'interpretazione travolga i principi
generali e la volontà del legislatore.
Viceversa, seri dubbi di costituzionalità si dovrebbero
avere qualora una norma diretta a garantire il principio
costituzionale della imparzialità e terzietà del giudice, che
costituisce un cardine dell'ordinamento giudiziario, non si
applicasse ai processi in corso. Una scelta diversa da quella
dell'applicazione anche alla rimessione del principio generale
"tempus regit actum" significherebbe ammettere che per certi
processi (quelli in corso alla data di entrata in vigore della
legge di modifica dell'istituto della rimessione) il livello
delle garanzie può essere inferiore da quello dettato dalla
Costituzione.
3. Istruttoria legislativa.
L'esame in sede referente è stato caratterizzato da un
intenso ed approfondito confronto tra i deputati di
maggioranza e quelli dell'opposizione.
In particolare, sono state affrontate le questioni
relative all'introduzione del legittimo sospetto tra le cause
di rimessione del processo, la tipizzazione della nozione di
legittimo sospetto, la sospensione del procedimento in
pendenza del giudizio innanzi alla Corte di cassazione, la
decorrenza dei termini di sospensione del corso della
prescrizione, l'efficacia degli atti processuali già compiuti
in caso di accoglimento dell'istanza di rimessione e
l'applicabilità della legge ai procedimenti in corso al
momento della sua entrata in vigore.
Nel corso dell'esame preliminare, al quale sono state
dedicate circa 55 ore di seduta, sono intervenuti 185
deputati.
Nell'ambito della fase dell'esame preliminare le
Commissioni hanno svolto una serie di attività conoscitive ed
istruttorie: come richiesto dai rappresentanti dei gruppi di
opposizione sono stati acquisiti dal Governo, ai sensi
dell'articolo 79 commi 5 e 6 del Regolamento, dati ed
informazioni circa le domande di rimessione attualmente
pendenti dinnanzi alla Corte di Cassazione nonché sulle
relative decisioni e sugli effetti di esse negli ultimi venti
anni.
Sono stati, altresì, auditi i rappresentanti
dell'Associazione nazionale magistrati, dell'Organismo
unitario dell'Avvocatura e dell'Unione delle Camere penali
italiane.
Le Commissioni, invece, non hanno accolto l'istanza,
formulata da alcuni deputati dell'opposizione, di richiedere
il parere alla V Commissione (Bilancio, tesoro e
programmazione), in quanto si è ritenuto che il provvedimento
in esame, limitandosi ad introdurre disposizioni di natura
ordinamentale, concernenti attività di natura processuale
rientranti nella ordinaria attività istituzionale degli uffici
giudiziari, non reca nuovi oneri di natura finanziaria.
Non si è ritenuto, altresì, di dover accogliere la
richiesta di acquisire dal Governo la relazione tecnica sul
provvedimento, tenuto conto sia dei dati e delle informazioni
già fornite dal Governo stesso, sia in considerazione del
fatto che le questioni relative all'impatto normativo della
proposta di legge erano già state approfondite nel corso
dell'esame preliminare.
Sempre su richiesta del prescritto numero di deputati è
stato chiesto al Comitato per la legislazione, ai sensi
dell'articolo 16- bis comma 4 del Regolamento, il parere sul
testo della proposta di legge in esame. Il Comitato ha
formulato due rilievi. Il primo riguardante l'opportunità di
integrare l'indicazione dei casi di rimessione procedendo
quanto più possibile ad una tipizzazione della nozione di
"legittimo sospetto". Le Commissioni non hanno ritenuto di
aderire a tale rilievo in quanto riferito ad una questione già
valutata nel corso dell'esame preliminare, nel senso di
escludere l'esigenza di tale tipizzazione.
Non si è neppure condivisa l'opportunità segnalata dal
Comitato per la legislazione di chiarire meglio il rapporto
tra l'obbligo di non procedere alla sospensione del processo
nei casi di riproposizione di una nuova richiesta fondata sui
medesimi motivi e l'obbligo, previsto in via generale, di
procedere alla sospensione del processo prima della pronuncia
della sentenza, in quanto si tratta di un rapporto tra norma
speciale e norma generale.
Alla proposta di legge sono stati, infine, presentati 382
emendamenti tutti esaminati e respinti dalle Commissioni che
non hanno ritenuto di apportare modificazioni al testo
approvato dal Senato nel corso dell'esame in sede
referente.