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Seduta del 17/11/2005


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Esame testimoniale di Carmelo Ventaglio.

PRESIDENTE. Proseguiamo i nostri lavori con l'esame testimoniale del colonnello Carmelo Ventaglio, al quale facciamo presente che sarà ascoltato con le forme della testimonianza e che conseguentemente (ovviamente non potrà che dire la verità) dovrà rispondere alle nostre domande. Ci dica intanto le sue generalità.

CARMELO VENTAGLIO. Sono il colonnello Carmelo Ventaglio, nato a Siracusa il 25 giugno 1940 e residente a Bergamo, in via San Giovanni numero 6.

PRESIDENTE. Colonnello, mi sembra che lei sia stato responsabile del servizio G2 in Somalia, Mogadiscio, nel periodo in cui comandante del contingente era il generale Fiore. Fu successore del colonnello Passafiume che abbiamo appena finito di ascoltare.
Sappiamo - in quanto ce lo ha detto il generale Fiore - che lei gestiva molte fonti informative, naturalmente di carattere confidenziale. Le chiediamo se, attraverso la rete di informazioni di cui lei poteva fruire, vi sono consapevolezze che lei possa trasmettere alla Commissione, utili all'accertamento dei fatti dei quali discutiamo.

CARMELO VENTAGLIO. Le fonti informative che avevo erano del personale somalo. Avevo riscontri attraverso il capitano Caruso, che era comandante di distaccamenti operativi del Col Moschin, che era in Mogadiscio, oppure con personale del Sismi che operava nell'istituto di cooperazione, insieme all'ambasciatore Scialoja.
Successivamente - anche se non eravamo più i responsabili di settore all'interno di Mogadiscio ed eravamo invece a Balad -, ho tenuto ancora questi informatori, perché tutto quello che succedeva a Mogadiscio si riversava in tutti gli altri settori, compreso il nostro.
Normalmente, tutte le notizie che mi hanno dato quegli informatori hanno trovato riscontro in avvenimenti che sono successi giorni dopo. Le prime avvisaglie si sono avute tra metà e fine dicembre, quando hanno cominciato a parlare di fondamentalisti islamici per la prima volta. Ho chiesto conferme all'operatore del Sismi (si chiamava Mario), il quale ha confermato; in più, ho dato mandato al capitano Caruso di svolgere alcune indagini, per vedere se fosse vero quanto mi riferivano.
Le notizie riguardavano più che altro attentati progettati contro chiese cattoliche. Infatti, dopo due o tre giorni, hanno fatto il primo attentato contro la cattedrale di Mogadiscio, anzi contro quello che rimaneva della cattedrale di Mogadiscio,


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facendo crollare primo una torre e poi un'altra, di quelle che erano rimaste. Hanno fatto poi un altro attentato contro un'altra chiesa, quella del Sacro Cuore, sempre a Mogadiscio...

PRESIDENTE. In che periodo?

CARMELO VENTAGLIO. Nel periodo tra metà dicembre e metà gennaio; tra la fine del 1993 e l'inizio 1994. Sempre nello stesso periodo, da notizie che ci erano arrivate sempre dai nostri somali a Mogadiscio, abbiamo scoperto che c'erano anche alcuni contingenti, che pur facendo parte di Unosom, foraggiavano questi fondamentalisti islamici. Uno in particolare: quello degli Emirati Arabi.
Il personale degli Emirati Arabi è venuto anche nel nostro settore per portare del cibo che veniva considerato primario per i somali, consistente in tè e zucchero: lo portavano nelle scuole coraniche che si trovavano nel nostro settore. Poiché in base agli ordini di Unosom nessuno poteva andare nel settore di un altro contingente se prima non aveva chiesto l'autorizzazione (in quanto il responsabile del settore era anche responsabile della sicurezza del contingente), appena saputo ciò, il generale Fiore ha chiamato l'ufficiale di collegamento che era presso l'Unosom, vietandogli tassativamente di venire nel nostro settore per dare dei viveri.
Un'altra cosa che ci avevano detto, e che poi è puntualmente successa, è la seguente: tra i viveri somministrati ai somali, veniva messa una specie di gas, di cui adesso non ricordo il nome, che determinava malori tra i somali. E loro dicevano: «Guardate che il cibo che vi porta il contingente italiano è quello che vi fa male; non accettate più cibo da loro».
A metà del mese di gennaio, ci venne fatta un'altra comunicazione: i fondamentalisti islamici avevano intenzione di fare un attentato eclatante contro il contingente, ma non contro ufficiali e sottufficiali, bensì contro militari di truppa, o contro giornalisti, in quanto avrebbe avuto una eco maggiore, piuttosto che se avessero ucciso un ufficiale o un sottufficiale.

PRESIDENTE. Si fermi un attimo su questo punto. Chi le ha dato questa notizia?

CARMELO VENTAGLIO. Sempre i miei informatori. Ho chiesto conferma alle altre due fonti - il capitano Caruso (purtroppo deceduto) e questo Mario del Sismi - e anche loro mi hanno confermato la cosa.

PRESIDENTE. Questo Mario è reperibile? Sa dove possiamo trovarlo?

CARMELO VENTAGLIO. Era un capitano di fregata della marina, al servizio del Sismi. Però, noi li conoscevamo solo per nome, non sapevamo il cognome. Si chiamava Mario.

PRESIDENTE. Se per caso le dico il cognome «Giusti», lei mi può dire se potesse essere lui?

CARMELO VENTAGLIO. È lui.

PRESIDENTE. E lui le dette la conferma?

CARMELO VENTAGLIO. Sì.

PRESIDENTE. Quando avete avuto questa notizia, precisamente?

CARMELO VENTAGLIO. La notizia degli attentati che si volevano fare l'abbiamo avuta ai primi del mese di febbraio. Infatti, il comandante ha avvisato anche i giornalisti che c'era questo pericolo in giro.

PRESIDENTE. Quindi, il pericolo proveniva sicuramente dal fondamentalismo islamico, per quelle che erano le vostre notizie?

CARMELO VENTAGLIO. Da quel che mi risulta, sì.


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PRESIDENTE. Perfetto. Le risulta che questa notizia sia stata data anche a Giancarlo Marocchino? Lei conosceva Giancarlo Marocchino, naturalmente.

CARMELO VENTAGLIO. Sì, lo conoscevo, ma non avevo rapporti con lui.

PRESIDENTE. Le risulta - o magari sa ricostruire - il percorso per cui questa notizia possa essere stata trasmessa anche a Giancarlo Marocchino, che aveva rapporti col contingente italiano?
Glielo chiedo, in quanto noi abbiamo ricostruito un frammento secondo il quale, il giovedì di quella settimana, Giancarlo Marocchino - che aveva a cena tutti i giornalisti, per festeggiare il compleanno di uno di loro - sarebbe uscito di casa; stette fuori una mezz'ora, tornò e disse: «Signori, bisogna che ve ne andiate, perché stanno preparando un attentato a giornalisti». La notizia mi pare quasi identica alla sua.

CARMELO VENTAGLIO. Non gliel'abbiamo data noi, di sicuro.

PRESIDENTE. Non gliel'avete data voi: quindi, si è trattato di un'altra fonte?

CARMELO VENTAGLIO. Sicuramente, perché i rapporti che avevamo con Marocchino più che altro erano rapporti di natura logistica.

PRESIDENTE. Non sa chi possa avere dato questa informazione a Marocchino?

CARMELO VENTAGLIO. No, non glielo so dire; può anche darsi che l'abbia saputo presso la nostra ex ambasciata, dato che il magazzino di Marocchino era quasi di fronte alla nostra ex ambasciata. Sarà stato a 50 metri di distanza, non di più.

PRESIDENTE. La parola all'onorevole Schmidt.

GIULIO SCHMIDT. Grazie, presidente.
Colonnello, le pongo una domanda proprio in riferimento a questo punto. Lei ha dichiarato: «Ai primi di febbraio». Quindi, si tratterebbe di circa cinquanta giorni prima della morte di Ilaria Alpi. Noi abbiamo, posso dire, l'impressione o la certezza che comunque l'annuncio del pericolo di attentato contro i giornalisti sia spostato verso il 20 del mese, non così indietro nel tempo. Mi spiego: se questo avvertimento è così indietro nel tempo e si dice che fu confermato dagli attentati alle cattedrali, la cosa ha un senso.
Tuttavia, il generale Fiore afferma - sia nella sua deposizione sia nella sua relazione - che dallo stesso informatore che aveva dato la notizia degli attentati alle cattedrali venne a conoscere che si stava preparando un attentato ai giornalisti (quindi si presume verso il 7 - 8 marzo del 1994), tanto è vero che lo comunicò ai giornalisti e ad Ilaria Alpi il 12 marzo, prima che partisse per Bosaso. Vorrei perciò capire meglio questo passaggio, che non è da poco.

PRESIDENTE. Infatti, è molto importante.

GIULIO SCHMIDT. Rileggendo la relazione, ho appreso che lei disse: «Il generale Fiore avvisò Ilaria Alpi di questo pericolo al ritorno da Bosaso». In questo caso la avvisò due volte, perché a noi risulta, secondo testimonianze del generale Fiore...

PRESIDENTE. Il martedì!

GIULIO SCHMIDT. ... che fu convocata una riunione di accoglienza all'aeroporto - in cui si presentò tra l'altro il generale Fiore direttamente e personalmente (cosa affatto non consueta) - il 12 marzo, quindi prima che Ilaria partisse per Bosaso.
Ecco, vorrei capire se gli avvertimenti furono due o uno solo.

CARMELO VENTAGLIO. Mi spiego meglio. Quando arrivò il primo avvertimento, noi eravamo ancora operativi a tutti gli effetti, quindi non ci eravamo nemmeno


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ritirati da Balad verso Mogadiscio. L'ordine del generale Fiore fu di rafforzare sia le scorte che le difese.
I primi di marzo abbiamo abbandonato Balad e ci siamo ritirati all'interno dell'aeroporto di Mogadiscio. Questo significa che sul territorio non avevamo più scorte. Quindi, anche se si fosse voluto dare una scorta a qualcuno, non c'era niente, perché erano rimasti soltanto il presidio (chiuso il 10 marzo) dell'ex ambasciata e la gente che lavorava al porto nuovo per caricare gli ultimi container; e non c'era nessun altro! Infine, dal 16 marzo in poi, non eravamo nemmeno a terra, in quanto eravamo a bordo della nave Garibaldi.
Per quanto riguarda la minaccia fatta a febbraio, le mie fonti non hanno mai detto successivamente: «Attenzione, questa minaccia non c'è più», oppure: «Potete stare tranquilli». Non è che il pericolo di attentati sia cessato improvvisamente. Le cose erano cambiate nel senso che non eravamo più in condizione di assicurare nessuno.

PRESIDENTE. E quindi avete avvertito?

CARMELO VENTAGLIO. Dirò di più: quando sono stati convocati tutti i giornalisti, Ilaria Alpi non c'era, e non la trovavamo, non sapevamo dove era....

GIULIO SCHMIDT. Mi scusi, ma qui c'è qualcosa che non torna.

PRESIDENTE. Allora, facciamo il punto: ci fu un primo incontro, di cui ci ha testimoniato il generale Fiore - se ricordava bene -, da lui collocato nel martedì della settimana che si conclude con domenica 20 marzo. Il martedì Fiore fece questa riunione con i giornalisti, alla quale partecipò anche Ilaria Alpi. Ella sarebbe poi partita alla volta di Bosaso. Non abbiamo notizia di altre riunioni tenute da Fiore. C'è soltanto la cena a casa di Marocchino, il quale esce di casa, rientra, e dice: «Signori, andatevene perché qui succede il patatrac».

CARMELO VENTAGLIO. Volevo solo dire che generale Fiore si era preoccupato successivamente, perché non si trovava più Ilaria Alpi.

PRESIDENTE. Dopo la riunione; in questo caso va bene, siamo d'accordo. Però, la domanda dell'onorevole Schmidt mi sembra sia un'altra: tra il febbraio (epoca in cui lei colloca la notizia delle sue fonti, confermata da Giusti, eccetera), e il 20 marzo del 1994, vi è un tempo abbastanza lungo.

GIULIO SCHMIDT. Sono 50 giorni!

PRESIDENTE. Una cosa è, diciamo così, il contesto caldo che si registra nella settimana che si conclude con il 20 marzo, un'altra cosa è il periodo precedente.
Allora, le chiedo: tra il momento in cui avete avuto questa notizia attendibile e il momento in cui vengono uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, vi è stato un crescendo, ci sono stati degli atteggiamenti, ci sono state delle iniziative che vi hanno confermato lo stato delle cose, per cui poi il martedì di quella settimana vi siete indotti ad avvertire i giornalisti? Ecco, vorrei capire questo.

CARMELO VENTAGLIO. Chiedendo conferma alle fonti, se c'erano altri aspetti, queste non hanno mai detto: «Guardate che il pericolo dell'attentato è cessato».

PRESIDENTE. D'accordo, ma una riunione con tutti i giornalisti in cui si dice: «Attenzione, state fermi perché qui la situazione precipita» fa pensare ad una situazione che, ad un certo punto, stava precipitando davvero.

CARMELO VENTAGLIO. Abbiamo sempre avuto la conferma che avevano in mente di fare attentati; non è che abbiano deciso di non farli più.

PRESIDENTE. Ho capito.
Do di nuovo la parola all'onorevole Schmidt.


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GIULIO SCHMIDT. Ho un vuoto di memoria: i giornalisti italiani erano già presenti dai primi di febbraio?

CARMELO VENTAGLIO. Si, ci sono sempre stati.

GIULIO SCHMIDT. Ci sono sempre stati?

CARMELO VENTAGLIO. Sempre. Facevano turni, tornavano in Italia e poi ritornavano in Somalia, e così via.

GIULIO SCHMIDT. La ringrazio.

PRESIDENTE. Torniamo alla fonte della notizia. Non sarà stato Marocchino la fonte della notizia?

CARMELO VENTAGLIO. No, Marocchino non era una mia fonte.

PRESIDENTE. C'era qualche altro militare del quale Marocchino poteva essere fonte?

CARMELO VENTAGLIO. Del mio ufficio, no. Se lui parlasse e avesse come riferimento il capitano Caruso (dato che, ripeto, il suo magazzino era vicino all'ex ambasciata) e se fossero in buoni rapporti non glielo so dire. Sicuramente, egli non era una fonte del mio ufficio.

PRESIDENTE. Da parte di Caruso, è pervenuta o non è pervenuta la notizia del pericolo di aggressioni?

CARMELO VENTAGLIO. Certo, Caruso mi ha confermato; l'ho detto prima. Io ho avuto la notizia dai miei informatori somali; poi, questa notizia è stata confermata sia da Caruso sia da Mario.

PRESIDENTE. Però, la fonte originaria siete voi: lei e i suoi uomini somali. È esatto?

CARMELO VENTAGLIO. Si.

PRESIDENTE. Le domando: potrebbe essere accaduto che, accanto alla sua fonte - che in questo momento qualifichiamo «originaria» -, vi sia stato un parallelismo di fonte che portava anche a Caruso (circostanza questa che poi ha consentito a Caruso di dare a lei la conferma)? Era lei che coordinava le fonti o ciascuno aveva le sue?

CARMELO VENTAGLIO. Attenzione: io avevo le mie fonti, Caruso aveva le sue. Se avessimo avuto le stesse fonti, non avremmo mai avuto un confronto.

PRESIDENTE. Possiamo chiederle chi siano queste fonti?

CARMELO VENTAGLIO. Guardi, il nome è quello: Osman. Non è che io avessi la carta d'identità.

PRESIDENTE. Era uno della polizia somala?

CARMELO VENTAGLIO. No, in quanto gli unici della polizia somala che parlavano un po' con noi (il generale Gilao o il suo aiutante, che si chiamava Gas Gas) non è che fossero molto attendibili.

PRESIDENTE. Lo ha detto anche il colonnello Passafiume.

CARMELO VENTAGLIO. Gilao faceva parte del vecchio regime di Siad Barre, quindi era un riciclato.

PRESIDENTE. Ricorda la notizia relativa alla possibilità che qualcuno dei componenti il commando potesse essere stato ferito durante l'azione omicidiaria?

CARMELO VENTAGLIO. No. Ripeto, il giorno dopo che avvenne il fatto siamo partiti. A quell'epoca non avevo più le mie fonti somale, ormai avevo chiuso tutto. Pertanto, dai giorni 18 e 19 in poi, tutti i collegamenti con Mogadiscio, fisicamente, non li avevo più. Non avevo più contatti né con il comando Unosom né con i miei, in quanto uno dei mezzi di collegamento, o


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di richiesta per parlare con i miei informatori, era la famosa Radio Ibis, che noi avevamo. Si trasmettevano alcune canzoni, loro lo sapevano e ci trovavamo. Non avendo più quel sistema per chiamarli, non sapevo nemmeno come poter parlare con loro.

PRESIDENTE. Per caso, qualcuna di queste sue fonti fu imbarcata sulla Garibaldi?

CARMELO VENTAGLIO. No.

PRESIDENTE. Lei ha parlato spesso con Ilaria Alpi?

CARMELO VENTAGLIO. Ci siamo visti spesso.

PRESIDENTE. Anche con Hrovatin?

CARMELO VENTAGLIO. Con Hrovatin no, perché...

PRESIDENTE. Quando dice «spesso», si riferisce ad occasioni precedenti, rispetto ai giorni in cui Ilaria trovò la morte? Per riassumere, in quei giorni lei non ha visto la giornalista, se non in occasione della conferenza che vi fu il martedì, durante l'incontro con Fiore. In precedenza, invece, l'ha sentita. Avete mai parlato? Ha mai potuto constatare, rendersi conto - oppure la stessa Ilaria le ha fatto, come dire, esternazioni sui suoi interessi giornalistici - se la Alpi avesse avuto qualche particolare «fissa» o addirittura avesse acquisito qualche particolare elemento che attraeva fortemente la sua attenzione, che la motivava sul piano professionale?

CARMELO VENTAGLIO. No, parlavamo del più e del meno; durante una delle mie licenze, abbiamo anche viaggiato insieme in aereo, dall'Italia in Somalia, ma non si confidava molto.

PRESIDENTE. All'epoca del fatto, lei si trovava sulla nave Garibaldi. Saprà che - quando i due cadaveri arrivarono sulla nave - furono svolte parecchie operazioni dirette al recupero dei bagagli e degli altri effetti. Ci può dire che cosa è accaduto, da questo punto di vista, sulla Garibaldi?

CARMELO VENTAGLIO. I bagagli sono stati recuperati dalla Simoni e da Porzio. Sono stati portati su nave Garibaldi, dopodiché, poiché il responsabile legale ufficiale era il commissario di bordo di nave Garibaldi, tutto si è svolto sotto la sua direzione. Noi non abbiamo più messo mano. Cioè, chi ha inventariato, chi ha sigillato i sacchi, è stato il commissario di bordo di nave Garibaldi.

PRESIDENTE. Ricorda che si procedette alla visione di alcune videocassette?

CARMELO VENTAGLIO. No.

PRESIDENTE. Ha avuto notizia se vi fossero e di chi avesse preso in carica i notes ritrovati, riguardanti i due giornalisti?

CARMELO VENTAGLIO. Allora, questi famosi notes sono stati chiusi e sigillati in sacchetti. Questi sacchetti sono stati dati (almeno così è scritto anche nella ricevuta firmata dal dottor Locatelli) così come glieli avevamo consegnati, quando le salme sono state messe su un G222 e trasportate, per essere poi imbarcate su un Falcon che le avrebbe riportate in Italia. In quel momento i sacchetti erano sigillati.

PRESIDENTE. Mi piacerebbe dire che - essendoci stata la consumazione di un duplice omicidio - quei documenti avrebbero dovuto essere consegnati, più che ad un privato, ad un'autorità pubblica, che si preoccupasse poi di consegnarli all'autorità giudiziaria.

CARMELO VENTAGLIO. Sono passati dal commissario di bordo della Garibaldi all'ufficiale dell'aeronautica responsabile del trasporto. Cioè, le firme del dottor Locatelli...


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PRESIDENTE. Ho capito, erano solo per presenza.
Le faccio un'altra domanda: ricorda se si sia parlato del ricovero in ospedale di qualcuno degli attentatori?

CARMELO VENTAGLIO. No.

PRESIDENTE. Sa qualcosa riguardo l'uccisione dei soldati Righetti e Visioli?

CARMELO VENTAGLIO. Sono stati uccisi al porto nuovo, mentre stavano facendo ginnastica, mi pare. Stavano correndo e, da quello che mi risulta, da quello che abbiamo capito, indossavano delle magliette americane.

PRESIDENTE. Avete fatto un'inchiesta?

CARMELO VENTAGLIO. Sì, in quanto abbiamo dovuto fare una relazione.

PRESIDENTE. E quindi?

CARMELO VENTAGLIO. Responsabile della sicurezza di porto vecchio era il contingente americano. E in effetti andavano in giro con le magliette kaki, come le nostre. Da quel che abbiamo chiesto in giro, siamo arrivati alla convinzione (che potrebbe naturalmente essere sbagliata) che siano stati presi per americani e che non siano stati uccisi, quindi, perché erano italiani.

PRESIDENTE. Cosa sa dell'omicidio Li Causi e dell'omicidio della crocerossina Maria Cristina Luinetti?

CARMELO VENTAGLIO. Quando siamo andati a Balad, una parte del nucleo del Sismi è stata distaccata a Balad, da noi. Vi erano addette due persone: una era Vincenzo Li Causi, l'altra - di cui non ricordo il nome - era un sottufficiale della marina.
Nel pomeriggio, quando è successo l'incidente, Li Causi mi ha chiesto, poiché doveva andare a Balad, se poteva usufruire della mia scorta, ed io gli ho risposto: «Siccome dovrò uscire fra poco anch'io, non ti posso dare la mia scorta». Li Causi decise allora di uscire da solo, dato che loro erano autonomi in quanto a mezzi.
Verso le cinque mezza, le sei, è rientrato il loro automezzo, con Vincenzo Li Causi ferito; da quel che abbiamo saputo in giro, sembra (poiché nessuno di noi era presente) che avessero incontrato dei banditi. Spesso e volentieri ci si trovava in mezzo a sparatorie, perché i banditi cercavano di depredare chi passava con le macchine o con gli autobus. Ci si trovava in mezzo al fuoco senza sapere come! Da quel che ci risulta, è successo così anche con Li Causi.
Per quanto riguarda il caso della Luinetti, il fatto è successo presso l'infermeria che era di fronte alla nostra ex ambasciata. Da quel che risulta, è entrato un uomo, che sembra non fosse mentalmente a posto. Cioè, non è stato un attentato scientificamente fatto nei confronti di ....

PRESIDENTE. Si è trattato insomma di un gesto di un folle?

CARMELO VENTAGLIO. Da quel che ci risulta, sì. Anche parlando con i somali che stavano li attorno...

PRESIDENTE. Parlare con i somali è un po' complicato...

CARMELO VENTAGLIO. Noi ne avevamo parecchi. Parecchi di loro avevano frequentato le scuole italiane e tutti quelli che avevano un nome italiano - «Giovanni», «Giulio», eccetera - sicuramente conoscevano molto bene l'italiano.

PRESIDENTE. Abbiamo appreso dal generale Fiore che, contrariamente a quanto ci hanno fatto credere durante due anni di lavoro, in Mogadiscio era organizzata una polizia. Il generale ci ha addirittura riferito che era organizzata anche una magistratura per colpire fatti delittuosi (come ad esempio quello del quale stiamo parlando) ma che per altri casi permise addirittura l'arresto dei responsabili. A chi faceva capo questa polizia?


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CARMELO VENTAGLIO. Noi eravamo responsabili solo dell'addestramento e dell'armamento della polizia somala. Responsabile era un ufficio di Unosom. Noi davamo le armi. Tutte le armi sequestrate (per esempio gli AK-47, che avevamo sequestrato durante tutto il periodo), una volta finito l'addestramento, venivano date alla polizia somala. C'era però un ufficio presso Unosom, che era responsabile dell'addestramento e del pagamento. Noi ogni mese ci recavamo presso Unosmo, ci davano gli scellini somali, poi facevamo il giro di tutte le stazioni (avevamo stazioni distanti anche 300 o 400 chilometri da Mogadiscio)...

PRESIDENTE. Stazioni di polizia?

CARMELO VENTAGLIO. Sì, a Belet Uen, ad esempio; portavamo questi soldi, che venivano poi distribuiti dalle varie stazioni.

PRESIDENTE. In forza di questo tipo - diciamo così - di mantenimento o meglio di sovvenzionamento, avevate all'interno della struttura di polizia degli uomini di collegamento, dei personaggi ai quali potevate far capo? Lei personalmente, come G2, a chi poteva far capo, con nome e con cognome, dentro a questa organizzazione della polizia somala?

CARMELO VENTAGLIO. L'unico che funzionava veramente bene era il capitano Ismail, che era comandante della stazione di Balad. Lo ha dimostrato il giorno in cui hanno ucciso nell'incidente il tenente Ruzzi: se non era per lui, che portò dentro la stazione di polizia di Balad tutti gli altri componenti della colonna che veniva su da Belet Uen, li avrebbero uccisi tutti. Lui era sicuro, degli altri non mi pare ci fosse da fidarsi. Questa è la mia esperienza.

PRESIDENTE. Lei prima ha parlato di Osman, come sua fonte. Sa cosa facesse costui nella vita?

CARMELO VENTAGLIO. No.

PRESIDENTE. Era un Abgal o un Habr gedir?

CARMELO VENTAGLIO. Abgal. Lì c'è la linea di confine tra il sud e il nord, dove c'erano Aidid e Ali Mahdi, per cui bisognava trovare gli uomini giusti.

PRESIDENTE. Se non vi sono altre domande, ringrazio il colonnello Carmelo Ventaglio e dichiaro concluso l'esame testimoniale.

La seduta termina alle 19.

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