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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame testimoniale di Giancarlo Marocchino.
Signor Marocchino, le chiedo innanzitutto - per questo motivo abbiamo intervallato la sua deposizione con quella dell'avvocato Menicacci - se lei ricorda il viaggio dell'avvocato Menicacci in Somalia, al fine di condurre degli accertamenti e degli approfondimenti sul caso Alpi.
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì. Ricordo che venne in Somalia, anche per convincermi a venire in Italia per deporre davanti alla corte d'assise.
PRESIDENTE. Si ricorda quale epoca fosse?
GIANCARLO MAROCCHINO. Ricordo che quando venne Menicacci in Somalia fui anche ferito, però il periodo preciso non lo ricordo: non ricordo neanche il mio numero di telefono.
PRESIDENTE. Quando l'avvocato Menicacci venne in Somalia, lei teneva già i rapporti con il dottor Giannini, che allora era uno dei responsabili della DIGOS?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non ne sono sicuro, però credo di aver cominciato poco dopo a parlare con Giannini. Non ne sono sicuro.
PRESIDENTE. Non è sicuro e, quindi, potrebbe essere stato appena dopo la partenza dell'avvocato Menicacci o prima della sua partenza?
GIANCARLO MAROCCHINO. Mi ricordo di aver cominciato a parlare con
Giannini dopo la venuta in Somalia dell'ambasciatore Cassini. Tuttavia, non ricordo il periodo.
PRESIDENTE. Lei ricorda di essere stato ascoltato dalla corte d'assise?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, mi sono presentato io stesso.
PRESIDENTE. Con Giannini aveva avuto rapporti prima di questo fatto?
PRESIDENTE. L'avvocato Menicacci le disse per quale ragione scendeva in Somalia, a parte il fatto di convincerla a tornare in Italia per deporre?
GIANCARLO MAROCCHINO. In realtà, il fatto principale era quello. Mi disse che dovevo andare in Italia così avrei potuto dichiarare alla corte d'assise ciò che sapevo, in modo da tacitare ogni polemica contro di me.
PRESIDENTE. Lei sa se l'avvocato condusse qualche accertamento o indagine? Sa con chi si incontrò?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, volle avere degli incontri ed io mi prodigai per organizzare gli incontri. Per esempio, volle parlare con il ministro della difesa somala, tale Bogor, il sultano di Bosaso. Così, lo invitai a casa mia e parlò con Menicacci. Insieme a lui feci venire anche rappresentanti di una Commissione, avvocati, insomma gente di un certo livello (c'era anche un presidente di tribunale dell'ONU). Poi feci venire Gafo ed altri, insomma, un po' di questa gente con cui ho organizzato un pranzo. Feci anche venire un ministro di Aidid, che ai tempi era una sorta di tuttofare delle sue pratiche. Ho fatto venire un po' di gente.
PRESIDENTE. Lei ha assistito a questi incontri, con il sultano di Bosaso, con Gafo e via dicendo?
GIANCARLO MAROCCHINO. Avevo altro da fare, altri lavori.
PRESIDENTE. Quindi non fu presente a questi colloqui?
PRESIDENTE. Successivamente, l'avvocato Menicacci le riferì i risultati di queste conversazioni (per esempio, dal punto di vista delle modalità con cui si svolsero i fatti che poi portarono all'uccisione dei due giornalisti)? Vi è stato qualche approfondimento di cui le ha parlato?
GIANCARLO MAROCCHINO. Mi disse che aveva fatto venire anche la famiglia di Hashi ma io non volli essere presente per non essere coinvolto. Li lasciai nel salotto a parlare.
PRESIDENTE. Sa che cosa ha detto Gafo all'avvocato Menicacci?
GIANCARLO MAROCCHINO. Il problema è che Gafo aveva fatto un verbale sulla morte di Ilaria Alpi, perché egli arrivò pochi secondi dopo di me sul posto dell'incidente. Egli redasse un verbale che però è sparito. Poi venne fuori un altro verbale fatto da un colonnello dell'Unosom del sud, il quale però non era mai stato neanche sul posto.
PRESIDENTE. Chi era questo colonnello?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non lo so ma voi dovreste avere quel verbale.
GIANCARLO MAROCCHINO. No, parliamo di un colonnello dell'Unosom somalo.
PRESIDENTE. Ho capito: Shermak!
GIANCARLO MAROCCHINO. Quello lì non poteva neanche recarsi sul luogo per via della faccenda di Aidid. Per questo,
Gafo, quando venne giù la Commissione parlamentare sollevò una protesta (forse lo fece anche perché era stato un po' scartato, nel senso che la «primadonna» l'avevano fatta Gilao e Gas-Gas). Lui si era risentito e quindi tirò fuori la storia del rapporto.
PRESIDENTE. Lei ha mai avuto in mano questo rapporto?
GIANCARLO MAROCCHINO. No ma l'ho anche cercato.
PRESIDENTE. Con Gafo ha parlato di questo rapporto?
PRESIDENTE. E Gafo cosa le ha detto?
GIANCARLO MAROCCHINO. Mi ha detto che lo aveva presentato al comando Unosom.
PRESIDENTE. Le ha detto che cosa c'era scritto in questo rapporto?
GIANCARLO MAROCCHINO. Vi erano descritti i fatti e mi disse che in esso egli aveva anche dato la paternità all'omicidio, indicando il clan degli assassini.
PRESIDENTE. Le ha detto quale clan fosse?
GIANCARLO MAROCCHINO. Diversi clan (anche se poi è uscita fuori una storia che coinvolgeva anche un suo clan). Comunque, sono cose che lui mi disse e che stavano nel rapporto. Peraltro, mi sembra che Gafo sia stato interrogato anche da Di Marco quando questi è venuto a Nairobi. Comunque, quando Di Marco condusse quell'interrogatorio io non c'ero.
PRESIDENTE. Quindi lei non sa nulla di quanto era scritto in quel rapporto?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, ma per questo lo volevo perché sapevo che era un verbale completamente diverso rispetto a quello fatto dal colonnello Shermak. Quello lì ha stilato un verbale del piffero e, secondo il mio punto di vista, non giusto: un verbale sommario. Io cercavo questo verbale anche per evitare tutte queste polemiche.
PRESIDENTE. Lei cercava questo rapporto che non si riusciva ad avere ma non le è venuto in mente di chiedere a Gafo se poteva comunque dirle che cosa c'era scritto, per tentare di ricostruirne il contenuto in qualche modo?
GIANCARLO MAROCCHINO. Quando è stato chiamato - sia per incontrare la Commissione parlamentare, sia per incontrare l'avvocato - gli dissi di ricostruire al meglio il verbale da lui redatto.
PRESIDENTE. Con l'avvocato non lo ha fatto e neppure con la Commissione.
GIANCARLO MAROCCHINO. Non so cosa dirvi. Anche quando è venne giù il consulente Di Marco non so che cosa gli abbia detto.
PRESIDENTE. Se lo sapessimo non glielo chiederemmo.
GIANCARLO MAROCCHINO. Io so che all'avvocato Menicacci ha lasciato una dichiarazione.
PRESIDENTE. Questo lo sappiamo. Comunque, lei cosa ha fatto per rintracciare questo rapporto? Ha preso qualche iniziativa o dei contatti con qualcuno?
GIANCARLO MAROCCHINO. Io avevo un informatore, un ragazzo che lavorava per i militari italiani, un meticcio. Premetto che questi ragazzi che lavoravano con gli italiani erano per metà meticci, cioè magari di mamma somala e padre italiano. Questi ragazzi sono mal visti perché non sono né somali né italiani; allora, una volta andati via i militari,
qualcuno di questi ragazzi l'ho preso a lavorare con me. Questo ragazzo mi diceva che Gafo....
PRESIDENTE. Come si chiamava questo ragazzo?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non so, mi pare Adallah. Egli diceva di avere visto un rapporto - non so se fosse quello di Gafo - al comando militare. Allora, gli chiesi di insistere per vedere se non fosse possibile riuscire a prendere questo rapporto ma, purtroppo, questo ragazzo venne poi ucciso.
GIANCARLO MAROCCHINO. Con lui c'era anche Ali Jamil ed altri ragazzi. Erano andati al mercato per comprare dei ricambi ma c'è stata una sparatoria. Purtroppo, quando al mercato si comincia a sparare non c'è scampo.
PRESIDENTE. È stato un incidente?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, è stato un incidente. Non volevano certo uccidere lui. Al mercato in ogni momento c'è qualcuno che ruba o spara: è un continuo.
PRESIDENTE. Sa con chi altro ha parlato l'avvocato Menicacci per ricostruire i fatti inerenti all'omicidio?
GIANCARLO MAROCCHINO. So che l'avvocato è andato in giro per la città. Dato che a quei tempi io non ero così forte e potente da potergli garantire sicurezza, avevo chiamato un amico, un certo Bashir, uno che oggi, veramente, comanda tutte le sbarre, dal porto di El-Maan in poi. È oggi uno della presidenza.
Lui mise a disposizione un paio di macchine ben armate e così l'avvocato Meniccaci poté andare in giro - insieme con questo Bashir - a vedere posti, luoghi e a fare un po' di indagini.
PRESIDENTE. Prima di formulare la prossima domanda, propongo di procedere in seduta segreta.
Non essendovi obiezioni, dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.
(La Commissione procede in seduta segreta).
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
Signor Marocchino, lei conosce questo Bashir?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, è un personaggio facoltoso, adesso, a Mogadiscio. Sembrerebbe essere anche uno dei consiglieri della corte islamica di Mogadiscio. Lui tiene veramente tutte le sbarre fino al porto di Mogadiscio: è un grosso personaggio.
PRESIDENTE. Insomma, lei mise questa persona a disposizione dell'avvocato Menicacci. Sa che aiuto abbia potuto dare nella ricerca delle prove che si stavano cercando?
GIANCARLO MAROCCHINO. Lui mise a disposizione le macchine, poi so che l'avvocato ha anche scattato delle fotografie con questi uomini armati, è andato sul posto. Sono però tutti elementi che ho appreso dopo, dall'avvocato. Si è recato anche sul posto dove è stata uccisa Ilaria. Mi sembra che abbia anche parlato con un tizio che ha una bottega proprio dove c'è stato l'incidente di Ilaria (un negozietto dove si vendeva avorio e altro antiquariato).
Però, lo ribadisco, in quel periodo io lavoravo e non seguivo direttamente queste vicende.
PRESIDENTE. Conosce Mohamud Mao?
GIANCARLO MAROCCHINO. È uno che lavora per i vostri servizi di sicurezza.
PRESIDENTE. Anche attualmente?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non saprei.
PRESIDENTE. Noi ci riferiamo ad un'altra persona che forse ha lo stesso nome ma che era il portiere dell'hotel Hamana.
GIANCARLO MAROCCHINO. Il portiere dell'hotel Hamana non è quel vecchio, che è venuto qui in Italia?
PRESIDENTE. Può darsi che sia lui: lei lo conosce?
GIANCARLO MAROCCHINO. Si, certamente; quando me lo avete chiesto l'ho anche fatto venire su.
PRESIDENTE. Sa se abbia parlato con l'avvocato Menicacci e che cosa si siano detti quando quest'ultimo venne in Somalia, a Mogadiscio?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non saprei. So però che a quei tempi c'era anche il colonnello Awes, che era ancora in vita quando Menicacci venne in Somalia. Non so se l'avvocato abbia parlato con Awes, con il guardiano o altri. Quel che so è che io ho fatto venire su quel guardiano quando me lo avete chiesto.
PRESIDENTE. L'avvocato Menicacci non le ha mai detto che cosa ha saputo da questi?
GIANCARLO MAROCCHINO. Io ho soltanto dato delle indicazioni e delle informazioni ma poi non sono rimasto lì a seguire gli sviluppi della vicenda: dovevo lavorare.
PRESIDENTE. Ha mai sentito nominare un certo Mao Roble? Abbiamo anche delle foto (Mostra alcune fotografie).
GIANCARLO MAROCCHINO. Questo è quel portinaio che è venuto su. Quest'altro invece è Bashir, ossia il personaggio, il numero uno di cui le ho detto. È lui che ha fornito gli uomini armati.
PRESIDENTE. Questo lo conosce?
GIANCARLO MAROCCHINO. Credo che sia una persona che ha una bottega, ma non sono sicuro.
PRESIDENTE. Allora, si dà atto che, mostrata al teste la foto a pagina 9 del documento n. 272/3, questi riconosce Mao nella persona che indossa gli occhiali, mentre nella persona che gli è vicina a sinistra identifica il Bashir del quale ha parlato fino a questo momento. Nella foto successiva, riconosce in Bashir la prima persona a destra.
Si dà atto, inoltre, che il teste dichiara, con riferimento alla persona seduta e ritratta nella foto a pagina 13 dello stesso documento n. 272/3, di riconoscere la persona, pur non sapendone indicare il nome; dichiara di conoscerlo come gestore di un piccolo negozio dove gli italiani andavano a comprare avorio e altri oggetti.
Infine, nella foto a pagina 16 riconosce ancora una volta Bashir nella persona in corrispondenza della lettera «C», che indossa una camicia bianca con sotto una maglietta di colore giallo/arancione.
Per quanto riguarda un certo Nurfido Mohamed, che ora le mostro (Mostra una fotografia), lei sa se questa persona avesse un figlio? Sa se per caso il figlio di questa persona facesse parte del commando che uccise i due giornalisti italiani?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non lo so.
PRESIDENTE. Dunque, si dà atto che il teste riconosce comunque Nurfido Mohamed come la persona in foto e dichiara che si tratta della persona che gestiva il negozio di cui si è detto.
Conosce quest'altra persona, che sarebbe Mudin Roble?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non la conosco.
PRESIDENTE. L'ufficio dà atto che, mostrate al teste le foto 17 e 16 nelle quali, rispettivamente, compare alla destra
e alla lettera «E» la persona indicata dall'avvocato Menicacci come Mudin Roble, questi dichiara di non conoscerla.
GIANCARLO MAROCCHINO. Esatto, non è della mia gente.
PRESIDENTE. L'avvocato Menicacci le ha mai detto di avere parlato, oltre che con Mohamed Mao, anche con queste altre persone che le ho nominato?
GIANCARLO MAROCCHINO. Mi ha detto che si era recato sul posto e che aveva parlato con queste persone.
PRESIDENTE. Lei ha mai parlato con queste persone per sapere qualcosa in più?
GIANCARLO MAROCCHINO. No. Mi ha però detto anche un'altra cosa: ovvero, mentre erano lì a parlare è passata la famosa Land Rover con cui avevano ucciso Ilaria Alpi. Questa Land Rover, infatti, non è stata mai nascosta ma ha sempre girato per la città.
PRESIDENTE. Come è andata questa storia della trasferta di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin dall'aeroporto all'hotel Sahafi? Non riusciamo a venirne a capo! Lei riesce a darci delle indicazioni perché si possa ricostruire meglio questo frammento mancante?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sicuramente, al cento per cento - lo sanno tutti - quando arrivavano gli aerei dell'Unosom, ad aspettarli c'erano sempre delle camionette di militari: su questo non ci si può sbagliare. Le camionette dei militari prendevano i passeggeri e li portavano fino al varco.
Quando è arrivata Ilaria, di certo, non sono più usciti ma prima li portavano addirittura fino all'ambasciata italiana: è sicuro. Un giornalista non arrivava e veniva abbandonato in mezzo alla pista: c'era proprio un servizio di militari addetti al trasporto fino all'ambasciata o sin dove egli doveva andare. Nel momento in cui è arrivato Ilaria, però, già non usciva più nessuno dall'aeroporto.
PRESIDENTE. L'avvocato Menicacci ha detto alla corte d'assise - e confermato in questa sede - quanto segue: «Marocchino mi ha detto che Ilaria partì dall'aeroporto. Un inciso, Marocchino mi ha detto anche che lui è certo che dall'aeroporto Ilaria Alpi e Hrovatin sono partiti con una squadra di una decina di persone armate. Lui questo fatto lo sa perché uno degli armati, che faceva parte di questa scorta di Ilaria fino all'hotel Sahafi, venne da lui successivamente esibendo una carta in cui doveva avere un credito di 400 dollari e gli disse, costui, che aveva fatto parte della squadra degli armati che aveva atteso Ilaria all'aeroporto per accompagnarla fino all'hotel Sahafi».
GIANCARLO MAROCCHINO. Adesso ricordo questo particolare. I militari in quel momento non uscivano dall'aeroporto e quindi per andare all'albergo Sahafi Ilaria ha preso una macchina, con questi militari che lei ha ricordato. Però, io non so se quella fosse la medesima macchina. So solo che questo tizio era venuto dopo, dicendo che avanzava dei soldi.
Io però non sono stato lì a seguire la vicenda. So che si è messo d'accordo con Porzio e Gabriella Simoni.
PRESIDENTE. È vero o non è vero che è venuta questa persona da lei per dirle che avanzava 400 dollari da Ilaria Alpi?
PRESIDENTE. Chi era questa persona?
GIANCARLO MAROCCHINO. Era uno di quelli che affittano le macchine, uno di quelli che fanno le scorte.
PRESIDENTE. Si ricorda chi fosse?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, comunque era un haber-ghedir, uno che faceva la scorta dall'aeroporto all'albergo Sahafi.
PRESIDENTE. Quindi, si scendeva dall'aereo, si superava la parte militare e di lì cominciava la scorta verso l'hotel Sahafi?
GIANCARLO MAROCCHINO. Si, dal piazzale.
PRESIDENTE. Una scorta privata?
PRESIDENTE. Mentre, fino a quel punto erano i militari ad occuparsene?
GIANCARLO MAROCCHINO. In quel periodo, era così: i militari non uscivano fuori dall'aeroporto.
PRESIDENTE. Quindi, dobbiamo ipotizzare che i ragazzi siano usciti dall'aereo e abbiano percorso la strada coperti dai militari. Una volta percorsa questa strada, è cominciato il servizio di scorta fino all'hotel Sahafi con i privati. Questa persona faceva parte della scorta privata; ma perché, poi, venne da lei?
GIANCARLO MAROCCHINO. Perché aveva saputo che i giornalisti avevano pagato o pagavano anche la scorta di Ilaria: aveva i soldi. Dunque, lui venne per chiedere 400 dollari.
GIANCARLO MAROCCHINO. Infatti, io non l'ho neppure ascoltato (l'ho anche mandato a quel paese). So che questa persona parlò poi con Porzio e Gabriella Simoni perché furono loro che pagarono per la macchina.
PRESIDENTE. Significa che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin non avevano pagato ciò che dovevano?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non si capiva bene: questo personaggio pretendeva 400 dollari e io l'ho mandato a quel paese.
PRESIDENTE. Mi parere che 400 dollari per andare dall'aeroporto all'hotel Sahafi siano troppi. Il servizio costava così tanto?
GIANCARLO MAROCCHINO. In quei momenti, trovare una scorta del genere non era una cosa facile.
PRESIDENTE. Strano! Ilaria Alpi non aveva i soldi per la sua scorta.
GIANCARLO MAROCCHINO. Ma scusi, se Porzio e Gabriella Simoni sono andati a prendere i soldi al suo albergo! Ha pagato la scorta, la macchina, tutto quanto. Ha pure messo la rimanenza dei soldi dentro una busta, con tutta la sua roba, per darla al comando.
PRESIDENTE. Scusi, ma come è possibile, se avevano due scarti di scorta, un autista e uno che stava sopra la Toyota?
GIANCARLO MAROCCHINO. È lei che ha deciso così!
PRESIDENTE. Va bene, ma come si giustifica che spenda 400 dollari per andare dall'aeroporto all'hotel Sahafi? Mi sembra strano.
GIANCARLO MAROCCHINO. Io mi ricordo così.
PRESIDENTE. Comunque, lei non conosceva questa persona?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, l'ho anche mandata a quel paese.
PRESIDENTE. Prima di formulare la prossima domanda, propongo di procedere in seduta segreta.
Non essendovi obiezioni, dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.
(La Commissione procede in seduta segreta).
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
Torniamo sulla questione, che a me non è molto chiara, inerente alla posizione di Garelli e ai suoi rapporti con Ezio Scaglione. Mi spiega meglio la situazione?
GIANCARLO MAROCCHINO. Garelli l'ho conosciuto a Milano. Si è presentato vestito da commodoro e diceva di essere il numero uno del Sahara occidentale, ovvero che comandava il Sahara occidentale. Dato che noi a quei tempi cercavamo viveri e generi alimentari per i somali, perché in Somalia si moriva di fame, disse che poteva offrirci dei prezzi speciali per riso, farina, zucchero e altri. Disse che poteva arrivare fino al 50 per cento di sconto sulla merce perché, a suo dire, questi generi alimentari erano un surplus di cibo già inviato nel Sahara occidentale, che quindi laggiù non serviva più.
Gli chiesi come mai non vendesse tale merce in Italia ma rispose che non era possibile farlo: quella merce si poteva vendere solo ai paesi del terzo mondo. Gli dissi di venire a Nairobi e poi a Mogadiscio per incontrare i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie, al fine di perfezionare i relativi contratti. Gli dissi di portare laggiù la merce e che poteva essere un buon business. Avremmo diviso i guadagni.
Lui venne a Nairobi, sempre vestito da ammiraglio: sembrava un presidente della Repubblica. A Nairobi parlò con vari personaggi appartenenti alle organizzazioni umanitarie, però, posto che la sede originaria del SOS Kinderdorf era a Mogadiscio, si doveva recare laggiù.
Venne a Mogadiscio e si fermò quattro o cinque giorni. Lo portai presso le organizzazioni umanitarie presenti, come Medici senza frontiere e simili. Cominciò allora a tirare fuori una documentazione da non credere, con dettagli sui tipi di riso, da quello più pulito a quello più sporco, grosso, fine; insomma, sembrava veramente che fosse tutto vero. Allora, lui ha cominciato a tirare fuori questa storia. Ha cominciato a parlare di un 20 per cento, poi ha cambiato opinione e ha chiesto un anticipo per il trasporto dagli stabilimenti al porto; il resto sarebbe stato pagato una volta arrivata a destinazione la merce.
PRESIDENTE. E lì ha capito che si trattava una truffa. Che altro tipo di rapporti ha avuto con Garelli?
GIANCARLO MAROCCHINO. Da quando Garelli è partito da Mogadiscio non l'ho più visto né sentito.
PRESIDENTE. Come entra Scaglione in questa vicenda? Scaglione è il figlio di un imprenditore di Asti o di Alessandria, se non sbaglio.
GIANCARLO MAROCCHINO. Di Alessandria.
PRESIDENTE. Figlio di un buon imprenditore di Alessandria (al contrario del figlio, che forse come imprenditore era tutto meno che buono. Persona bravissima, ma senza il fiuto degli affari).
GIANCARLO MAROCCHINO. Proprio zero!
PRESIDENTE. Scaglione come entra in questa storia?
GIANCARLO MAROCCHINO. Facciamo un passo indietro. Quando ero a Milano, oltre alla merce alimentare, Garelli mi aveva offerto delle macchine (delle Toyota e anche delle Mercedes), perché laggiù servivano. Questo ragazzo - Scaglione - cercava un Mercedes, allora gli ho riferito che c'era questo tipo che offriva macchine al 50 per cento. Così si sono messi d'accordo...
GIANCARLO MAROCCHINO. Scaglione e Garelli. Si sono conosciuti e si sono messi d'accordo per questa macchina. In quei giorni, partendo per la Somalia - mi sembra di aver fatto anche
un verbale ai carabinieri di Alessandria - , ho consigliato a questo ragazzo di prestare attenzione (non sono nato proprio ieri), perché avevo un certo timore. L'ho consigliato di controllare bene questa macchina e di accertarsi che non fosse rubata. Lui poi mi ha riferito - non so se sia vero o meno - di aver fatto controllare l'automobile ad Alessandria, che non risultava rubata e pertanto l'ha acquistata. Poi si vede che sono diventati amici e hanno fatto altri accordi; infatti, quando Garelli è venuto in Kenya e poi in Somalia, è venuto anche Ezio Scaglione. Ezio scaglione già da molto tempo prima, come avevo detto, nel 1986...
PRESIDENTE. Avevate già fatto affari con il padre o con il figlio?
GIANCARLO MAROCCHINO. Il padre mi ha mandato giù questi ricambi...
PRESIDENTE. Ricambi di che tipo?
GIANCARLO MAROCCHINO. In Somalia ci sono tutte FIAT 682; erano ricambi di auto, che qui in Italia non servono più e vengono smaltiti.
PRESIDENTE. Quindi, lei già aveva un rapporto pregresso con il padre.
GIANCARLO MAROCCHINO. Il padre cercava di inserire il figlio. Lui è venuto giù con Garelli. Questo ragazzo aveva paura che poi, se si fosse fatto l'affare...
PRESIDENTE. Quindi, avete fatto un accordo a tre, lei, Scaglione e Garelli?
PRESIDENTE. Cosa prevedeva questo accordo? E su quale materia?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sempre alimentare. Dovevamo dividere per tre.
PRESIDENTE. Ha avuto altri rapporti con Scaglione?
GIANCARLO MAROCCHINO. Con Scaglione non è finita lì. Garelli non l'ho più visto.
PRESIDENTE. Né sa se si sia visto con Scaglione. Lei invece rimane in rapporti con Scaglione...
GIANCARLO MAROCCHINO. Io sono rimasto fisso con...
PRESIDENTE. Con la Italricambi, tanto per intenderci...
GIANCARLO MAROCCHINO. No, per quanto riguarda i ricambi, parliamo del 1987...
PRESIDENTE. Che tipo di rapporti avete avuto con Scaglione?
GIANCARLO MAROCCHINO. Commerciali. Il padre una volta mi ha predisposto un progetto in materia alimentare (galline, mangimi, allevamento), poi un'altra volta nel campo dei ricambi e del lavaggio macchine.
PRESIDENTE. Insomma, tante cose. Comunque, rapporti trilaterali - lei, Scaglione e Garelli - non ci sono stati più?
PRESIDENTE. La storia con Garelli finisce lì?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, non ho più sentito parlare di Garelli.
PRESIDENTE. Si ricorda dell'Operazione Urano? Sa di cosa si tratta?
GIANCARLO MAROCCHINO. Aveva una valigia, con dentro tutti questi fogli intestati; ha preso uno di questi fogli e abbiamo sottoscritto questo accordo.
PRESIDENTE. Chi ha firmato quel foglio?
GIANCARLO MAROCCHINO. Io, Garelli e Scaglione.
PRESIDENTE. E che fine ha fatto?
GIANCARLO MAROCCHINO. Io non ce l'ho. Si vede che uno se l'è tenuto Garelli e l'altro se l'è messo nel quadretto Scaglione.
PRESIDENTE. Quindi, la storia è finita così.
PRESIDENTE. Parliamo in un modo più approfondito del traffico dei rifiuti, visto che lei dice che il Progetto Urano - non ho difficoltà a crederlo - è fallito, così come tutte le cose che ha fatto Garelli. È inutile che ci prendiamo in giro, a lei vengono attribuite molte «iniziative» nella materia del traffico dei rifiuti. Partirei dai suoi rapporti con Roghi. Chi è Roghi?
GIANCARLO MAROCCHINO. Un imprenditore che mi ha mandato giù una nave di farina e, poi, un contenitore....
GIANCARLO MAROCCHINO. Non ricordo...
GIANCARLO MAROCCHINO. No, vicino le terme... non ricordo.
PRESIDENTE. Ci furono dei rapporti tra lei, Roghi e Scaglione?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non credo, Scaglione non lo conosceva neanche. Io ero in rapporti con Nesi, uno spedizioniere di Livorno, che ha mandato giù questo contenitore. Era morto il padre di un certo Cipollini, un ragazzo amico di Roghi, che faceva le pizze e non voleva andare a lavorare nella bottega di ferramenta lasciata dal padre; allora, mi ha proposto di inviare tutta questa roba a Mogadiscio per venderla e io ho acconsentito. È stato così riempito un contenitore con gli articoli di questa bottega di ferramenta (tra cui anche vernice) e Nesi si è occupato del trasferimento da Livorno a Mogadiscio, il Meet Project.
PRESIDENTE. Meet project Kenya?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, era di Livorno...
PRESIDENTE. Lei sa che a proposito di questi container...
GIANCARLO MAROCCHINO. Un container!
PRESIDENTE. Scaglione, però, ha reso affermazioni piuttosto diverse dalle sue a proposito dei container.
GIANCARLO MAROCCHINO. Scaglione di questa roba qua non sa nulla, non c'entra niente.
PRESIDENTE. Roghi avrebbe scattato delle fotografie del porto di El-Maan - il porto che lei stava costruendo - dove si vede la presenza di grandi container, che, secondo Scaglione, contenevano rifiuti tossici.
GIANCARLO MAROCCHINO. No, ascolti bene, signor presidente. La Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti ha queste fotografie scattate da Roghi; se lei osserva queste fotografie, può vedere che nei contenitori - sono ancora lì perché nessuno se li è mangiati - ci sono dei blocchi di pietra! Si vedono bene, perché il mare ha mangiato tutta la terra ed escono fuori questi contenitori con dentro le pietre.
PRESIDENTE. Lei è amico di Scaglione?
PRESIDENTE. Non avete avuto motivi di disaccordo commerciale o di altro genere?
PRESIDENTE. Allora, com'è possibile che Scaglione dica una cosa di questo genere?
GIANCARLO MAROCCHINO. Perché è matto. Che lo provi!
PRESIDENTE. Non parli di prova, perché quando uno chiede la prova...
GIANCARLO MAROCCHINO. Presidente, lui sostiene che dentro ci sono rifiuti tossici! Ma stiamo scherzando?
PRESIDENTE. Scaglione conosceva il porto di El-Maan? C'era stato ad El-Maan?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, non è mai venuto.
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, Roghi sì. Scaglione non è mai venuto al porto di El-Maan.
PRESIDENTE. Che rapporto c'era tra Roghi e Scaglione?
GIANCARLO MAROCCHINO. Nessuno.
GIANCARLO MAROCCHINO. Non credo.
PRESIDENTE. Allora, come sono arrivate a Scaglione queste fotografie, sulla base delle quali lo stesso Scaglione potrà fare queste affermazioni?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non lo so, lo deve chiedere a Scaglione.
PRESIDENTE. Scaglione aveva rapporti con Nesi?
GIANCARLO MAROCCHINO. Mi faccia pensare...non credo.
PRESIDENTE. Quindi, questi container che stavano a fare là? Quanti erano? Erano molti?
GIANCARLO MAROCCHINO. La questione è chiara, lampante, non c'è nessun problema. Dovevo scaricare delle navi del World Food Programme, e mi avevano detto: «Se non scarichi le navi ad almeno 50 chilometri dal porto di Mogadiscio, noi non mandiamo la merce». Allora, ho pensato di costruire un piccolo porticciolo.
PRESIDENTE. Chi glielo ha fatto costruire questo porto?
GIANCARLO MAROCCHINO. L'ho costruito io, con i miei soldi.
PRESIDENTE. A cosa serviva il porto?
GIANCARLO MAROCCHINO. Per scaricare le navi del World Food programme. L'ho fatto su un pezzo di roccia.
CARMEN MOTTA. Scusi, signor marocchino, ma lei non ha dovuto chiedere l'autorizzazione a nessuno per farlo?
GIANCARLO MAROCCHINO. In Somalia? Ma quale autorizzazione! Ho fatto questo porto per dare da mangiare alla gente!
CARMEN MOTTA. Lei sta dicendo che in Somalia si poteva fare di tutto?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, ma anche adesso, è sufficiente che lei sia armata...
PRESIDENTE. Esattamente come a Porto Cervo fino a dieci anni fa. Si costruiva sugli scogli...
GIANCARLO MAROCCHINO. A Porto Cervo avevo un pontone, una chiatta di lavoro...
PRESIDENTE. Sì, ma adesso lasciamo stare. Dove ha preso i materiali per costruire?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non ho fatto un porto nell'acqua, ma sulla roccia. Poiché sbarcavo le navi e in quel punto l'alta marea raggiungeva un livello di tre metri e mezzo, ho preso dei contenitori e, dopo aver fatto uno scatto, ho tagliato il tetto; poi, ho messo le pietre dentro, così, quando c'era la bassa marea, facevo dei blocchi.
PRESIDENTE. Quindi, i container avevano questa funzione...
ELETTRA DEIANA. Vorrei fare una domanda, signor presidente.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Deiana.
ELETTRA DEIANA. Signor Marocchino, da dove aveva preso i container?
GIANCARLO MAROCCHINO. Dal porto.
ELETTRA DEIANA. Chi li aveva lasciati lì?
GIANCARLO MAROCCHINO. Erano contenitori abbandonati, dopo la guerra. Ne avevo anch'io, nei miei magazzini. Altri li ho comprati.
ELETTRA DEIANA. Esclude che fossero contenitori con all'interno sostanze chimiche - che potevano essere rilasciate nel mare - , sopra le quali lei metteva i pietroni? Non voglio dire che lei avesse delle responsabilità al riguardo...
GIANCARLO MAROCCHINO. Ma avrebbero buttato questi contenitori in alto mare, non a riva. Ci sono due mila somali che possono dimostrarlo: ho tagliato il tetto, ho messo le pietre e ho costruito una specie di cubo. Quando andava via la bassa marea, andavo avanti con un altro pezzo. Il porticciolo non è stato fatto nell'acqua alta, ma sulla roccia, perché quando andava via il mare da una parte, dall'altra parte c'era l'acqua (quando veniva l'alta marea, sbarcavamo le barche). È ancora lì, possiamo andare a vederlo! La Commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti ha le fotografie, dalle quali lei può osservare che nei contenitori ci sono questi blocchi di pietra.
ELETTRA DEIANA. Le ho fatto un'altra domanda. I contenitori, ancor prima che lei facesse questa operazione, avrebbero potuto già contenere dei rifiuti, successivamente liberatisi nell'acqua. Poiché, come lei dice, lì non vi era alcuna autorità che presiedesse alla buona tutela dell'acqua, potrebbe essere uscito tutto questo liquame. Non dico che sia stato lei a portarli; li avrà trovati e li ha usati.
GIANCARLO MAROCCHINO. Onorevole, mi scusi...
ELETTRA DEIANA. La devo scusare troppo, signor Marocchino.
GIANCARLO MAROCCHINO. Se avessero deciso di gettare questi contenitori, lo avrebbero fatto almeno a 100 miglia di distanza dal porto! Il livello di profondità in quel punto arriva a 70-80 metri! E lì sarebbero andati a fondo!
ELETTRA DEIANA. Come fa a sapere con precisione queste cose?
GIANCARLO MAROCCHINO. In quel punto ci sono due barriere coralline. Le navi arrivano alla prima barriera corallina, dove si può scaricare (lì non c'è il mare cattivo); poi ci sono 180 metri per arrivare alla seconda barriera, dopo la quale comincia il mare aperto. Le navi non avrebbero potuto buttare i contenitori in quel punto. Se avessero deciso di buttarli via, lo avrebbero fatto al largo (ad almeno 40-50-60 miglia di distanza). Ma lì
l'acqua è alta 20-30-40-100 metri (dipende): se i contenitori fossero stati pieni di rifiuti tossici, non avrebbero galleggiato, sarebbero andati a fondo.
ROSY BINDI. Allora in quei fusti cosa c'era, secondo lei? Quelli che lei ha preso vuoti e ha riempito di pietre, cosa contenevano?
GIANCARLO MAROCCHINO. Erano contenitori portati dalle compagnie di navigazione ai tempi di Siad Barre. Per esempio, la linea Messina ha abbandonato 400 contenitori e una parte di questi -150/200 - è stata presa dagli americani. Infatti, è in corso una causa a Bruxelles tra la linea Messina e i contingenti militari americani, proprio perché hanno portato via tutti questi contenitori.
ROSY BINDI. Ma cosa contenevano?
GIANCARLO MAROCCHINO. Aiuti della cooperazione italiana, roba da mangiare portata dalle navi (la Jolly Amaranto); anche la Croce rossa internazionale mandava gli aiuti con questi contenitori. Questi contenitori sono rimasti nel porto e i contingenti italiani e americani li hanno utilizzati uno sopra l'altro per creare uno sbarramento (erano 700-800).
PRESIDENTE. Ma quanto erano grandi questi contenitori?
GIANCARLO MAROCCHINO. Venti piedi. Sono lunghi sei metri, larghi due metri e mezzo e alti due metri e mezzo. Erano container abbandonati. Una volta andati via, chi prendeva questi contenitori poi me li vendeva (a 100 dollari, 50 dollari).
ROSY BINDI. Lei ha riempito di pietre quelli?
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, quelli. Ho tagliato il tetto (ci sono anche contenitori che non hanno il tetto e si chiamano open top) e li ho riempiti. Così ho costruito questo piccolo porticciolo.
RAFFAELLO DE BRASI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Prego, onorevole De Brasi.
RAFFAELLO DE BRASI. Presidente, come procediamo? Stiamo focalizzando la questione dei rifiuti: quindi, si possono formulare domande su questa materia? Poi magari concludiamo domani.
ELETTRA DEIANA. Sì, presidente, facciamo così.
PRESIDENTE. Onorevole Deiana, vediamo dove arriviamo.
ELETTRA DEIANA. Vorremmo andare a cena e siamo stanchi!
PRESIDENTE. Anche io sono stanco, non soltanto voi! Le cose si possono dire e fare in un modo o in un altro; questo è il problema, onorevole Deiana. Abbiamo fatto un sacrificio per concludere questa settimana; ci sono anche altre cose da fare; le settimane corrono, abbiamo una questione dopo l'altra da affrontare; mettiamoci l'anima in pace, perché questa settimana dobbiamo finire. Un po' di sacrifici e poi staremo tranquilli. Andremo a fare una trasferta e poi staremo a posto (Commenti del deputato Deiana). Io sarò il primo a mancare nei modi, onorevole Deiana, ma non sono il solo!
La parola all'onorevole De Brasi.
RAFFAELLO DE BRASI. Grazie, presidente.
Signor Marocchino, lei è sempre stato individuato come una persona importante per quanto riguarda gli aspetti della logistica e la questione dei trasporti; lei faceva giustamente i suo interessi di imprenditore, come d'altra parte farebbe qualsiasi altro imprenditore, ma spesso, proprio in rapporto al caso Alpi, hanno individuato nella sua persona un punto di riferimento per i traffici illegali dei rifiuti tossici e nocivi.
Lei ha sempre negato queste accuse (vi sono state anche dei processi), ma le chiedo: a suo parere e a sua conoscenza, vi erano traffici, rapporti economici e commerciali riguardanti i rifiuti con la Somalia?
GIANCARLO MAROCCHINO. Prima o dopo la guerra?
RAFFAELLO DE BRASI. La domanda va intesa in senso generale; poiché si è sempre detto che la Somalia era una di queste piattaforme, le chiedo se, in generale, fosse veramente così e se lei può definire i vari periodi.
GIANCARLO MAROCCHINO. Onorevole, queste sono questioni riferite dai giornalisti, che hanno fatto i loro scoop, però nessuno ha mai provato l'arrivo di un fusto di rifiuti tossici.
Vi porto a conoscenza di una questione. Da quando sono andati via gli americani, il porto di Mogadiscio non ha più potuto lavorare; ancora oggi il porto di Mogadiscio non lavora. Volete sapere come si scarica la roba al porto di El-Maan? In questo modo: arrivano le navi e scaricano la merce con dei bighi su alcune chiatte; una volta giunta la bassa marea, il pontone si appoggia sulla sabbia e gli uomini scaricano a spalla.
Da quando gli americani sono andati via, al porto di El-Maan non è mai più potuta arrivare una nave porta-container, perché se una nave di questo genere prende un contenitore e lo mette sopra uno di questi pontoni non c'è più nessuna gru che possa scaricarlo. Anche quando va via il mare, rimane sempre tanta acqua e la sabbia rimane morbida; nessuno può più andare vicino al pontone; così si usa una sorta di scalandrone, di scivolo, e questi somali scaricano tutto quanto. Poiché l'olio galleggia - vengono scaricati anche fusti d'olio -, vengono usate delle reti che trascinano a terra questi fusti.
RAFFAELLO DE BRASI. Suppongo che, se ci fosse stato un traffico, non lo si sarebbe fatto con le modalità che lei sta dicendo.
GIANCARLO MAROCCHINO. Se ci sono stati traffici, li hanno fatti in alto mare, perché è un controsenso portare la merce a terra. La merce a terra la vedono tutti! E nel porto di El-Maan non c'è soltanto un clan, ce ne sono dieci, sono sempre in concorrenza e litigano tra di loro. Allora, se uno di questi clan porta dei rifiuti tossici...
RAFFAELLO DE BRASI. La storia del mondo ci spiega che il traffico dei rifiuti non avviene soltanto via mare; esiste anche un modo per sotterrare questi fusti. Lei non può assolutamente escluderlo.
GIANCARLO MAROCCHINO. In Somalia puoi arrivarci o con gli aerei...
RAFFAELLO DE BRASI. Intanto, in Somalia non esiste soltanto Mogadiscio.
GIANCARLO MAROCCHINO. Per quanto riguarda la zona nella quale siamo noi, posso mettere la mano sul fuoco.
RAFFAELLO DE BRASI. Lei era a conoscenza - per le relazioni che ha, per il lavoro logistico legato ai trasporti che effettuava, e non solo a Mogadiscio, da quel che mi risulta - di questi traffici? È chiaro che in una realtà nella quale non ci sono regole, non c'è amministrazione, non c'è un potere giudiziario, non c'è nulla, si può anche pensare che questa sia una attività commerciale come un'altra.
GIANCARLO MAROCCHINO. Onorevole, ai tempi di Siad Barrre, ai tempi del Governo, lavoravo per il Fondo aiuti italiani: sbarcavo le navi al porto di Berbera e portavo la merce a Garoe; invece, le altre società sbarcavano in mezzo al mare (erano due gruppi di società). Si trattava di una strada lunga 550 chilometri (la strada da Garoe a Bosaso): lavoravo nel primo tratto, che arrivava a Garoe (250 chilometri); sbarcavo le navi a Berbera e, percorrendo 550 chilometri con quegli autotreni, raggiungevo il campo base di Garoe. Portavo contenitori per le imprese, fusti di catrame, tutta la merce; i miei mezzi
partivano dal porto di Berbera e arrivavano al campo base. Lì scaricavamo la merce, poi dal campo base, lungo la strada, era l'impresa che si occupava dei trasporti.
A quei tempi - e posso dimostrarlo - avevo 30 uomini armati, forniti dal Governo di Siad Barre, che mi facevano la scorta da Berbera a Garoe, perché c'erano problemi di sicurezza. Con la scorta armata, partivo da Berbera ed arrivavo ad un grosso piazzale di Garoe dove consegnavo le bollette a queste imprese italiane (la Lodigiani, la Federici e la Montedil); da quel momento in poi erano loro che costruivano la strada e facevano quel che dovevano fare. I contenitori erano sigillati, arrivavano piombiati al porto.
RAFFAELLO DE BRASI. Allora, per quale ragione, negli atti a nostra disposizione - le citerò anche alcuni casi specifici, se il presidente me lo consente (vedremo se procedere in seduta segreta o meno) - , risulta che ci sia un suo interesse e anche una disponibilità ad un rapporto commerciale sul tema dei rifiuti?
Questo, ripeto, non significa che lei abbia fatto qualcosa, ma, come un qualsiasi imprenditore, quando le offrono qualcosa, farà una valutazione economica. Quindi, non vorrei che lei, per difendersi da questa accusa, che ritiene sbagliata, perfino persecutoria, in tutti questi anni, alla fine sia venuto a negare anche una evidenza che appare dai nostri atti, che se vuole adesso le cito.
GIANCARLO MAROCCHINO. Se mi parla di evidenza, me lo dica pure.
RAFFAELLO DE BRASI. Presidente, possiamo proseguire in seduta segreta?
PRESIDENTE. Si tratta delle intercettazioni? Quali?
RAFFAELLO DE BRASI. Da quella di Roghi a quella della Commissione.
Signor Marocchino, dalle intercettazioni appare chiaramente...
GIANCARLO MAROCCHINO. In queste intercettazioni, il signor procuratore ha tagliato dove ha voluto, perché noi stiamo parlando...
RAFFAELLO DE BRASI. Stiamo parlando di sue parole. In questi intercettazioni, dalle sue parole, non appare che lei abbia fatto dei traffici; sto solo dicendo che lei, per negare di aver fatto questi traffici - accusa che lei sostiene ingiusta e sbagliata -, alla fine nega persino le sue parole, dalle quali si evidenzia una sua disponibilità ad un commercio che potrebbe anche riguardare i rifiuti. Se lei nega le sue parole, possiamo anche leggerle.
GIANCARLO MAROCCHINO. Non nego le parole da me pronunciate, sto solo dicendo una cosa. Nel processo di Asti, nel quale è stata disposta l'archiviazione, ci sono delle intercettazioni dalle quali risulta che io magari ero disponibile a portare avanti degli affari, perché sono un uomo di commercio...
RAFFAELLO DE BRASI. È quello che sto dicendo io.
GIANCARLO MAROCCHINO. Si sottolinea una mia frase nella quale dico di mandare 5 mila fusti, ma il procuratore non ha messo la conversazione del giorno prima, quando si parla di olio bruciato. No, quella non l'ha riportata! Ha messo soltanto in evidenza i 5 mila fusti! Non mi sta bene questa cosa! Il procuratore deve tirare fuori anche la storia del giorno prima, quando ho parlato di olio bruciato e di questi fusti! Se poi vogliamo girarci le cose come vogliamo...
RAFFAELLO DE BRASI. Non le sto dicendo che lei stava parlando di rifiuti radioattivi, di olio bruciato, di rifiuti chimici o ospedalieri; so semplicemente che lei, in diverse intercettazioni, parla di rifiuti. L'olio bruciato non è per caso un rifiuto?
GIANCARLO MAROCCHINO. Per la Somalia no.
RAFFAELLO DE BRASI. Cosa c'entra la Somalia!
GIANCARLO MAROCCHINO. Io sono in Somalia.
RAFFAELLO DE BRASI. Per la Somalia può anche darsi che i rifiuti ospedalieri non siano rifiuti. In Somalia, secondo lei, c'è la definizione di rifiuto?
GIANCARLO MAROCCHINO. No. Buttano tutta la roba in mezzo alla strada!
RAFFAELLO DE BRASI. In Europa facciamo fatica a definire una casistica sui rifiuti, quindi si può immaginare in quel paese! In Somalia, non esiste una definizione certa di rifiuto e sicuramente non esisterà una casistica di rifiuti che non si possono smaltire, perché la Somalia - lei lo ha detto fino ad ora - non è uno Stato come gli altri (a un certo punto, lo Stato è anche sparito).
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, non esiste.
RAFFAELLO DE BRASI. Quando parliamo di rifiuti, parliamo di diverse identità di rifiuti; non so questi rifiuti esattamente cosa siano; lei infatti ci ha parlato di olio bruciato, che in Somalia - lei ha detto - non è un rifiuto.
GIANCARLO MAROCCHINO. Qui in Italia, quando arriviamo con una macchina a 3 mila/ 5 mila chilometri, andiamo in un distributore Agip e cambiamo l'olio; in Somalia ci sono mezzi che hanno 35 anni e l'olio non si cambia mai, si aggiunge. Tutti questi camion l'olio lo buttano via.
RAFFAELLO DE BRASI. Lei mi sta dicendo che ci sono dei rifiuti che possono addirittura essere utili?
GIANCARLO MAROCCHINO. Qui in Italia sono disposti a pagare per eliminare l'olio bruciato, mentre in Somalia lo comprano a prezzo inferiore (20 dollari per 5 litri invece di 100 dollari). Così c'è un guadagno.
RAFFAELLO DE BRASI. Ci possono essere dei rifiuti che a noi europei non conviene smaltire in un certo modo, perché costa di più.
GIANCARLO MAROCCHINO. Là è diverso. Però, facendo i conti, anche questi 5 mila fusti di cui stavamo parlando, considerando il trasporto per mare, l'autorizzazione e altre cose ...
RAFFAELLO DE BRASI. Infatti, nelle intercettazioni cui mi riferisco non si parla di cose concluse, ma risulta una sua disponibilità di imprenditore...
ELETTRA DEIANA. A sfruttare le convenienze derivanti dalla mancanza di una legge...
PRESIDENTE. Parliamo uno per volta, per cortesia.
ELETTRA DEIANA. C'era una sua disponibilità a sfruttare le occasioni...
PRESIDENTE. Scusate colleghi, se vi sono delle contestazioni da fare, sulla base di documenti che sono agli atti, queste vanno fatte. Mi sembra che l'onorevole De Brasi facesse riferimento alle intercettazioni telefoniche. Contestiamo le intercettazioni telefoniche.
RAFFAELLO DE BRASI. C'è quella di Roghi, c'è quella della Commissione rifiuti, che ci è stata inviata...
PRESIDENTE. Poi c'è Scaglione...
GIANCARLO MAROCCHINO. Stiamo parlando del 1997?
RAFFAELLO DE BRASI. C'è anche qualcosa di più recente.
GIANCARLO MAROCCHINO. Di più recente non credo, perché abbiamo cominciato a parlare di queste cose dal '97, sicuramente non prima. È dal 1997 che l'Unosom a cominciato a pagare per i rifiuti; l'Unosom veniva a Mogadiscio per pagare lo smaltimento dei rifiuti che non venivano smaltiti.
PRESIDENTE. Le intercettazioni sono queste; per quanto riguarda i periodi antecedenti al 1997, qual è la sua risposta?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non abbiamo fatto niente. Non esiste niente.
PRESIDENTE. Intanto, vi è l'intercettazione telefonica che riguarda il colloquio tra Marocchino Giancarlo e Scaglione Ezio. Siamo all'intercettazione del 14 agosto del 1997 e, a parte gli altri aspetti, c'è una parte che è oggetto di contestazione. Ne do lettura: Scaglione: «Ho capito, ho capito. Comunque pensi che quel discorso si possa fare? Perché qui mi chiedono qualcosa e io non so che cosa dirgli». Marocchino: «Ho capito, adesso in questa operazione qua c'è lì c'è le Nazioni Unite, c'è gli Emirati arabi, c'è Egitto ed Etiopia.» Scaglione: «Sì ho capito.» Marocchino: «Tutti d'accordo». Scaglione:« Sì.» Marocchino: «E credo, anche l'Italia credo che sia d'accordo e allora il primo di ottobre praticamente chi viene viene. Se Aidid va bene, se Aidid non va, sarà eliminato. Se Ali Mahdi va bene, se no sarà eliminato. Insomma chi c'è, c'è, in poche parole». Scaglione: «Sì, ho capito, ho capito». Marocchino: «E credo che a lui ci daranno la nomina e quello lì lo sapremo dopo domani. Ci danno la nomina che fino al primo di ottobre, fino a quando ci sia il Governo è lui il presidente». Scaglione: «Sì». Marocchino: «Effettivo proprio». Scaglione: «Sì». Marocchino: «Ecco, aspettiamo, lui ci ritorna in giù. Dovrebbe ritornare in giù i primi della settimana, non so se un martedì o un lunedì o uno di questi giorni qua». Scaglione: «Ho capito. Comunque pensi che quel discorso si possa fare? Perché qui mi chiedono qualcosa e io non so cosa dirgli». Marocchino: «Si io, sì io penso che sai quando lui ci ha il potere... Senti, Ezio una cosa volevo dirti». Scaglione: « Dimmi». Marocchino: «È una operazioncina tanto per cominciare. Una operazione fatta, diciamo, fra di noi. In poche parole non so due o tre mila fusti, robe del genere». Scaglione: «E sì, ma qui se non c'è l'autorizzazione non si muove nulla». Marocchino: «Ho capito». Scaglione: «Io posso farne anche da 20 mila. Il tempo di organizzarla. Il problema è che ho bisogno di autorizzazioni, di qualcuno che firmi, sennò non si sposta neanche una paglia». Marocchino: «Ho capito». Scaglione: « Io non chiederei di meglio, però finché di lì non...». Marocchino: «Altri giri non si può?». Scaglione: «No, guarda, quell'ambito lì, guarda».
PRESIDENTE. Altri giri. Questa è la prima delle contestazioni. Nelle intercettazioni si fa riferimento ad un'operazione da farsi che deve essere praticamente protetta dalle autorità somale - Aidid o Ali Mahdi; comunque, di un'operazione che può essere condivisa con chiunque purché consenta che tutto ciò accada. Marocchino: «Una operazioncina da due, tre mila fusti, robe del genere.» Scaglione rilancia: «Guarda, se mi lasci il tempo possiamo arrivare anche a 20 mila».Di che si tratta?
GIANCARLO MAROCCHINO. Signor presidente, Scaglione aveva in mente di fare un progetto qui in Italia, un progetto per lo smaltimento di rifiuti urbani e si doveva costruire un inceneritore in Somalia. Questo era il progetto che lui aveva in mente di fare, però con l'autorizzazione italiana.
RAFFAELLO DE BRASI. Gli inceneritori non si fanno in mare.
GIANCARLO MAROCCHINO. Gli inceneritori bisogna farli, è logico che non si fanno in mare, non stiamo mica in Somalia!
In quel periodo in Somalia c'erano delle montagne di rifiuti urbani; quindi, veniva giù l'ONU che organizzava e pagava 100 mila dollari a botta per prendere tutti questi rifiuti, pulire la città e levarli; però, questi rifiuti praticamente da destra andavano a sinistra e, dopo un po', ritornavano di nuovo a sinistra e dopo sei mesi c'erano di nuovo i rifiuti. Era un po' il trucco del Balilla: l'ONU veniva giù e faceva queste cose. Allora, noi avevamo pensato...
PRESIDENTE. Scusi, io voglio capire. Lasciamo stare tutte le chiacchiere.
GIANCARLO MAROCCHINO. Signor presidente, erano tutte chiacchiere ...
PRESIDENTE. Lasci stare le chiacchiere, perché quello che avete concretamente fatto lo vedremo dopo. Intanto voglio capire che cosa significa «una operazioncina di 2, 3 mila fusti, robe del genere.»
GIANCARLO MAROCCHINO. Era l'olio bruciato...
PRESIDENTE. Va bene, era olio bruciato. Che cosa erano, invece, i 20 mila fusti di cui parla Scaglione che rilanciando dice: «Se mi lasci il tempo, anche ventimila» ?
GIANCARLO MAROCCHINO. Ma Scaglione...
PRESIDENTE. Guardi che Scaglione stava parlando con lei.
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, va bene, ma lei lo ha capito che ragazzo è Scaglione. È un ragazzo che sta giocando...
GIANCARLO MAROCCHINO. ...che sta giocando nelle favole.
PRESIDENTE. Lasci stare. Scaglione dice: «Io posso farla anche da 20 mila. Il tempo di organizzarla. Il problema è che ho bisogno delle autorizzazioni». Secondo lei, quindi, sia quando si parla dei 2, 3 mila fusti sia quando si parla dei 20 mila fusti si intende olio bruciato.
GIANCARLO MAROCCHINO. Si, e di roba... Lui per mandare giù questa roba doveva avere tutte le autorizzazioni italiane; non le ha avute, non ha potuto averle, quindi non ha mandato giù niente.
PRESIDENTE. Allora, quando si parla delle autorizzazioni non c'è un riferimento ad un accordo interno alla Somalia, ma si intendono autorizzazioni italiane.
GIANCARLO MAROCCHINO. Difatti lui ha fatto degli accertamenti, non so è andato ad Asti, è andato da tutte le parti per fare questi accertamenti e per avere queste autorizzazioni. Non so che cosa ha fatto poi. Le autorizzazioni doveva farle lui in Italia, io ero in Somalia. Io in Somalia ero pulito, era lui che doveva fare le autorizzazioni...
PRESIDENTE. Come giustamente dice l'onorevole De Brasi, non stiamo discutendo del pulito o dello sporco, ma di quale fosse l'oggetto di questi colloqui, poi vedremo che cosa succede. Che ne è stato di questa operazione? I colloqui telefonici risalgono al 14 agosto del 1997; prima di questa data, lei ha concluso altri affari di questo genere con Scaglione?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, non ho mai fatto niente.
PRESIDENTE. Che fine ha fatto questo affare?
GIANCARLO MAROCCHINO. Non è stato fatto, perché lui non ha avuto le autorizzazioni. Non abbiamo fatto niente perché ci sono stati solo dei bla bla ...
PRESIDENTE. Se lui avesse avuto le autorizzazioni che cosa sarebbe successo?
GIANCARLO MAROCCHINO. Se avesse avuto le regolari autorizzazioni italiane, avrebbe mandato giù i fusti.
PRESIDENTE. Lei cosa avrebbe fatto?
GIANCARLO MAROCCHINO. Se avesse avuto le autorizzazioni italiane avrebbe mandato giù i fusti e io li avrei presentati ai padroni, cioè sia ad Aidid sia ad Ali Mahdi, e li avrei scaricati.
PRESIDENTE. In altre occasioni questo è stato fatto?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, non è mai stato fatto niente.
PRESIDENTE. Quindi, questa era la prima occasione. Che accordi aveva preso con Aidid ed Ali Mahdi? Se lei ha fatto da cassa di risonanza di Scaglione e se ha detto di cominciare con un lavoretto di duemila, tremila fusti vuol dire che aveva una affidabilità del sistema.
GIANCARLO MAROCCHINO. I fusti di olio, in Somalia, erano regolari e non c'era nessun problema.
PRESIDENTE. Quindi, è stato fatto altre volte?
GIANCARLO MAROCCHINO. No, non è stato fatto niente. Adesso...
PRESIDENTE. Ma come, se era regolare?
GIANCARLO MAROCCHINO. È regolare nel senso che in Somalia l'olio viene dagli Emirati Arabi, però se l'olio proveniente dagli Emirati Arabi costa - adesso vi dirò anche il prezzo reale - per ipotesi 50 dollari...
GIANCARLO MAROCCHINO. No, l'olio normale.
PRESIDENTE. Qui stiamo parlando di tre mila fusti, quindi, parliamo di rifiuti.
GIANCARLO MAROCCHINO. Signor presidente, aspetti un attimo, glielo sto spiegando. Dato che ho constatato che non conviene portare in Somalia l'olio normale perché è da buttare via, allora gli ho detto di portare giù dell'olio italiano, che è olio ancora buono perché in Italia le macchine...
PRESIDENTE. Mi faccia capire, dato che non capisco la logica. L'olio normale non va bene?
PRESIDENTE. Costa troppo, ho capito. Allora, quale olio si porta ?
GIANCARLO MAROCCHINO. Si porta quello esausto, perché fa lo stesso.
PRESIDENTE. Quindi, non si utilizzava come rifiuto, ma era impiegato per i camion.
GIANCARLO MAROCCHINO. L'olio idraulico costa 200 dollari al fusto, ma cercare un fusto di olio idraulico in Somalia è impossibile; infatti, io ho bruciato diverse frizioni perché nell'olio idraulico viene messo lo scarto di olio di semi. Mettono 150 litri di olio idraulico e 50 litri di olio di semi (intendo lo scarto dell'olio di semi).
PRESIDENTE. Va bene, andiamo avanti. Il primo agosto abbiamo un'altra intercettazione...
GIANCARLO MAROCCHINO. Siamo sempre nel 1997?
PRESIDENTE. Sì, sempre nel 1997. In questa intercettazione Scaglione afferma: «Se di lì ci confermano per iscritto la cosa e qui siamo pronti a partire ci vorrà quei 15-20 giorni da aggiustare la cosa, che si parta, ma insomma la cosa si può fare». Marocchino: «Va bene». Scaglione: «Diglielo
bene, mi raccomando, perché insomma adesso io la tengo buona ancora questi dieci giorni poi devo dirgli o dentro o fuori». Marocchino: «Io dopodomani finisco qua, vado giù e chiarisco tutto». Scaglione: «Poi mi dici qualcosa tu, allora». Marocchino: «Sì, ti chiamo io, è logico. Senti». Scaglione: « Dimmi». Marocchino: «Io devo metterla giù in modo che noi faremmo una specie, come posso dire, chiamiamolo bruciatore, chiamiamolo». Scaglione: «Sì, sì, certo, certo». Marocchino: «È quello lì per dare energia elettrica, per dare energia elettrica alla popolazione». Scaglione: « Sì, raccoglieremo, non è una cosa subito. Con i guadagni partiremo anche per quello». Marocchino: «Capiscimi, no?». Scaglione: «Sì, sì certo. La cosa va impostata in quel modo lì. Chiaro?».
GIANCARLO MAROCCHINO. Parlavamo di questo bruciatore che dovevamo fare, anzi che aveva in mente lui. Tutte cose che aveva in mente, ma tutte cose che...
PRESIDENTE. Ma questo che cosa c'entra? Con l'olio non c'entra niente!
GIANCARLO MAROCCHINO. No, questa è una cosa e quella è un'altra.
PRESIDENTE. Allora, che cos'è questa storia del bruciatore?
GIANCARLO MAROCCHINO. Lui diceva che...
PRESIDENTE. Il bruciatore di che cosa?
GIANCARLO MAROCCHINO. Un bruciatore per i rifiuti urbani, sia quelli in Somalia, sia quelli che lui doveva mandare giù, se ci davano questa autorizzazione.
PRESIDENTE. Premetto che nelle intercettazioni telefoniche del 14 agosto del 1997, che poc'anzi le abbiamo contestato, si parla di olio usato, mentre nelle intercettazioni del primo agosto del 1997 parliamo di un bruciatore, quindi trattiamo di due cose diverse. Il bruciatore si riferisce ai rifiuti. Questo bruciatore dove si sarebbe dovuto realizzare?
GIANCARLO MAROCCHINO. In Somalia.
PRESIDENTE. Se il bruciatore si doveva fare in Somalia, chi avrebbe dovuto costruirlo? Lei?
GIANCARLO MAROCCHINO. No; lui doveva venire giù con le imprese italiane a costruire l'inceneritore e...
PRESIDENTE. Dopo di che, si sarebbero smaltiti i rifiuti.
GIANCARLO MAROCCHINO. Si sarebbero smaltiti rifiuti per fare energia.
PRESIDENTE. Prima dove si smaltivano i rifiuti?
GIANCARLO MAROCCHINO. Che intende per »prima«?
PRESIDENTE. Prima che ci fosse il bruciatore.
GIANCARLO MAROCCHINO. Nelle strade buttano i rifiuti urbani.
PRESIDENTE. Quindi, questo bruciatore sarebbe servito per distruggere sia i rifiuti somali sia quelli provenienti da fuori.
GIANCARLO MAROCCHINO. Sì, una volta realizzato l'inceneritore si sarebbero portati i rifiuti da fuori.
ROSY BINDI. Signor presidente, chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
ROSY BINDI. Presidente, vorremmo concludere perché, al contrario, saremo
costretti ad alzarci e ad andarcene lasciandola sola; infatti, lei può anche continuare, ma ci sono dei ritmi che...
PRESIDENTE. Per me non c'è nessun problema; però, vi ricordo che abbiamo concordato un programma di lavoro e ci siamo messi in missione per poter concludere questa settimana (Commenti del deputato Deiana)... Ma domani abbiamo molte cose da fare, onorevole Deiana, non abbiamo soltanto questo...
ROSY BINDI. No, non c'è nessun altro da sentire, domani.
PRESIDENTE. Come no, abbiamo molte cose da fare! Comunque, fate come volete perché io non vi posso certamente forzare; se non ce la fate, non ce la fate e basta. Qual è il problema? Questo, però, è un punto sul quale bisogna arrivare ad una conclusione; non possiamo rimanere appesi. Tutto ciò, purtroppo, accade perché non sono presenti i deputati dell'altra parte politica, ma la situazione non può andare avanti in questo modo!
ROSY BINDI. Abbia pazienza, signor presidente, si tratta di resistenza fisica. Lei sarà più bravo di noi, ma noi ad un certo punto...
ELETTRA DEIANA. Non vogliamo essere eroi!
PRESIDENTE. Non vogliamo essere eroi, ma nemmeno rimanere appesi con la preoccupazione che non...
ELETTRA DEIANA. Chi vuole rimanere appeso?
PRESIDENTE. Come, chi vuole? C'è sempre la preoccupazione di finire prima possibile: è un problema di ordine dei lavori che si deve superare (Commenti)! Ho capito, molte altre volte abbiamo fatto più tardi di oggi. È vero che oggi siamo andati anche altrove a fare il nostro dovere.
PRESIDENTE. Non dipende da un mio gusto personale! Domani mattina non possiamo lavorare perché non siamo in missione.
ROSY BINDI. Domani mattina il Governo porrà la questione di fiducia su un provvedimento; quindi, possiamo lavorare quanto vogliamo.
ELETTRA DEIANA. Il punto riguardante i rifiuti è enorme.
PRESIDENTE. Va bene, finiamo almeno la contestazione delle intercettazioni; almeno questo. Signor Marocchino, le voglio dire che su questi punti Scaglione la smentisce integralmente e lei su questo...
GIANCARLO MAROCCHINO. Scaglione, di fronte ad Asti si è messo paura, si è »messo sotto il tavolo«; di fronte a Vacchiano e agli altri è »andato sotto il tavolo«. Scaglione - non so se lo avete visto qui con me - è uno che...
PRESIDENTE. Chi era questo Cipollini?
GIANCARLO MAROCCHINO. Cipollini è quel ragazzo che ha avuto in eredità dal padre morto - diciamo - una bottega di ferramenta. Mi stanno contestando 22 chili di pittura...
PRESIDENTE. Di questo ne parliamo dopo.
Scaglione, sentito ad Asti il 15 dicembre del 1998, afferma: «Gli accordi con Marocchino per lo smaltimento di rifiuti tossici in Somalia erano quelli di coinvolgere il Presidente Ali Mahdi, che avrebbe avuto una quota nella società attraverso una terza persona al fine di non farlo figurare. Preciso che fu Marocchino a dirmi che era necessario coinvolgere il Presidente Ali Mahdi; anzi, lo stesso Marocchino mi disse che era lo stesso Presidente che chiedeva di essere coinvolto
nell'affare dello smaltimento dei rifiuti tossici in Somalia e che la sua quota, anche se non fu mai detto con precisione, doveva aggirarsi fra il 35 e il 50 per cento, come da esperienza da me fatta personalmente su esportazioni di materiali giunti a Mogadiscio. Marocchino mi disse che ai capi tribù doveva essere prospettato un progetto di costruzione di un forno inceneritore-bruciatore che mai sarebbe stato realizzato, ma che doveva coprire lo smaltimento dei rifiuti tossici in Somalia. Questo escamotage era stato studiato da Marocchino e da Ali Mahdi per nascondere il vero motivo dell'arrivo dei rifiuti tossici in Somalia che, in realtà, non andavano ad alimentare un inceneritore per produrre energia per la città di Mogadiscio, ma dovevano essere scaricati in una zona di terra a nord di Mogadiscio ove era previsto un sito a norma di legge italiana per lo smaltimento dei rifiuti. Alla voce «contenuto dei fusti» ci fu un'obiezione che mi fece Marocchino Giancarlo, rivendicando il diritto a campione di ispezionare il carico e di rifiutare, eventualmente, rifiuti non riportati nei documenti di trasporto. Questa osservazione di Marocchino mi fece sorridere perché mi domandavo come lui potesse essere in grado di identificare un tipo di rifiuti piuttosto che un altro e contrapporlo con i documenti di spedizione. Tale sua richiesta avvenne per via telefonica; per altri rifiuti, come «radioattivi», prezzi una media; ciò significava che si poteva smaltire rifiuti radioattivi e preciso che Giancarlo Marocchino, in una delle varie conversazioni telefoniche che io ebbi con lui personalmente, mi parlò della costruzione di un porto nella zona a nord di Mogadiscio in località El-Maan, sostenendo di poter nella banchina, annegandoli nel cemento, stivare rifiuti radioattivi; quindi, molto probabilmente l'appunto scritto da mio padre si riferisce a questa conversazione e, cioè, che Marocchino disse che aveva l'opportunità di smaltire anche rifiuti radioattivi nel costruendo porto di El-Maan e lo stesso Marocchino mi assicurò, sostenendo di poter stoccare tali rifiuti con del cemento e delle rocce che andavano a costruire la banchina del porto. Ricordo che tale telefonata avvenne sull'utenza di casa un sabato pomeriggio fra l'inverno del '96 e l'inverno del '97. Marocchino diceva che i rifiuti radioattivi dovevano essere annegati nel cemento e, poi, messi a dimora per andare a costituire il nucleo della banchina portuale di El-Maan».
Questa è la contestazione che noi le facciamo di seguito al contenuto delle intercettazioni telefoniche che, fino a questo momento, le abbiamo anche contestato.
GIANCARLO MAROCCHINO. Il porto che io ho fatto l'hanno visto tutti, non una persona ma duemila persone. Il porto è lì, non l'ha mangiato nessuno e dentro i contenitori - dove dice Scaglione che io potevo mettere i rifiuti tossici - ci sono grosse pietre. Questo Scaglione quando è andato, come me, ad Asti... Il signor procuratore di Asti mi ha fatto un inghippo solo che io non me lo sono bevuto perché avevo la coscienza pulita. Mi ha fatto andare dentro una camera, mi ha inviato un mandato di cattura che il giudice non ha avallato e mi ha messo di fronte a sei tipacci dicendomi: o parli oppure non esci di qui ...
PRESIDENTE. Questo chi l'ha detto?
GIANCARLO MAROCCHINO. Il Tarditi e compagni. È logico che questo ragazzotto con Tarditi cantava musica con il violino, non solo con il piano. Io sono tranquillo perché il porto è lì. Vogliamo andare a vederlo? Io nel porto ho messo solo delle pietre; dopo c'è stato un bla bla con questa persona, non nego che ci sia stato, ma se ci fossero state delle occasioni, non lo nego, le avrei fatte; però, porca miseria, le occasioni non sono uscite, c'è stato solo un bla bla e via di seguito!
Io quello lì lo tenevo alla corda perché è un mezzo stupidino. Se avessi dovuto fare delle operazioni non le avrei mica fatte con quella persona, ma non c'era la possibilità di farle sia per lo scarico - come vi ho già spiegato - sia per tante altre cose.
Signor presidente, mi porti qui un somalo, non i giornalisti di Famiglia Cristiana che vi fanno vedere i coperchi dei fusti in terra, perché se io sotterro dei fusti non lascio i coperchi lì, ma metto dentro sia il fusto sia il coperchio! Qui stiamo girando...
PRESIDENTE. Allora, le affermazioni di Scaglione sono false? Lei si è mai lamentato di queste dichiarazioni?
GIANCARLO MAROCCHINO. Le conosco adesso.
PRESIDENTE. Le apprende adesso? Dagli atti del processo lei non ha mai saputo di queste dichiarazioni?
GIANCARLO MAROCCHINO. No. Il procuratore di Asti non mi ha mai contestato queste cose, mentre mi ha contestato solo dei documenti. In un momento di rabbia, gli ho detto: «Ma se questi qua mi fanno girare... io ho dei documenti da far saltare il Ministero degli esteri». Ho detto una frase del genere e lui mi ha inviato il mandato di cattura. Questa è l'unica contestazione che ho avuto. Il procuratore di Asti non mi ha mai parlato né di rifiuti tossici né di nessuno.
ROSY BINDI. Se lei giustamente - giustamente dal suo punto di vista - ha querelato Famiglia Cristiana, a questo Scaglione dovrebbe fare qualche cosa di più!
GIANCARLO MAROCCHINO. Lo vedo adesso, in questo momento.
ROSY BINDI. Mi sembra che lì ci sia materiale un po' più pericoloso degli articoli di Famiglia Cristiana.
GIANCARLO MAROCCHINO. Lo so, ma lo vedo adesso, in questo momento. Abbiamo fatto otto denunce. Non so più chi dobbiamo denunciare perché ogni tanto ne esce uno. Alla Commissione parlamentare sui rifiuti è uscito fuori... guardi ce l'ho qua...
ROSY BINDI. Lo so, lo sappiamo.
GIANCARLO MAROCCHINO. Questo dopo vent'anni...
ROSY BINDI. Potremmo anche essere disposti a credere che lei non c'entri niente, ma che lei arrivi a sostenere che non c'è niente è un po' difficile da digerire.
GIANCARLO MAROCCHINO. Onorevole, io vi assicuro, anzi ci metto la mano sul fuoco, che da Mogadiscio a 100 chilometri di distanza non c'è niente. Non sto parlando del nord, perché quella zona non la frequento, stando a millecinquecento chilometri di distanza; quindi, è come se stando Roma parlassi della Sicilia.
Vi spiego il perché nella zona di Mogadiscio non si possono fare: ci sono due barriere coralline; le navi devono entrare in due barriere coralline; scarichiamo con i pontoni e via di seguito.
PRESIDENTE. Possiamo chiudere, a questo punto. Ringrazio il signor Giancarlo Marocchino e i colleghi intervenuti e rinvio il seguito dell'esame testimoniale a domani, mercoledì 26 ottobre 2005.
La seduta termina alle 23,20.
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