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Seduta del 25/10/2005


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Esame testimoniale di Stefano Menicacci.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale di Stefano Menicacci. Ricordo che l'avvocato Menicacci è sotto giuramento per essere già stato sentito come testimone.
Avvocato, vorremmo rivolgerle alcune domande prima di proseguire con l'esame testimoniale del teste Giancarlo Marocchino, al quale lei parteciperà - così com'è già avvenuto fino a questo momento - in quanto suo difensore in altri procedimenti.
Nell'aprile del 1999, lei si recò in Somalia. Ricorda questa circostanza?

STEFANO MENICACCI. Sì.

PRESIDENTE. Per quale motivo si recò in Somalia?

STEFANO MENICACCI. Mi recai in Somalia perché era previsto il processo di primo grado davanti alla corte d'assise di Roma, per il maggio o il giugno successivo, e poiché nelle carte processuali - non solo in quelle - veniva fuori il nome di Giancarlo Marocchino, dati i miei rapporti di amicizia e di collaborazione, anche professionale, con il suddetto (peraltro, ci tengo a precisare che non gli ho mai presentato alcuna parcella ma che si è trattato di un rapporto amichevole), mi sono recato in Somalia per un'indagine sommaria e al fine di poter parlare con lui. Lo invitai inoltre a venire in Italia - cosa che Marocchino ha fatto lodevolmente - per offrire un contributo alla ricerca della verità, poiché lui sapeva molti fatti meglio di tanti altri.

PRESIDENTE. Che cosa emergeva nei confronti di Marocchino, per cui lei ha ritenuto opportuno andare in Somalia per meglio verificare come stessero le cose?

STEFANO MENICACCI. Era iniziata, soprattutto all'inizio del 1998, una campagna di stampa che io ritenevo diffamatoria e, comunque, compromettente. Era già apparsa un'intervista resa da Marocchino ai giornalisti di Famiglia Cristiana e lui veniva evocato spesso in servizi dove si parlava di traffici illeciti, armi, rifiuti, con un suo coinvolgimento sotto vari aspetti. Nelle interviste egli negava ripetutamente ma, nonostante ciò, il suo nome continuava a venire fuori.

PRESIDENTE. Non era ancora stato in Somalia per fare l'indagine di cui abbiamo parlato la volta scorsa, su incarico di Giannini?

STEFANO MENICACCI. Lui stava permanentemente in Somalia.

PRESIDENTE. La volta precedente, Giancarlo Marocchino ci ha detto che, ad un certo punto - mi pare di ricordare che fosse nel 1998 - il dottor Giannini, allora in servizio presso la Digos, gli chiese di fare qualche accertamento per capire meglio come stessero le cose e per scoprire ulteriori notizie, soprattutto sotto il profilo della causale dell'omicidio e delle persone che avrebbero potuto essere coinvolte.

STEFANO MENICACCI. Il suo collegamento era sempre e permanentemente con il dottor Lamberto Giannini.

PRESIDENTE. Sì, ma quando lei andò in Somalia......

STEFANO MENICACCI. Già aveva telefonato diverse volte al dottor Giannini. Erano in contatto e proprio per questo motivo io presi alcune iniziative. Infatti, ebbi modo di parlare con il colonnello Gafo, che era a capo della polizia.......

PRESIDENTE. In quella occasione, lei ha condotto una sorta di indagine difensiva?

STEFANO MENICACCI. Le faccio presente che Giancarlo Marocchino si è recato spontaneamente a Roma senza mai ricevere un avviso di convocazione da parte di chicchessia: non è stato mai convocato, né dalla polizia giudiziaria né, tanto meno, dal pubblico ministero.


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PRESIDENTE. Allora, lei che tipo di indagine svolse?

STEFANO MENICACCI. Innanzitutto, avevo letto alcune circostanze emerse anche con riferimento ad articoli apparsi su Famiglia Cristiana, dove si parlava di una visita fatta laggiù da un certo dottor Chiara.

PRESIDENTE. Si spieghi meglio.

STEFANO MENICACCI. Famiglia Cristiana aveva avviato una serie di servizi e inchieste giornalistiche a partire dal 1998, esattamente a marzo del 1998 (peraltro, si tratta delle poche testimonianze che ho portato con me). Sono tutti articoli molto eclatanti ma anche molto compromettenti, non tanto nei confronti di Marocchino quanto in senso generale, perché ipotizzano traffici, e via dicendo.
A parte questi primi articoli (come quello del 4 marzo del 1998 o quello, molto importante, dell'8 aprile 1998, intitolato E la nave va, contenente dichiarazioni fatte dal PM Tarditi, che allora stava indagando su altre questioni presso la procura di Asti) vi era stato un servizio molto importante dal titolo Il traffico che uccide, che riportava una pianta con 32 discariche di rifiuti tossici nucleari, a firma dei tre giornalisti di Famiglia Cristiana.
In questo articolo - mi si consenta, ma sono in grado di dimostrare ogni cosa che dico in quanto documentabile - vi sono una serie di riferimenti menzogneri (potrei elencarne cinque o sei subito). Questo articolo contiene anche un'intervista a Giancarlo Marocchino il quale dice: «Perché io non ho ucciso Ilaria Alpi».
In pratica, i giornalisti rivolsero una serie di quesiti e domande anche molto compromettenti nei confronti di Marocchino; se vuole, posso entrare nel merito.

PRESIDENTE. Non è necessario.

STEFANO MENICACCI. Alla luce di questa campagna stampa e in vista del processo, mi recai in Somalia e Marocchino mi fece parlare con alcune persone.

PRESIDENTE. Lei ha fatto riferimento a Scalettari....

STEFANO MENICACCI. Famiglia Cristiana aveva creato prima un pool di tre persone - composto da Scalettari e altri - e poi di nove persone, fra cui c'era anche un certo Andrea di Stefano (quello che portò Sebri alla procura di Milano, da Romanelli). In questo articolo si scrisse che Scalettari fece un viaggio, andando a Nairobi e di lì, poi, a Bosaso. Di qui sarebbe andato ad Hargeisa e, infine, a Merka. Ora, davanti al tribunale di Alba, dove Marocchino li aveva denunciati per diffamazione, io ho chiesto che mi dimostrasse effettivamente che egli fosse andato a Bosaso. Gli ho chiesto i visti, i biglietti dell'aereo, una fattura di albergo, una foto, il numero di una persona con cui aveva parlato ma il buon Scalettari non ha detto né prodotto nulla: ha balbettato.
Di più, signor presidente, il fatto di per sé era impossibile perché da Nairobi non c'era alcun collegamento aereo con Bosso, che si trova a 2 mila chilometri di distanza. Ci sarebbero volute delle tappe intermedie poiché Bosaso si poteva raggiungere da Gibuti o da Addis Abeba ma mai da Nairobi. Quindi, quello fu un viaggio meramente inventato. Questa circostanza lui l'ha confermata insieme a Chiara, sotto giuramento, il 6 maggio del 1999 davanti alla corte d'assise.

PRESIDENTE. Sta bene, ma poiché queste notizie non interessano direttamente l'indagine non abbiamo neanche interesse a fare un confronto fra ciò che lei dice e ciò che ha dichiarato Scalettari. Abbiamo altri obiettivi d'indagine e pertanto vorrei pregarla di rispondere alle domande con quella sintesi che noi avvocati, quando vogliamo, sappiamo utilizzare.
Parliamo dell'attività d'indagine che lei ha svolto a Mogadiscio, in quella o in altre occasioni.


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STEFANO MENICACCI. Solo in quell'occasione, in Somalia. Altrove mi sono interessato professionalmente del problema. Comunque, andai in Somalia e parlai lungamente con Marocchino, il quale mi raccontò la storia dal suo punto di vista e come avesse soccorso Ilaria Alpi. Lui proveniva da un compound americano dove stava lavorando per far costruire degli alloggi per i dipendenti dell'ambasciata italiana che avevano abbandonato la sede ufficiale.
In quella circostanza, oltre che con lui, parlai anche con il colonnello Gafo, al quale chiesi di redigere una memoria scritta che, non appena tornato, ho inviato al presidente della corte d'assise di Roma. Ho conservato anche una fotocopia di questo documento che, insieme ad una traduzione dattiloscritta in un italiano un po' più corretto e alla copia della lettera che ho mandato al presidente della corte d'assise, sottopongo alla vostra attenzione; quindi, è a vostra disposizione.
Gafo disse ciò che si ritrova in quella scrittura. Questo documento fu scritto di suo pugno, quindi è autografo. In quella circostanza, vidi anche il sultano di Bosaso, Bogor.

PRESIDENTE. Insomma, da Gafo, sinteticamente, che cosa seppe?

STEFANO MENICACCI. Mi confermò i fatti, cioè che era sopraggiunto subito dopo il fatto, che aveva visto Marocchino caricare i due corpi, che aveva saputo della sparatoria tra la macchina di Ilaria Alpi e quella degli assalitori e che il corpo fu portato al porto vecchio, caricato su un elicottero e poi su una nave. Mi disse anche che Marocchino prese dalla macchina un blocco note e un apparecchio - forse un registratore o una macchina fotografica - ma niente di più.
Soprattutto, mi confermò il fatto che Marocchino stava provenendo, con una ventina di suoi operai e la guardia di scorta, dal compound americano che si trovava circa 5-6 chilometri a sud, nella parte di Mogadiscio sud.

PRESIDENTE. Dopo aver parlato con Gafo, lei ha parlato con il sultano di Bosaso?

STEFANO MENICACCI. Il sultano di Bosaso, che da quelle parti vale un po' come un barone siciliano, era a Mogadiscio in quanto era stato nominato ministro della difesa nel nuovo Governo di Ali Mahdi. Allora, gli chiesi se poteva confermarmi l'intervista con Ilaria Alpi e lui annuì. Mi disse inoltre che oggetto dell'intervista era stata la questione del peschereccio sequestrato, della società Shifco, che era al largo delle acque territoriali di Bosaso. Io ho creduto a questa versione perché poi, appena sono rientrato in Italia, nell'ambito del processo «Finestra più tre» su querela di Mugne davanti al tribunale monocratico di Roma, ho avuto la possibilità di vedere tutte e tre le interviste fatte da Ilaria Alpi. Di solito si cita solo l'intervista con il sultano di Bosaso ma, in effetti, contemporaneamente ella ebbe una seconda intervista con il responsabile del porto e una terza con colui che era il responsabile dell'Unosom rimasto ancora laggiù. Dal confronto si vede che tutte e tre le interviste si riferiscono a questo fatto.

PRESIDENTE. Alla Shifco?

STEFANO MENICACCI. Quindi, ho avuto la sensazione che il fatto eclatante che interessava alla Alpi fosse l'atto di pirateria commesso nel 2000 contro pescherecci donati dalla cooperazione italiana per un riscatto di un milione e 200 mila dollari (mi pare che 500-600 mila siano stati pagati, anche mediante l'intervento dell'ambasciatore di Somalia che stava a Nairobi). Dalla la conversazione, però, capii che in effetti il sultano di Bosaso - non dico che fosse stato il responsabile in prima battuta - condivideva questo atto di pirateria perché si era andati a pescare nelle acque migiurtine. Lo stesso discorso di plauso per l'atto di pirateria lo fece, si guardi alla seconda intervista, anche il responsabile del porto.
Vorrei fare una considerazione su questo fatto, anche in relazione all'informativa


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della Digos di Udine. Il sultano di Bosaso era migiurtino e nemico ferreo di Siad Barre. Egli era anche nemico ferreo di Mugne, perché questi era bravano; e i bravani sono una tribù amica di Siad Barre, che vive al sud della Somalia. Ora, se il sultano di Bosaso avesse ordinato o fosse corresponsabile del sequestro del peschereccio, come poteva esserci un accordo con Mugne anche ai fini della riunione omicidiaria, se Mugne era il sequestrato?

PRESIDENTE. Noi non le abbiamo chiesto tutti questi dettagli né questi particolari. Queste sono sue valutazioni ma noi vogliamo i fatti. Insomma, lei ha trattato con Gafo e con il sultano di Bosaso: poi, che altre indagini ha condotto?

STEFANO MENICACCI. Poi ebbi anche un lungo colloquio con un signore, il quale era un intellettuale - credo che fosse il numero due della fazione di Aidid - e mi raccontò tutta la storia del check point Pasta e della tensione fra gli americani e gli italiani, con i primi che volevano restare lì cinque anni mentre i secondi si adoperavano per una conciliazione, e via dicendo.
A questo proposito, mi fu detto un particolare che forse potrebbe essere interessante. Nel mio studio legale c'era - anche in questo caso amichevolmente - un avvocato somalo di nome Douglas Duale. Alla fine del 1992, quando ci fu la missione Unosom, egli partì dal mio studio perché fu contattato e convocato dal Ministero degli esteri italiano. Egli vantava una qualche relazione, anche se molto sporadica, con tale ministero ma fu contattato un po' perché era della stessa tribù di Aidid, un po' perché si vantava di essere il figlio di un italiano che rappresentava la Somalia davanti all'amministrazione italiana nell'epoca dell'amministrazione straordinaria, prima degli anni sessanta. Insomma, proveniva da un'autorevole famiglia e quindi poteva essere un buon tramite nei confronti di Aidid. Egli partì con un generale e con un diplomatico del Ministero degli esteri per andare in Somalia allo scopo di parlare con Aidid....

PRESIDENTE. In che anno avvenne ciò?

STEFANO MENICACCI. Nel dicembre del 1992, all'inizio della missione Ibis e della missione Unosom. Questo e il successivo viaggio si dovevano al fatto che in quel momento Aidid, che era filoamericano e appoggiato dagli USA, era particolarmente ostile verso gli italiani, in quanto noi eravamo rimasti amici di Siad Barre fino alla fine e non avevano cooperato a preparare un ricambio al Governo di Siad Barre. Quindi, egli era a noi ostile.
Questo colloquio alla presenza dei due rappresentanti italiani - al quale non credo abbia partecipato anche Duale - servì per giungere ad un accordo (credo che andarono a cena) di non belligeranza tra i militari italiani e Aidid. Questo fatto, però, indispettì successivamente Aidid e per questa ragione ci furono poi i morti al check point Pasta - tre morti e 11 feriti - perché gli italiani, su comando di Howe, comandante del comando americano a Sigonella......

PRESIDENTE. Però lei parla di cose che non ci servono.

STEFANO MENICACCI. Insomma, questo signore mi raccontò tutta questa storia e le ragioni del contenzioso. Poi, mi recai anche sul posto dove, come ho già detto, ebbi modo di parlare con il custode dell'albergo (ho prodotto le foto). Poi ho parlato con il padre di un ragazzo, che sembrava ferito e che stava dalla parte opposta della strada, forse colpito da un proiettile proveniente dall'incrocio tra via Treves e corso della Repubblica. Infine, ho parlato anche con una persona che avrebbe visto il fuoco, in realtà il proprietario di un piccolo negozio di antiquariato di fronte a dove si fermò la macchina.

PRESIDENTE. Chi era questa persona?


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STEFANO MENICACCI. Il nome non lo so, però, nella fotografia che mi sono permesso di sottoporvi io l'ho riconosciuta. Questo personaggio avrebbe assistito al fatto ma a memoria non riesco a ricordare il nome, che comunque dovrei aver indicato nella foto.
In quella circostanza mi vennero a trovare anche alcuni parenti della famiglia di Hashi perché questi non sapevano nulla dell'Italia e il fatto che c'era un avvocato italiano li spinse a parlare con me. Così, li incontrai e dissi loro che potevano stare tranquilli perché la giustizia italiana era una cosa seria. Fu comunque un colloquio di pochissimi minuti.

PRESIDENTE. Marocchino fu attinto da un colpo di arma da fuoco il 23 aprile del 1999. Si ricorda questa circostanza? Chi gli sparò e perché?

STEFANO MENICACCI. Sempre al fine di poter indagare, la sera precedente mi permisi di telefonare ad Ali Mahdi da casa di Marocchino chiedendo di poter parlare con lui. Quella stessa mattina Marocchino, anche lui, si recò da Ali Mahdi, non so se per altri suoi interessi o forse per preparare il mio arrivo. Sennonché, nel cortile di Ali Mahdi ci fu un colpo di arma da fuoco, che lo colpì e gli trapassò tutte e due le gambe. Io non ero presente ma lo vidi arrivare - portato a braccia da alcune persone - sul suo letto. Egli era stato già medicato da un certo Osman, che era ministro della sanità con Ali Mahdi e suo medico curante. Devo dire che vennero nella camera di Marocchino un po' tutti i membri del Governo di Mahdi e la cosa mi sorprese.

PRESIDENTE. Perché gli spararono?

STEFANO MENICACCI. Fu un colpo accidentale, caricando un'arma. Ci si è ricamato sopra ma la verità è questa.

PRESIDENTE. Chi le ha ricostruito il percorso che i giornalisti italiani Ilaria Alpi e Miran Hrovatin fecero il giorno in cui furono uccisi, partendo dall'hotel Sahafi, dove alloggiavano, fino all'hotel Hamana? Come è avvenuto, in particolare? Chi le ha riferito questa circostanza?

STEFANO MENICACCI. Non ricordo questo particolare né mi pare di essermi riferito a questo percorso. So che stavano all'hotel Sahafi - questo mi fu detto da loro - e che vennero all'hotel Hamana.

PRESIDENTE. Da chi le fu detto ciò?

STEFANO MENICACCI. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin arrivarono all'hotel Hamana. So che la distanza fra i due alberghi è di circa cinque o sei chilometri e che per percorrerli si attraversa una zona completamente disastrata, una Mogadiscio distrutta.

PRESIDENTE. Come ha saputo la circostanza che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin siano partiti dall'hotel Sahafi e siano andati verso l'hotel Hamana? Chi le ha riferito il percorso che era stato fatto?

STEFANO MENICACCI. Tutti.

PRESIDENTE. In che senso?

STEFANO MENICACCI. Lo si leggeva sui giornali, me lo disse Marocchino; tutti, insomma, poiché era un fatto assodato, pacifico. L'unica cosa controversa e incerta era se fossero seguiti o meno, ma che il percorso fosse quello è un fatto assodato. Mi pare che ci fosse qualche perplessità su chi avesse accompagnato Ilaria Alpi e Miran Hrovatin dall'aeroporto all'hotel Sahafi.

PRESIDENTE. Lei come risolve questo passaggio? In corte d'assise lei ha dichiarato: «Ho ritenuto di visitare Mogadiscio e andando a Mogadiscio ho rilevato anche le piante di Mogadiscio e credo di sapere qual è l'itinerario preciso che Ilaria Alpi fece dall'aeroporto all'hotel Sahafi fino alla via che chiamo dell'ambasciata italiana, credo che si chiami del Monopolio, e queste, se la corte ritiene utile, se ha gli elementi, io sono pronto a fornirvi per


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dare questo elemento documentale preciso, in ordine allo stato dei luoghi». Lei ha tracciato un percorso!

STEFANO MENICACCI. Perché avevo la pianta di Mogadiscio, signor presidente.

PRESIDENTE. La notizia della partenza dall'hotel Sahafi gliel'ha data Marocchino?

STEFANO MENICACCI. Da più fonti. Non lo ricordo in particolare, ma lo sapevo come un fatto assodato, pacifico.

PRESIDENTE. Invece, per quanto riguarda la tratta dall'aeroporto all'hotel Sahafi, non l'ha mai saputo?

STEFANO MENICACCI. Per quanto ricordo, no.

PRESIDENTE. Anche in questo caso lei ha già rilasciato delle dichiarazioni. Leggo testualmente: «Marocchino mi ha detto che Ilaria partì dall'aeroporto. Un inciso: Marocchino mi ha detto anche che lui è certo che dall'aeroporto Ilaria Alpi e Hrovatin sono partiti con una squadra di una decina di persone armate. Lui questo fatto lo sa perché uno degli armati, che faceva parte di questa scorta di Ilaria fino all'hotel Sahafi venne da lui successivamente, esibendo una carta in cui doveva avere un credito di 400 dollari. E gli disse, costui, che aveva fatto parte della squadra degli armati che aveva atteso Ilaria all'aeroporto per accompagnarla fino all'hotel Sahafi».

STEFANO MENICACCI. Presidente, questa circostanza non la ricordo: se l'ho detto, evidentemente sarà vero. Ora, per quanto riguarda il credito che si vantava nei confronti di Marocchino, so che dopo la morte di Ilaria Alpi e il caricamento del corpo sulla nave, l'autista di Ilaria Alpi sia andato da Marocchino chiedendo chi lo avrebbe pagato.

PRESIDENTE. Quale autista?

STEFANO MENICACCI. Quello di Ilaria Alpi.

PRESIDENTE. Qui si dice: «Sono partiti con una squadra di una decina di armati. Lui questo fatto lo sa perché uno degli armati, che faceva parte di questa scorta di Ilaria fino all'hotel Sahafi, venne da lui successivamente, esibendo una carta in cui doveva avere un credito di 400 dollari».
Chi era questa persona?

STEFANO MENICACCI. Signor presidente, questa circostanza non la ricordo. Però, se l'ho detta, la confermo come vera.

PRESIDENTE. Non voglio che lei confermi un fatto che non ricorda. Comunque, non ricorda il nome di questa persona della scorta che andò dall'aeroporto all'hotel Sahafi?

STEFANO MENICACCI. No.

PRESIDENTE. Con riguardo alle persone che lei ha contattato, chi le ha dato indicazioni? Gafo lo conosceva già da prima?

STEFANO MENICACCI. Assolutamente no.

PRESIDENTE. Chi le ha detto di andare a parlare con Gafo?

STEFANO MENICACCI. Lo dissi a Marocchino e lui lo fece venire a casa sua.

PRESIDENTE. Ma se lei non lo conosceva, come faceva a sapere di potersi rivolgere a lui?

STEFANO MENICACCI. Sapevo che era un capo della polizia, che era intervenuto. Chiesi a Marocchino se poteva farmi parlare con lui.

PRESIDENTE. D'accordo, ma se non conosco un individuo come posso andare da Marocchino a chiedergli di farmi parlare


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con lui? Chi le ha parlato di Gafo come di una persona che poteva essere fonte di buone informazioni?

STEFANO MENICACCI. Come ho già ripetuto, all'inizio mi sono fatto raccontare la storia da Marocchino. E Marocchino mi ha detto di Gafo.

PRESIDENTE. Quando avete parlato con Gafo e le altre persone che lei ha citato, dove avvenne questo colloquio? A casa di Marocchino?

STEFANO MENICACCI. Sì, sempre nel salottino; ma quando parlai con Gafo non c'era nessuno: io e lui soltanto, nemmeno Marocchino era presente!

PRESIDENTE. Per quanto riguarda il sultano di Bosaso, lo fece venire lì? Il sultano parlava italiano.

STEFANO MENICACCI. Sì, parlava italiano.

PRESIDENTE. Anche gli altri?

STEFANO MENICACCI. Si, parlavano tutti italiano; hanno persino scritto in italiano.

PRESIDENTE. Lei ha parlato di tre testimoni, uno dei quali è Mohamud Mao, il portiere dell'hotel Hamana. Che cosa le ha detto?

STEFANO MENICACCI. Mi ha detto che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin - non ricordo se tutti e due insieme - erano entrati nell'hotel Hamana e avevano cercato un giornalista loro collega, che non c'era: un certo Benni, ma non ricordo bene il nome.
Avevano cercato questo giornalista, che non c'era perché era già partito (erano partiti tutti). Allora, Ilaria Alpi uscì di nuovo, salì in macchina e partì. Mi disse anche che quelli che prendevano il tè gettarono via dei bicchieri - la cosa fu notata - e li superarono con la macchina.
Poi mi disse che dopo la sparatoria c'erano stati altri spari (non so se da parte degli uomini della sicurezza dello stesso albergo). Infatti, scappati quelli del commando, lui andò di corsa al porto vecchio dove c'era ancora un corpo militare, non so se di nigeriani o pakistani; però, questi si rifiutarono di intervenire. Allora, egli tornò indietro e a distanza di settecento-ottocento metri dal luogo dell'incidente, sulla strada che taglia corso della Repubblica, incrociò Marocchino che sopravveniva dalla sua sinistra. Mi disse anche del ferito, quel giovane che stava nella casa di fronte.

PRESIDENTE. Cioè?

STEFANO MENICACCI. Mi disse che un colpo aveva ferito un giovane che stava davanti alla porticina che dava sull'ingresso di una casa. Quella persona - è sulla fotografia che ho esibito - è il padre di quel ragazzo.

PRESIDENTE. Leggo: «Un ometto di circa sessant'anni, Mohamud Mao, piccolino di statura, mi ha detto che era dentro, sentì la sparatoria, corse fuori e vide le macchine ma direttamente egli non vide nulla. Allora mi ha detto »Chi ha visto tutto è quel signore che sta dalla parte opposta«, di cui, ripeto, ho le fotografie, che sarebbe il proprietario di questa casa a cui si accede attraverso il cancelletto».
Riconosce Mohamud Mao (Mostra una fotografia)?

STEFANO MENICACCI. Sì.

PRESIDENTE. Si dà atto che, mostrata al teste la fotografia di cui a pagina 9 del documento n. 272/3 e chiestogli se tra le persone fotografate riconosca la persona di Mohamud Mao, questi dichiara che si tratta della persona che si vede di faccia e che porta gli occhiali.
Si dà atto, altresì, che mostrata al teste la pagina 13 dello stesso documento e chiestogli se riconosca la persona indicata da Mohamud Mao come quella da considerare


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testimone oculare, dichiara trattarsi di quella che è fotografata seduta.
Lei ha parlato con questa persona?

STEFANO MENICACCI. Brevemente.

PRESIDENTE. Come si chiama questa persona? Nurfido?

STEFANO MENICACCI. Mi pare di sì.

PRESIDENTE. Quando ha parlato con questa persona? Ci ha parlato nel 1999, quando lei si è recato in Somalia?

STEFANO MENICACCI. Sì. Lasciato Mohamud Mao, sono andato subito di fronte. Devo dire che la situazione non era molto tranquilla perché c'erano circa una ventina di persone armate.

PRESIDENTE. Cosa le ha detto?

STEFANO MENICACCI. Non mi ha saputo rispondere. È stato molto evasivo.

PRESIDENTE. Leggo: «Suo figlio fu ferito in quella circostanza»...

STEFANO MENICACCI. Io gli dissi: «Tuo figlio è stato ferito in quella circostanza»? Lui però mi rispose a mezza bocca, perché non voleva parlare. Dopodiché, di questa persona non ho saputo più nulla.

PRESIDENTE. La dichiarazione che lei ha rilasciato in corte d'assise è la seguente: «Mi ha detto che lui era presente ma non ha voluto parlare con me, mi ha detto solo un particolare che mi ha fatto pensare; è piuttosto risentito perché suo figlio fu ferito in quella circostanza». Quindi, sembrerebbe che glielo abbia detto lui.

STEFANO MENICACCI. Questo particolare non lo ricordo, forse me lo disse lui.

PRESIDENTE. Leggo: «Sono rimasto perplesso perché qui c'era la Land Rover, davanti; sarà ferito perché faceva parte del commando e la macchina si era fermata qui, magari per aspettare lui, farlo montare o perché fu ferito dai miliziani o dagli assalitori quando spararono all'incrocio con via Risorgimento. Non mi ha detto nessun altro particolare, si è alzato ed è andato».
A proposito della Land Rover, le chiedo: lei ha visto quella macchina?

STEFANO MENICACCI. Noleggiai una squadra armata di circa diciotto persone, che mi costarono 150 dollari (usava così); la mattina o il pomeriggio - non mi ricordo - mi recai sul luogo dell'incidente di Ilaria Alpi, il pomeriggio andai a vedere Mogadiscio vecchia, perché sono di natura curioso e azzardo pure. Ho fatto molte fotografie a Mogadiscio vecchia e nel tornare, verso sera, a casa di Marocchino, uno della scorta che era con me, guardi il caso della vita, mi indicò una Land Rover che percorreva Corso Risorgimento. Io venivo dal porto vecchio, quindi la incrociammo. Siccome quel giorno parlavo di Ilaria Alpi, questa persona mi fece cenno che quella era la Land Rover degli assalitori. Tuttavia, la vidi solo di passaggio. Era piuttosto scura di colore. Naturalmente, non potevo in quelle circostanze inseguirla - anzi me ne sono guardato bene - o ricercarla.

PRESIDENTE. Chi era la persona che le disse che si trattava della macchina degli assalitori?

STEFANO MENICACCI. Era uno della scorta armata. La scorta non era di Marocchino ma di un certo signore; la scorta si vede nella fotografia.

PRESIDENTE. Lei dichiarò quanto segue: «Si è verificato un caso; mentre ero lì, adesso guardando la strada in leggera salita, e qua giù è l'ambasciata, è capitato un pulmino per caso e un'altra macchina che ha tagliato il pulmino e praticamente si è ripetuta la scena che mi era stata descritta. C'è stato un caso che sembra incredibile; nel momento in cui scattavo questa fotografia, uno della guardia che era con me ha fatto un gesto particolare.


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Marocchino, successivamente, mi ha detto che quella gente, quel suo soldato aveva riconosciuto, il caso della vita, la famosa Land Rover. Questo signore con cui avevo parlato, questo soldato, poi posso riferire alcuni nomi precisi, mi ha detto che la conoscevano tutti questa Land Rover e mi ha fatto vedere un sacchetto perché io ho chiesto di che colore era. Lui mi ha detto: »Come questo sacchetto di plastica blu«. »E adesso di che colore è?«, chiesi io. Lui mi ha fatto vedere un »vilpelle« di una seggiola e mi ha detto: »È di questo colore, cioè è stata riverniciata in marrone scuro, ed è utilizzata comunemente per i turisti e chi ne ha bisogno«.»
Quindi, nonostante non avesse più il colore originale, la riconosceva.

STEFANO MENICACCI. Sì. Se era vero o no, non lo so.

PRESIDENTE. Però, successivamente, lei individua questa persona in Bashir. Lei afferma: «Debbo dire una cosa, la cosa mi ha molto sorpreso, dico i casi della vita: possibile che io sono qui a fotografare e questo passa, in questo momento? Però, la mattina del 27 aprile, mentre stavo fotografando la strada dell'ambasciata, è stata notata questa land Rover e successivamente Marocchino mi ha detto: »Guarda che l'uomo armato mio, un tipo piuttosto deciso, che avrà ammazzato duecento persone quando c'era la guerra civile, con le bombe a mano, ha riconosciuto la Land Rover«. Allora io ho chiamato questo giovane e credo che si chiami Bashir, di circa 25 anni; era estremamente reticente e molto pauroso. Alla fine sono riuscito a tirargli fuori una notizia: che questa Land Rover appartiene ad un capoclan del gruppo adallah-arone, o simile».
Ricorda adesso questo particolare?

STEFANO MENICACCI. Si, adesso me lo ricordo. Quindi, non fu uno della scorta che mi disse in quel momento che quella era la macchina. In altre parole, lui me la segnalò però io non capii perché fece un gesto inconsulto, strano.

PRESIDENTE. Lei ha parlato con questa persona?

STEFANO MENICACCI. Con lui no, ma poi raccontai a Marocchino l'episodio e lui mi riferì: «Guarda, mi ha detto che ha visto la macchina di cui si stiamo parlando». Quindi, fu Marocchino che me lo ricordò.

PRESIDENTE. L ei ha mai conosciuto Bashir, successivamente a questi fatti?

STEFANO MENICACCI. Successivamente no; probabilmente, frequentando la casa di Marocchino lo avrò anche incontrato.

PRESIDENTE. Ce lo può descrivere?

STEFANO MENICACCI. È uno piuttosto alto, di corporatura robusta.

PRESIDENTE. È la persona che viene qui descritta da Marocchino come «uno che avrà ammazzato circa 200 persone». Ricorda che Marocchino disse questo? Quando disse ciò, si riferiva a questa persona che chiamava Bashir?

STEFANO MENICACCI. Sì, ma lo fece perché voleva indicare costui come un uomo di particolare coraggio.

PRESIDENTE. Ma lei ha mai parlato con Bashir?

STEFANO MENICACCI. Io sono piuttosto cordiale di natura...

PRESIDENTE. Ma le ha fornito qualche notizia ulteriore sull'omicidio?

STEFANO MENICACCI. No.

PRESIDENTE. Cosa può dirci su Mudin Roble? Chi è questa persona? È il gestore di un piccolo negozio nella zona dell'hotel Hamana?


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STEFANO MENICACCI. Credo di averlo già individuato nelle fotografie (Indica una fotografia). È questo, presidente.

PRESIDENTE. Allora, si dà atto che alla pagina 16 del citato documento n. 272/3, il teste individua Mudin Roble nella persona fotografata e indicata sotto la lettera «E». Chi era questa persona?

STEFANO MENICACCI. Nel momento in cui mi trovavo lì con i somali a fare delle domande, mi pare che qualcuno mi indico questa persona come presente all'omicidio. Allora, parlai con lui e questi, cortesemente, mi condusse nel suo negozio, dove vendeva delle cose di antiquariato. Egli si vantò del fatto che era presente.

PRESIDENTE. Cosa le disse?

STEFANO MENICACCI. Mi disse che la macchina aveva fatto retromarcia e che erano scese una o due persone e che c'era stata una sparatoria, ma non aggiunse altro.

PRESIDENTE. Quale macchina aveva fatto retromarcia?

STEFANO MENICACCI. Quella di Ilaria Alpi. Comunque, mi descrisse la scena.

PRESIDENTE. Vorrei capire una cosa. Lei si trovava al cospetto di un testimone oculare. Fra le persone da lei contattate, questa persona, Mudin Roble, è il testimone oculare. Quando finalmente si era nella condizione di poter dare un vero contributo alla vicenda, anche dal punto di vista investigativo (non dimentichiamo che a Marocchino era stato richiesto da Giannini di fare simili accertamenti), è mai possibile che lei non abbia approfondito ulteriori dettagli con Roble, per capire bene chi potesse essere stato, se c'era modo che costui facesse i nomi degli assalitori, per conoscere le ragioni dell'assalto, e via dicendo?

STEFANO MENICACCI. Presidente, glielo dico con franchezza, a parte la eccezionalità del momento...

PRESIDENTE. Non ve ne importava nulla?

STEFANO MENICACCI. No, non è così, ma non stavo lì per fare un'indagine...

PRESIDENTE. Lei è sceso giù per capire che cosa fosse successo. Marocchino era accusato di essere il mandante di questo omicidio...

STEFANO MENICACCI. Da chi?

PRESIDENTE. Dai giornali. Poiché lei ha detto di essere andato in Somalia all'indomani della campagna di stampa che indicava Marocchino come persona che faceva traffici illeciti e probabilmente coinvolta nell'omicidio dei due giornalisti, trovandosi al cospetto di Mudin Roble, testimone oculare, forse avrebbe potuto sapere qualcosa. I nomi, per esempio, non glieli ha chiesti?

STEFANO MENICACCI. No.

PRESIDENTE. E la causa dell'aggressione?

STEFANO MENICACCI. Nemmeno.

PRESIDENTE. E allora non gli ha chiesto niente!

STEFANO MENICACCI. Mi descrisse il fatto. Non gli chiesi altro. Era una situazione di eccezionalità. Avevo paura.

PRESIDENTE. Lei disse: «Mi ha detto che ha visto tutta la scena, ha visto la Land Rover bloccare la Toyota, ha visto la guardia di Ilaria che era sul cassone posteriore sparare una raffica; contemporaneamente, la macchina Toyota ha fatto marcia indietro ed è venuta a sbattere a circa 40 metri, 30-40 metri contro questo


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muro; nello stesso tempo, mi ha detto lui, uno o due o tre sarebbero scesi dalla macchina».
Insomma, è stato un incontro molto superficiale.

STEFANO MENICACCI. Molto superficiale, certo; di pochi minuti. Mi ha portato sul posto, mi ha fatto vedere dove ha sbattuto, ha visto che ho fatto le fotografie, ma altro non potevo chiedere. Non ricordo se l'ho chiesto e lui non mi ha risposto.

PRESIDENTE. Cosa sa dei rapporti tra Ilaria Alpi e Marocchino?

STEFANO MENICACCI. Marocchino mi ha detto soltanto che Ilaria Alpi, all'inizio, andò a casa sua una volta e poi non ci andò più; ella andò all'hotel Sahafi, perché era più vicino all'aeroporto, con la possibilità di un migliore contatto con gli ambienti degli ufficiali (con quelli che erano rimasti).
Mi riferì che una volta il capo scorta di Ilaria Alpi gli aveva detto: «Guarda, Marocchino, questa è una ragazza piuttosto coraggiosa, spregiudicata, osa troppo e non si accorge del pericolo che corre; ci mette in una situazione di difficoltà» (perché lui dette la scorta). Marocchino mi raccontò che poco tempo prima c'era stata la morte di diversi somali - c'era stata una sollevazione popolare - e che la ragazza si era messa in mezzo a questa situazione; in quel caso ci fu il tentativo di pugnalarla, a conferma della poca accortezza della ragazza, che non si rendeva conto dei pericoli che correva.

PRESIDENTE. Quanto tempo prima era avvenuto questo fatto?

STEFANO MENICACCI. Era il periodo della guerra di Mogadiscio, verso settembre o ottobre, una cosa del genere...

PRESIDENTE. Del 1993?

STEFANO MENICACCI. Sì. Mi accennò questo fatto. Parlò molto bene di Ilaria Alpi, però era una ragazza piuttosto vivace.

PRESIDENTE. Lei è a conoscenza se siano intercorsi rapporti telefonici tra Ilaria Alpi e Marocchino ?

STEFANO MENICACCI. Assolutamente no! Mai saputi.

PRESIDENTE. In corte d'assise lei ha dichiarato: «Marocchino mi ha detto esplicitamente - e ho una dichiarazione scritta - che quando Ilaria gli telefonò, ebbe quella telefonata (fu Marocchino a telefonare ad Ilaria), ella fece alcune allusioni relative agli americani e ai rapporti con gli italiani e ai donativi che Marocchino aveva fatto in quella occasione per riavere il check point. Sapeva - poi mi ha detto Marocchino - che la sera del 20 marzo doveva incontrare il generale Fiore e Marocchino stesso ha detto: "Io la dovevo incontrare". Ecco, ora questo porta a dire», eccetera.
Cosa vogliono dire queste affermazioni?

STEFANO MENICACCI. Quando avrei dichiarato queste cose?

PRESIDENTE. Alla corte d'assise.

STEFANO MENICACCI. Non lo ricordo per niente.

PRESIDENTE. Adesso prendiamo il verbale.

STEFANO MENICACCI. Cioè, avrei saputo da Marocchino che c'era stata una telefonata tra loro? Sono passati sei anni, non lo ricordo.

PRESIDENTE. Il presidente della corte domanda: «Da chi ha saputo che Ilaria Alpi indagava su questo fatto?», e lei risponde: «Marocchino mi ha detto esplicitamente - e ho una dichiarazione scritta - che quando Ilaria gli telefonò, ebbe quella telefonata (fu Marocchino a telefonare ad Ilaria), ella fece alcune allusioni relative agli americani e ai rapporti con gli italiani e ai donativi che Marocchino aveva fatto in quella occasione per riavere il


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check point. Sapeva - poi mi ha detto Marocchino - che la sera del 20 marzo doveva incontrare il generale Fiore e Marocchino stesso ha detto: "Io la dovevo incontrare". Ecco, ora questo porta a dire che probabilmente - questa è un'ipotesi, voi chiedete sempre degli scenari sulle ipotesi - era uno scenario che poteva interessare giornalisticamente Ilaria e che spiegherebbe, me lo consenta presidente, alcune cose, la storia, che subito fu lanciata, del fondamentalismo islamico. Non esiste in Somalia il fondamentalismo islamico. Io ho chiesto a tante persone. Il generale Rajola ha cercato di avvalorarlo, dicendo che hanno fatto saltare per aria la cattedrale. La cattedrale è stata distrutta dopo il fatto di Ilaria e da un somalo, che è stato ucciso per questo dagli altri somali. Non esiste il fondamentalismo», e via dicendo.
La circostanza è precisa! O lei aveva «tracannato» oppure...

STEFANO MENICACCI. C'è un po' di confusione, presidente. Un conto è la questione del check point Pasta, che avvenne il 2 luglio del 1993! Subito dopo il 2 luglio 1993, gli italiani, nonostante non fossero riusciti a conquistarlo - tant'è vero che Loi fece marcia indietro, chiedendo l'aiuto americano, che non sovvenne - , riuscirono ad avere ugualmente il check point Pasta. Come lo ebbero? Io lo so, perché me lo disse quell'intellettuale di cui avevo parlato prima: fecero una riunione dall'allora Presidente del Parlamento, e l'ottennero con il pagamento di denaro.

PRESIDENTE. Mi sembra un po' un giochetto. L'avvocato Duale la rimprovera. Egli dice: «Io ho fatto una domanda precisa; mi deve rispondere soltanto se è a conoscenza - e da chi ha avuto conoscenza - del motivo per cui i giornalisti sono stati uccisi; questa è la domanda». Lei risponde: «Stavo dicendo da più fonti; vi era un fatto grave rappresentato dallo scontro armato del 2 luglio 1993, sul quale molto probabilmente Ilaria indagava; ho parlato del fatto».

STEFANO MENICACCI. Questo fatto del check point Pasta fu clamoroso ed ebbe delle enormi ripercussioni sulla stampa (in settembre, ottobre e novembre); e ci fu l'accusa dei pakistani, secondo i quali avevamo riconquistato il check point Pasta pagando. Allora, non sapevo tanti particolari pensavo (è una mera ipotesi) che Ilaria Alpi potesse essere interessata ad approfondire questo aspetto, riguardante un atto di corruzione italiana. La storia della telefonata del 20 marzo è successiva; non vanno mescolate le due cose. Quella del 20 marzo del 1994 non me la ricordo.

PRESIDENTE. Guardi, io non le ho mescolate, le ha mescolate lei. Lei ha detto: «Marocchino mi ha detto esplicitamente - e ho una dichiarazione scritta - che quando Ilaria gli telefonò, ebbe quella telefonata (fu Marocchino a telefonare ad Ilaria), ella fece alcune allusioni relative agli americani e ai rapporti con gli italiani e ai donativi che Marocchino aveva fatto in quella occasione per riavere il check point».

STEFANO MENICACCI. Qui c'è un errore: Marocchino? I donativi? Gli italiani fecero i donativi! È sbagliato!

PRESIDENTE. Lei ha affermato: «Sapeva, poi mi ha detto Marocchino, che la sera del 20 marzo doveva incontrare il generale Fiore e Marocchino stesso ha detto: "Io la dovevo incontrare"».

STEFANO MENICACCI. Presidente, l'episodio della telefonata onestamente non lo ricordo. Lo può chiedere a Marocchino, che sarà ricco di particolari. Per quanto riguarda la prima questione, è una ipotesi in ordine all'interesse a colpire Ilaria Alpi, perché forse indagava su questo fatto dei soldi che erano stati dati.

PRESIDENTE. Ma è una cosa che lei ha saputo? Chi gliel'ha detta?

STEFANO MENICACCI. Marocchino.


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PRESIDENTE. Quindi, Marocchino dovrebbe averle detto che Ilaria Alpi era stata uccisa perché stava indagando sul check point Pasta, per l'«impiccio» che avrebbero fatto gli italiani, comprandosi la riconquista del check point Pasta.

STEFANO MENICACCI. Non posso dire che questo me lo abbia detto Marocchino, fu una mia ipotesi; però Marocchino mi disse che c'era stata una telefonata tra loro. Quando, non lo so; credo che quella telefonata avvenne addirittura in Italia.

PRESIDENTE. C'è una domanda di Duale. Gliela leggo: «Presidente, credo di aver posto una domanda chiara all'avvocato Menicacci, che durante la sua presenza ha raccolto informazioni dirette ed indirette circa le cause ed il perché i giornalisti sono stati assassinati». Menicacci risponde: «Faccio rilevare che Marocchino ad un certo momento mi disse che quando venne deportato in Italia su ordine degli americani, nell'ottobre o nel novembre, una volta che fu liberato, andò a casa sua a Borgosesia; da lì telefonò a Ilaria Alpi, telefonò a casa della mamma; non si ricorda bene se gli rispose il padre o la madre; gli venne dato il numero di Ilaria Alpi e telefonò a Ilaria Alpi allo studio; Ilaria Alpi gli disse: guarda che io so cose grosse, tra cui che il Sismi italiano - questo me lo ha anche scritto, lo ha scritto anche nelle lettere, che se volete produco - sapeva già da alcuni giorni che tu saresti stato arrestato dagli americani».

STEFANO MENICACCI. Questo lo confermo.

PRESIDENTE. E ancora: «Quando torni giù dimmi di queste cose grosse, ma per telefono non è opportuno». Come se dubitasse di parlare per telefono; gli ha fatto un paio di domande che hanno indotto Marocchino a pensare ad alcune cose; la domanda è: come stai tu con gli americani? che gli hai dato?
Cerchiamo di mettere ordine su questo argomento, perché potrebbe essere importante. Intanto, ci sarebbe stata questa telefonata fatta da Marocchino a casa di Ilaria Alpi; egli parlò con la madre di Ilaria Alpi. Ilaria Alpi disse: «Guarda che io so cose grosse, tra cui che il Sismi italiano sapeva già da alcuni giorni che tu saresti stato arrestato dagli americani». Questo sarebbe accaduto quando Marocchino fu deportato in Italia.

STEFANO MENICACCI. Settembre-ottobre...

PRESIDENTE. Settembre-ottobre 1993.

STEFANO MENICACCI. Lo confermo.

PRESIDENTE. Che cosa voleva dirle?

STEFANO MENICACCI. Per dirmi dell'ultimo contatto che ha avuto con la ragazza, perché poi, quando venne nel marzo del 1994, non l'aveva vista.

PRESIDENTE. Quindi, lei vuol dire che quando parlava del check point Pasta si riferiva al precedente viaggio, non all'ultimo viaggio.

STEFANO MENICACCI. Al precedente viaggio. All'ultimo contatto fra di loro, anche perché Marocchino non ha mai visto Hrovatin.

PRESIDENTE. Lei ha elementi per dire che queste consapevolezze di Ilaria Alpi sul check point Pasta possano essere state all'origine dell'aggressione?

STEFANO MENICACCI. Posso dire soltanto, indipendentemente da Ilaria Alpi, che fu una fortissima polemica a livello internazionale.

PRESIDENTE. Che cosa ci può dire sul fondamentalismo islamico? Conferma quanto ha già dichiarato, ovvero che è una ipotesi che non sta né in cielo né in terra?

STEFANO MENICACCI. Questa è una convinzione personale. Per me in Somalia è più forte il vincolo tribale che il vincolo religioso. I somali tendenzialmente sono


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moderati, sono amici di tutti i paesi arabi moderati, in primis l'l'Egitto; non si trova un somalo nei campi di addestramento, tra i dirottatori; adottano il codice italiano; hanno consentito la costruzione delle nostre cattedrali, delle chiese; hanno ammazzato colui che ha fatto saltare per aria la cattedrale!
Elementi di fondamentalismo non li vedo. So soltanto che ad un certo momento interviene la corte islamica, ma più per procedere contro delinquenti comuni che per altro.

PRESIDENTE. Quando accade?

STEFANO MENICACCI. Credo dopo la partenza dell'Unosom, dopo il 1994. Anche all'epoca di Bari-Bari, è vero che era morto il vescovo Colombo nel 1989, ma elementi che comprovassero il fondamentalismo...

PRESIDENTE. Mi pare vi fosse Mohamed Atta, che poi sarebbe stato l'attentatore delle Torri gemelle.

STEFANO MENICACCI. C'è una cittadina in Somalia, dove sono i più irriducibili dal punto di vista religioso, al confine con l'Etiopia, per ragioni di confronto con i cristiani; si sentono un po' assediati, perché i kenioti e gli etiopi...

PRESIDENTE. Abbiamo una informativa del Sismi dalla quale risulta che a quella data - nel 1994 - vi sarebbe stato un incontro tra Mohamed Atta, che poi sarebbe stato l'attentatore delle Torri gemelle, con il capo degli islamici in Somalia. Questo per dire che c'era qualche fermento.
Comunque, non le risulta che vi siano state ragioni perché si possa chiamare in causa il fondamentalismo islamico?

STEFANO MENICACCI. Oggi c'è un ritorno...

PRESIDENTE. E questo lo sappiamo. Che cosa le ha detto l'avvocato Duale rispetto all'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin?

STEFANO MENICACCI. Con Duale abbiamo lavorato molti anni, abbiamo avuto e abbiamo tuttora rapporti di cordialità...

PRESIDENTE. Era un suo collaboratore?

STEFANO MENICACCI. È stato nel mio studio. Lui è un uomo che non ritornerebbe mai in Somalia.

PRESIDENTE. Perché altrimenti lo ammazzano?

STEFANO MENICACCI. No, ormai la sua è una vocazione occidentale. Ha cambiato anche nome (Douglas non è un nome somalo).

PRESIDENTE. Lei sa che è un informatore del Sismi?

STEFANO MENICACCI. Questo no. Su questo debbo mettere un punto interrogativo, me lo consenta.

PRESIDENTE. Noi lo abbiamo accertato. Poi, se sia un informatore attendibile o meno, questo è un altro discorso.

STEFANO MENICACCI. Presidente, le ho già detto che lui andò in Somalia e fu preso per portare quel gruppo. Questo ha prodotto anche un risentimento da parte del generale Rajola. Ho parlato con il generale Rajola, che fu dispiaciuto dell'intervento di persone di un altro servizio, come se si trattasse di un suo esautoramento. Duale si vantava di essere stato ufficiale dei carabinieri...

PRESIDENTE. Si vantava di essere anche un informatore del Sismi?

STEFANO MENICACCI. Questo no! Era un punto di riferimento, qua in Italia, di tanti somali (gran parte dei somali passano nel suo studio) ed era un uomo di particolare credito a livello di Ministero degli esteri. Ma non più di questo.


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PRESIDENTE. Che cosa le disse Duale a proposito dell'omicidio di Ilaria Alpi?

STEFANO MENICACCI. Ha sempre sostenuto che a suo parere il suo cliente, Hassan, non era presente.

PRESIDENTE. Parlo delle causali dell'omicidio.

STEFANO MENICACCI. Secondo me, lo fa per difendere il suo assistito; ha cercato sempre di accreditare la tesi che effettivamente in Somalia vi siano stati traffici di rifiuti (e non solo di rifiuti), però io l'ho sempre sfidato a darmi una prova, un riscontro, una foto. Al di là di questo non è andato. Secondo me, lo fa per cercare di accreditare la tesi che, se c'è qualche cosa di illecito, è collegabile agli italiani, non ai somali e, quindi, non ad Hashi. Lo fa, secondo me, per una finalità strumentale difensiva del proprio assistito.

PRESIDENTE. Quindi, non corrispondente alla verità o quanto meno alle sue consapevolezze.
Sempre nel contesto della corte di assise, lei dichiara: «Probabilmente, parlando con l'avvocato Duale, si sospettò che potesse essere Ilaria in uno scenario legato al fatto della mala cooperazione e su questo Marocchino mi ha detto moltissime cose; mi ha detto in particolare le ragioni per le quali c'è da sospettare l'illegalità in Somalia in ordine alla cooperazione; ma se questo la interessa, Marocchino ha detto che la mala cooperazione si accerta a Roma e non a Mogadiscio». Che significa? Queste cose gliele avrebbe riferite l'avvocato Duale; ovvero, l'avvocato Duale avrebbe fatto riferimento ad uno scenario legato alla mala cooperazione e a coinvolgimenti di Marocchino in questi traffici legati alla mala cooperazione.
Questa è una affermazione generica, nessuno le ha detto di specificare il suo pensiero; adesso, glielo chiediamo noi.

STEFANO MENICACCI. Presidente, cerco di essere preciso. Avevo chiesto a Marocchino se mi poteva parlare di episodi di mala cooperazione. Gliel'ho chiesto perché lei sa che c'è stata una Commissione parlamentare di inchiesta nel 1995 (o nel 1996); una delegazione di questa Commissione andò in Somalia e fu lui ad accoglierla (non sarebbe andata, se lui non l'avesse protetta).
Tra l'altro, presidente, ero un po' convinto, quando parlai in quella circostanza, che qualcosa di poco pulito ci fosse, perché io stesso, quando andai giù, mi accorsi che il famoso mattatoio che avevano costruito non funzionava (me ne accorsi già nel 1989) e che i macchinari per costruire le scarpe e per la conceria erano vecchi, disfunzionanti; inoltre, qualcuno mi disse che c'era stata una doppia fatturazione e che facevano finta che questi macchinari partivano dall'Inghilterra. Quindi, dei fatti illeciti c'erano. Allora, chiesi a Marocchino di dirmi qualcosa. Marocchino però lo ha escluso: mi riferì dell'esistenza di qualcosa, ma a livello di donativi, di regalie. Mi disse che una volta scaricò un container e una Mercedes, una volta scaricò delle mattonelle, dei mobili e un ascensore per il fratello di Siad Barre, ma come se fossero donativi delle ditte impegnate laggiù, piuttosto che veri e propri fatti di corruzione, di tangenti.
Quella frase che lei ha riferito a Duale, secondo cui bisognerebbe fare un accertamento a Roma piuttosto che a Mogadiscio, vuol dire che i fatti della mala cooperazione erano legati a decisioni prese dai partiti, dai membri del Governo a Roma. Lì fu presa a prestito una frase riferita da Rajola. Rajola davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta aveva detto: «Se volete sapere della mala cooperazione indagate nelle banche a Roma, piuttosto che in Somalia».

PRESIDENTE. «La seconda versione riferitami dall'avvocato Duale» - lei ha affermato - «ritiene che la Alpi sia stata uccisa perché a conoscenza di particolari imbarazzanti, in particolare la cooperazione; e si dice che lei indagasse ultimamente sulla vicenda delle navi che l'Italia aveva venduto alla Somalia, il cui gestore era tale ingegner Mugne».


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Ricorda di aver detto questo?

STEFANO MENICACCI. Sì, questo fu un discorso tra me e Duale, molto generico.

PRESIDENTE. Anche questo glielo ha detto Duale?

STEFANO MENICACCI. Sì.

PRESIDENTE. Anche su questo punto lei ha fatto qualche approfondimento con lo stesso Duale?

STEFANO MENICACCI. No, assolutamente.

PRESIDENTE. Gli ha chiesto di darle qualche indicazione?

STEFANO MENICACCI. No, assolutamente. Era l'argomento del giorno durante il processo di primo grado, alla vigilia, quindi senza altri particolari.

PRESIDENTE. Lei sa che l'avvocato Duale ci ha mosso una certa critica; secondo lui, Giancarlo Marocchino avrebbe messo la Commissione nelle condizioni di sentire dei testimoni, ma per raccogliere dichiarazioni non veritiere da parte di questi stessi testimoni. Douglas Duale dichiara: «In realtà, a Mogadiscio corrono molte voci e si parla molto anche della Commissione; per esempio, ho saputo che avete i nomi degli esecutori del delitto e che alcune informazioni sono state fornite dai testimoni di Marocchino; ulteriori notizie si traggono dalla relazione dei consulenti».
Le chiedo: perché Duale fa questa affermazione, con riferimento ai testimoni che Marocchino ci ha chiesto di sentire e che noi abbiamo sentito, portandoli in Italia (come lei sa)? Lei ha incontrato questi testimoni?

STEFANO MENICACCI. Incontro spesso Duale...

PRESIDENTE. Conosceva questi testimoni che sono venuti in Italia?

STEFANO MENICACCI. I nomi che sono stati forniti io non...

PRESIDENTE. Non i nomi!

STEFANO MENICACCI. Il Bashir, il portiere dell'Hamana, Jamil, che era l'uomo di Marocchino, quelli sì, però la verità è che secondo me il buon Duale - lo dico, presidente, con il dovuto rispetto - ha qualche informatore dentro la Commissione, perché sapeva tutto di questi testimoni che sono venuti; una volta me ne ha parlato. Chi lo ha detto a Duale?

PRESIDENTE. Io non gliel'ho detto.

STEFANO MENICACCI. Mi disse che erano venuti questi testimoni...

PRESIDENTE. Duale afferma che sarebbero stati indicati e poi ascoltati dei testimoni che avrebbero detto il falso o che sarebbero stati propensi a dire il falso - e sono, guarda caso, tutti testimoni ai quali siamo arrivati attraverso Marocchino - ; qual è la ragione per la quale Duale ha voluto screditare questi testimoni?

STEFANO MENICACCI. Presidente, lui temeva il coinvolgimento di Hashi.

PRESIDENTE. In altre parole, temeva che questi testimoni potessero dire....

STEFANO MENICACCI. A me ha chiesto se avevano fatto il nome di Hashi.

PRESIDENTE. Questa è una cosa importante.

STEFANO MENICACCI. Lui temeva che qualcuno...

PRESIDENTE. Temeva che facessero il nome di Hashi, dicendo il falso o dicendo il vero?


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STEFANO MENICACCI. Questo non lo so.

PRESIDENTE. Però, questa è la ragione.

STEFANO MENICACCI. Sì, presidente.

PRESIDENTE. Quindi, Duale...

STEFANO MENICACCI. Era preoccupato di questo fatto.

PRESIDENTE. E parlò con lei personalmente.

STEFANO MENICACCI. Sì, personalmente.

PRESIDENTE. Dopo le audizioni o prima?

STEFANO MENICACCI. Dopo le audizioni.

PRESIDENTE. A me risulta che lei avrebbe incontrato, a maggio di quest'anno, quei testimoni. Quali sono i testimoni che lei ha incontrato?

STEFANO MENICACCI. Presidente questi qui vennero...

PRESIDENTE. Perché li ha incontrati? È anche una cosa strana!

STEFANO MENICACCI. Le spiego, presidente. Abito in via della Lupa e ho lo studio in piazza Cavour; passo sempre davanti ai «Professionisti», che è un bar ristorante, presso il quale mangio spesso e presso il quale stabilmente si trova Duale, che mangia sempre lì. Questi testimoni - non certo invitati da me (non so come questo avvenne) - , stavano ad un tavolino lì davanti e parlavano, mi pare, anche con lui.

PRESIDENTE. C'era anche Marocchino?

STEFANO MENICACCI. No.

PRESIDENTE. A questo incontro non era presente Marocchino?

STEFANO MENICACCI. Aspetti un attimo. Adesso le dico la verità...

PRESIDENTE. Quella mi deve dire! Se fino ad ora non l'ha detta....

STEFANO MENICACCI. Le dico un fatto che mi viene in mente adesso. Due o tre di queste persone che vennero qui aspettavano Marocchino, perché gli avevano chiesto di dare loro qualche lira. Marocchino, che è povero in canna, non si è fatto vedere e si è defilato.

PRESIDENTE. Quindi, ha dovuto pagare lei.

STEFANO MENICACCI. Non ho pagato nulla. Può darsi Duale, perché in questi casi egli è generoso.

PRESIDENTE. Duale basta che paga e va tutto bene!

STEFANO MENICACCI. È generoso.

PRESIDENTE. Se lo ricorda Ali Hassan Osobow?

STEFANO MENICACCI. Erano Jamil...

PRESIDENTE. Se lo ricorda Abdi Jalla?

STEFANO MENICACCI. Io conosco solo Jamil, gli altri non li conoscevo per niente.

PRESIDENTE. Lei ha parlato con tutti e tre.

STEFANO MENICACCI. Mi pare...

PRESIDENTE. Lei sa che uno di questi, dopo che è stato ascoltato da noi, se l'è squagliata, è scomparso dalla circolazione.?


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STEFANO MENICACCI. Questo non lo sapevo.

PRESIDENTE. Mi riferisco ad Abdi Jalla, che, tra l'altro, è un personaggio un po' particolare, forse il più importante, perché era l'amico del famoso Gelle.

STEFANO MENICACCI. Ho capito. Questo non lo conoscevo proprio.

PRESIDENTE. Ha mai saputo le ragioni per le quali costui è scappato, dopo essere stato ascoltato dalla Commissione?

STEFANO MENICACCI. Presidente, ignoro che sia scappato; proprio non lo sapevo; lo apprendo da lei. Però, Duale sapeva tutto sui testimoni. Sulla macchina... Chi gliel'ha detto non lo so.

PRESIDENTE. Si è incontrato con questi testimoni, sì o no? Jamil qui non mi risulta, perché era un testimone di Marocchino.

STEFANO MENICACCI. Presidente, li incontrai mentre erano seduti ad un tavolino lì davanti, per un minuto; aspettavano qualche lira da Marocchino per comprarsi una maglietta. Se la squagliarono loro e me la squagliai anch'io...

PRESIDENTE. Il rapporto di Gafo è quello che abbiamo avuto anche da lei, in copia? E a proposito della scomparsa di questo rapporto di Gafo...

STEFANO MENICACCI. Scomparso come?

PRESIDENTE. Lei sa che ad un certo momento questo rapporto è scomparso, almeno da quello che risulta.

STEFANO MENICACCI. Lei parla di quello che aveva scritto a me?

PRESIDENTE. Del rapporto che ha fatto Gafo. Lei sa che ad un certo punto...

STEFANO MENICACCI. Gafo mi disse che lo aveva fatto, lo aveva poi messo...

PRESIDENTE. Gafo le disse che in quel rapporto aveva messo anche i nomi degli assassini?

STEFANO MENICACCI. No, questo no.

PRESIDENTE. Sa che questo rapporto scomparve, ad un certo punto?

STEFANO MENICACCI. Me lo ha detto Gafo, io questo non lo so...

PRESIDENTE. Per quale ragione sarebbe scomparso?

STEFANO MENICACCI. Fu sorpreso, ma la spiegazione non me la diede.

PRESIDENTE. Sa se Marocchino si sia dato da fare per capire se questo rapporto potesse essere rintracciato?

STEFANO MENICACCI. Non sapevo neanche se lo sapesse. Non credo. Non gliene ho parlato. Mi disse soltanto che c'era stato un altro rapporto della polizia del sud, che era pieno di notizie non veritiere, false e smentite

PRESIDENTE. Conosce Abdallah Ali Abdulrahman?

STEFANO MENICACCI. Mai sentito.

PRESIDENTE. Non sa se fosse una persona con cui si mise in contatto Marocchino, proprio in relazione al rintraccio di questo rapporto che, secondo le notizie che provengono da altre fonti, avrebbe contenuto la descrizione dei fatti e l'indicazione dei nominativi del commando?

STEFANO MENICACCI. Assolutamente. Strano che Gafo non ne abbia copia.

PRESIDENTE. Infatti, è andato disperso.


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STEFANO MENICACCI. Ma io credo che Gafo abbia manifestato la sua disponibilità a venire. L'ha detto a me allora e anche successivamente.

PRESIDENTE. Lo aspettiamo.

STEFANO MENICACCI. Di questo rapporto non ne ho mai parlato con Giancarlo Marocchino.

PRESIDENTE. Le leggo una intercettazione telefonica agli atti del processo di Asti: «Siccome Roghi, che parla con lui, dice che tu vieni messo in mezzo a questa faccenda, e mi hanno stancato, se dico ciò, ho delle cosucce e pubblicherò un libro».

STEFANO MENICACCI. Questo lo dice Marocchino a Roghi.

PRESIDENTE. Esatto. Ad un certo punto, Marocchino dice: «Io ce l'ho qui il verbale, non so se è acquisito. Tra l'altro, mi viene promesso un documento in cui ci sono i nomi degli occupanti la macchina. Il PM di Asti ritiene che questo documento rientra nella storia della cooperazione», «No è il famoso primo rapporto di Gafo, mi viene promesso da una persona che lavora con me; questo è trascritto all'inizio del 1998, quindi fatto noto alla Digos, alla polizia, alla magistratura». «Io gli ho chiesto: sei riuscito ad avere questo famoso documento bomba?». «È una bomba atomica», lo qualifica Marocchino. «Mi doveva essere dato dal signor Tot, che era interprete del comando italiano, eccolo qua, interprete del comando e del contingente italiano in Somalia, che poi è divenuto l'amministratore della società di Marocchino. Questo gli aveva promesso il documento, il contenuto del documento».
Leggo ancora: «Che fine ha fatto questo Abdallah Ali Abdulrahman?». «Un mese e mezzo fa, presidente» - dice lei - «è stato ucciso con un colpo al cuore, in un fatto al mercato, Si dice che dei negozianti hanno inseguito un ladro, hanno sparato e hanno ammazzato questo Abdulrahman, di cui si sapeva che stava cercando questo famoso rapporto, perché è sparito questo rapporto. Esiste. Lui stesso, all'inizio dell'anno... io ci ho qui le intercettazioni di Marocchino, che lo dice»...

STEFANO MENICACCI. «Ho qui le intercettazioni», lo dico io?

PRESIDENTE. No, lei dice: «Io c'ho qui le intercettazioni di Marocchino, che lo dice». Ed ecco l'intercettazione. Marocchino afferma: «Io spero di avere questo documento che è una bomba atomica e che dice la verità sul fatto di Ilaria Alpi, quello che ha fatto Gafo, forse arricchito da Gilao». «Poi dopo hanno dato tutto, perdoni, alla Polizia investigativa criminale»...
Quindi, nella dichiarazione che lei rende in corte d'assise c'è un richiamo forte a proposito di questa vicenda. Come è possibile che se ne sia dimenticato totalmente?

STEFANO MENICACCI. Il riferimento esiste, ma non ricordo i particolari. Però ricordo bene l'episodio del collaboratore di Marocchino che fu ammazzato al mercato.

PRESIDENTE. Con il quale Marocchino si sarebbe messo in rapporto per ricercare...

STEFANO MENICACCI. Questo fu ammazzato, me lo ricordo. Gli altri particolari (che lo cerca, che è una bomba) non li ricordo.

PRESIDENTE. Ma lei impara le cose a memorie e poi se le dimentica? Qui c'è un riferimento preciso!

STEFANO MENICACCI. Mi scusi, questa è una conversazione tra me e Marocchino?

PRESIDENTE. No, questa è una dichiarazione che lei ha fatto alla corte d'assise, sulla base dell'intercettazione telefonica all'interno del procedimento di Asti, da cui


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risulta che Marocchino dice di essere a conoscenza di questa bomba di documento...

STEFANO MENICACCI. Io ho confermato.

PRESIDENTE. Lei non solo conferma, ma fa riferimento a questa circostanza, cioè che costui era stato ucciso ed era la persona alla quale Marocchino si era rivolto per trovare quel documento. Inoltre, aggiunge che il documento non soltanto era costituito dal primo rapporto di Gafo...

STEFANO MENICACCI. Arricchito....

PRESIDENTE. ... ma addirittura era stato arricchito - come lei sta osservando - da Gilao. Questo è un capitolo caduto totalmente nel dimenticatoio?

STEFANO MENICACCI. Non ricordo tutti questi particolari. Però l'episodio l'ho confermato e lo confermo.

PRESIDENTE. Confermarlo rappresenta un punto di partenza,.

STEFANO MENICACCI. Non ricordo i particolari.

PRESIDENTE. Non vogliamo i particolari, vogliamo capire come stanno le cose. Veniamo a questo rapporto di Gilao.

STEFANO MENICACCI. Praticamente, Marocchino lo cercava disperatamente, avrebbe fatto del tutto per averlo; era interessato ad averlo, non a sopprimerlo. Gli era stato promesso e colui che aveva fatto questa promessa è stato fatto fuori.

PRESIDENTE. Quando si è interessato Marocchino del recupero del rapporto di Gilao?

STEFANO MENICACCI. Sempre all'epoca, nel 1998-1999; non so quando sia morto quell'uomo. Me lo ha detto Marocchino, glielo possiamo chiedere. Io ho voluto dare un contributo. Anche Gilao mi ha confermato che esisteva questo benedetto rapporto

PRESIDENTE. E che è a andato perso

STEFANO MENICACCI. Certo!

PRESIDENTE. Ma il rapporto l'aveva scritto Gilao, per cui sapeva...

STEFANO MENICACCI. È andato a Gilao, che lo ha anche modificato.

PRESIDENTE. Lei ha parlato con Gafo? Sapeva che aveva fatto questo rapporto? È possibile che non si sia entrati nel merito per capire quali fossero i contenuti del rapporto? Mi pare una cosa così strana!

STEFANO MENICACCI. Presidente, per scrivere quello che ha scritto Gafo ho perso due ore di tempo; per scrivere in italiano; più di quello... Non ero un investigatore, un inquirente, non gli ho chiesto di dirmi quello che è scritto nel rapporto. Il rapporto me l'ha sintetizzato in quello che ha scritto a me.

PRESIDENTE. Il commando, però, non è indicato in quel che ha scritto a lei. Non è indicata la ragione per la quale sono stati uccisi i due giornalisti.

STEFANO MENICACCI. Ho appreso questa notizia dopo aver parlato con Gilao; se lo avessi saputo prima...

PRESIDENTE. Lei ha detto di aver parlato con i parenti di Hashi Omar Hassan, quando, nell'aprile 1999, si recò in Somalia per fare questa mini inchiesta. Ci ha già detto che la ragione era quella di avvicinarsi ad un avvocato italiano, per il loro figlio. Le hanno chiesto qualche intercessione, qualche interessamento? Qualche tutela legale?

STEFANO MENICACCI. Non so se già sapevo che era stato incaricato l'avvocato Duale; eventualmente li ho confortati (avrò


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detto loro di stare tranquilli); avrò detto una parola di conforto e nient'altro. Non so se fosse presente un avvocato somalo.

PRESIDENTE. Yahya Amir era presente?

STEFANO MENICACCI. Chi è Yahya Amir?

PRESIDENTE. Non sa chi sia?

STEFANO MENICACCI. No.

PRESIDENTE. In corte d'assise lei ha dichiarato: «Sono venuti da me: Maduma Mohamed è la madre di Hashi, Omar Sehassan è il padre, Hussein Mohamed è lo zio, più Fadouma Mohamed che è una sorella, Kadì Giahamed che credo sia indicata qui come testimone, poi è venuto Abdi Mohamed, Alì Homan, Mamud Ussen, Mamud Ossen, Muidin Abdullah, Mohamed Omar e Yahya Hamir. Yahya Amir era il presidente della Società intellettuali somali che accompagnò il gruppo degli italiani quando vennero qui, compreso Hashi». Lei dice, quindi, che a questo incontro con i parenti di Hashi Omar Hassan c'era Yahya Amir. Lo conosceva?

STEFANO MENICACCI. Non lo conoscevo. L'ho visto lì.

PRESIDENTE. C'era anche Marocchino?

STEFANO MENICACCI. No. L'incontro si è svolto a casa di Marocchino, ma lui non c'era.

PRESIDENTE. Chi ha organizzato l'incontro con i parenti di Hashi Omar Hassan?

STEFANO MENICACCI. A Mogadiscio il tam-tam è facile. Loro seppero che era presente questo avvocato italiano e, allora, vennero. Non so chi l'abbia organizzato. Probabilmente il presidente della comunità per dimostrare solidarietà verso la famiglia.

PRESIDENTE. Ho capito.

STEFANO MENICACCI. Infatti, io sapevo che c'era un estraneo. Siamo stati lì pochi minuti.

PRESIDENTE. Chi è che li avrebbe convocati a casa di Marocchino?

STEFANO MENICACCI. Probabilmente quel signore.

PRESIDENTE. Yahya Amir?

STEFANO MENICACCI. Sì. Li avrà ospitati Marocchino.

PRESIDENTE. Marocchino, invece, dice una cosa diversa: «Sono stati a casa mia, chiamati dall'avvocato Menicacci quando è venuto giù da me, e l'avvocato Menicacci ha voluto chiedere informazioni a loro; e, diciamo, ha chiesto informazioni».

STEFANO MENICACCI. È probabile.

PRESIDENTE. Quindi, corregge la sua precedente dichiarazione.

STEFANO MENICACCI. Marocchino non sa se vennero loro o li chiamai io. È probabile che io abbia sparso la voce per poter parlare con qualcuno. Io ero interessato un po', ma oltre un certo limite non potevo andare. Come vede, ho cercato di fare il possibile, ma è stata una questione di due o tre giorni. Probabilmente ho messo in giro la voce, facendo sapere che volevo parlare con la famiglia di Hashi. Forse aspiravo a divenire il loro difensore.

PRESIDENTE. Lei ha raccolto le dichiarazione di queste persone?

STEFANO MENICACCI. No, da loro nessuna dichiarazione, eccetto il discorso generico che abbiamo fatto. Anzi, mi dissero


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che avevano già i propri avvocati difensori; quindi, non volevo interferire in nessun modo.

CARMEN MOTTA. Qual era, allora, lo scopo dell'incontro?

STEFANO MENICACCI. Probabilmente volevo sapere se avessero già un difensore, perché lo avrei fatto volentieri anch'io, oppure per sapere qualche notizia. Loro, però, non sapevano niente; infatti, mi dissero soltanto che il loro congiunto quel giorno non era a Mogadiscio. Fu un colloquio di pochi minuti.

PRESIDENTE. Mi ascolti, le leggo una serie di domande e risposte tra lei e il pubblico ministero. Il pubblico ministero le domanda: «Ha chiesto i documenti a queste persone?», e lei risponde: «Di riconoscimento?». «Sì.» «No, mi hanno dato la copia di una dichiarazione già con le firme autenticate rilasciate. Credo che erano state mandate.» «Mandate da chi?». «Credo che erano state mandate al difensore dell'Hashi».

STEFANO MENICACCI. Questo particolare non lo ricordo, però forse è vero; anzi, senz'altro perché io ho....

PRESIDENTE. Proseguiamo: Menicacci: «Io, infatti, ho tutti i verbali e le dichiarazioni e gliele ho fatte tutte sottoscrivere. Ho autenticato la firma che hanno sottoposto, ma per quello che può valere».

STEFANO MENICACCI. Questo particolare non lo ricordo, non vorrei che avessi... Era, evidentemente, una nomina.

PRESIDENTE. A noi risulta che dopo lei ha mandato...

STEFANO MENICACCI. È una nomina.

PRESIDENTE. Non è una nomina; sono le dichiarazioni di queste persone.

STEFANO MENICACCI. Andrò a vedere se le trovo tra le montagne di carte, ma non me le ricordo.

PRESIDENTE. Lei dichiara: «Dichiarazioni con firme già autenticate.»

STEFANO MENICACCI. Attestavano che Hashi non era presente o qualcosa del genere?

PRESIDENTE. Sono io che lo chiedo a lei.

STEFANO MENICACCI. Non lo ricordo.

PRESIDENTE. Lei afferma: «Infatti, in tutti i verbali che ho, le dichiarazioni gliele ho fatte tutte sottoscrivere.» Si parla, quindi, di dichiarazioni, non di procura. Quindi, prosegue: «Ho autenticato la firma che hanno apposto, ma per quello che può valere».

STEFANO MENICACCI. È probabile.

PRESIDENTE. E ancora: «Non i parenti me li hanno lasciati, ma i testimoni. Sono venuti da me. Ecco, questo è il gruppo delle persone che sono venute da me». Evidentemente, in quel momento, lei stava indicando una fotografia. «Questa è la mamma di Hashi, questo è il papà di Hashi, questo è lo zio e c'è una certa signora Fadouma che scriveva bene in italiano. Ha scritto tutto lei e quattro testimoni, i quali mi hanno rilasciato delle dichiarazioni scritte. Me le hanno rilasciate tutti e tre i testimoni, i quali avevano già mandato queste dichiarazioni, credo, all'avvocato Duale».
Cosa c'era in queste dichiarazioni? Cosa c'era scritto?

STEFANO MENICACCI. Non so.

PRESIDENTE. Non se lo ricorda?


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STEFANO MENICACCI. Questa Fadouma è una somala che parla benissimo italiano. Questi volevano rilasciare delle dichiarazioni...

PRESIDENTE. Per raccogliere queste dichiarazioni, lei si era messo d'accordo con Duale?

STEFANO MENICACCI. No, assolutamente; non sapevo nemmeno che Duale fosse il loro avvocato!

PRESIDENTE. La parola all'onorevole Motta.

CARMEN MOTTA. Grazie, presidente.
Quello che sta chiedendo si ricollega alla domanda che ho posto poco fa, quando ho invitato l'avvocato a dirci quale era lo scopo della riunione. Ciò che ho domandato poc'anzi è assolutamente legato a quello che lei sta chiedendo all'avvocato Menicacci. Noi abbiamo dei riscontri che ci dicono che quello non fu un incontro casuale né tanto meno....

PRESIDENTE. Preparato.

CARMEN MOTTA. Certamente preparato, ma dal quale abbiamo avuto delle evenienze, si sono avute delle dichiarazioni. Al di là del contenuto specifico, si è trattato di un incontro che ha prodotto comunque delle dichiarazioni. Avvocato, è molto strano che lei non ricordi perché quello che il presidente le ha precisato poco fa è molto circostanziato.

STEFANO MENICACCI. Eravamo alla vigilia del processo di Hashi...

CARMEN MOTTA. Mi lasci finire, avvocato. Concludo dicendo che a noi interessa capire se lei ha memoria di un qualche contatto con l'avvocato Duale: anche un semplice scambio di opinioni, di valutazioni e di informazioni reciproche, altrimenti non si riesce a capire perché lei raccolga così minuziosamente quelle dichiarazioni.

STEFANO MENICACCI. Le dico francamente che non mi ricordo se all'epoca già sapessi che fosse stato incaricato l'avvocato Duale. Credo che l'avvocato Duale non fosse stato ancora nominato o, forse c' era, da parte mia, un recondito desiderio di assumerne la difesa; questa è la ragione. Da tutti - come vede -, da Gafo e così via, cercavo delle...

PRESIDENTE. Duale dice, invece, che lei gliele ha mandate via fax.

STEFANO MENICACCI. Allora, evidentemente, lo sapevo. Lei, però, sa che Duale ha esercitato la professione di avvocato per dieci anni nel mio studio; probabilmente avevamo interesse di farlo insieme. Pensavo di fare l'avvocato insieme a lui.

PRESIDENTE. Mi scusi, avvocato, la cosa importante è - come dice l'onorevole Motta - che quell'incontro non fu un fatto casuale, come lei ha cercato di rappresentarlo prima, affermando che queste persone, improvvisamente, si sono presentate da lei. Adesso, invece, abbiamo accertato che era stato lei a mandarle a chiamare. Ma c'è di più: prima della sua partenza da Roma, tra lei e Duale c'era l'accordo di ascoltare queste persone. Comunque, è certo - lo affermava anche Duale - che le dichiarazioni da lei raccolte sono state, poi, mandate via fax a Duale; quindi, nella dinamica dei fatti non ha fondamento il fatto che lei volesse in qualche modo diventare il difensore di queste persone.
In quella riunione ci sono i parenti di Hashi ed altre persone che fanno delle dichiarazioni. Queste dichiarazioni che fine hanno fatto? Sarebbe opportuno che lei ricordi il tema che avete trattato in quell'occasione. Riesce ad aiutarci ?

STEFANO MENICACCI. Non lo ricordo, signor presidente. Pur ammettendo che li ho mandati a chiamare - adesso lo rammento, lei me lo ha ricordato - e tenuto conto che ho fatto avere queste dichiarazioni, forse perché avevo un interesse a curare la posizione di Hashi, il contenuto non lo ricordo; molto probabilmente,


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però, riguardavano la posizione di Hashi il giorno del delitto, cioè le dichiarazioni che allora attestassero... Però, da quello che.... Adesso, lei mi dà atto che le ho mandate subito a Duale. Io non lo ricordo; Duale, invece, lo sa e, quindi, dovrebbe essere lui ad esibire...

PRESIDENTE. In verità, durante l'esame testimoniale, Duale l'ha detto.

STEFANO MENICACCI. Praticamente mi sono limitato a raccogliere - poiché stavo lì - le dichiarazioni di costoro per passarle all'avvocato Duale, magari con il recondito fine di associarmi alla loro difesa.

PRESIDENTE. Ma questi non pagavano niente. Sono morti di fame...

STEFANO MENICACCI. Questi sono i motivi che ho presentato contro i giornalisti di Famiglia Cristiana. L'ho fatto gratis; ognuno ha i suoi...

PRESIDENTE. Qui c'è un groviglio di cose, questo è un altro discorso. Io, ad esempio, una difesa senza soldi non la prendere mai; anzi, più me ne danno e meglio li difendo!

STEFANO MENICACCI. È vero, signor presidente, è così. Questa, purtroppo, è una mia deformazione.

PRESIDENTE. I soldi sono importanti perché mettono la distanza tra l'imputato e l'avvocato.

STEFANO MENICACCI. Questo è il mio limite.

PRESIDENTE. Meno soldi si prendono e meno avvocati si è! Scusate la battuta.
La parola all'onorevole Schmidt.

GIULIO SCHMIDT. Grazie, presidente.
Avvocato Menicacci, Fadouma era il datore di lavoro di Hashi Omar Hassan?

STEFANO MENICACCI. Su questo non conosco i particolari.

GIULIO SCHMIDT. Non è lei che le ha messo per iscritto la dichiarazione in cui si dice che costei i1 24 marzo 1994 aveva accompagnato Hashi Omar Hassan?

STEFANO MENICACCI. Non ricordo chi mi ha rilasciato questa dichiarazione. Può darsi che ci sia anche quella della datrice di lavoro ma non lo ricordo. Non ricordo più se me l'abbiano rilasciata la madre o i parenti. Volli dare una mano ad un collega, Duale, che era cresciuto nel mio studio e al quale ero affezionato, anche se poi - questo me lo dovete consentire - non ho condiviso come ha difeso Hashi.

ROSY BINDI. «Difeso» è una parola grossa!

PRESIDENTE. «Difeso è una parola grossa», dice l'onorevole Bindi. Lei ha detto: «Non mi è piaciuto come ha difeso Hashi» e l'onorevole Bindi ha risposto: «Difeso è una parola grossa». Secondo me, in questo caso, oltre che grossa è anche abusata.
Conosce Claudio Roghi?

STEFANO MENICACCI. Certo che lo conosco. È un uomo di Montecatini che si interessa di import-export e si picca di essere molto competente in materia di costruzione....

PRESIDENTE. A me, però, interessa sapere per quale motivo lei ci si è messo in contatto prima che venisse sentito dalla nostra Commissione.

STEFANO MENICACCI. Claudio Roghi...

PRESIDENTE. Abbiamo appurato che, prima di essere interrogato dalla Commissione, qualcuno veniva sistematicamente contattato da lei o la contattava.


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STEFANO MENICACCI. Non è vero! Come facevo a sapere quando una persona doveva venire qui da voi?

PRESIDENTE. Non mi dica che le debbo fornire la prova, perché mi metterebbe in difficoltà.

STEFANO MENICACCI. Erano loro che mi contattavano, perché sapevano che ero l'avvocato di Marocchino.

PRESIDENTE. Ma lei doveva dire: «Devi andare in Commissione e non devi parlare con l'avvocato»!

STEFANO MENICACCI. Io non gli davo nessuna istruzione, perché non potevo sapere quali erano le domande che gli avreste fatto. Qualcuno mi telefonava...

PRESIDENTE. Si ricorda di avere incontrato Claudio Roghi prima che la Commissione lo ascoltasse?

STEFANO MENICACCI. Claudio Roghi l'ho incontrato una volta soltanto, ma non ricordo se prima o dopo la sua audizione in Commissione.

PRESIDENTE. Sicuramente prima, perché dopo non serviva più. L'ha incontrato da solo o con Giancarlo Marocchino?

STEFANO MENICACCI. C'era Giancarlo Marocchino.

PRESIDENTE. Di cosa avete parlato?

STEFANO MENICACCI. Io conosco il Roghi, abbiamo parlato anche di questo. Il Roghi aveva portato un carico di farina in Somalia e non era stato pagato. Si trattava di una cosa grossa che era stata sequestrata dalla corte islamica. Io ero piuttosto indignato; ecco perché ho accettato di parlare con lui. Il procuratore di Asti, Tarditi, aveva dichiarato anche in un'altra sede - al tribunale di Alba - che le sue indagini fallirono perché l'avvocato Menicacci aveva avvertito Roghi, le cui telefonate erano intercettate ...

PRESIDENTE. Conosce un certo Mohamed Ahmed Mohamud, detto «Gargallo»?

STEFANO MENICACCI. Gargallo? Assolutamente no. Chi è?

PRESIDENTE. Uno di Padova.

STEFANO MENICACCI. No, so che Marocchino aveva rapporti con un somalo di Padova, che era un imprenditore. Poi mi ha detto che era malato, un po'...

PRESIDENTE. Un imprenditore? Che faceva?

STEFANO MENICACCI. Si occupava di import-export di pezzi di ricambio e di cose di questo genere.

PRESIDENTE. L'ha mai conosciuta, questa persona?

STEFANO MENICACCI. Non ricordo se ci ho mai parlato, può darsi. Può darsi che negli anni passati io l'abbia contattato, ma non recentemente...

PRESIDENTE. Sapeva che questa persona era la fonte di Udine?

STEFANO MENICACCI. La fonte...?

PRESIDENTE. Di Udine.

STEFANO MENICACCI. No. Non lo so tuttora.

PRESIDENTE. Allora glielo dico io.

STEFANO MENICACCI. Dico questo perché il 3 novembre ho il processo per calunnia contro Sebri e la difesa di Sebri, che è rappresentata dall'avvocato D'Amati, avvocato difensore della famiglia Alpi...

PRESIDENTE. Va bene, va bene. Non voglio...


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STEFANO MENICACCI. Ha addotto come testimone la Donadio.

PRESIDENTE. Non facciamo entrare queste cose in una situazione che non ci riguarda. Gargallo, quindi, lei non l'ha mai conosciuto; anzi, può darsi che l'abbia conosciuto. Sa che, invece, aveva un rapporto con questa persona di Padova ...

STEFANO MENICACCI. Marocchino ha comprato un po' di roba qua e là; ha telefonato a Torino, dove ha alle dipendenze dei somali; altri ne ha a Roma. Credo che abbia contattato anche questo, ma non me ne ha parlato molto bene.

PRESIDENTE. Conosce Bizzio?

STEFANO MENICACCI. Bizzio ?

PRESIDENTE. Nickolas Bizzio.

STEFANO MENICACCI. Certo che lo conosco. Nickolas Bizzio è quello che ha querelato Sebri davanti al tribunale di Alba. Mai conosciuto da Marocchino, né tanto meno da me. Si sono conosciuti per la prima volta comparendo davanti al tribunale di Alba.

PRESIDENTE. Chi è questo Bizzio?

STEFANO MENICACCI. Bizzio è un cittadino americano, piuttosto ammanicato, che risiede a Montecarlo. Nei primi anni ottanta, secondo quello che lui stesso ha dichiarato, aveva, su richiesta di Luciano Spada che faceva la manutenzione ordinaria ...

PRESIDENTE. Quello che è morto nel 1989?

STEFANO MENICACCI. Sì, il 4 aprile del 1989. Prospettò un viaggio di rifiuti tossici provenienti dalla marina americana - lui è ammanicato con gli americani - per la Guinea; però, questo traffico non andò in porto perché tutto il mondo ambientalista protestò. Quel progetto, quindi, andò a monte.
Nel 1987, Luciano Spada convenne con Guido Garelli un protocollo di accordo per eventuali trasporti di rifiuti tossici nel Sahara spagnolo. Questo protocollo di accordo - che la sentenza della corte d'assise del 26 giugno 2002 ha squalificato, dicendo che non si è mai realizzato (ciò emerge anche dalla sentenza di condanna del Garelli che io, in parte, ho prodotto e che è stata considerata una mera esercitazione contrattuale, cioè un mezzo truffaldino per gabbare i gonzi) - è datato 10 dicembre 1987, con la firma sia di Garelli sia di Spada, ma anche con una firma di Bizzio che lui stesso ha disconosciuta.
Siccome Garelli compariva con una compagnia, Miniera Rio de Oro, sita nel Sahara spagnolo, lo Spada - che non aveva nessuna società - chiese a Bizzio (che gli disse: «Fai pure») di utilizzare la sigla della Instrumag, una società che è rimasta inoperosa e di cui Bizzio non era nemmeno amministratore. Il Bizzio, quindi, compare in questa situazione; Spada muore e questo progetto non si realizza perché Garelli viene messo in galera il 28 gennaio 1988, prima dell'inizio del progetto, che era previsto per il 31 gennaio 1988, ed esce il 16 novembre del 1989. Il progetto rimane sulla carta.
Nel 1996 ricompare Bizzio - a proposito del progetto Mozambico, cioè il decreto del Governo di Maputo che va ad Aguirre, il quale sta in Argentina, e da qui passa all'ingegner Ruzzi, che è dell'ambasciata argentina in Italia. Il Ruzzi contatta, perché è vicino di casa in Corsica, il Bizzio e qui nasce quel progetto con Sebri. La procura di Milano...

PRESIDENTE. Lei ha interrogato la donna del tè?

STEFANO MENICACCI. No. Mi posi il problema ma Marocchino mi disse che era sparita. Mi disse che il giorno dopo era partita e non si è vista più. Marocchino mi disse, anche, che le donne del tè che erano venute in Italia non erano quelle originali. Inoltre, mi disse che Fadouma - la moglie di Marocchino - era andata a cercarla per sapere come stavano le cose.


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PRESIDENTE. Secondo Marocchino, quindi, la donna che è stata sentita dalla DIGOS a Roma non era la donna del tè - diciamo così - giusta.

STEFANO MENICACCI. Me lo ha confermato anche la Fadouma.

PRESIDENTE. Quale Fadouma? La moglie di Marocchino?

STEFANO MENICACCI. Si, Fadouma Mohamed, la compagna di Marocchino.

PRESIDENTE. Quando è stato in Somalia ha potuto fare un approfondimento su questo punto?

STEFANO MENICACCI. No, signor presidente. Andai lì, quel giorno, e mi sembra che ci fosse una donna del tè, ma non era quella.

PRESIDENTE. La parola all'onorevole Motta.

CARMEN MOTTA. Grazie, presidente.
Avvocato Menicacci, poiché penso di aver perso qualche passaggio, mi scusi anticipatamente se le farò delle domande che le sono già state poste dal presidente e a cui lei ha già risposto.
Quando si è recato a Mogadiscio e ha cercato di ricostruire il percorso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, lei ha avuto la possibilità di contattare delle persone che hanno detto di essere state, in qualche modo, testimoni dell'omicidio. Potrebbe dirci chi sono queste persone che lei ha contattato? Ha la possibilità di fornirci qualche nome?

STEFANO MENICACCI. Il vero scopo del mio viaggio a Mogadiscio - a parte il fatto che mi piace molto viaggiare - era quello di andare a parlare con Marocchino per convincerlo a venire davanti la corte d'assise d'appello che stava per iniziare i suoi lavori. Questo fu il principale motivo; quindi, dopo aver parlato con Marocchino, io ero appagato. Debbo dire che incontrai Marocchino a casa sua diverse volte e gli feci raccontare la storia. Credo di avere una memoria su tutta la storia di Marocchino che, poi, lui ha ripetuto qui; quindi, penso che non serva. In quell'occasione per mero scrupolo - fu una presenza di tre-quattro giorni - utilizzai il tempo per andare sul posto, per conoscere Mogadiscio, per parlare con Gafo, per far venire la famiglia di Hashi e per parlare con l'esponente alto della tribù degli haber-ghedir, perché mi interessava molto il problema del check-point...

CARMEN MOTTA. Sì ho capito; quindi, lei non ha contattato persone che possano definirsi testimoni del duplice omicidio.

STEFANO MENICACCI. Sta parlando del fatto omicidiario?

CARMEN MOTTA. Sì.

STEFANO MENICACCI. Gliel'ho detto; sono andato lì, ho parlato con il portiere dell'albergo, con colui il cui figlio era ferito e con il proprietario...

CARMEN MOTTA. Quelli sono...

STEFANO MENICACCI. Un po' con le guardie del corpo, che mi hanno detto della storia della macchina che passava.

CARMEN MOTTA. Da chi ha avuto queste indicazioni? Ha parlato con qualcuno in particolare?

STEFANO MENICACCI. Ho osato, nel senso che sono andato lì di persona, circondato da venti armati, a parlare con il portiere dell'albergo, poi sono andato - sempre circondato dagli uomini armati - a parlare con quello lì in mezzo a cento somali (si vede anche dalle fotografie). Quando mi dissero che quella persona era presente io ho osato: sono andato al negozietto e l'ho fatto tirare fuori.

CARMEN MOTTA. Marocchino era presente a questi incontri?


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STEFANO MENICACCI. No, non era presente. Era una mia iniziativa personale.

CARMEN MOTTA. Quindi, lei ha incontrato tutte queste persone da solo.

STEFANO MENICACCI. Gli avevo chiesto di procurarmi una guardia di scorta. Solo questo. Lui non è mai venuto con me anche perché - glielo dico francamente - era molto pericoloso.

CARMEN MOTTA. Da quanto tempo conosce Bashir?

STEFANO MENICACCI. Marocchino lo conosco dal...

CARMEN MOTTA. Sto parlando di Bashir.

STEFANO MENICACCI. Lo conobbi in quella circostanza.

CARMEN MOTTA. Quando?

STEFANO MENICACCI. Nel 1999.

CARMEN MOTTA. Lei conobbe Bashir nel 1999 e allora...

STEFANO MENICACCI. Ero andato lì nel 1989. Nel periodo di Siad Barre non c'erano le scorte.

CARMEN MOTTA. D'accordo, ma...

STEFANO MENICACCI. La scorta fu successiva. Poi sono ritornato nel 1999.

CARMEN MOTTA . Lei, quindi, incontra Bashir nel 1999 e lo conosce.

STEFANO MENICACCI. Superficialmente, so che è un uomo della scorta di Marocchino. Un uomo particolarmente fidato.

CARMEN MOTTA. Benissimo. Da Bashir apprende delle circostanze relative all'omicidio?

STEFANO MENICACCI. Assolutamente no. Io ho detto che ho notato, mentre andavo con la macchina, un suo gesto particolare; quindi, ho chiesto a Marocchino: «Che voleva fare? Che voleva dire?» e Marocchino mi ha risposto: «Ha visto che è passata la Land Rover, tu hai visto una macchina passare senza saperlo».

CARMEN MOTTA. Perché in realtà...

STEFANO MENICACCI. Io di questo non ho parlato con Bashir.

CARMEN MOTTA. Bashir dice che, in realtà, lui ha parlato con lei, ma non le ha rivelato i nomi perché queste persone correvano pericolo di vita. Ricorda questo particolare?

STEFANO MENICACCI. Bashir ha detto questo?

CARMEN MOTTA. Sì.

STEFANO MENICACCI. È probabile.

CARMEN MOTTA. Bashir dice di aver parlato con lei...

STEFANO MENICACCI. Dunque ha detto questo. Chi correva pericolo di vita?

CARMEN MOTTA. Bashir era a conoscenza dei nominativi...

STEFANO MENICACCI. Certo, Bashir rischiava la vita.

CARMEN MOTTA. Non solo lui, ma tutti quanti.

STEFANO MENICACCI. È evidente; questa era una preoccupazione logica.

CARMEN MOTTA. D'accordo, ma lei sta dicendo che non ha parlato di queste cose con Bashir.


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STEFANO MENICACCI. Questa era la preoccupazione di Bashir, ma io queste cose non glielo ho nemmeno chieste. Non osavo, proprio per ..

CARMEN MOTTA. Lei mi sta dicendo che con Bashir non ha mai parlato di nomi e che Bashir non le ha mai riferito di essere a conoscenza degli eventuali esecutori, ma che non rivelava questi nomi per timore.

STEFANO MENICACCI. Lo potevo intuire; già il fatto che mi avesse indicato la macchina voleva dire che lui conosceva la situazione e probabilmente gli occupanti.

CARMEN MOTTA. Lei non gli ha chiesto niente?

STEFANO MENICACCI. Io non gli ho chiesto nulla.

CARMEN MOTTA. Avvocato, visto che era così interessato, perché non gli ha chiesto niente?

STEFANO MENICACCI. Perché era un fuor d'opera, perché io capivo che lui non avrebbe detto mai: «Guarda, quelli sono gli assassini». Non l'avrebbe detto mai! In quelle circostanze non l'avrebbe detto. Se lo ha detto dopo, è a seguito di una serie di pressioni che non so.

CARMEN MOTTA. Marocchino non le disse mai che Bashir gli aveva parlato di qualcosa al riguardo?

STEFANO MENICACCI. No, assolutamente. Vantava un po' le attitudini militaresche del Bashir, ma non più di questo.

CARMEN MOTTA. In che senso «militaresche»?.

STEFANO MENICACCI. Nel senso che era un guerrigliero di sicura fiducia. Un uomo gagliardo.

CARMEN MOTTA. Ho capito. Conosce Ali Hassan Osobow?

STEFANO MENICACCI. Come?

CARMEN MOTTA. Osobow.

STEFANO MENICACCI. No, mai sentito nominare; o almeno non ricordo.

CARMEN MOTTA. Signor presidente, siamo in seduta segreta?

PRESIDENTE. No. Di che cosa state parlando?

CARMEN MOTTA. Credevo che questa parte della seduta fosse segretata.

PRESIDENTE. No, non è segretata.

CARMEN MOTTA. Mi riferisco a poco fa, quando ho rivolto delle domande all'avvocato. Abbiamo fatto un nome che forse era segretato

PRESIDENTE. Non ho mai fatto quel nome.

CARMEN MOTTA. Ma l'ho fatto io.

PRESIDENTE. Onorevole Motta, stiamo parlando di un'altra persona; infatti, con questa denominazione sono indicati due individui: quello del quale stiamo parlando è la persona che l'avvocato Menicacci ha già indicato in corte d'assise e non ha nulla da spartire con la persona che ci riguarda. Si tratta di due persone che hanno il medesimo nome. Si tratta di due persone che vengono chiamate nella medesima maniera, anche se non si sa bene chi siano. La persona di cui parla l'avvocato Menicacci è già stata pubblicamente indicata in corte d'assise.

CARMEN MOTTA. Presidente, lei ha già chiesto di Jalla.

PRESIDENTE. Sì, gli ho chiesto di Jalla, ma non ha nessun ricordo.

CARMEN MOTTA. Anche quello non è...


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PRESIDENTE. È il testimone scomparso.

CARMEN MOTTA. Sì, è il testimone scomparso.

PRESIDENTE. Gelle e Jalla scompaiono.

CARMEN MOTTA. Esatto. L'avvocato li ha mai incontrati?

PRESIDENTE. Li ha incontrati, però non ha ricordo dell'incontro.

STEFANO MENICACCI. Non ricordo se costui ci fosse e che fine abbia fatto.

PRESIDENTE. Lui ne conosceva uno soltanto, gli altri non li conosceva.

CARMEN MOTTA. Quindi, i due nomi che ho citato a lei non dicono nulla.
Vorrei ritornare un attimo sull'incontro, in casa di Marocchino, con i parenti di Hashi; poc'anzi, lei ha detto che era possibile che con Duale ci fosse stato qualche contatto.
A tal proposito, avvocato, le faccio una domanda diretta e secca: lei aveva preso accordi con Duale per fare queste audizioni?

STEFANO MENICACCI. Onestamente non me lo ricordo. In un certo senso con Duale coabitavamo professionalmente. Quando ho deciso di andare in Somalia per sentire Marocchino è probabile che lo abbia detto a Duale. Non ricordo, però, di aver detto che avrei cercato i parenti di Hashi, suoi clienti; infatti, la cosa era all'inizio; anche dal punto di vista professionale, non ho combinato con lui, o almeno non lo ricordo. Può anche darsi che io gli abbia detto: «Cerco i parenti di Hashi», ma non credo. È stata una mia iniziativa in Somalia per sapere qualcosa, sapere veramente il ruolo di questo Hassan per capire se potevo assisterlo professionalmente; quando, però, ho saputo che l'avvocato era Duale, allora ho rimesso...

CARMEN MOTTA. Quando ha saputo che l'avvocato era Duale?

STEFANO MENICACCI. Probabilmente, me lo hanno detto loro: «Noi abbiamo già l'avvocato Duale»; oppure, l'ho appreso subito dopo. Il problema è che gli ho dato subito i documenti e non ho mai interferito. Più tardi seppi che c'era anche l'avvocato Moricone - ottimo collega -, quindi non mi sono più interessato.

PRESIDENTE. La ricostruzione dei fatti, però, non è questa.

STEFANO MENICACCI. Non lo ricordo. Può darsi che io sia andato in Somalia d'accordo con Duale, è probabile. Bisognerebbe chiedere a Duale quando è stato nominato difensore...

CARMEN MOTTA. Le sto facendo queste domande perché faccio un po' fatica a credere che lei non abbia più riparlato di questo fatto con Duale e non abbia potuto ricostruire le cose.

STEFANO MENICACCI. Sempre ci siamo parlati, con Duale.

CARMEN MOTTA. Appunto per questo! Non mi sembra normale che lei non ricordi se avesse o no concordato la cosa con l'avvocato Duale.

STEFANO MENICACCI. Bisogna che parli con lui e me lo faccia ricordare.

PRESIDENTE. Del resto, che cosa c'entrava un altro avvocato? Lui ormai era difeso da Duale e non so se anche da Moricone. Voglio dire che la vicenda stava già in dibattimento.

STEFANO MENICACCI. No, il dibattimento non era ancora cominciato.

PRESIDENTE. Va bene, ma Hashi era stato arrestato e Duale lo difendeva; c'era anche Moricone.


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STEFANO MENICACCI. Può darsi che sia stata una mia iniziativa per fare una cosa gradita e utile a Duale. Può darsi pure che io abbia pensato: gli porto delle dichiarazioni; può darsi, invece, che me l'aveva detto. Anzi, le debbo dire - mi viene ora il sospetto - che quelle dichiarazioni erano già state preparate e pronte per la firma perché probabilmente Duale aveva detto di prepararle e di consegnarmele. È probabile che sia così, non ricordo i particolari.

PRESIDENTE. Non si capisce, però, perché lei li ha autenticati.

STEFANO MENICACCI. Li ho autenticati io?

PRESIDENTE. Si, li ha autenticati lei.

STEFANO MENICACCI. Mi danno una dichiarazione scritta e, quindi... si usa...

CARMEN MOTTA. Il problema è che questi testi a discarico dell'Hashi non sono stati ritenuti attendibili dalla corte di assise; quindi, insistiamo perché c'è un punto irreale, cioè facciamo - anzi faccio - un po' fatica a credere che lei non ricordi proprio. Comunque, ne prendiamo atto.

STEFANO MENICACCI. Quelle dichiarazioni riguardavano solo la presenza di Hassan a Mogadiscio, e basta.

PRESIDENTE. Si tratta dell'alibi! Le sembra niente?

CARMEN MOTTA. Le pare poco?

STEFANO MENICACCI. Evidentemente Duale mi aveva detto: «Portamele su». Sicuramente le aveva fatte preparare, oppure le abbiamo preparate lì. Onestamente non lo ricordo.

PRESIDENTE. Voi sapevate che Hashi Omar Hassan non c'entrava niente con l'omicidio?

STEFANO MENICACCI. Questa era la tesi di Duale fin dal primo momento. Lui ha sempre giurato che Hashi non c'era. Le debbo dire anche un'altra cosa...

PRESIDENTE. Avete preparato i documenti?

STEFANO MENICACCI. Probabilmente aveva fatto preparare i documenti. Ma le dico di più: mi ricordo che c'è un'intercettazione telefonica che riguarda una conversazione tra Marocchino e Roghi dove quest'ultimo dice: «Hanno arrestato Hassan» - stiamo parlando dei primi del 1998 - e Marocchino risponde: «E quello cosa c'entra? Non c'entra niente». C'è una frase di questo genere; Marocchino disse subito questa frase.

CARMEN MOTTA. Presidente, io ho finito.

PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, la ringraziamo...

STEFANO MENICACCI. Signor presidente, ognuno vive le proprie storie sia personali sia professionali in base al proprio temperamento e alla propria sensibilità. La volta scorsa, dissi che, a mio parere, c'erano state in questo procedimento delle forzature, tant'è vero che ciò determinò una censura - giustificata dal suo punto di vista - dell'onorevole Bindi che è qui davanti a me.
Adesso io ho seguito con molto scrupolo il processo Alpi e altre questioni; quindi, ho ritenuto mio dovere - e vi sorprenderà la mole - di presentare dei motivi di appello nei confronti dei giornalisti di Famiglia Cristiana perché Sebri è stato condannato - come voi sapete - a due mesi di reclusione con pubblicazione della sentenza su vari giornali.
Ho ritenuto di presentare dei motivi di appello sulla base degli elementi che ho - che sono «monchi» rispetto a quelli che avete voi - riguardanti la storia del caso Somalia, la Ilaria Alpi, traffici di rifiuti e


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traffici di armi che ho enumerato in almeno una ventina di grossi depistaggi che esistono su questa faccenda.
Signor presidente, io vorrei, come umile segno di volontà collaborativa, consegnare alla Commissione questo dossier perché io certe cose non le posso sopportare. Ad esempio, l'ultimo numero di Famiglia Cristiana, perdonatemi, dove si parla di...

PRESIDENTE. Lasciamo perdere, per cortesia.

STEFANO MENICACCI. Io ho il dovere di reagire...

PRESIDENTE. Scusi, avvocato, se deve fare delle azioni giudiziarie...

STEFANO MENICACCI. Si mettono i coperchi dei bidoni del catrame, che sono i coperchi dei bidoni, sulla strada Garoe-Bosaso. Scalettari è andato giù e...

PRESIDENTE. Avvocato Menicacci, lei qui non è un imputato che possa fare dichiarazioni spontanee. Riceviamo volentieri questi atti che lei vuole consegnarci, ma lei trarrà le sue conclusioni nelle sedi competenti.

STEFANO MENICACCI. Presidente, fra pochi giorni avrò un processo contro Aldo Anghessa. Lo ha mai sentito nominare? Vengo a scoprire che Aldo Anghessa è socio di Franco Oliva. Non so se la Commissione lo sa...Della società Pindaro, ci sono tutte...

PRESIDENTE. Qui ci sono quindici-venti processi di giornalisti contro altri giornalisti, e via dicendo. Noi ci occupiamo d'altro; il nostro compito, infatti, è quello di accertare la verità sull'omicidio dei due giornalisti italiani...

STEFANO MENICACCI. Che Aldo Anghessa fosse socio di Franco Oliva lo sapete?

PRESIDENTE. Sì, lo sapevamo. La ringrazio e dichiaro concluso l'esame testimoniale.

La seduta, sospesa alle 21,15, è ripresa alle 21,35.

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