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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale del dottor Francesco Borrè, al quale facciamo presente che viene ascoltato con le forme della testimonianza e quindi con l'obbligo di dire la verità e di rispondere alle nostre domande.
Le chiediamo, anzitutto, di dichiarare generalità, qualifica, attività lavorativa, dove svolge servizio attualmente e quant'altro serva ad identificarla.
FRANCESCO BORRÈ. Sono Francesco Borrè, nato a La Spezia il 29 dicembre 1961. In questo momento sono vice questore aggiunto della Polizia di Stato e vice dirigente della squadra mobile di Genova.
PRESIDENTE. Prima di assumere l'incarico di dirigente della squadra mobile, che attività ha svolto, sempre a Genova?
FRANCESCO BORRÈ. Immediatamente prima, ero un funzionario del centro operativo della Direzione investigativa antimafia, quindi con funzioni investigative nel settore giudiziario, per così dire.
PRESIDENTE. Da quando ha ricoperto tale incarico? E fino a quando?
FRANCESCO BORRÈ. Sono entrato nella Direzione investigativa antimafia nel 1995 e ne sono uscito tre anni e mezzo fa.
PRESIDENTE. Tra le indagini da lei svolte in quel periodo, ha ricordo di investigazioni intorno al traffico di armi e di rifiuti tossici e/o radioattivi dall'Italia verso la Somalia?
FRANCESCO BORRÈ. Vorrei fare una breve premessa per spiegare che cosa facevo alla DIA con riferimento a questa indagine.
Alla fine del 1995 (o ai primi mesi del 1996) iniziammo un'attività come centro operativo DIA di Genova, quindi come referenti della procura della Repubblica di Genova, su un gruppo che ritenevamo di un certo interesse, una famiglia calabrese stanziata a Chiavari - la famiglia Nucera - che, tra le altre, aveva anche un'attività di smaltimento rifiuti. Quindi, iniziammo con un'attività d'indagine in senso stretto, cioè un'attività...
PRESIDENTE. In che anno siamo, dottore?
FRANCESCO BORRÈ. Alla fine del 1995 o nei primi mesi del 1996; le date esatte adesso non saprei dirle, anche perché non ricordo la data in cui iniziammo formalmente un'attività d'indagine. L'attività veniva fatta con i normali strumenti d'indagine - intercettazioni telefoniche, eccetera -, avendo sempre come punto di riferimento la procura della Repubblica di Genova, quale autorità giudiziaria competente.
Alla fine del 1996, forse ai primi del 1997, ci trovammo a prendere in considerazione un sito che poco tempo dopo divenne famoso, ovvero la discarica di Pitelli. La famiglia Nucera era uno dei tanti imprenditori che trattavano e che conferiva rifiuti - stiamo parlando di rifiuti solidi urbani, non di quelli speciali o di altre cose - alla discarica di Pitelli.
Ci eravamo fatti l'idea (che peraltro, alla fine, non risultò suffragata da alcun elemento di fatto) che vi fossero dei conferimenti irregolari, ad esempio in termini di pesi errati, e che sostanzialmente si truccasse il quantitativo di rifiuti destinati alla discarica. In quella circostanza ci trovammo a sovrapporci, nel senso letterale del termine, ad incappare in un'indagine della procura della Repubblica di Asti, condotta dal dottor Tarditi, che partiva da diversi presupposti (anche in quel caso si parlava di smaltimento illecito di rifiuti, in un'accezione generale).
Tale sovrapposizione comportò sostanzialmente uno spostamento della competenza sulla procura della Repubblica di Asti, anche se di fatto la nostra indagine rimase a La Spezia per competenza. Di fatto il dottor Tarditi prese in mano l'attività di indagine e in parte anche la nostra. In quel contesto, in una posizione assolutamente marginale, estranea rispetto all'attività di indagine che il dottor Tarditi conduceva con la sua sezione di polizia giudiziaria e con un'aliquota del Corpo forestale dello Stato, entrammo nell'indagine - diciamo così - un po' in veste di spettatori. Possiamo dire che la Direzione antimafia offriva (o teoricamente avrebbe dovuto offrire) all'indagine del dottor Tarditi un respiro internazionale maggiore e magari qualche chance di accertamento più ficcante, più efficace. In realtà non fu così. Presidente, ho dato un'occhiata alle mie carte, in quanto si tratta di una vicenda capitata qualche anno fa, per cui non ho ben presente la faccenda. Posso dire, però, che incappammo in una serie di cose che, detto francamente, volavano
ampiamente al di sopra delle nostre teste, per usare un termine banale. In sostanza, non riuscimmo a dare un apporto totale all'attività d'indagine.
Nelle carte ho trovato anche una mia annotazione, nell'ambito della quale riferisco al dottor Tarditi una serie di dati che acquisimmo da una fonte confidenziale.
PRESIDENTE. Ecco, come viene fuori un interesse all'accertamento dei rapporti tra Italia e Somalia rispetto al traffico di rifiuti di qualsiasi genere, a prescindere se radioattivi o meno? Attraverso questa fonte? Oppure c'era già qualche evidenza alla vostra attenzione?
FRANCESCO BORRÈ. Questo francamente non glielo so dire.
PRESIDENTE. Comunque, la fonte fu determinante?
FRANCESCO BORRÈ. Ritengo di sì. Almeno, per quanto riguarda la nostra posizione, come Direzione investigativa antimafia, l'unica carta che ho trovato, che facesse riferimento a quel tipo di collegamento è quella.
PRESIDENTE. Come sarebbe a dire, l'ha «trovata»?
FRANCESCO BORRÈ. Tra le mie carte.
PRESIDENTE. E all'epoca? Le mostro un appunto, che è così intitolato: «Dichiarazione informalmente resa da fonte confidenziale». Credo che sia stato redatto da lei.
FRANCESCO BORRÈ. Sì. C'erano anche degli allegati, che non ho qui con me.
PRESIDENTE. Li abbiamo noi, non si preoccupi; abbiamo tutto. Poi li vedremo.
Dunque, come si arriva alla raccolta di queste informazioni? Mi permetto di chiederle, nei limiti del ricordo - mi rendo conto che sono trascorsi molti anni - una certa precisione, in quanto si tratta di un punto che per la Commissione ha un certo rilievo.
FRANCESCO BORRÈ. Certamente. Faceva parte, probabilmente, di quelle attività che nella mia premessa ho cercato di far capire, nel senso che l'attività di indagine del dottor Tarditi era ampiamente avviata quando noi ci trovammo a sovrapporci. Il fatto che ci fosse a disposizione un ufficio come la Direzione investigativa antimafia probabilmente ha fatto sì che il dottor Tarditi ritenesse opportuno che anch'io andassi a sentire questa fonte. Io ho cercato sinceramente di ricordare questa fonte come fosse uscita...
PRESIDENTE. Perché? Non era una sua fonte?
PRESIDENTE. Non è una sua fonte, questa?
FRANCESCO BORRÈ. No. Francamente, ho cercato di ricordare come fosse uscita ma non è una mia fonte, sicuramente. Come arrivò questa fonte, francamente non lo so.
PRESIDENTE. L'avete sentita voi, però.
FRANCESCO BORRÈ. Sì, io e De Podestà. Presidente, non so cosa possa aver detto De Podestà, però sinceramente non era una mia fonte, assolutamente.
PRESIDENTE. Non era una sua fonte, dunque.
FRANCESCO BORRÈ. No. Non so come arrivò in campo questa fonte. Ho cercato di fare un po' mente locale, ma non ricordo...
PRESIDENTE. Ci spiega come avvenne l'audizione di questa fonte? Intendo dire proprio fisicamente.
FRANCESCO BORRÈ. Qui andiamo proprio così, a...
FRANCESCO BORRÈ. Sicuramente c'era De Podestà, perché l'ha firmata anche lui; quindi desumo dal fatto che l'abbia firmata che fosse presente anche lui.
PRESIDENTE. Allora, era più che altro una fonte di De Podestà.
FRANCESCO BORRÈ. Oppure non era nemmeno di De Podestà ed è arrivata a De Podestà tramite qualcun altro. Comunque sia, la mia attività d'indagine pregressa - ovvero, l'attività d'indagine sulla famiglia calabrese che conferiva rifiuti alla discarica di Pitelli - non aveva nessuna attinenza con la Somalia. Pertanto, non avevo alcuna occasione per incrociare qualcuno che potesse parlarmi della Somalia o di questi illeciti trasferimenti.
PRESIDENTE. Lei ci può indicare la fonte?
FRANCESCO BORRÈ. No, non perché non voglia indicarla, ma non avrei strumenti...
FRANCESCO BORRÈ. No, nel senso che non avrei dati per dirvi chi è questa fonte.
PRESIDENTE. Non conosce il nome e il cognome di questa fonte?
FRANCESCO BORRÈ. No, direi di no. Ripeto, ho scartabellato...
PRESIDENTE. Ce lo può descrivere? Era italiano?
FRANCESCO BORRÈ. A occhio potrei dire che non fosse italiano. Ho questo ricordo vago, però ripeto... anche perché dovrei provare a consultarmi con qualcuno e so che non è possibile farlo, per cercare di...
PRESIDENTE. Poteva essere un somalo?
FRANCESCO BORRÈ. Non glielo so dire, francamente.
ELETTRA DEIANA. In che lingua parlava?
FRANCESCO BORRÈ. Sicuramente si è espresso in italiano, questo è sicuro, altrimenti non saprei...
PRESIDENTE. Le leggo una dichiarazione rilasciata dal dottor De Podestà alla nostra Commissione, qualche settimana fa. «Avete avuto rapporti» - gli chiedo - «con la DIA di Genova?», e Gianni De Podestà risponde: «Sì». «Di che genere? Con riferimento ai fatti che ci interessano?». E la risposta di De Podestà è: «Premetto che la DIA di Genova entra già nell'inchiesta di Pitelli sulle discariche, della quale si stava interessando, perché aveva sentito un confidente che riferiva di attività illecite legate al porto di La Spezia»...
FRANCESCO BORRÈ. Però, non è la stessa persona.
PRESIDENTE. «Loro si presentarono al dottor Tarditi dicendo che avevano delle informazioni ed io mi incontrai a Genova, presso gli uffici della DIA, con il dottor Borrè, se non ricordo male, e c'era una persona che io non conosco e che venne sentita a livello confidenziale». Gli chiedo: «Persona italiana o somala?», al che lui risponde: «Italiana, a quanto mi risulta, nel senso che parlava l'italiano e aveva fattezze italiane». «Veniva sentita da Borrè confidenzialmente?». «Sì». «Su che cosa?», gli chiedo. «Mi pare che si trattasse di un documento che era stato mandato direttamente da loro al dottor Tarditi, riferito ad una situazione geografica nel territorio somalo».
Più oltre, De Podestà ha aggiunto di essere stato un testimone passivo. Infatti, gli chiedo: «Lei ha partecipato a tutto il colloquio?», e lui risponde: «No, ricordo che arrivai alla DIA e la persona era già presente. Fu acquisito il foglio che fu trasmesso dalla DIA direttamente al procuratore, niente di più. Per quello che ricordo, io facevo da spettatore e il colloquio avveniva tra questa persona e Borrè».
FRANCESCO BORRÈ. In contemporanea abbiamo sentito effettivamente un'altra fonte confidenziale, in quel caso mia; la ricordo benissimo e saprei dire benissimo chi è; se devo dirlo, lo dico, però assolutamente non mi ha parlato di...
FRANCESCO BORRÈ. Parlava di rifiuti, ma per quanto concerne il discorso Pitelli e altri discorsi più o meno limitrofi. Ma per quanto riguarda il discorso Somalia, francamente, no. E questa era una fonte della quale sicuramente abbiamo parlato con Tarditi, anche se c'entrava relativamente.
PRESIDENTE. De Podestà ha firmato questo appunto, se non sbaglio.
FRANCESCO BORRÈ. Sì, è firmato da entrambi.
PRESIDENTE. Quindi, De Podestà parla sicuramente della fonte che avete sentito insieme, ma c'è una divergenza: mentre lei dice che la fonte veniva da Asti, De Podestà dice che era una fonte vostra. A lei questo non risulta?
FRANCESCO BORRÈ. A questo punto, non ricordo bene; tuttavia, non era sicuramente una mia fonte, perché la ricorderei, così come ricordo l'altra.
PRESIDENTE. Le leggo il documento: «È chiaro il ruolo dei massoni spezzini quali mittenti di materiale bellico anche di provenienza dall'est Europa nell'area del Corno d'Africa-Somalia. Era già in uso da tempo l'accettazione nel Corno d'Africa di materiale radioattivo di risulta e rifiuti industriali tossici di provenienza da fabbriche chimico-armiere di Brescia, La Spezia e Torino. Esisterebbero contatti con il colonnello Ali Warsame, alias Kibis, ex di Siad Barre, e il gruppo spezzino. Kibis necessita di ogni forma di aiuto militare, di mezzi terrestri veloci, viveri, medicinali ed altro. Sono richiesti anche istruttori militari di alto livello. Il gruppo di La Spezia può disporre di tutto ciò che è stato chiesto da Kibis in cambio di aree in cui poter stoccare a tempo indeterminato merci e materiali nocivi. In ordine alla presenza di personaggi italiani in Somalia, è segnalata tale Winnie Kollbrunner, vicina a Martelli e Craxi, spesso vista a Mogadiscio con il generale, ed il dottor Scaglione, console onorario» - che noi abbiamo ascoltato -. «Il generale chiede di poter avere subito in Mogadiscio sistemi missilistici Milan, gli Stinger già promessi, e 300 mila proiettili calibro 5,6 che mancavano all'ultima consegna. Non si crea nessuna opposizione per l'attacco al molo numero 4 della nave della Messina», eccetera«... è stato ottenuto dietro pressioni perché i containers siano solo della Evergreen. Nella zona di Merca, in Somalia, sono giunti dal nord Italia dei contenitori di forma strana e sono stati interrati in forma inconsueta. Non se ne conosce il contenuto, ma si sa comunque che sono state riscontrate intossicazioni e malori fra il personale di razza bianca e molte persone di colore sono morte. Nell'area di Mogadiscio risulta che fonte di Berbera ha detto che arriverà a Mogadiscio Albert Keller, in contemporanea con la partenza di Kibis dalla zona dell'aeroporto etiope. La ditta Salini ha costruito una strada carrozzabile che dal villaggio di Afgoi va verso sud, in direzione della zona costiera di Merca, per una lunghezza di circa 90-95 chilometri. Durante i lavori di costruzione della strada, è stato interessato il corso fluviale dello Uebi Shebeli. Risulta da fonte somala che alla periferia di Balaad - nota come zona agricola già ai tempi della costituita società agricola italo-somala
e già sede di una fabbrica di tessuti italo-somala ai tempi di Siad Barre - è stata ampliata la strada di collegamento fra Mogadiscio e Villabruzzi, che proseguendo per l'altopiano di Mqaden si biforca nella zona a nord di Johar e Mahadday per proseguire verso la strada che collega Garoe con Hobya. Durante la costruzione della strada, venne interrato del materiale nucleare di personaggi italiani sotto il controllo armato della tribù morian».
Rispetto a questi dati e più in generale al traffico di rifiuti tossici o radioattivi dall'Italia alla Somalia o attraverso l'Italia, vi sono state evidenze precedenti a questo documento o evidenze successive, di riscontro rispetto alle circostanze alle quali sinteticamente ho fatto riferimento?
FRANCESCO BORRÈ. No, tant'è vero che - questo documento l'ho recuperato anch'io nei miei atti - si tratta di un virgolettato; sostanzialmente, non sono io che sto facendo affermazioni, ma riferisco in maniera quasi letterale quello che mi viene dichiarato. Ciò esemplifica un po' quel che ho detto quando ho usato l'espressione «volavano al di sopra delle nostre teste», ovvero si tratta di circostanze che, per le potenzialità del mio ufficio di allora, erano assolutamente non riscontrabili. Difatti, non abbiamo avuto alcuna possibilità di andare a vedere se in loco c'erano effettivamente questo tipo di interramenti o altre cose. E, per quanto ne so, credo che nessuno lo abbia fatto.
PRESIDENTE. Ha mai più visto questa fonte?
FRANCESCO BORRÈ. No, assolutamente.
PRESIDENTE. Questi sono proprio i misteri d'Italia!
La parola all'onorevole Deiana.
ELETTRA DEIANA. Grazie, presidente.
Dottor Borrè, a che uso era destinata questa informativa da voi raccolta? A chi era destinata?
FRANCESCO BORRÈ. L'abbiamo trasmessa al dottor Tarditi, immediatamente. A quel punto, l'aveva in mano il procuratore che coordinava l'indagine.
ELETTRA DEIANA. Tra lei e il dottor De Podestà, mentre la fonte parlava, chi era quello che aveva - come dire - la più precisa cognizione di causa? Chi è che governava il set della raccolta di queste informazioni?
FRANCESCO BORRÈ. Francamente non glielo so dire, nel senso che...
PRESIDENTE. Lei era il più alto in grado, però.
FRANCESCO BORRÈ. Sì, ero sicuramente il più alto in grado.
ELETTRA DEIANA. Ma può un funzionario che sia il più alto in grado raccogliere informazioni da una fonte senza che se ne sappia nulla al riguardo? Si possono raccogliere informazioni da una fonte di cui non si sa nulla, o meglio, di cui non si sa nulla non tanto sotto il profilo dell'attendibilità, quanto della provenienza, come se fosse il primo che passa per la strada? Mi sembra strana, questa modalità!
FRANCESCO BORRÈ. In questo momento, le dichiarazioni di De Podestà mi hanno un po' messo in crisi. Quel che posso escludere categoricamente è che fosse una fonte mia, nel senso di Francesco Borrè. Se lui dice che non era neanche la sua fonte, francamente non saprei dire come possa essere arrivata. Certamente non l'abbiamo raccolta in mezzo alla strada, questo è naturale.
Il fatto di essere il più alto in grado non vuol dire necessariamente l'essere il più informato. De Podestà, per quel che ricordo, era una persona estremamente addentro a queste tematiche. Per noi era un'indagine assolutamente nuova, quindi con problematiche completamente sconosciute.
ELETTRA DEIANA. Sarebbe a dire, al di fuori delle vostre normali azioni?
FRANCESCO BORRÈ. Sì, tant'è vero che questa collaborazione in seguito sfumò, perché da un punto di vista degli esiti giudiziari, per quanto mi riguarda, non ebbe alcun tipo di conseguenze.
ELETTRA DEIANA. Ovvero, non ci sono stati esiti.
FRANCESCO BORRÈ. No, nessun esito. Non l'ebbe nemmeno l'attività d'indagine che iniziammo con la famiglia Nucera di Chiavari. Sostanzialmente, fu una di quelle attività che morirono lì.
PRESIDENTE. Però - sempre per ricordare meglio le cose - va detto che De Podestà ha affermato di essere arrivato in ritardo, quando l'esame di questa persona era già cominciato. Il che, se fosse vero - o meglio, se fosse un giusto ricordo, dato che non possiamo pensare che servitori dello Stato possano dire cose non corrispondenti al vero -, consegnerebbe una realtà diversa: ovvero, all'arrivo del dottor De Podestà, il dottor Borrè aveva già iniziato l'interrogatorio; De Podestà afferma di aver solo assistito e messo una firma, e basta.
Questa mia riflessione le sollecita qualche ricordo oppure no?
FRANCESCO BORRÈ. Purtroppo no, nel senso che, sinceramente, non riesco a ricostruire la tempistica di questa acquisizione di notizie, peraltro informali.
PRESIDENTE. Ricorda che pervenne - o le fu consegnato - un documento proveniente dalla procura di Asti?
PRESIDENTE. Questo appunto quando lo avete fatto? Immediatamente? Oppure, non so, il giorno dopo?
FRANCESCO BORRÈ. Immediatamente.
PRESIDENTE. Avete per caso registrato?
FRANCESCO BORRÈ. No, sicuramente no.
PRESIDENTE. De Podestà afferma: «Ricordo che arrivai alla DIA e la persona era già presente. Fu acquisito il foglio che fu trasmesso dalla DIA direttamente al procuratore, niente di più».
FRANCESCO BORRÈ. Probabilmente si riferisce a questo.
PRESIDENTE. Si riferisce a questo. Ma noi abbiamo trovato altre cose, che lei non può non ricordare. De Podestà - glielo dico perché mi pare che lei non si ricordi niente - ha dichiarato: «Mi pare si trattasse di un documento che era stato mandato direttamente da loro al dottor Tarditi, riferito ad una situazione geografica del territorio somalo».
In sostanza, De Podestà capovolge totalmente il rapporto, affermando che siete stati voi ad acquisire dei documenti, che sono stati mandati a Tarditi e che, conseguentemente, c'è stato questo colloquio. Inoltre, c'è un particolare veramente curioso: (Mostra un documento) c'è un manoscritto in aramico...
ELETTRA DEIANA. Sarà «aramaico», presidente.
PRESIDENTE. In aramaico. Se lo ricorda questo particolare, adesso?
FRANCESCO BORRÈ. Mi ricordo che c'erano degli allegati; ne diamo anche atto.
PRESIDENTE. Chi ve lo ha dato?
FRANCESCO BORRÈ. Immagino la persona che abbiamo sentito ma...
PRESIDENTE. Abbiamo qui la traduzione in tedesco e in italiano: chi ha fatto questa traduzione? L'avete fatta voi?
PRESIDENTE. Vi è stato dato già tradotto?
FRANCESCO BORRÈ. Non saprei assolutamente dirlo.
PRESIDENTE. Nel verbale si legge: «Si dà atto che, per quanto possibile, rispettando le garanzie di riservatezza, è stata tentata una traduzione dei fatti consegnati, sia manoscritti che cartine, dall'aramaico al tedesco». Abbiamo, insomma, il documento in aramaico, in tedesco e in italiano.
Allegato al documento in aramaico vi era anche questa serie di mappe (Mostra dei documenti) che, secondo le indicazioni che ci ha dato De Podestà, rappresentano i luoghi in cui sarebbero stati interrati i fusti di materiale radioattivo. Ne ha ricordo?
FRANCESCO BORRÈ. Sì, lo diciamo anche, mi pare.
FRANCESCO BORRÈ. Sì, ora le vedo qua, quindi...
PRESIDENTE. Anche queste vi sono state consegnate dalla fonte?
FRANCESCO BORRÈ. Dalla fonte, sì.
ELETTRA DEIANA. Lei ricorda che le furono date dalla fonte?
FRANCESCO BORRÈ. Se l'ho scritto, è per forza così, nel senso che sicuramente, se lo abbiamo sentito, ci ha portato anche questo materiale. Ripeto, il mio punto di vera incertezza è come siamo entrati in contatto con questa fonte. Francamente, se De Podestà si ricorda una cosa...
PRESIDENTE. Vorrei fare un'osservazione. Abbiamo il documento in aramaico, che risulta essere stato tradotto in tedesco e in italiano, il che mi fa pensare che se è stato tradotto è stato fatto per poter poi svolgere un'indagine.
Poi, c'è la mappa con i luoghi in cui sarebbero stati interrati i fusti di materiale radioattivo, con tutte le annotazioni idonee ad identificare i luoghi.
Allora, le chiedo: così come questa traduzione è stata fatta per finalità investigative e così come queste mappe sono state esaminate allo stesso fine, sono stati fatti accertamenti dalla DIA di Genova?
FRANCESCO BORRÈ. Assolutamente.
PRESIDENTE. Cioè, voi avete preso il tutto e lo avete mandato a Tarditi. È così?
FRANCESCO BORRÈ. Esattamente. Anche perché, fondamentalmente, era materiale che esulava dalle competenze della Direzione investigativa antimafia. La DIA sostanzialmente ha dei paletti, al di fuori dei quali non si muove.
PRESIDENTE. Chi vi ha tradotto i documenti dall'aramaico?
FRANCESCO BORRÈ. Non me lo ricordo proprio. Non so nemmeno se noi abbiamo fatto un'attività di traduzione.
PRESIDENTE. Nel verbale si afferma: «Oltre a quanto appreso verbalmente dalla fonte, la stessa consegna numero 5 fogli manoscritti verosimilmente in lingua aramaica e numero 3 cartine raffiguranti la Somalia. Si dà atto che per quanto è possibile, rispettando le garanzie di riservatezza, è stata tentata una traduzione dei fogli consegnati, sia manoscritti che cartine, dall'aramaico al tedesco».
FRANCESCO BORRÈ. Io credo che questo lo abbia fatto De Podestà, perché era l'unico che poteva avere dei contatti.
PRESIDENTE. «Con il supporto di tale traduzione, emerge che le cartine indicano alcuni siti di seppellimento di materiali altamente inquinanti, radioattivi e/o ospedalieri
nei sottofondi stradali delle vie di comunicazione, presumibilmente eseguite dalla ditta Salini».
Avete sentito la ditta Salini?
PRESIDENTE. È pericoloso sentire Salini?
FRANCESCO BORRÈ. Non lo so. Non so nemmeno chi sia. Noi, a quel punto, come le dicevo, abbiamo interrotto sostanzialmente qualsiasi attività d'indagine...
PRESIDENTE. Ma allora, perché questa fonte è venuta a farsi sentire a Genova, se non era vostra?
FRANCESCO BORRÈ. E infatti a me manca quel dato. Adesso non ricordo...
PRESIDENTE. Se non è vostra e se voi non avete fatto nulla in merito alla Somalia, né prima né dopo, e se l'unico passaggio concernente la Somalia è rappresentato da questo documento, allora che cosa c'entra Genova?
FRANCESCO BORRÈ. C'entra in quella dimensione che cercavo di dire: noi ci siamo sovrapposti e probabilmente hanno inteso...
ELETTRA DEIANA. Chi è che ha «inteso»?
FRANCESCO BORRÈ. Il dottor Tarditi, credo.
ELETTRA DEIANA. Questa persona gliel'ha mandata Tarditi? Ci vuol dire questo?
FRANCESCO BORRÈ. No, questo no. Io, per quanto riguarda...
ELETTRA DEIANA. Ma lei non ricorda niente del contesto o di come sia uscita questa fonte?
ELETTRA DEIANA. Il giorno prima qualcuno le aveva detto che lei avrebbe dovuto sentire una fonte?
FRANCESCO BORRÈ. No, assolutamente. Per me è stata veramente una parentesi. Non è stato un momento centrale di un'attività d'indagine, per cui mi possa ricordare.
ELETTRA DEIANA. Normalmente, qual è la prassi con cui entrate in contatto con le fonti?
FRANCESCO BORRÈ. Per esempio, proprio in questa circostanza facevo riferimento ad un'altra fonte confidenziale, che ci parlò di...
ELETTRA DEIANA. D'accordo, ma quella era una sua fonte, una fonte che lei conosceva.
FRANCESCO BORRÈ. Esatto. Ed io, per quella, le posso raccontare vita, morte e miracoli. Ma in questo caso, francamente, non mi è possibile.
ELETTRA DEIANA. Invece, per quanto riguarda le fonti casuali, qual è la prassi per far sì che queste fonti non siano ombre fuggevoli?
FRANCESCO BORRÈ. Non lo so. Francamente, mi viene persino in mente ma, ripeto, non...
PRESIDENTE. Però, mi scusi, vi è questo particolare del documento in aramaico. Possibile che un particolare del genere non rimanga memorizzato? A me non è mai capitato! È la prima volta che mi capita un documento in aramaico come fonte di investigazione. Anche a lei, credo.
ELETTRA DEIANA. Lei non è in grado di fornirci assolutamente nessuna idea per rintracciare questo signore?
FRANCESCO BORRÈ. No. Per quanto mi riguarda, assolutamente no. Le ripeto, dovrei provare a far mente locale. Non era una indagine solo mia; chiaramente, avevo dei collaboratori, delle altre persone e dovrei provare a ricostruire la situazione.
PRESIDENTE. Era aramaico, questo soggetto?
FRANCESCO BORRÈ. Chi, la fonte?
FRANCESCO BORRÈ. Guardi, non lo so. Sicuramente si esprimeva in italiano, perché non ricordo di aver avuto un traduttore.
PRESIDENTE. Quindi, questo soggetto portava notizie di altri.
FRANCESCO BORRÈ. Non ricordo se portasse notizie sue oppure no.
PRESIDENTE. Questa mi sembra una specie di quelle veline dei servizi...
FRANCESCO BORRÈ. Non era sicuramente una fonte dei servizi, altrimenti lo avrei detto. No, assolutamente, o per lo meno non in maniera manifesta. Poi, non so se qualcuno me l'ha mandato a bussare in ufficio. Non ho idea, insomma, però...
PRESIDENTE. Uno che porta un documento in aramaico, e non è aramaico, qualcosa deve pur essere, insomma.
ELETTRA DEIANA. Ma lei non ha fatto domande a questo...
PRESIDENTE. Onorevole Deiana, la debbo riprendere, perché c'è una puntualizzazione: non è aramaico ma amarico, che è etiopico.
ELETTRA DEIANA. Sì, poi ho letto meglio la nota. Avevo capito aramaico ed infatti mi sembrava strano. Poi, siccome lei parlava di parole strane, le ho suggerito «aramaico».
FRANCESCO BORRÈ. Io lo scopro adesso. Me lo state dicendo voi.
PRESIDENTE. Ma non dice soltanto questo. Salini non l'avete sentito, va bene...
PRESIDENTE. «Si apprende, inoltre, che una nave avrebbe scaricato in Somalia un carico di armi, soprattutto kalashnikov ed altro, e che tale nave, dopo lo scarico, avrebbe fatto ritorno a La Spezia, presso i cantieri navali Oram. Da un ulteriore documento si apprende che la provincia di Bosaso è la zona interessata allo scambio di armi e di scaricamento di rifiuti nucleari industriali e che nel 1993 la zona era off limits per i giornalisti, soprattutto italiani». Ecco, la frase è questa: «Comunicazione importante: in nessun caso si desidera che i giornalisti italiani raggiungano Bosaso. Se in questo territorio dovesse essere individuato un qualsiasi giornalista italiano, sarebbe inflitta una pena severa. Ogni informazione dovrà essere passata al generale Mercan», che è Morgan. Lei capisce che questa è una notizia che per noi ha una particolare importanza, perché - lei non lo sa, glielo diciamo noi - Ilaria Alpi viene uccisa tornando da Bosaso. Neppure questa circostanza è stata...
FRANCESCO BORRÈ. Per quanto possa sembrare poco professionale, in realtà tutta l'attività di indagine del dottor Tarditi a noi era sostanzialmente sconosciuta. Noi avevamo una nostra indagine sulla famiglia Nucera, che scaricava i rifiuti a Pitelli: siamo entrati in questa posizione per così dire sfumata rispetto a qualche attività, ma non abbiamo fatto altro. Abbiamo poi immediatamente spedito questo appunto al dottor Tarditi; francamente, non so dire con precisione quando, però sono quelle cose che sicuramente non mi sono tenuto molto nel cassetto.
PRESIDENTE. È in grado di descriverci questa fonte, fisicamente?
PRESIDENTE. L'ha visto una volta sola?
FRANCESCO BORRÈ. Direi assolutamente di sì. È stata una parentesi aperta e chiusa; il dato che a me in questo momento sfugge - e me ne dispiace - è di riuscire a ricostruire in che modo io mi sia trovato ad entrare in contatto con questa fonte, che sicuramente non era una mia fonte confidenziale, perché le mie fonti me le ricordo bene, per cui ritengo che fosse di qualcun altro, che in qualche maniera mi ha proposto. Comunque sia, ripeto: rispetto a quello che mi ha detto, noi ci siamo limitati a fare la nostra trasmissione di atti alla procura di Asti.
PRESIDENTE. Ne ha parlato con De Podestà di questa storia? Siamo nel 1997 e - è una osservazione forse un po' ingenua - nel maggio 1997 erano tre anni che Ilaria Alpi era stata uccisa. Era notorio che era tornata da Bosaso, per cui sicuramente per un professionista dell'investigazione come è lei, come siete voi, compreso De Podestà, questa era una notizia (lo dico tra virgolette, in maniera brutta) «ghiotta», perché sapere che il giornalista che avesse toccato Bosaso avrebbe rischiato una pena severa faceva il paio anche con notizie meramente giornalistiche, in quanto il 1997 era l'anno in cui si era ripreso il processo qui a Roma. Non avete avuto alcuna attenzione per questo fatto? Glielo chiedo senza alcun rimprovero.
FRANCESCO BORRÈ. Sono abituato a tenere i piedi per terra.
PRESIDENTE. Mi lasci dire che i piedi per terra non li avete tenuti, perché, davanti ad una notizia come questa, i «piedi per terra» di un investigatore significavano che bisognava accertare come stessero in realtà le cose. Al di là della fondatezza o, meglio, della riscontrabilità delle notizie contenute in queste informazioni confidenziali, c'è un quadro d'insieme, dotato di un certo interesse, tanto è vero che voi prendete a cuore la questione.
Qui c'è una cosa strana: De Podestà, che non c'entra niente con Asti, lo troviamo a lavorare ad Asti; De Podestà, che non c'entra niente con Genova, viene a Genova e ci dice di essere venuto a Genova non per gusto suo, ma perché ce lo ha mandato il dottor Tarditi; Genova si dovrebbe interessare di una questione che sta ad Asti soltanto perché la DIA dovrebbe essere, per così dire, il detonatore di un'inchiesta un po' più approfondita anche a livello internazionale. Parliamoci chiaro: c'è uno scempio delle competenze.
FRANCESCO BORRÈ. In questo caso c'è la sovrapposizione su Pitelli.
PRESIDENTE. Lei la chiama «sovrapposizione»!
FRANCESCO BORRÈ. Io il dottor Tarditi l'ho conosciuto in quella circostanza.
PRESIDENTE. È difficile capire. Comunque, noi la ringraziamo per le informazioni che ci ha dato. Se dovesse esserci qualche ricordo nell'immediato futuro, le faccio presente che la Commissione proseguirà i suoi lavori fino a febbraio.
FRANCESCO BORRÈ. Posso, eventualmente parlare con qualcuno, vedere di consultare qualcuno, senza violare nessun segreto?
PRESIDENTE. Certamente. Se lei ci potesse far conoscere la fonte, per noi sarebbe importante. Se potesse fare una piccola inchiesta...
PRESIDENTE. Alla DIA questo signore sarà entrato ed avrà dovuto dare nome e cognome.
FRANCESCO BORRÈ. Non è detto al cento per cento. Era una situazione un po' particolare: il centro operativo della DIA
di Genova era stato coinvolto in un'inchiesta piuttosto complicata; c'era il colonnello Riccio, non so se qualcuno ne ha memoria, c'era...
PRESIDENTE. C'era la questione Parenti.
FRANCESCO BORRÈ. Sì. Quindi, non è detto che ci fosse un meccanismo così automatico di controlli. Oltretutto, se uno si presenta come fonte confidenziale...
PRESIDENTE. Riccio comandava la DIA?
FRANCESCO BORRÈ. No. Io sono arrivato e il colonnello Riccio se ne andava, quindi non abbiamo avuto sovrapposizioni di nessun tipo, grazie al cielo.
PRESIDENTE. C'era il maresciallo Lo Piccolo?
FRANCESCO BORRÈ. Maresciallo Piccolo, sì.
ELETTRA DEIANA. Mi scusi, questo entra e va...
FRANCESCO BORRÈ. Per una fonte confidenziale non è una cosa strana. Normalmente non si identificano. È un'accortezza che normalmente si ha. Anche adesso che vivo in una questura...
ELETTRA DEIANA. Capisco non mettere nome e cognome, ma registrare una presenza estranea negli uffici, forse sì. O no?
FRANCESCO BORRÈ. Non ci giurerei.
PRESIDENTE. Chi era il capo della DIA?
FRANCESCO BORRÈ. Il capocentro era il colonnello Petraccini, all'epoca.
PRESIDENTE. Per fare questo tipo di operazioni, per sentire una fonte, che neanche era la vostra ma era, per così dire, appoggiata, se il suo ricordo è esatto, non c'era bisogno che il capocentro venisse informato?
FRANCESCO BORRÈ. Forse informato sì, ma non doveva dare nessun tipo di autorizzazione.
PRESIDENTE. Indicazione della persona, no?
FRANCESCO BORRÈ. No, non credo.
PRESIDENTE. Onorevole Deiana, ha altro domande?
ELETTRA DEIANA. No, presidente.
PRESIDENTE. Ringrazio, allora, il signor Francesco Borrè e dichiaro concluso l'esame testimoniale.
La seduta termina alle 22,35.
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