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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale del dottor Franco Oliva, al quale faccio presente che è ascoltato nella qualità di testimone e, quindi, con l'obbligo di dire la verità e di rispondere alle domande che il presidente e i commissari intendono rivolgergli.
Innanzitutto, chiedo al teste di fornire le proprie generalità.
FRANCO OLIVA. Mi chiamo Franco Oliva, sono nato a Civitavecchia il 4 gennaio 1945. Risiedo a Roma, in via Fregene n. 8.
FRANCO OLIVA. Sono pensionato.
PRESIDENTE. Dottor Oliva, le chiediamo di riferire alla Commissione, sia pure in sintesi, i fatti che le sono accaduti - dei quali la Commissione è perfettamente a conoscenza, essendo in certa misura appartenenti al notorio -, precisandoli sotto il profilo dei tempi e delle contestualità in cui l'attentato ai suoi danni fu consumato.
FRANCO OLIVA. L'attentato fu consumato il 28 ottobre 1993, dopo circa 20 giorni che ero giunto a Mogadiscio in missione breve, per gestire i fondi e i beni dei progetti straordinari.
FRANCO OLIVA. Per conto del Ministero degli affari esteri. In quei 20 giorni sono intervenuti dei fatti che potrebbero, in un certo senso, essere messi in collegamento con l'evento successivo, accaduto il 28 ottobre 1993.
PRESIDENTE. Lei conosceva Ilaria Alpi?
FRANCO OLIVA. L'avevo conosciuta al Cairo, dove ho lavorato tre anni. Nel 1992, ho avuto modo di conoscerla in quanto frequentava un circolo che si trovava nei pressi delle piramidi.
PRESIDENTE. Mi sembra che Ilaria Alpi sia stata anche nel 1993 in Somalia. In quel periodo - ottobre 1993 -, lei ha avuto modo di incontrarla?
FRANCO OLIVA. No, io sono andato un paio di volte a trovarla presso la sede dove c'era la sala stampa, l'ufficio stampa.
FRANCO OLIVA. Sì, a Mogadiscio: era a circa cento metri dalla sede della delegazione, ma non sono mai riuscito a trovarla; non ci siamo incontrati in quei giorni.
PRESIDENTE. Dunque, in quel periodo, a Mogadiscio, lei non ha mai incontrato Ilaria Alpi.
FRANCO OLIVA. No, assolutamente no.
PRESIDENTE. E in epoche successive? L'ha incontrata a Roma o altrove?
FRANCO OLIVA. No. Il 28 ottobre sono stato ricoverato nell'ospedale militare romeno, dopodiché sono stato prelevato e portato in Italia; sono stato quattro mesi in ospedale, quindi non ho avuto più modo di incontrarla.
PRESIDENTE. Con Ilaria lei era in rapporti di amicizia tali per cui la giornalista potesse venire a trovarla in ospedale, magari per scambiare - visto che lei conosceva bene la situazione somala - qualche idea con lei?
FRANCO OLIVA. No, non c'era un rapporto di questo tipo. C'era una frequentazione, come quella tra due persone che si sono conosciute in un circolo che era frequentato da personale diplomatico, e così via.
PRESIDENTE. Conosce intenti giornalistici, investigativi, che Ilaria Alpi - nelle occasioni in cui vi siete incontrati - le ha trasmesso con riferimento specifico alla Somalia o a qualche altra questione?
PRESIDENTE. Non le ha mai parlato di queste cose?
FRANCO OLIVA. No, in quanto allora non ci siamo visti.
PRESIDENTE. Non parlavo di ottobre; parlavo del periodo precedente.
FRANCO OLIVA. No, nemmeno quando ero al Cairo.
PRESIDENTE. Dottor Oliva, fino a quando lei è stato al Cairo?
FRANCO OLIVA. Fino alla fine del 1992.
PRESIDENTE. Ci stava dicendo che il 28 ottobre 1993, si trovava da una ventina di giorni in Somalia. Era stato soltanto a Mogadiscio o anche altrove?
FRANCO OLIVA. Solo a Mogadiscio. In effetti, avrei dovuto raggiungere anche altri punti della Somalia, per esercitare un controllo sulle ONG che lavoravano sul territorio.
PRESIDENTE. Che genere di controllo?
FRANCO OLIVA. Un controllo di carattere amministrativo.
PRESIDENTE. Sempre per incarico del Ministero?
FRANCO OLIVA. Sì, sempre nell'ambito di quell'incarico; solo che tale incarico mi era stato impartito verbalmente, prima della mia partenza da Roma; chiesi, dunque, che il Ministero lo formalizzasse. Infatti, si ponevano problemi in termini di sicurezza e di rapporti con le organizzazioni non governative: senza un mandato, non avrebbero accettato di buon grado la mia supervisione.
PRESIDENTE. Da chi le è stato conferito verbalmente l'incarico?
FRANCO OLIVA. Il nome del funzionario non lo ricordo; era un diplomatico che lavorava alla cooperazione, all'agenzia per la cooperazione, ma sinceramente adesso non lo ricordo. Potrei andare a
consultare gli appunti, potrei trovarlo, però in questo momento non lo ricordo.
PRESIDENTE. Che cosa fece in quei venti giorni, prima che succedesse ciò di cui parleremo tra poco? Che cosa fece in termini di attività - diciamo così - istituzionale?
FRANCO OLIVA. Come attività istituzionale, intanto cominciai a fare una verifica della situazione amministrativa, in quanto ero stato preavvertito che avrei trovato una situazione piuttosto preoccupante. Ciò significa che non ricevetti subito le consegne dal mio omologo e rimasi circa quindici giorni in attesa di tale operazione, in quanto alcune contabilità dovevano essere sistemate.
Nel frattempo, tuttavia, mi resi conto che nella gestione dei progetti esisteva una situazione di diffusa ed evidente illegalità, tant'è vero che giunsi a presentare al capo della delegazione speciale - questo fu un aspetto alquanto complesso - un appunto nel quale segnalavo...
PRESIDENTE. Come si chiamava questo capo?
PRESIDENTE. Quale De Chiara? Il giornalista?
FRANCO OLIVA. No, De Chiara era un diplomatico: era il capo della delegazione speciale. Molto spesso vengono confusi.
PRESIDENTE. Ho capito, non è l'italoamericano.
FRANCO OLIVA. No, in questo caso non c'entra. Mi riferisco ad un giovane diplomatico, forse alle prime esperienze, che aveva avuto tale incarico.
In realtà, la situazione era piuttosto complessa perché la delegazione speciale non aveva avuto riconoscimento dalla Corte dei conti né dall'ufficio di ragioneria del Ministero: non aveva una dignità di ufficio, in quanto nell'organigramma del Ministero non esiste una possibilità del genere; pertanto, il capo della delegazione speciale non fungeva da funzionario delegato sui fondi della cooperazione, i quali formalmente erano assegnati al capo della delegazione di Nairobi.
Insomma, eravamo in una situazione piuttosto imbarazzante.
PRESIDENTE. Ricorda come si chiamasse il capo della delegazione di Nairobi?
FRANCO OLIVA. No, il nome non lo ricordo, ma questi dati si possono facilmente trovare.
Insomma, non sapevo come muovermi, perché in effetti avrei dovuto riferire al capo della delegazione di Nairobi, nell'ambito di un'attività di carattere amministrativo. Siccome, però, operativamente presente sul territorio era quel signore, presentai a lui e all'ambasciatore Mario Scialoja un appunto nel quale evidenziavo queste irregolarità, queste originalità amministrative: si erano instaurate delle prassi, delle procedure sicuramente non ammissibili nell'ambito della pubblica amministrazione.
PRESIDENTE. Queste cose, lei, le ha messe per iscritto all'ambasciatore Scialoja?
FRANCO OLIVA. Certo, le ho messe per iscritto, anche se questo appunto non so se sia recuperabile o meno; comunque, altre persone sono a conoscenza di questo fatto e potrebbero testimoniare.
PRESIDENTE. Ricorda - sia pure per categorie - quali illegalità segnalò?
FRANCO OLIVA. Una prima situazione di irregolarità riguardava circa dieci miliardi di farmaci che non erano mai stati inventariati. Il centro logistico di Mombasa, incaricato dell'acquisto e della fornitura dei farmaci in Somalia, continuava a mandare questi farmaci, che non venivano distribuiti: venivano immagazzinati in maniera molto poco attenta, in un
deposito dove c'erano circa 40 gradi; come ho già detto, non si aveva una contabilità delle scadenze dei farmaci, né questi venivano distribuiti.
PRESIDENTE. Di chi era quel deposito?
FRANCO OLIVA. Era un deposito dell'ambasciata; c'era, poi, un secondo deposito dove - per quello che mi è stato riferito quando sono arrivato sul posto - avrebbe dovuto esserci anche un lascito della Croce rossa internazionale, per un equivalente di circa 2 miliardi e mezzo.
PRESIDENTE. Un lascito in soldi?
FRANCO OLIVA. No, sempre in farmaci. Tutti questi farmaci più le attrezzature, eccetera, erano presso una delle sedi del noto Giancarlo Marocchino, senza un inventario né un documento dove fossero elencati i beni che erano stati affidati a questo signore: questa fu una delle ragioni per cui chiesi che fosse inviata in Somalia una persona esperta per la redazione dell'inventario.
PRESIDENTE. A chi lo chiese? Sempre al Ministero degli esteri?
FRANCO OLIVA. Sì, al Ministero degli esteri. La persona giunse attorno al 20 ottobre e riuscimmo più o meno ad organizzare un documento contabile che avesse dignità d'inventario e cominciammo a proporre la distribuzione dei farmaci ai centri sanitari.
La singolarità era che, fra l'altro, non si capiva chi fosse il responsabile dei progetti sanitari: c'erano due medici, i quali alternativamente assumevano tale responsabilità, del resto non prevista da alcuna norma in quanto, pur essendo esperti capi progetto, neanche loro avevano potere di spesa, non potevano essere ordinatori di spesa.
PRESIDENTE. Lei di questo aveva già dato notizia formale al Ministero?
FRANCO OLIVA. Sì, all'ambasciatore perché la trasmettesse al Ministero.
PRESIDENTE. E questo è il primo settore.
FRANCO OLIVA. Sì, questo è il primo settore. Non so se quanto ho detto sia sufficiente.
PRESIDENTE. Se c'è qualcos'altro di importante, ci può dire.
FRANCO OLIVA. Lì, vi erano anche delle attrezzature per i nostri centri medici, che venivano da Mombasa. Tali attrezzature erano di livello infimo rispetto al costo, tant'è vero che io e il mio omologo - che era in partenza per Nairobi - decidemmo di andare a fare un servizio fotografico per un appunto al Ministero degli esteri e segnalare che non c'era rispondenza tra il costo e la qualità di questi beni inviati in Somalia.
Inoltre, nell'ambito dei progetti sanitari, era riservata una quota per il pagamento degli incentivi al personale somalo impiegato in tali progetti (avevamo 8 centri assistiti): il fatto grave è che, all'interno di queste liste, non vi era soltanto il personale sanitario, ma anche uomini armati - circa centocinquanta - appartenenti alle fazioni di Aidid e di Ali Mahdi, divisi più o meno al 50 per cento. Allora, la mia osservazione fu la seguente: è legittimo che finanziamo personale di questo genere? Era una mia preoccupazione, tant'è vero che si giunse ad un incontro stranissimo presso il Ministero della sanità del Governo di Ali Mahdi, al quale non partecipò alcun diplomatico italiano - fu una situazione piuttosto imbarazzante e preoccupante - ma fummo mandati noi che, tutto sommato, non avevamo alcuna rappresentanza diplomatica a trattare. E non trattavamo con il ministro della sanità, bensì con qualcuno che era al di sopra: davanti a noi, c'era un signore con un kalashnikov che trattava sulla riduzione degli incentivi!
Una situazione allucinante, tant'è vero che, uscendo dissi a quei signori - forse,
conoscevo la Somalia un po' meglio di loro, avendovi lavorato per cinque anni, negli anni ottanta - che quello era il modo per farsi sparare addosso! Non credo, però, che ci sia una relazione tra quella mia considerazione e l'evento che accadde successivamente.
Poi, c'erano altre situazioni abbastanza preoccupanti. Mi trovai oggetto di richieste da parte della moglie del signor Marocchino e di altri personaggi che venivano a pretendere soldi, senza che esistesse traccia di documento negoziale da cui sorgesse un obbligo al pagamento.
PRESIDENTE. E a che titolo venivano a chiedere soldi?
FRANCO OLIVA. Si sosteneva che Marocchino avesse reso servizi alla nostra struttura di cooperazione, ma non si sapeva che tipo di servizi avesse reso, quando li avesse resi né per quale importo, e così via.
PRESIDENTE. Non c'era un'annotazione dei servizi che venivano resi?
FRANCO OLIVA. No, non c'era assolutamente niente, tant'è vero che lo feci presente sia al mio omologo che era in partenza sia ai medici che venivano a perorare la causa di Marocchino: dissi che non avrei tirato fuori una lira, che bisognava ricorrere alla procedura del riconoscimento del debito, non essendoci nessuno che volesse riconoscerlo; io non mi sentivo di tirare fuori i soldi per pagare quel signore!
La cosa curiosa è che c'erano molte pressioni perché io pagassi; sinceramente, ciò mi ha molto incuriosito, ma non so dare una spiegazione.
PRESIDENTE. Anche con riferimento ai servizi di scorta, di noleggio mezzi, eccetera?
FRANCO OLIVA. Sì, certo, per tutte queste voci.
PRESIDENTE. Che giro di affari era?
FRANCO OLIVA. Non era un grande giro d'affari; era un giro, penso, sui 30-40 mila dollari.
PRESIDENTE. All'anno, al mese?
FRANCO OLIVA. No, era il presunto debito residuo.
PRESIDENTE. Lei rifiutò a Marocchino il pagamento?
FRANCO OLIVA. Certo. Non espressamente a Marocchino, il quale in quell'epoca era stato espulso dalla Somalia e si trovava a Nairobi.
PRESIDENTE. Chi è che le chiese i soldi per conto di Marocchino?
FRANCO OLIVA. Venne la moglie, poi vennero altri suoi collaboratori.
PRESIDENTE. La moglie, ovvero la figlia di Ali Mahdi.
FRANCO OLIVA. No, non è la figlia. So che è abgal anche lei, quindi della stessa famiglia, ma non credo che sia la figlia.
PRESIDENTE. Parente di Ali Mahdi, comunque.
FRANCO OLIVA. Della stessa cabila.
PRESIDENTE. Venne lei a chiedere?
FRANCO OLIVA. Sì, lei personalmente.
Il fatto curioso è che Marocchino rendeva questo tipo di servizi utilizzando i mezzi di proprietà dello Stato italiano. Io sollevai tale problema, anche perché mi risultava - in quanto lo avevo appreso prima di partire da Roma - che la SACE aveva indennizzato alcune società italiane per i mezzi che avevano abbandonato allo scoppio della guerra civile in Somalia. Quindi, essendo intervenuta la SACE - che non è un'assicurazione privata né un'associazione caritatevole ma, come sapete meglio di me, è l'assicurazione che copre l'esposizione degli operatori italiani
all'estero, con i soldi di tutti - non solo mi sembrava assurdo che costui si fosse appropriato dei mezzi dello Stato italiano, ma era paradossale che addirittura li utilizzasse in maniera lucrativa! Possibile - mi chiesi - che nessuno sollevi un problema del genere?
PRESIDENTE. Cosa faceva la SACE? Assicurava la cooperazione italiana in Somalia?
FRANCO OLIVA. Sì, aveva assicurato l'esposizione al rischio, anche politico, delle società che avevano lavorato fino al 1989 in Somalia, nell'ambito dei progetti di cooperazione.
PRESIDENTE. E tra queste c'era anche quella di Marocchino?
FRANCO OLIVA. No, tra queste c'erano la Cogefar, l'Astaldi...
PRESIDENTE. In che rapporti era Marocchino con queste società?
FRANCO OLIVA. Marocchino, semplicemente, era un signore che era arrivato in Somalia molti anni prima, all'inizio degli anni ottanta.
PRESIDENTE. Sì, dottore, questo lo sappiamo; vorremmo sapere quali erano i rapporti tra Marocchino e le imprese italiane che operavano in Somalia.
FRANCO OLIVA. Marocchino aveva reso delle prestazioni a favore di queste società, ad esempio per la Giza; ci sono episodi abbastanza noti, che riguardano i rapporti tra Marocchino e la Giza.
Siccome aveva praticamente una sorta di monopolio dei trasporti in Somalia - le ragioni forse le conoscete meglio di me -, offriva i suoi servizi alle società che arrivavano in Somalia e avevano, nell'ambito del contratto, una dotazione illimitata sia di automezzi sia di mezzi di movimento terra. Dunque, Marocchino offriva questi suoi servizi.
PRESIDENTE. Dottor Oliva, vorrei capire bene questa copertura assicurativa della SACE che riguardava, tanto per intenderci, il «rischio paese» a vantaggio delle imprese italiane. Lei ha fatto un collegamento tra Marocchino e la SACE.
FRANCO OLIVA. No, forse mi sono espresso male.
PRESIDENTE. Probabilmente sono io che ho capito male. Mi può spiegare?
FRANCO OLIVA. Senz'altro. La SACE aveva certamente già indennizzato alcune società, tra cui la Salini, mi risulta per un importo di 20 miliardi.
PRESIDENTE. Ampiamente, dunque.
FRANCO OLIVA. Ampiamente, forse in maniera eccessiva; successe, insomma, un fatto alquanto strano.
PRESIDENTE. E difatti è stato fatto un processo, per questo.
FRANCO OLIVA. La Salini, quando fu ridotto il programma del Tana Beles, giunse in Somalia - credo - a titolo risarcitorio, in quanto aveva perso una parte del business; pertanto, giunse in Somalia con l'assegnazione di un progetto che consisteva nel rifacimento di circa 80 chilometri di fettuccia stradale. La società, nel convincimento che questo suo rapporto con la Somalia sarebbe stato più ampio, aveva portato più mezzi d'opera di quelli che le erano stati assegnati. Da quello che mi risulta, però, i mezzi sono stati indennizzati tutti quanti, anche quelli che erano extra contratto. Almeno questo è quel che sapevo, prima di partire per la Somalia.
PRESIDENTE. Quindi, non soltanto i mezzi coperti per loro natura dalla polizza assicurativa, in quanto di pertinenza immediata e diretta delle società.
FRANCO OLIVA. Certo, perché al momento di fare il verbale di consegna dei
lavori, si faceva l'elenco dei mezzi assegnati al progetto: quelli dovevano essere i mezzi assicurati, perché erano funzionali allo svolgimento di quel tipo di attività.
PRESIDENTE. Quanto, invece, al traffico di armi o comunque al collegamento tra le attività della cooperazione e il traffico di armi, lei ha potuto accertare qualcosa? Se sì, ha delle evidenze da rappresentare alla Commissione nei confronti in particolar modo di Giancarlo Marocchino,?
FRANCO OLIVA. Intanto, bisogna distinguere due periodi: gli anni ottanta e il periodo intorno al 1993, in cui c'era la missione militare. Nel corso degli anni ottanta, secondo me è difficile parlare di traffico di armi, con riferimento ad un personaggio come Marocchino. Marocchino assicurava una serie di servizi; rendeva servizi a tutti, purché pagassero. Io credo che in quel periodo l'arrivo in Somalia di armi fosse più riferibile ad attività che avevano una certa copertura istituzionale, per quanto è di mia conoscenza.
PRESIDENTE. Che significa «di mia conoscenza»?
FRANCO OLIVA. Negli anni ottanta, in Somalia seguivo un progetto FAI, relativo alla flotta aerea di emergenza: un progetto disastroso, un progetto fallimentare dall'inizio alla fine, che si era chiuso a distanza di un anno e mezzo dal momento in cui era stato avviato, per il semplice fatto che la società - la Eliservizi -era stata inadempiente, per molti aspetti; gli aerei e gli elicotteri che aveva lasciato sul posto non volavano ed erano stati ricoverati in parte presso l'aeroporto militare di Mogadiscio. Quindi, anche se svolgevamo un'attività di cooperazione che non avrebbe dovuto avere alcun tipo di rapporto o di contatto con l'organizzazione militare, eravamo costretti ad avere rapporti con i militari. Nel corso di questi incontri, che necessariamente avevamo con i militari - frequentavamo il loro circolo ufficiali - ricordo benissimo che, dopo la visita del ministro De Michelis a Tripoli...
PRESIDENTE. In che anno siamo?
FRANCO OLIVA. Siamo nel 1989, se ricordo bene. Dunque, si cominciò a parlare e un ammiraglio della marina somala mi disse: ho incontrato il vostro ministro, a Tripoli; è molto simpatico e ci ha assicurato aiuti. Al che, ironizzando un po', gli chiesi di quali aiuti si trattasse, visto che ogni giorno arrivava roba e non si sapeva più che cosa inventare, pur di spendere quattrini. E lui mi rispose: questa volta ci ha promesso delle armi.
Come ho scritto anche nel mio libro, non posso stabilire che vi sia un nesso causale necessario tra questi due fatti; fatto sta, però, che a distanza di circa venti giorni, un mese, arrivò una nave nel porto di Mogadiscio e sbarcarono armi di provenienza russa.
PRESIDENTE. A beneficio di chi?
FRANCO OLIVA. A beneficio del Governo di Barre, tant'è vero che l'allora generale responsabile della Diatme - uno dei progetti di assistenza alla manutenzione degli armamenti, un progetto dell'esercito - affermò che si trattava di armamenti di fabbricazione russa; era in grado di dirlo, in quanto gli spettava il compito di fare assistenza al personale che avrebbe dovuto manutenerli.
Poi ci sono stati tantissimi altri episodi del genere.
PRESIDENTE. Prima degli anni novanta?
FRANCO OLIVA. Sì, negli anni ottanta, fino al 1989.
PRESIDENTE. E fino a tale periodo, può segnalarci episodi di traffico d'armi tra Italia e Somalia? Il primo episodio da lei riferito fa seguito alla visita di De Michelis, nel 1989. Dopo tale visita, è in
grado di riferire alla Commissione altri episodi di traffico di armi a favore di Siad Barre?
FRANCO OLIVA. Traffici di armi in senso vero e proprio, forse no, a meno che non si parli di voci d'ambiente, ma credo che non abbiano valore per la Commissione.
Invece, fatti certi sui quali si può riferire riguardano l'assegnazione della flotta terrestre all'amministrazione militare all'indomani della consegna al paese della flotta. Ora, in base alla legge n. 49 del 1987, ma anche in base alla precedente legge n. 38 del 1979, i doni del Governo italiano - che provenivano, chiaramente, dai fondi destinati alla cooperazione - non avrebbero mai potuto essere destinati all'amministrazione militare. Invece, da un giorno all'altro, senza nessuna spiegazione, questi beni passarono all'amministrazione militare.
Nel 1986, quando giunsi in Somalia, esisteva presso la delegazione una procedura che io trovai piuttosto preoccupante. Premetto che quando giungevano dei materiali dall'Italia, normalmente giravamo la polizza di carico per lo sdoganamento all'ente beneficiario del progetto di cooperazione. Mi resi conto che, invece, per molti di questi beni - soprattutto veicoli dell'Iveco - c'era la prassi di girare direttamente le polizze di carico all'amministrazione militare.
Io sollevai subitaneamente un'obiezione, essendo molto ingenuo, visto che provenivo da un'amministrazione dove queste cose non avvenivano, anche per ragioni afferenti alla natura del servizio. Quale fu il risultato? Che, ad un certo punto, queste carte non passarono più dal mio ufficio.
PRESIDENTE. Ho capito. All'epoca alla quale lei si sta riferendo, Marocchino operava in Somalia?
PRESIDENTE. E con riferimento al traffico di armi - o alla fornitura di armi provenienti dall'Italia -, tornando ancora a quel dies a quo della visita di De Michelis, le risulta un'interferenza, un'intromissione, un coinvolgimento di Giancarlo Marocchino?
FRANCO OLIVA. In questa circostanza no, assolutamente no.
PRESIDENTE. Dopo la caduta di Siad Barre, lei ha avuto conoscenza dell'esistenza di un traffico di armi tra Italia e Somalia o, comunque, nell'ambito del quale l'Italia avesse un suo ruolo e di un eventuale coinvolgimento di Giancarlo Marocchino? Stiamo parlando del periodo successivo al 1991, ovviamente.
FRANCO OLIVA. Se parliamo del periodo successivo al 1991, la Somalia l'avevo già dimenticata, ovviamente. Ci sono tornato a fine 1993.
PRESIDENTE. Dunque, tra il 1991 e il 1993 lei non è stato in Somalia.
FRANCO OLIVA. No. Né avrei voluto tornarvi; comunque, è stata una circostanza piuttosto strana quella per cui sono stato mandato lì. C'erano, chiaramente, voci d'ambiente sul fatto che Marocchino svolgesse un'attività di questo tipo. C'era sicuramente una situazione piuttosto strana, c'era anche un gruppo di giornalisti che tentava di accreditare Marocchino, davanti all'opinione pubblica nazionale, come un fedele servitore dello Stato. Del resto, lo ha fatto anche il generale Fiore: Marocchino veniva presentato come un normale imprenditore che stava lì, faceva i suoi trasporti, eccetera. In realtà, la sede di Giancarlo Marocchino era una sorta di base militare: entrando, vi si potevano vedere più armi di quante se ne vedessero nel nostro compound militare! La cosa, dunque, era alquanto strana.
Marocchino, inoltre, aveva una sede anche nell'altra zona di Mogadiscio, quella controllata da Aidid: lì aveva tutte le macchine per il movimento terra, i camion che erano stati consegnati per il servizio di raccolta dei rifiuti nel 1989, e così via.
Comunque, nessuno può aver visto chiaramente Marocchino portare armi, questo sicuramente no.
PRESIDENTE. Lei ha conosciuto Garelli?
FRANCO OLIVA. Sì, l'ho conosciuto poco dopo il mio arrivo in Somalia, in quanto frequentavamo lo stesso albergo.
FRANCO OLIVA. Nel 1986, la prima volta. Egli era in rapporto con un signore che lavorava per un progetto relativo alla strada Garoe-Bosaso; almeno, io li ho conosciuti insieme. Dico la verità, lo avevo molto sottovalutato; non mi sembrava un personaggio tanto interessante: aveva un certo grado di rozza simpatia, ma non oltre.
FRANCO OLIVA. Invece, non ricordo se fosse nel 1988 o nel 1989, mi venne a trovare, dopo un periodo molto lungo nel quale non ci eravamo visti. Mi venne a trovare all'indomani di un incidente durante il quale la mia casa era andata a fuoco; pertanto, ero «accampato», mentre si stavano facendo i lavori. Comunque, lo invitai un paio di volte a pranzo.
PRESIDENTE. L'incendio fu accidentale?
FRANCO OLIVA. Sì, ho maneggiato molto male un generatore a benzina e così sono riuscito a dare fuoco a casa.
PRESIDENTE. È vero o sta ironizzando?
FRANCO OLIVA. È vero. Siccome non c'era luce - la corrente non c'era mai -, mi sono avvicinato a circa 4 metri con una candela, perché al buio non vedevo: erano fuoriusciti dei vapori, per cui l'ambiente ha preso fuoco.
Come ho già detto, Garelli venne a trovarmi e, tra una cosa e l'altra, mi disse di non preoccuparmi, che presto sarebbe arrivata una nave in Somalia e che avrebbe provveduto a caricare anche un generatore per me; altrimenti, avrei dovuto attendere la spedizione di un nuovo generatore. In quella circostanza, mi parlò di affari che lui stava facendo in Somalia: cioè, mi parlò di una nave di scorie radioattive che sarebbe dovuta giungere in Somalia.
FRANCO OLIVA. Non me lo disse. Io rimasi piuttosto perplesso, perché alcune cose non le conoscevo e, ovviamente, gli chiesi come mai facesse una cosa del genere, che non mi sembrava molto morale. Al che lui mi rispose: che te ne frega? Sai quanto rende una nave di questo genere? E mi disse che valeva sette, otto miliardi.
PRESIDENTE. Lo rappresentava come un episodio di occasionalità criminale oppure le disse che si inseriva in una sua professionalità?
FRANCO OLIVA. Che si inseriva in una sua professionalità; era una persona che faceva molte cose, era...
PRESIDENTE. ...uno scaricatore di rifiuti radioattivi!
FRANCO OLIVA. Nel 1986 si occupava di altro, mi sembra dei tondini di ferro. In quella circostanza, mi disse che aveva relazioni politiche molto in alto e che queste sue relazioni passavano attraverso Marocchino e la moglie di Marocchino.
PRESIDENTE. Relazioni politiche in Somalia?
FRANCO OLIVA. Non mi disse mai delle sue relazioni politiche in Italia.
PRESIDENTE. Con riferimento a questa notizia, che Garelli le diede nella circostanza da lei descritta, lei ha avuto modo di fare qualche riscontro di corrispondenza al vero oppure si trattava, come dire, di una magnificazione della sua opera?
FRANCO OLIVA. Dico la verità, avevo di questa persona un'impressione...
FRANCO OLIVA. No, non negativa ma mi sembrava che fosse una persona che raccontava un sacco di cose, un sacco...
FRANCO OLIVA. Un sacco di balle, sì. Insomma, nell'immediato non ho dato molta importanza alla cosa, sennonché a distanza di qualche mese - questo è un fatto che non posso porre in relazione oggettiva con quella notizia -, nella zona di Merka si arenò una nave, che non aveva personale a bordo e che conteneva dei veleni, delle scorie, tant'è vero che l'area sotto Merka fu chiusa per un certo periodo.
PRESIDENTE. Scorie di tipo radioattivo?
FRANCO OLIVA. Così si diceva; lo dicevano i somali. Della nave era sparito addirittura il nome; qualcuno diceva che fosse una nave russa, o qualcosa del genere. Comunque, quella nave venne a spiaggiare sotto l'area di Merka e ci furono dei casi, degli incidenti.
PRESIDENTE. Lei ha conosciuto Li Causi?
FRANCO OLIVA. Sì, Li Causi era un mio compagno di poker.
PRESIDENTE. Di poker: e chi vinceva?
PRESIDENTE. Questa è una cosa buona...
FRANCO OLIVA. Sì, una delle cose positive della Somalia.
PRESIDENTE. Li Causi perdeva sempre?
FRANCO OLIVA. Con me sì, tant'è vero che ero costretto ad offrire il vino a tutti quanti, perché mi vergognavo ad incassare regolarmente quei soldi!
PRESIDENTE. Oltre a questo, chi era Li Causi? Che tipo di frequentazione avete avuto?
FRANCO OLIVA. Eravamo dei buoni vicini; nel compound dove era alloggiata la delegazione speciale, nel 1993, un complesso era assegnato alla cooperazione, un altro alla sede diplomatica e, dietro alla palazzina della sede diplomatica, c'era una palazzina assegnata ai nostri servizi. La sera, dopo cena, spesso ci si riuniva per passare il tempo (anche perché non si poteva, ovviamente, uscire) e quindi questa è la mia conoscenza di Li Causi. Quando fu ferito, rimasi molto stupito dai resoconti che furono fatti: siccome conoscevo la persona - e non mi pareva fosse uno stupido - mi sembrava strano che quel signore viaggiasse così incautamente, a quell'ora di notte su una vettura non protetta e su una strada senza illuminazione, quando tutte le sere, scherzando, ci ripetevamo la battuta che i nostri militari pagavano l'autostrada per rientrare a Mogadiscio! Questa, comunque, è una delle storie che ci sono state raccontate; si può far finta di crederci oppure si può anche non crederci.
Da quanto mi è stato riferito da amici che erano in Somalia, so che Li Causi doveva rientrare in Italia con lo stesso aereo con il quale avrei dovuto essere trasportato io e poi gli fu ordinato di rimanere per un'altra settimana.
PRESIDENTE. Che fu quella fatale.
FRANCO OLIVA. Sì, fu quella fatale. Un signore che lavorava con noi in Somalia mi ha riferito - tante volte ne abbiamo parlato - che Li Causi era semplicemente terrorizzato, che questa notizia lo aveva colpito moltissimo.
FRANCO OLIVA. Che sarebbe dovuto rimanere per un'altra settimana. Poi, devo dire la verità, andai a trovare del tutto casualmente il capo della procura militare, dottor Intelisano. Ci fui mandato con un escamotage: non so se fosse una cosa credibile oppure no, ma andai a consegnare dei documenti, per conto di un giornalista siciliano, al dottor Intelisano. Quando giunsi lì, vidi che quegli stessi documenti lui li aveva già, aperti sulla scrivania. Sinceramente, la cosa mi sembrò piuttosto irritante (allora mi muovevo anche con una certa difficoltà).
Tornai a trovare il dottor Intelisano con il mio avvocato; e in quella circostanza il dottor Intelisano disse che la versione che era stata data della morte di Li Causi non corrispondeva al vero, ma che Li Causi sarebbe stato ucciso a Balad, nel campo militare italiano, mentre giocava una partita di calcetto. È chiaro, restano molti dubbi, ma questo confermerebbe la mia impressione.
PRESIDENTE. Quando è stato ucciso Li Causi, lei era a Mogadiscio?
FRANCO OLIVA. Sì, ero ricoverato in ospedale. Anzi, no, ero appena tornato in Italia: ero ricoverato al Gemelli, quando mi giunse la notizia.
PRESIDENTE. La notizia che le era arrivata diceva, invece, che Li Causi era stato ucciso in quella strada?
PRESIDENTE. Chi gliela aveva data?
FRANCO OLIVA. La stampa. Era una notizia di stampa, poi qualche amico mi ha telefonato e mi ha detto che Li Causi era morto.
PRESIDENTE. Le ha mai confidato qualcosa di riservato, di rilevante, soprattutto con riferimento ai suoi rapporti con Ilaria Alpi, se aveva rapporti con Ilaria Alpi?
FRANCO OLIVA. No, assolutamente no. Non so niente di questo.
PRESIDENTE. Non le ha mai detto niente.
Il giornalista Grimaldi lei lo ha conosciuto?
FRANCO OLIVA. No. Ho letto sue cose, ma non lo conosco.
PRESIDENTE. Un certo Mario Zaccolo lo ha mai conosciuto?
PRESIDENTE. Non ha mai sentito nemmeno il nome?
FRANCO OLIVA. Sì, il nome l'ho sentito.
FRANCO OLIVA. Mugne l'ho conosciuto. L'ho conosciuto abbastanza bene.
PRESIDENTE. Chi era questo Mugne, per quello che lei ha capito? Che aveva da fare con la Cooperazione?
FRANCO OLIVA. Mugne aveva da fare con la Cooperazione in quanto aveva avuto una serie di incarichi all'interno dell'ENFAIS, che era un organismo che fungeva da corrispettivo della struttura di cooperazione, con tutti i paesi donatori, ovviamente. Presidente era un certo Abdirizak personaggio poi sparito dalle cronache, e Mugne era un dei personaggi che avevano avuto incarichi di ogni tipo all'interno di
questa struttura. Io l'ho conosciuto la prima volta all'interno di una commissione mista per la consegna al paese della famosa flotta aerea.
FRANCO OLIVA. No, la flotta aerea del FAI, la flotta aerea di emergenza. Cosa era successo? Era successo un piccolo incidente, cioè che un vettore americano nell'aeroporto militare di Mogadiscio aveva fatto crollare una parte dell'hangar dove erano ricoverati due nostri aerei. Poi, il Ministero degli esteri, resosi conto del rischio di un grosso scandalo per questo progetto, aveva invitato la delegazione italiana in Somalia ad esperire una gara per vendere questo materiale, uno degli aerei, ad una qualche compagnia africana. Dopo questo tentativo, andato a vuoto perché rispose solo una compagnia keniota, la quale ci offrì, invece, un loro rottame, dicendo «fate l'assemblaggio con il nostro rottame, così, forse, qualcosa tirate fuori», il Ministero decise che bisognava far rientrare questa roba in Italia per assegnarla alla Protezione civile. È chiaro che si trattava di rottami, quindi noi facemmo una stima che il costo del trasporto sarebbe stato ben superiore al valore effettivo, però siccome questo doveva servire per coprire almeno un poco le nefandezze di quel progetto, lo si fece.
Per fare questo bisognava regolarizzare tutto formalmente e ciò significava, intanto, fare un inventario di tutte le parti degli aerei che erano rimaste, di questi rottami e chiudere in qualche modo, nell'ambito della commissione mista, i rapporti con la controparte somala. Nella commissione c'erano diverse posizioni. Il presidente dell'ENFAIS, Abdirizak, si rifiutava di firmare un documento congiunto, dicendo che si vergognava di accettare una cosa del genere, perché ne avrebbe dovuto rispondere davanti al suo paese. Inoltre - allora io ero un pochino più giovane, in quella circostanza ero il funzionario più giovane nell'ambito della commissione, quindi fui incaricato, come di norma avviene, della verbalizzazione di questi incontri - erano presenti dei funzionari del Ministero degli esteri, del FAI ed era presente questo Mugne (io lo conobbi lì per la prima volta): ci fu una serie di accuse tra Mugne e questi signori, finché, ad un certo punto, Mugne saltò in piedi e disse «se voi dite quello che ho rubato io, io dirò quello che avete rubato voi». Io andai dall'ambasciatore e gli chiesi se nel verbalizzare dovessi essere fedele; questi mi rispose che non si poteva mettere esattamente quello che era stato detto e bisognava trovare un escamotage, una formula un po' più elegante. Allora io scrissi che c'era stato uno scambio di reciproche accuse riguardanti la correttezza della gestione del progetto, eccetera, e quella fu una delle occasioni in cui io conobbi direttamente questo signore. Poi, lo incontrai anche in altre situazioni.
PRESIDENTE. Dei rapporti con le navi Shifco ha mai saputo niente?
FRANCO OLIVA. No. Il discorso è che noi non abbiamo mai potuto intervenire su quel progetto, per il semplice fatto che, in maniera irrituale, le navi partirono dall'Italia battendo già bandiera somala, il che significa che una volta giunte a Bosaso noi non potevamo esercitare alcun controllo. Normalmente, noi eravamo una struttura di monitoraggio e controllo dei vari progetti, ma in quel caso non potevamo controllare niente, perché quello era territorio di un altro paese, in quanto batteva bandiera somala. Quella che si viene a sapere era la storia dei containers: cioè, che le 16 celle frigorifere che dovevano essere a bordo della nave madre, quella che raccoglieva il pescato delle altre navi addette alla pesca, in realtà non c'erano ed in luogo di queste c'erano non ricordo se sei celle, di dimensioni diverse, non adibite alla surgelazione. Questo per dire che già allora molti - senza fare una lunga lista di nomi - commentarono che queste navi, avendo toccato prima anche il porto di Tripoli, potessero aver portato altre cose, che certamente non erano il pescato.
PRESIDENTE. Ha sentito parlare della Gisoma?
FRANCO OLIVA. La Gisoma era una joint-venture che serviva per la gestione del progetto dell'allevamento del bestiame. Noi avevamo attrezzato giù una sorta di centro di allevamento del bestiame, o, meglio, un centro di ingrasso del bestiame. Si tratta di una cosa piuttosto turpe, perché era un meccanismo attraverso il quale le autorità governative cercavano di fare cassa: con l'assenso più pieno da parte delle autorità italiane e dei nostri decisori ministeriali, nei periodi di siccità compravano il bestiame da quei poveri allevatori che erano costretti a disfarsene; glielo compravano a quattro soldi, poi lì c'era una centro di ingrasso e lo vendevano come bestiame in piedi ai paesi frontalieri. Secondo alcuni opinioni, questo bestiame era stato anche venduto allo Yemen in cambio di armi. Di questo si parlava giù, ma noi eravamo in una situazione in cui le voci d'ambiente erano moltissime. gli scandali che erano sotto i nostri occhi...
FRANCO OLIVA. ...ci facevano sembrare tutto possibile e, forse, avevamo anche perso una certa sensibilità morale davanti a quello che stava succedendo.
PRESIDENTE. A chi faceva capo la Gisoma?
FRANCO OLIVA. In che senso: chi era responsabile? L'amministratore era Mugne.
PRESIDENTE. Proprio Mugne. E la Giza?
FRANCO OLIVA. La Giza era una delle società che aveva gestito uno dei tanti progetti nel settore agricolo.
PRESIDENTE. Sinteticamente, per quelle che sono le sue valutazioni, o anche in base agli accertamenti che lei ha potuto fare successivamente, in quanto mi pare che anche lei abbia avuto qualche peripezie giudiziaria, nel senso di ottenere un minimo di giustizia per quello che riguardava l'indagine concernente l'attentato di cui è stato vittima...
PRESIDENTE. Lo sappiamo, quindi non torniamo su questo.
FRANCO OLIVA. Forse, non l'esito.
PRESIDENTE. No, l'esito sicuramente no. Però, mi pare di capire che l'attentato in suo danno interviene in un momento di forte conflittualità che lei aveva, per ragione del suo ufficio, istituito con il mondo somalo, con particolare riferimento a Giancarlo Marocchino. Se ho capito male, mi corregga.
FRANCO OLIVA. Non solo con Giancarlo Marocchino. È chiaro che nel momento in cui ho presentato un appunto che ha obbligato il capo della direzione speciale a sospendere tutti gli interventi sul territorio, fatta eccezione per un piccolo intervento del valore di 50 milioni, tanto per mantenere in piedi la bandierina, ho creato delle condizioni di rischio per me. Questo è abbastanza normale.
PRESIDENTE. Ha fatto mai delle deduzioni ulteriori o ha potuto accertare qualcosa che l'ha convinta che tra questa conflittualità e l'attentato potesse esserci una eziologia, o no?
FRANCO OLIVA. Certo, il mio attentato non è stato scopo di rapina. La prima volta che sono uscito dalla sede della delegazione con l'inventario dei farmaci per concordare con i centri sanitari un minimo di distribuzione, io sono stato oggetto di questo attentato, che non era a scopo di rapina, tanto è vero che nessuno si era avvicinato alla vettura; tanto è vero
che era un attentato molto bene organizzato, tecnicamente ben organizzato; tanto è vero che le postazioni da cui sono partiti i colpi non erano quelle riferite nell'ambito della delegazione italiana, secondo la quale i colpi sarebbero partiti da un mezzo passato alla nostra destra, mentre i proiettili che ho ricevuto hanno il foro ingresso a sinistra, per cui già per questo se un pubblico ministero avesse avuto un minimo di curiosità si sarebbe accorto della palese falsità di certe informazioni. È chiaro che io ho posto in rapporto queste cose; anche perché la cosa strana è che sulla vettura c'erano due uomini armati e sono stati colpiti uno al cuore e uno in testa, per cui si è trattato di due tiri precissimi, l'autista è stato colpito ad un braccio, io sono stato colpito ma nessun altro è stato colpito. Questa cosa è stranissima.
PRESIDENTE. Lei ha chiesto all'autorità giudiziaria di fare indagini tenendo conto di questa possibile correlazione?
PRESIDENTE. Che risposta ha avuto?
FRANCO OLIVA. Io ho presentato un esposto denuncia, perché mi sembrava molto curioso che fossi l'unico italiano che rientrando in Italia dopo avere subito un attentato non era stato contattato né dall'autorità giudiziaria, né dagli organismi ministeriali, né da nessun altro, ma semplicemente abbandonato in un ospedale, senza nemmeno la cortesia di una telefonata. Presentai, anche perché avevo delle informazioni - chiaramente, cose che non posso dimostrare ma voci di conoscenti che erano giù in Somalia e che mi avevano detto «Franco, secondo noi è successo questo» - un esposto denuncia al pubblico ministero De Gasperis.
PRESIDENTE. Cosa significa «è successo questo»? La storia di De Gasperis ormai la conosciamo tutta, ma cosa significa «Franco, è successo questo»?
FRANCO OLIVA. È successo che tu sai da dove può essere venuto l'attentato.
FRANCO OLIVA. Il riferimento era, ovviamente, Giancarlo Marocchino.
PRESIDENTE. A Giancarlo Marocchino.
FRANCO OLIVA. Questo era quello che mi veniva detto; io, poi, non lo so.
PRESIDENTE. Lei ha rappresentato all'autorità giudiziaria questa circostanza relativa alla possibilità che il riferimento fosse a Giancarlo Marocchino?
PRESIDENTE. L'ha fatto e la risposta è stata l'archiviazione.
FRANCO OLIVA. No, è molto diversa la risposta. Dunque: l'inchiesta è stata associata a quella che riguardava Ilaria Alpi; dopo di che, dopo un incontro tra il pubblico ministero De Gasperis e il mio avvocato, De Gasperis giunse a dire «siccome nel processo Alpi non ci sono prove di niente, invece lei ha fornito elementi certi, indiziari molto forti, è più utile scindere le due inchieste». Quindi, è stata fatta la scissione delle due inchieste e quella che mi riguarda è stata assegnata al dottor Nebbioso. Ma io non ho mai avuto l'onore di conoscere il dottor Nebbioso, non sono mai stato sentito. Potrei anche dire che aveva ritenuto sufficiente il mio esposto, essendo stato io tanto esaustivo, il pubblico ministero aveva ritenuto non necessario sentirmi nuovamente; la cosa che mi ha colpito, però, è che non ha voluto sentire nemmeno i testimoni oculari, che non ha voluto prendere cognizione delle foto fatte alla vettura immediatamente dopo l'incidente, che non ha voluto sentire nemmeno persone che avevano da riferire notizie sul modo in cui sono stato rimpatriato. Infatti, io sono stato caricato su un aereo senza alcun tipo di assistenza
quando sulla cartella clinica i medici rumeni avevano scritto che io ero, in quelle condizioni, un malato inamovibile; invece, per farmi viaggiare su un aereo non pressurizzato e non climatizzato mi hanno addirittura staccato i drenaggi; mi hanno caricato nudo a 12 mila piedi di quota e messo a rischio vita, secondo la valutazione di un tecnico assicurativo, del 94 per cento. Non ha sentito nemmeno una dichiarazione... C'è stata una testimonianza volontaria scritta, presentata al pubblico ministero Nebbioso da parte di un cooperante, il quale ha dichiarato che nell'ambito della delegazione italiana si è deciso di coprire il fatto che io ancora ritenevo un proiettile, cosa che avrebbe impedito il mio imbarco sull'aereo militare.
PRESIDENTE. E che ritiene ancora?
FRANCO OLIVA. No, mi è stato poi tolto in Italia. I medici rumeni, attraverso la loro rappresentanza a Roma, autonomamente e volontariamente mi hanno fatto avere un documento, con traduzione legale a cura dell'ambasciata rumena, in cui hanno segnalato le modalità con le quali io sono stato portato via dal loro ospedale, definendo questa operazione «irresponsabile e incomprensibile». Ma ci sono tantissimi altri elementi. C'è un signore - diciamo così -, che si picca di lavorare per i nostri servizi, il quale ha dichiarato di sapere che la decisione dell'attentato è nata in ambienti italiani, dicendosi disposto a riferire.
PRESIDENTE. Chi è questa persona?
FRANCO OLIVA. È un signore molto discusso, che si chiama Aldo Anghessa.
PRESIDENTE. Le avrei fatto adesso una domanda su Anghessa.
FRANCO OLIVA. Vuole sapere come l'ho conosciuto?
PRESIDENTE. Sì, vorrei sapere come lo ha conosciuto e dove lo possiamo trovare.
FRANCO OLIVA. Riguardo a dove lo potete trovare, per quanto ne so io è in Iraq, però non so di più.
PRESIDENTE. In questi giorni, non c'è terreno migliore!
FRANCO OLIVA. Io l'ho conosciuto telefonando alla stazione dei carabinieri di Torre Annunziata, dove...
PRESIDENTE. Maresciallo Vacchiano.
FRANCO OLIVA. Sì. Però il signor Anghessa lo dovevo cercare presso la stazione dei carabinieri con i nomi di copertura di Lotti o Ghetti (dottor Lotti o dottor Ghetti: tutti e due i nomi erano validi) e il centralinista, che presumo fosse un carabiniere di Torre Annunziata, mi passava questo signore. Questa è una cosa molto strana; io, poi, sono stato sentito da non so quante procure in Italia - forse, non le ricordo nemmeno tutte, perché c'è una certa stanchezza - e fui convocato dalla procura di Napoli nell'ambito dell'inchiesta sulla farma-truffa.
FRANCO OLIVA. Non so se sia o non sia rilevante.
PRESIDENTE. Sì, certo. Poggiolini, insomma.
FRANCO OLIVA. No, quello della farma-truffa era uno scandalo che era stato sollevato da Le Monde, che aveva accusato molti paesi cooperanti di inviare farmaci placebo in Africa. La segnalazione della convocazione mi fu fatta da Aldo Anghessa ed io dissi che mi sembrava molto irrituale, perché se una procura mi vuole sentire, c'è la polizia giudiziaria, mi fa un invito ed io, molto volentieri, ci vado.
PRESIDENTE. Funzionario di fatto, Anghessa.
FRANCO OLIVA. Io fui introdotto ai pubblici ministeri da Aldo Anghessa. Fui
accompagnato, per ragioni di sicurezza, come mi si disse, a Roma dal signor Aldo Anghessa, che si premurò anche di pagarmi la differenza del biglietto tra prima e seconda classe. Poi, fui richiamato un'altra volta a Torre Annunziata ed il maresciallo Vacchiano mi disse che si trattava di un noto trafficante d'armi, pericolosissimo, eccetera, eccetera; io gli risposi «non lo so, io sono un cittadino molto ingenuo, ma se trovo questo signore telefonando al vostro centralino debbo presumere che si tratti di una persona che ha un rapporto organico di collaborazione con voi».
PRESIDENTE. E Vacchiano cosa disse?
FRANCO OLIVA. Non disse niente. Tant'è che, tornato a Roma, io ero piuttosto irritato per questa cosa e scrissi una raccomandata (che naturalmente ancora conservo) al maresciallo Vacchiano e feci un esposto denuncia alla procura di Roma, dicendo: sono un cittadino, non so cosa mi succede, ma essere preso in giro in questo modo non mi va; il mio prezzo l'ho pagato, ad essere pure preso in giro non ci sto, quindi sia la procura ad indagare su cosa può essere successo, sul perché io vengo convocato presso una stazione dei carabinieri per una testimonianza urgente, mi si dice che devo confermare una testimonianza resa alla procura di Latina due anni prima, dopo di che mi si fa un interrogatorio che non viene verbalizzato se non su nastro. Io non ho mai firmato questo interrogatorio che, però, è stato fatto leggere ai giornalisti di tutti i giornali. È comparsa una mia intervista, mai concessa, con virgolettato, su Il Mattino di Napoli, in cui io sono stato presentato come uno dei più importanti testimoni del processo cheque to cheque, come dire «questo è il bersaglio; se volete sparare, è lui», per cui l'unica difesa che potevo avere era quella di fare una segnalazione all'autorità giudiziaria.
PRESIDENTE. Cosa è successo di questa segnalazione?
FRANCO OLIVA. Assolutamente niente. D'altra parte, non è successo niente nemmeno con l'inchiesta che riguarda il tentativo di omicidio ai miei danni.
FRANCO OLIVA. Il problema è che non c'è stata archiviazione.
PRESIDENTE. Ancora niente? È pendente.
FRANCO OLIVA. No, non è pendente. Il discorso è questo: il pubblico ministero ha proposto l'archiviazione; il GIP ha respinto l'archiviazione, ordinando altre indagini ad un altro pubblico ministero, il quale avrebbe dovuto indagare, quanto meno, su chi avesse deciso il mio rimpatrio in Italia in quelle condizioni di rischio per la mia incolumità; questo pubblico ministero ha riferito nuovamente al GIP che tutti avevano negato, quindi lui non poteva farci niente, perché non c'era niente; d'altra parte, il documento che riguardava l'autorizzazione di volo non risultava più tra le carte dell'aviazione militare, era l'unico documento mancante tra i documenti di voto; quindi il pubblico ministero Nebbioso ha riproposto l'archiviazione. Però il fatto è che l'archiviazione è stata riproposta non per il tentativo di omicidio, bensì per un reato accessorio che era l'omissione di atti d'ufficio, per la quale io vivo già scritto al pubblico ministero e al GIP che si trattava di una farsa, perché è chiaro che se questo reato veniva ipotizzato a carico di persone che io già avevo dichiarato non essere presenti in Mogadiscio in quel periodo (perché chi stava Nairobi, che stava altrove), era semplicemente un preparare una archiviazione, almeno per quell'ipotesi. Infatti, è chiaro che uno inventa un'ipotesi, poi la smentisce. Dopo di che, quando arrivammo in camera di consiglio il mio avvocato fece presente al GIP che era sparita l'ipotesi centrale, cioè il tentativo di omicidio, è il GIP rispose «che ci posso fare, se non c'è più niente?». Quindi, l'archiviazione fu accolta per l'omissione di atti d'ufficio.
PRESIDENTE. Sul tentato omicidio...
FRANCO OLIVA. Quell'ipotesi è sparita completamente.
FRANCO OLIVA. È stata una geniale soluzione.
FRANCO OLIVA. È stata una geniale soluzione, io non ci avrei mai pensato.
PRESIDENTE. D'accordo.
La parola all'onorevole Bulgarelli.
MAURO BULGARELLI. Innanzitutto ringrazio il dottor Oliva, di cui ho letto il libro.
Qui si è parlato di Li Causi, di Anghessa, di Garelli; io vorrei, dottor Oliva, sapere qualcosa di più sugli altri italiani che ha incontrato in Somalia, per capire meglio il quadro. Nel suo libro, ad esempio, si parlava di Mirko Martini.
FRANCO OLIVA. Mirco Martini io non l'ho mai incontrato in Somalia. Nel libro non si sostiene questo.
MAURO BULGARELLI. Io le chiedevo se sa qualcosa su altre persone, su altri italiani che abbia conosciuto in Somalia in quel periodo.
FRANCO OLIVA. Negli anni ottanta?
MAURO BULGARELLI. Sì, negli anni ottanta e poi, naturalmente, anche nel periodo successivo.
FRANCO OLIVA. Io ho incontrato tante persone. Adesso, non saprei.
MAURO BULGARELLI. Parlo di persone che, secondo lei, potevano avere rapporti, per così dire, curiosi con quel paese.
FRANCO OLIVA. Rapporti «curiosi» con quel paese negli anni Ottanta ce ne erano tantissimi, c'era un via vai di persone che potevano avere rapporti «curiosi» con quel paese. Io, per esempio, ho riferito alla polizia giudiziaria delle procure di Brescia e di Asti una vicenda in genere sottovalutata. Negli anni Ottanta si stava varando il progetto del FAI della conceria, progetto evidentemente fallimentare, perché non ci si è resi conto che si creava una conceria dove non c'erano pelli; la cosa, però, trovò una soluzione, perché per fare l'inaugurazione del progetto fu fatta l'importazione temporanea di pelli italiane. Poi le rubarono e fu molto difficile convincere i somali che non erano state vendute per autorizzare il rimpatrio di queste merci. Comunque, in quel periodo c'era una frequentazione di italiani che venivano, aprivano concerie e sparivano.
MAURO BULGARELLI. Diciamo che era il flusso dei finanziamenti a determinare le opere.
FRANCO OLIVA. No, la giustificazione ufficiale era che siccome in Somalia non c'era una legislazione severa come quella italiana, si potevano tranquillamente scaricare i veleni a terra. Quindi c'era una fauna di italiani che svolgeva attività di questo tipo. La cosa curiosa è che queste strutture non si sono mai viste: quindi è chiaro che si scaricavano altre cose.
MAURO BULGARELLI. Punto e basta.
FRANCO OLIVA. Punto e basta. Questo è il discorso. Quindi, era una frequentazione di questo tipo. Per quello che mi riguarda - cose che io ho appreso negli anni ottanta - questo fu uno dei motivi per cui monsignor Colombo immaginò che, forse, bisognava creare qualcosa di più serio e progettò una conceria da aprire con alcuni gruppi di islamici che erano nell'area intorno a Mogadiscio; cioè, nel tentativo di stabilire un dialogo, cercava di mettere su progetti di collaborazione con il coinvolgimento anche del mondo islamico. E questo fu uno dei progetti di
monsignor Colombo, ma perché, evidentemente, egli faceva la stessa valutazione.
MAURO BULGARELLI. Lei oggi ha ancora rapporti con qualcuno che è in Somalia, che lavora in Somalia?
MAURO BULGARELLI. Le risulta che, oltre a Marocchino, in questo momento ci sia in Somalia qualche altro italiano?
FRANCO OLIVA. Da notizie che ho io attraverso i miei modestissimi canali, anche perché di Somalia vorrei non occuparmene più, per evidenti ragioni, in Somalia ci sono delle attività, chiaramente. Ad esempio, si parla del porto di Elman: io ho visto che uno dei soggetti che si è interessato di questo progetto è stata la Commissione monocamerale Scalia, la quale ha concluso i lavori prima della chiusura dei lavori della passata Commissione di inchiesta ed è curioso che la Commissione che indagava sulla cooperazione non abbia recepito le acquisizioni della Commissione Scalia, ma questo è un altro discorso; quello che voglio dire è che di Elman già si parlava allora. Il discorso di Elman nasce come progetto del PAM, dopo di che, per una serie di cose che sarebbe troppo lungo e noioso raccontare, va a finire che diventa un progetto personale di Marocchino. Io ho avuto anche modo di vedere delle foto di una famosa chiatta parcheggiata davanti al cosiddetto porto di Elman; ho qualche documento, credo, che riguarda la ricerca di navi per conto di questo gruppo; ho conosciuto un personaggio che so essere in società - a meno che non abbiano di recente rotto i loro rapporti - con Giancarlo Marocchino, il quale cercava questa nave da cinque-diecimila tonnellate.
MAURO BULGARELLI. È un somalo che tutti chiamano Eno, perché i somali vengono sempre chiamati con un nome che è un po' riassuntivo; comunque, ho il suo biglietto da visita. È un personaggio che ha gestito progetti PAM dagli Stati Uniti, dal Canada e, non per niente, sul suo biglietto da visita i è scritto che si interessa anche di scavo di pozzi.
FRANCO OLIVA. Sì. Comunque, presidente, se vi interessa posso farvi avere il nome, perché ho a casa il biglietto da visita.
PRESIDENTE. Se ce lo farà avere, ci farà una cortesia. Ne prenderemo nota.
MAURO BULGARELLI. Le risulta che vi siano altri italiani che in questo momento lavorano con Marocchino in Somalia? Dicendo «in questo momento» intendo dire negli ultimi 15 anni.
FRANCO OLIVA. Negli ultimi 15 anni sono stati tantissimi. C'è stato questo Roghi, ci sono stati tantissimi italiani che hanno lavorato con Marocchino. Marocchino è stato un punto di riferimento.
MAURO BULGARELLI. Un catalizzatore di energie.
FRANCO OLIVA. Un catalizzatore per una serie di attività.
MAURO BULGARELLI. Non ho altre domande.
PRESIDENTE. Non essendovi altri colleghi che intendano rivolgerle domande, dottor Oliva, noi la ringraziamo, perché ci ha dato notizie importanti, magari oltre quello che lei può avere personalmente percepito. Se, poi, ci farà avere l'indicazione di quel nominativo, gliene saremmo grati.
FRANCO OLIVA. Certamente. Farò una fotocopia del biglietto da visita e la invierò alla Commissione.
PRESIDENTE. La ringrazio nuovamente e dichiaro concluso l'esame testimoniale.
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