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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'esame testimoniale di Salvatore Grungo, al quale segnalo che sarà ascoltato con le forme della testimonianza e quindi con le responsabilità che conseguono, dal punto di vista della falsa testimonianza e della testimonianza reticente. Ovviamente, si tratta di una comunicazione che do soltanto per dovere d'ufficio.
Signor Grungo, la prego di declinare le sue generalità.
SALVATORE GRUNGO. Sono Salvatore Grungo, nato a Catania il 30 settembre 1955 e residente a Perugia, in via Tagliamento 126/b.
PRESIDENTE. Che attività svolge?
SALVATORE GRUNGO. Lavoro nel campo degli aiuti umanitari.
PRESIDENTE. Anche attualmente?
PRESIDENTE. Che attività svolge in questo periodo?
SALVATORE GRUNGO. In questo periodo svolgo il lavoro di collaboratore di un'associazione umanitaria italiana che ha base a Roma e si chiama «Ricerca e cooperazione».
PRESIDENTE. In quali paesi lavora?
SALVATORE GRUNGO. L'associazione lavora nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, Africa e America Latina.
PRESIDENTE. Per quello che riguarda l'Africa e il bacino mediterraneo in particolare?
SALVATORE GRUNGO. Attualmente abbiamo interventi in Libano, nei territori palestinesi, qualcosa in Siria e Giordania. Per quanto riguarda l'Africa: Malawi e Ghana.
PRESIDENTE. È mai stato in Somalia?
SALVATORE GRUNGO. Arrivai all'inizio del 1993.
PRESIDENTE. Si fermò per molto tempo? Se sì, in quale periodo?
SALVATORE GRUNGO. Mi fermai fino al 1998, quindi 5 anni, sempre lavorando per organismi umanitari italiani.
PRESIDENTE. Consecutivamente, oppure a periodi?
SALVATORE GRUNGO. Consecutivamente.
PRESIDENTE. Dal 1993 al 1998 lei è stato sempre in Somalia?
SALVATORE GRUNGO. Sì, tenendo presente che in alcuni casi lavoravo nelle basi di supporto che erano o a Gibuti o a Nairobi.
PRESIDENTE. A che titolo è andato? Per qualche organizzazione umanitaria? Se sì, per quale?
SALVATORE GRUNGO. Sempre per organizzazioni umanitarie italiane diverse: la prima fu COOPI, un'associazione di Milano con cui ho lavorato nel 1993, nel nord della Somalia, a Berbera. Ero responsabile dell'ufficio di Gibuti, per cui facevo la spola fra Gibuti e la città di Berbera. Nel 1994 ho lavorato per un organismo italiano di Cuneo, LVIA, a Garoe, nella zona del Puntland, quindi nella zona di Bosaso nel Nugal e poi ininterrottamente fino al luglio del 1998, ho lavorato per il CISP a Mogadiscio.
PRESIDENTE. Nel 1994, in particolare nella prima parte dell'anno (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin furono uccisi il 20 marzo di quell'anno), lei dove era di stanza? Dove abitava?
SALVATORE GRUNGO. Nei primi mesi del 1994, a gennaio e febbraio ero in Italia in ferie; ero rientrato a dicembre del 1993. A marzo partii per Garoe.
PRESIDENTE. Mentre stava a Garoe, ha saputo dell'uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, oppure non l'ha saputo?
SALVATORE GRUNGO. Sì, sono arrivate le notizie.
PRESIDENTE. Quando si verificò l'attentato lei sicuramente stava a Garoe o era da qualche altra parte?
SALVATORE GRUNGO. O a Gibuti o a Garoe. È più probabile a Garoe.
SALVATORE GRUNGO. No, in quel periodo no.
PRESIDENTE. Quali erano i percorsi per arrivare a Garoe? Per esempio, rispetto a Bosaso a che distanza era?
SALVATORE GRUNGO. Da Bosaso a Garoe occorrevano circa tre ore, tre ore e mezza abbondanti di automobile.
SALVATORE GRUNGO. No. Per spiegarlo bisognerebbe aver presente la Somalia. Bosaso è sul mare, mentre Garoe è all'interno.
PRESIDENTE. Quindi ci si allontana da Mogadiscio?
SALVATORE GRUNGO. È una strada che prosegue per una linea orizzontale e non in senso verticale, per cui non si va né verso il nord né verso il sud, in linea di massima; si va da est, dove è Bosaso, verso ovest.
PRESIDENTE. Come si raggiunge Bosaso, con quali mezzi di trasporto, oltre alla macchina?
SALVATORE GRUNGO. Con gli aerei. All'epoca tutti utilizzavano gli aerei.
PRESIDENTE. Ci può dire attraverso quali aerei (privati, Unosom), con quali modalità, con quali cadenze?
SALVATORE GRUNGO. C'erano due possibilità perché c'erano i voli di ECO, l'ufficio emergenza dell'Unione europea che aveva dei voli che partivano da Gibuti e andavano a Garoe.
PRESIDENTE. Da Gibuti direttamente a Garoe?
SALVATORE GRUNGO. Sì, direttamente a Garoe.
PRESIDENTE. Da chi erano gestiti?
SALVATORE GRUNGO. L'ufficio di emergenza dell'Unione europea. Mentre invece su Bosaso...
SALVATORE GRUNGO. No. Da Bosaso a Garoe non c'era altra possibilità che andare con la macchina; non c'erano trasporti aerei.
PRESIDENTE. Quindi a Garoe si arriva attraverso Gibuti, oppure?
SALVATORE GRUNGO. Oppure si può andare con l'aereo a Bosaso e da lì con la macchina arrivare a Garoe.
PRESIDENTE. A Bosaso provenienti da dove?
SALVATORE GRUNGO. A Bosaso c'era un C130 dell'Unosom che faceva Mogadiscio, le varie tappe, poi Bosaso...
PRESIDENTE. Specifichi le tappe.
SALVATORE GRUNGO. Non le ricordo tutte. Sicuramente partiva da Nairobi, faceva alcune tappe, tra cui Mogadiscio, poi proseguiva verso nord; non ricordo quali altre tappe facesse, però sicuramente si fermava a Bosaso e da qui quasi sempre proseguiva per Gibuti e poi, la sera, ritornava a Nairobi.
PRESIDENTE. C'erano altri aerei privati, che lei sappia?
PRESIDENTE. Ha sentito mai parlare di aerei Unicef?
SALVATORE GRUNGO. C'erano altri voli più legati alle agenzie delle Nazioni unite. Qualche volta li abbiamo presi anche noi. Erano meno frequenti dei voli di ECO o dell'Unosom.
PRESIDENTE. Parliamo dell'Unicef?
SALVATORE GRUNGO. Sì, non avevano la frequenza degli altri voli.
PRESIDENTE. Erano piccoli aerei o grandi aerei?
SALVATORE GRUNGO. Se ricordo bene, erano dei bimotori, intorno ai dieci posti.
PRESIDENTE. Da dove partivano questi aerei Unicef?
SALVATORE GRUNGO. Quasi tutti da Nairobi.
PRESIDENTE. Non da Bosaso. Atterravano a Bosaso?
SALVATORE GRUNGO. Sì, atterravano a Bosaso. Noi, per motivi di lavoro, da Garoe andavamo, forse una volta al mese, a Bosaso, perché lì c'era l'ufficio di riferimento dell'Unicef. Sicuramente l'aereo dell'Unicef faceva scalo a Bosaso.
PRESIDENTE. E da Bosaso tornava a Nairobi, oppure faceva qualche altro giro (parlo sempre degli aerei Unicef)?
SALVATORE GRUNGO. Non glielo so dire. L'aereo comunque era al servizio dell'Unicef per cui non aveva un tragitto prestabilito come gli altri.
PRESIDENTE. C'erano aerei di organizzazioni private che partissero o arrivassero a Bosaso o a Garoe?
SALVATORE GRUNGO. Da Garoe c'era l'aereo che proveniva da Nairobi, che era o della Croce rossa o delle federazioni della Croce rossa internazionale. A Garoe c'era un ospedale gestito dalla Croce rossa italiana, all'interno di un programma internazionale della Croce rossa internazionale. Quindi, sicuramente una o due volte alla settimana c'era un volo che faceva Nairobi-Garoe e, alcune volte, anche Nairobi-Garoe-Bosaso, la città di riferimento per noi di Garoe, sotto tutti i punti di vista, sia per gli acquisti che per gli uffici delle Nazioni unite o dell'Unosom.
PRESIDENTE. Come si prenotavano questi aerei? Come ci si metteva in condizione di fare un viaggio in aereo, per esempio, distinguendo Unosom, Unicef e Croce rossa?
SALVATORE GRUNGO. Bisogna fare una grossa distinzione fra gli aerei della Croce rossa o dell'Unicef e l'aereo di ECO. Quest'ultimo, che funzionava con fondi dell'Unione europea, era un aereo destinato agli aiuti umanitari, per cui ogni ONG, tipo quella per la quale io lavoravo, doveva essere accreditata e veniva trattata allo stesso livello di qualunque altra entità accreditata.
PRESIDENTE. Cosa significa? Allo stesso livello economico?
SALVATORE GRUNGO. No. Era assolutamente gratis. Però se io facevo la prenotazione e insieme a me c'era un funzionario dell'Unione europea o di un'altra ONG, venivamo trattati allo stesso livello, nel senso che nessuno dei due aveva una precedenza per un motivo particolare. Aveva la precedenza chi si era prenotato prima, a differenza dell'Unicef o della Croce rossa, dove comunque bisognava essere accreditati: non si poteva dare il proprio nome per fare la prenotazione, perché prima bisognava essere accreditati come associazione, ed ogni associazione trasmetteva l'elenco del proprio personale espatriato. Però per gli aerei Unicef, il personale Unicef aveva la precedenza e la conferma si aveva il pomeriggio prima della partenza, quindi troppo tardi per poter trovare altre soluzioni. Ecco perché erano poco usati da noi.
PRESIDENTE. In base alla sua esperienza, con riferimento a queste diversificate modalità attraverso le quali si poteva prendere un aereo per andare da un posto ad un altro, dal punto di vista dell'identificazione delle persone, o comunque dell'individuazione
delle persone che, di volta in volta, partivano, c'erano delle modalità di registrazione, di annotazione, c'erano degli elenchi? Sa se vi fosse una traccia attraverso la quale poter risalire alle persone che il giorno X, ad una determinata ora, fossero partite da Bosaso alla volta di Mogadiscio o di qualsiasi altra località? Era possibile sapere chi effettivamente fosse partito o dovesse partire?
SALVATORE GRUNGO. La prassi obbligatoria da seguire per fare una prenotazione era quella di inviare, via fax, una lettera ufficiale della propria organizzazione chiedendo la prenotazione per quel volo in quella data. A quanto ricordo, questi dati venivano registrati dall'ufficio che gestiva il volo. Per quanto tempo mantenessero l'archivio di questi dati non so dirglielo. Però era tutto registrato, credo anche per motivi di assicurazione.
PRESIDENTE. L'organizzazione per la quale lei si trovava in Somalia, dove era presente in particolare? A Bosaso era presente?
SALVATORE GRUNGO. No. Nel 1993 eravamo basati esclusivamente a Berbera, che è a nord.
SALVATORE GRUNGO. Eravamo a Garoe, esclusivamente in quell'area.
SALVATORE GRUNGO. A Gardo non abbiamo mai operato, anche perché lì c'era la cooperazione tedesca, credo il GTZ o qualcosa di simile, oltretutto con dei grossi programmi.
PRESIDENTE. Interagivate con queste organizzazioni?
PRESIDENTE. Cioè, andavate a Gardo?
SALVATORE GRUNGO. Sì, siamo andati a Gardo, anche perché qualche volta, per qualche motivo strano che è difficile ricordare, è capitato che l'aereo invece di atterrare a Garoe fosse atterrato a Gardo.
PRESIDENTE. Gardo è una città importante per che cosa? Che c'era a Gardo di particolare?
SALVATORE GRUNGO. È una bella domanda. A vederla così, assolutamente niente. È una città ponte tra Garoe e Bosaso; era il più importante centro intermedio. Poi, tenendo presente l'economia della zona, c'era la presenza dell'acqua e di bestiame che, se ricordo bene, ha indotto il GTZ ad aprire la base.
PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di pozzi a Gardo?
SALVATORE GRUNGO. C'era qualcosa.
PRESIDENTE. Che significava «i pozzi di Gardo»?
SALVATORE GRUNGO. Esattamente non glielo so dire, nel senso che anche noi a Garoe, e altre organizzazioni a Bosaso, lavoravamo nel campo idrico. Era fondamentale l'acqua per tanti motivi facilmente comprensibili.
PRESIDENTE. Qual era il vostro progetto?
SALVATORE GRUNGO. Era principalmente un progetto di natura agricola e di approvvigionamento idrico mediante mulini a vento prodotti in Italia ed inviati con una nave.
PRESIDENTE. Chi finanziava il progetto?
SALVATORE GRUNGO. C'erano diversi finanziatori. Uno era stato l'Unione europea e credo anche il Ministero degli affari esteri; poi c'erano dei fondi privati del LVIA.
PRESIDENTE. Lei che ruolo aveva in questo progetto?
SALVATORE GRUNGO. Eravamo in tre e si faceva un po' di tutto, in particolare aiuto nel campo amministrativo-gestionale. Poi diventai, di fatto, responsabile del progetto perché l'altra persona fu trasferita a Nairobi.
PRESIDENTE. Voi, o lei personalmente, avete subito un rapimento?
SALVATORE GRUNGO. Io e il mio collega fummo rapiti.
PRESIDENTE. Prima di questo rapimento, avevate avuto qualche segnale, qualche intimidazione o manifestazione di ostilità?
SALVATORE GRUNGO. Direi di no, anche perché i segnali che all'epoca in Somalia andavano in questa direzione erano tanti, erano quasi all'ordine del giorno, per cui tutto va contestualizzato.
PRESIDENTE. Fino a quel momento avevate agito e operato in assoluta tranquillità? Fu un fulmine a ciel sereno il rapimento, oppure fu preceduto da qualche segnale?
SALVATORE GRUNGO. Personalmente no, ma penso anche per il mio collega.
PRESIDENTE. La vostra organizzazione aveva avuto dei fastidi?
SALVATORE GRUNGO. No, nessuno. Non c'erano segnali e credo che non abbiamo mai preso alla leggera eventuali minacce, anche perché erano all'ordine del giorno. All'interno della Somalia, fino al 1998, era abbastanza normale.
PRESIDENTE. Prima del rapimento avete avuto minacce, ma erano consuete?
SALVATORE GRUNGO. Sì, era normale.
PRESIDENTE. Da chi provenivano queste minacce? E che tipo di minacce erano?
SALVATORE GRUNGO. Non parlando somalo, bisognava basarsi su quello che il traduttore ci diceva ed è facile capire l'espressione del volto di una persona che non è contenta quando ti minaccia. Le cose erano tantissime: il caso più frequente era investire un capretto andando in macchina; a quel punto iniziava una lunghissima negoziazione sul rimborso.
PRESIDENTE. Ma questa non è una minaccia.
SALVATORE GRUNGO. Il proprietario del capretto spesso, anche dopo essere stato pagato, ti guardava e diceva qualche frase con un fare... Dico questo per far capire il clima.
PRESIDENTE. Sì, ho capito il clima.
SALVATORE GRUNGO. Poteva anche essere che le guardie chiedessero l'aumento e tu dicevi che non potevi darlo non per mancanza di volontà ma perché il budget, che era trasparente e che loro conoscevano, non lo consentiva. Questo, detto una volta e poi di nuovo, poteva suscitare una reazione del tipo «poi ve ne pentirete».
PRESIDENTE. Questo succede anche a Roma.
SALVATORE GRUNGO. Ma in Somalia, con le armi che circolano, può fare una certa impressione.
PRESIDENTE. Avevate la scorta?
SALVATORE GRUNGO. Si è obbligati ad avere la scorta.
SALVATORE GRUNGO. Questa è una grande domanda che riguarda non solo le
scorte ma la scelta del personale locale in tutti i settori, dalla cuoca al guardiano all'autista alla sicurezza.
PRESIDENTE. Vi venivano imposte?
SALVATORE GRUNGO. Sì e no, nel senso che per la scelta del personale in tutti i settori, comprese le guardie, bisognava cercare un equilibrio all'interno dei diversi clan o gruppi presenti nell'area dove si viveva e si lavorava. Si cercava di negoziare un po' con tutte le parti.
PRESIDENTE. Bisognava accontentare tutti.
SALVATORE GRUNGO. Sì, era fondamentale.
PRESIDENTE. Se non li contentavate, arrivavano le minacce?
SALVATORE GRUNGO. Minacce no, però avvertivi che non era la cosa migliore da fare.
PRESIDENTE. Ha mai conosciuto l'organizzazione SSDF? Avete avuto motivo di accertare o ritenere che intimidazioni provenissero dal Somali salvation democratic front?
PRESIDENTE. Sapevate cosa fosse?
SALVATORE GRUNGO. Sì, ma non abbiamo mai avuto... Garoe era una realtà molto particolare; la gestione del villaggio di Garoe era in mano al capo religioso; poi magari c'erano degli agganci o collegamenti politici. Questo non lo so.
PRESIDENTE. Quindi non era una presenza incombente.
SALVATORE GRUNGO. Non su Garoe. Non più di tanto.
PRESIDENTE. Cosa significa «Non più di tanto»? C'era o non c'era? Che cosa c'era?
SALVATORE GRUNGO. Non lo so, però è normalissimo che si parli con lo staff locale della Somalia, di come stanno andando le cose, di chi potrà essere al governo un domani. Si parla con le guardie e con l'assistente.
PRESIDENTE. In relazione alle minacce ricevute, avete mai avuto motivo di ritenere...
SALVATORE GRUNGO. No, non abbiamo mai preso seriamente le minacce, per cui ci muovevamo tranquillamente. Ogni tanto, quando si andava a Bosaso, si parlava con altre persone. Mi pare che all'epoca ci fosse Mohamed Ashe. Però erano più che altro visite di cortesia.
PRESIDENTE. Ha mai conosciuto Yusuf Mohamed Ismail, detto Beri-Beri?
PRESIDENTE. Chi era? Dove lo ha conosciuto e in quale occasione?
SALVATORE GRUNGO. L'ho conosciuto a Bosaso quando lui lavorava per Africa 70.
PRESIDENTE. A Garoe non veniva?
SALVATORE GRUNGO. Credo di no. Lui era principalmente basato a Bosaso.
PRESIDENTE. Quale fu l'occasione dell'incontro?
SALVATORE GRUNGO. Non ricordo, ma credo che furono diverse, perché andavamo spesso a Bosaso e si era instaurato un buon rapporto.
PRESIDENTE. Che tipo di rapporto aveva? Di lavoro? Lei sapeva che lui apparteneva all'SSDF?
SALVATORE GRUNGO. Sì, era di dominio pubblico.
PRESIDENTE. Sapeva anche che lui era rappresentante del fronte in Italia?
PRESIDENTE. Tenuto conto di questa sua consapevolezza, quali furono le ragioni dei rapporti intercorsi con Yusuf, ragioni di lavoro, di assistenza, di amicizia, di mero incontro occasionale?
SALVATORE GRUNGO. Di lavoro, anche se direttamente non eravamo collegati nell'attività.
PRESIDENTE. Che significa «di lavoro»?
SALVATORE GRUNGO. Poteva capitare che a noi servissero alcuni acquisti, oppure che dovessimo andare al porto perché arrivava la nave e bisognava scegliere del materiale; se ne parlava con lui e lui ci dava una persona che poteva accompagnarci al porto per facilitarci l'ingresso.
PRESIDENTE. Lo faceva a titolo umanitario, oppure lo pagavate?
SALVATORE GRUNGO. No, non è mai stato pagato. Lui lavorava per Africa 70, un'altra ONG italiana.
PRESIDENTE. Lui ha dato assistenza anche a voi?
SALVATORE GRUNGO. Sto cercando di ricordare: si verificò un fatto - ma io non ero lì, credo che fossi già in Italia - cioè l'arrivo della nave di aiuti del CEFA del senatore Bersani. La nave arrivò a Bosaso, dove eravamo anche noi (come dicevo, non io, ma le due persone con cui io lavoravo) e l'équipe di Africa 70, all'interno della quale c'erano Yusuf ed altri. So che lui, a quanto mi fu detto, diede una mano al nostro organismo (c'erano delle derrate alimentari che ci interessavano), perché oltre al problema di scaricare la nave c'era anche quello del trasporto delle derrate da Bosaso a Garoe.
PRESIDENTE. Ad Africa 70 che faceva? Lei sa che tipo di lavoro svolgeva?
SALVATORE GRUNGO. Non glielo so dire. Aveva un ruolo dirigenziale, non era un semplice autista. Penso che fosse stato contattato in Italia prima dell'avvio del progetto.
PRESIDENTE. Abbiamo sentito Yusuf che ha sintetizzato il suo ruolo, tra l'altro anche per incarico delle autorità italiane, in particolare il Ministero degli esteri, in una sorta di garanzia e collegamento con le autorità locali. Anche lei ha avuto modo di sperimentare l'utilità di questo rappresentante dell'SSDF sotto questo profilo? Agevolava i vostri rapporti con le autorità locali, con il mondo locale?
SALVATORE GRUNGO. Probabilmente sì. Un paio di volte ci aiutò nell'incontrare Mohamed Ashe. Però si trattava di incontri di cortesia, non c'era nulla di particolare da chiedere.
PRESIDENTE. Incarichi speciali?
SALVATORE GRUNGO. Non per noi. Non quando c'ero io.
PRESIDENTE. Incarichi genericamente di intermediazione, di aiuto per l'acquisizione di qualche materiale o strumento, oppure collegamenti di carattere politico?
SALVATORE GRUNGO. No, almeno non io come LVIA.
PRESIDENTE. Ci vuole parlare della sua esperienza del rapimento? Quando si è verificato?
SALVATORE GRUNGO. Il fatto avvenne il 27 febbraio 1995.
PRESIDENTE. Lei dove si trovava?
SALVATORE GRUNGO. Fummo in due ad essere rapiti, io e il mio collega Giuseppe Barbero. Eravamo stati a controllare i lavori di costruzione di un abbeveraggio per il bestiame. Era più o meno l'ora di pranzo e stavamo rientrando a casa, con la nostra macchina. Eravamo io, il mio collega, l'autista e due persone di scorta.
PRESIDENTE. Verso dove andavate?
SALVATORE GRUNGO. Andavamo verso Garoe sulla stessa strada che collega Bosaso a Garoe. Il pozzo in costruzione era a circa un'ora di macchina da Garoe; noi lo avevamo visitato, avevamo visto i lavori e stavamo rientrando. Poco prima - non ricordo esattamente quanti chilometri - di arrivare a Garoe c'era un check point (c'era anche gli altri giorni), che a volte era chiuso ed altre era aperto, per cui a volte si passava tranquillamente e a volte c'era un signore anziano con la barba tinta di rosso che sollevava la sbarra. Quel giorno la sbarra non fu sollevata; questo signore non uscì e si presentarono tre persone armate che si avvicinarono alla macchina.
PRESIDENTE. Voi siete rimasti seduti in macchina?
SALVATORE GRUNGO. Sì, noi siamo rimasti seduti in macchina; queste persone ci hanno chiesto - è un eufemismo - di scendere e noi abbiamo detto di no. Non capivamo se dovessimo scendere dalla macchina perché volevano rapirci oppure perché volevano rubarla.
PRESIDENTE. Che lingua parlavano?
SALVATORE GRUNGO. Principalmente somalo. Dicevano qualche parola in inglese. Io il mio collega eravamo nel sedile anteriore e le nostre guardie stavano sedute dietro (era una station wagon Toyota). «Scendete!» «No, non scendiamo» e di nuovo «Scendete» «No, non scendiamo». È durato 10 minuti buoni, finché uno dei tre ha preso il fucile e ce lo ha puntato dietro. Ci siamo guardati come per dire che si stava mettendo male. Pensavamo che avrebbe sparato e sparò, però al vetro, come intimidazione, per farci scendere.
PRESIDENTE. Al vetro posteriore?
SALVATORE GRUNGO. Sì, al vetro posteriore. Però, con l'arma messa di fianco non ci si rendeva conto. Se non che, dopo che hanno sparato, abbiamo capito che era meglio scendere.
PRESIDENTE. Si sono dichiarati appartenenti a qualche organizzazione?
SALVATORE GRUNGO. No. Non capivamo il motivo: per quello ci è venuto il dubbio che fosse per la macchina. Non avevamo ricevuto mai minacce tali da giustificare il nostro rapimento.
PRESIDENTE. Hanno detto il motivo?
SALVATORE GRUNGO. No, non ce lo hanno detto. Il motivo lo abbiamo scoperto forse un paio di giorni dopo.
PRESIDENTE. Si sono dichiarati appartenenti a qualche organizzazione?
SALVATORE GRUNGO. Assolutamente no. Volevano semplicemente farci scendere, caricarci su una delle loro vetture e portarci nella boscaglia.
PRESIDENTE. Vi hanno portato nella boscaglia?
SALVATORE GRUNGO. Sì, e lì siamo rimasti per quattro giorni.
PRESIDENTE. Siete stati trattati bene o male durante la prigionia?
PRESIDENTE. Come avete passato questi giorni? Con riferimento all'operazione del rapimento, quello che lei ha detto è tutto ciò che ricorda? Sono intervenute altre persone? Quando siete scesi
dalla macchina, dove siete saliti? Dove siete andati? Siete stati tenuti in custodia da qualcun altro, o dalle stesse persone che vi avevano intimato di scendere?
SALVATORE GRUNGO. Dalle stesse persone. Sto cercando di ricordare perché è una vicenda che ho rimosso; forse è la prima volta che ricordo alcuni particolari.
Un particolare che io e il mio collega ricordammo dopo è che, scesi dall'auto e saliti su quella dei rapitori, mentre partivamo, venne fuori il vecchio con la barba rossa - quello che doveva alzare la sbarra e non la aveva alzata - che, in un italiano appena comprensibile - ci disse «Non preoccupatevi; andate, che non vi fanno del male».
PRESIDENTE. La vostra macchina che fine fece?
SALVATORE GRUNGO. Ci fu uno scontro a fuoco, non diretto, tra le nostre guardie e queste tre persone. Siamo stati nel luogo in cui ci hanno rapito per più di un'ora, proprio perché si sono fronteggiati le nostre guardie e i rapitori.
SALVATORE GRUNGO. No. La cosa interessante per capire i somali è che si fronteggiavano a distanza molto ravvicinata (un paio di metri), con armi particolari (kalashnikov e altro), si guardavano negli occhi, però non sparavano contro l'avversario: o sparavano per terra o in aria, quasi fosse una dimostrazione di forza e sottintendendo «Voi non li prendete» e sparavano vicino ai piedi e gli altri rispondevano allo stesso modo «No, noi li prendiamo».
PRESIDENTE. Questo è accaduto nell'immediatezza del rapimento?
SALVATORE GRUNGO. Dopo che siamo scesi dalla macchina.
PRESIDENTE. E poi la vostra macchina che fine ha fatto?
SALVATORE GRUNGO. Siamo saliti sulla macchina dei rapitori e la nostra macchina, con la scorta e l'autista, è ritornata a Garoe, dove hanno dato l'allarme.
PRESIDENTE. Quindi, li hanno lasciati andare.
PRESIDENTE. E voi siete saliti sulla macchina loro?
SALVATORE GRUNGO. Su un pick up loro e ci siamo inoltrati nella boscaglia.
PRESIDENTE. Sono intervenute altre persone, oltre alle tre che hanno iniziato il rapimento?
SALVATORE GRUNGO. Sì, un gruppo numeroso. Non so quanti: 10, 15.
SALVATORE GRUNGO. Direi di sì.
PRESIDENTE. E quando siete stati mantenuti in prigionia chi vi controllava?
SALVATORE GRUNGO. Stando nella boscaglia era impossibile...
PRESIDENTE. Sì, ma chi vi controllava? Potevate anche scappare.
SALVATORE GRUNGO. Tutti e dieci. Si dormiva all'aperto ed eravamo praticamente circondati da dieci persone armate. Non c'era alcuna possibilità.
PRESIDENTE. Per la vostra liberazione, lei sa se le autorità o personalità italiane si siano mosse o siano state fatte muovere da qualcuno? Sa se le persone che tornarono a Garoe fecero in modo che qualche entità italiana intervenisse per farvi liberare? Quanto tempo siete stati prigionieri?
SALVATORE GRUNGO. Siamo stati prigionieri per quattro giorni. L'autista e la scorta con macchina sono rientrati a Garoe e sono stati i primi a dare l'allarme del rapimento. Lì a Garoe c'era la Croce rossa italiana che fu la prima a saperlo e a diffondere la notizia. Però non so che ruolo abbia avuto la Croce rossa italiana.
PRESIDENTE. Sa se siano intervenute autorità o personalità italiane?
SALVATORE GRUNGO. Non lo so. Quando siamo stati liberati e poi siamo rientrati a Nairobi, ci è venuto a prendere con la macchina il primo consigliere dell'ambasciata italiana a Nairobi. Io intuii che l'ambasciata si era mossa. Però non so dire altro.
PRESIDENTE. Che sia intervenuto qualcuno con precisione non lo sa?
SALVATORE GRUNGO. Non dico di no, però non lo so.
PRESIDENTE. Ma non glielo hanno comunicato?
PRESIDENTE. Con chi fu fatta la trattativa? Ci furono somali che trattarono con le persone che vi avevano sequestrato? Se sì, quali? Chi curò la trattativa - se trattativa vi è stata - apparteneva a qualche organizzazione, come ad esempio allo stesso SSDF?
SALVATORE GRUNGO. Non lo so e non ho mai avuto risposte, quando ho cercato di capire i motivi che ci hanno portato al rapimento e poi alla liberazione.
PRESIDENTE. Lei, con tutto il tempo trascorso e con l'esperienza che ha passato, non si è mai preoccupato di capire perché, come e a causa di chi sia accaduta, con riferimento sia al sequestro sia alla liberazione?
SALVATORE GRUNGO. Mi sono preoccupato, come anche il mio collega.
PRESIDENTE. Lei va ancora in Somalia?
SALVATORE GRUNGO. Non ci vado dal 1998.
PRESIDENTE. Non ha preoccupazione a tornare in Somalia?
SALVATORE GRUNGO. Nonostante il rapimento, ho un buon ricordo della Somalia e dei somali, tutto sommato. Non farei le corse per andarci, ma dei cinque anni passati lì ho degli ottimi ricordi. Ho cercato di indagare per capire il motivo del rapimento: ne è venuto fuori uno che non so se sia vero o se sia un pretesto. Ci è stato detto che il clan che ci aveva rapito era minoritario a Garoe ed era l'unico che non aveva ricevuto alcuna quota dei lavori che avevamo dato in appalto per alcune costruzioni. Ci sembrò strano, perché la prima cosa alla quale facevamo attenzione all'epoca era che tutti i clan dell'area di Garoe avessero almeno una fetta dei lavori che andavano eseguiti. Ciò per garanzia ed anche per accontentare un po' tutta la popolazione di Garoe. Eravamo stati attenti nel far sì che fosse veramente così e ci sembrò strano che un gruppuscolo, una minoranza non fosse stata inserita nelle gare di appalto. Questo è il motivo ufficiale che ci fu riferito.
PRESIDENTE. Come avvenne la liberazione, con semplicità?
SALVATORE GRUNGO. Il terzo giorno, la sera, venne il capo del clan che ci aveva rapiti e ci disse «Venite che facciamo una grande cena tutti quanti. Ho portato dei capretti». Abbiamo così capito che qualcosa stava cambiando. La sera, durante la cena (col capretto e strette di mano)...
PRESIDENTE. Lei non ha mai saputo cosa fosse cambiato?
SALVATORE GRUNGO. Non l'ho mai saputo.
PRESIDENTE. Evidentemente lei non ha molta curiosità.
SALVATORE GRUNGO. Ho la curiosità, ma poi è difficile avere le risposte.
PRESIDENTE. A me pare di dover cortesemente insistere su questo punto, nel senso che, dopo l'esperienza vissuta da lei e dal suo collega, un minimo di accertamento ulteriore avrebbe dovuto essere fatto, magari senza risultato. Io penso che lei abbia avuto qualche risultato e le rammento l'opportunità di metterne a conoscenza la Commissione, soprattutto per quanto riguarda le modalità, le ragioni e le particolarità che accompagnarono la vostra liberazione che fu addirittura preceduta da un grande festeggiamento che fa pensare ad una trattativa, ad un do ut des. Lei non può dire niente su tutto questo?
SALVATORE GRUNGO. Non è che non posso dire niente; non so cosa dire.
PRESIDENTE. Ha conosciuto il dottor Giorgio Cancelliere di Africa 70?
SALVATORE GRUNGO. Sì, siamo amici.
PRESIDENTE. Chi era Giorgio Cancelliere?
SALVATORE GRUNGO. All'epoca, Cancelliere...
PRESIDENTE. Avevate rapporti di collaborazione con Africa 70 oppure ognuno andava per conto suo?
SALVATORE GRUNGO. Ripeto quanto ho detto prima: erano le uniche due ONG italiane presenti sul territorio.
PRESIDENTE. Quindi, cooperavate.
SALVATORE GRUNGO. Sì, cooperavamo, se cooperare vuol dire anche soltanto incontrarsi il sabato e la domenica, quindi in quel senso.
PRESIDENTE. E collaborazione nel senso di realizzazione dei reciproci progetti?
SALVATORE GRUNGO. No, stavamo in due aree completamente diverse, due aree molto distanti - quattro ore di macchina - per cui non era così semplice.
PRESIDENTE. E di Cancelliere che ci può dire?
SALVATORE GRUNGO. Cancelliere, se ricordo bene, all'epoca era uno dei dirigenti di Africa 70, per cui è lì che iniziò la nostra conoscenza, poi ci siamo intravisti, negli anni successivi, anche a Nairobi, ancora in Somalia, in Italia forse un anno fa; siamo amici, in un certo senso: c'è una grande stima e fiducia reciproca.
PRESIDENTE. Lei ha parlato di una ONG tedesca, che operava tra Bosaso e Garoe. È esatto?
PRESIDENTE. Come organizzazione, avevate rapporti con il GTZ?
SALVATORE GRUNGO. Sì, avevamo rapporti che nacquero occasionalmente, nel senso che ospitammo a Garoe, per diversi mesi, un veterinario del GTZ.
SALVATORE GRUNGO. Credo che si chiamasse Joachim o qualcosa di simile. Ora non ricordo esattamente. A parte il fatto che era una persona simpaticissima e piacevolissima, abbiamo - tra virgolette - impiegato le sue conoscenze in campo veterinario anche per le nostre attività: stavamo costruendo dei pozzi per dare da
bere agli animali, ai cammelli, per cui gli chiedemmo come si potesse costruire meglio un abbeveratoio.
PRESIDENTE. Le faccio il nome di un certo Alex von Bruemuller: lo ha conosciuto?
SALVATORE GRUNGO. Sì, me lo ha ricordato lei. Erano anni che non lo ricordavo! Me ne ero completamente dimenticato, almeno se parliamo della stessa persona. È sposato con un'italiana?
PRESIDENTE. Mi chiede troppo...
SALVATORE GRUNGO. Glielo chiedo per capire se stiamo parlando della stessa persona. Se mi ricordo bene, lui è stato in Somalia, ma di fatto ha passato quasi tutto il tempo a Nairobi. Ha lavorato con il GTZ, poi dopo...
PRESIDENTE. Che faceva con il GTZ?
SALVATORE GRUNGO. Non lo so, l'ho conosciuto che aveva già finito. Credo che avesse collaborato anche con Africa 70 - sto andando a memoria -, comunque io l'ho conosciuto a Nairobi, quindi dopo la Somalia.
PRESIDENTE. Prima le ho chiesto se avevate rapporti con GTZ. Sa quale progetto stesse realizzando quell'organizzazione in Somalia?
SALVATORE GRUNGO. No, non lo so. La cosa è strana - ma non solo per me; sembrò strana a tutti quanti - perché il GTZ è il Governo tedesco, non è una ONG, per cui ha disponibilità economiche molto elevate. Arrivò a Gardo, prese un compound, lo arredò, lo sistemò, mise antenne satellitari, computer, arrivò una caterva di materiale per attività agricole, però poi alla fine ebbero dei problemi. Credo che avessero fermato e poi rapito una loro vettura con del personale locale, per cui decisero di punto in bianco di lasciare Gardo e di andare via, lasciando tutto lì.
PRESIDENTE. Avevano rapporti con le autorità locali? Che rapporto avevano con la popolazione?
SALVATORE GRUNGO. Da quanto ricordo io, erano ben visti. Ripeto, essendo la cooperazione ufficiale tedesca, presumo che avessero rapporti anche politici.
PRESIDENTE. Ha conosciuto Ilaria Alpi?
PRESIDENTE. Ha conoscenza di un progetto di smaltimento e recupero di rifiuti plastici che la vostra associazione - la LBA - portava avanti in Senegal?
PRESIDENTE. L'architetto Grungo è suo parente?
SALVATORE GRUNGO. L'architetto Grungo?
PRESIDENTE. Sì, un architetto di Messina.
SALVATORE GRUNGO. È interessante. No, non lo conosco. Adesso non dico che non sia un mio parente, ma non lo conosco.
PRESIDENTE. Si chiama Alessandro Grungo.
SALVATORE GRUNGO. No, lo scopro adesso.
PRESIDENTE. Nella sua permanenza in Somalia, ha mai avuto consapevolezza, sia per esserle stato riferito, sia per averlo constatato personalmente, della pratica di traffici di rifiuti o di armi nella zona tra Bosaso e Garoe?
SALVATORE GRUNGO. Bisogna un attimino intendersi sul termine «consapevolezza»: stando in Somalia per cinque anni e vedendo, appunto, che è un posto dove...
PRESIDENTE. I suoi rapitori fecero mai riferimento a cose di questo genere?
SALVATORE GRUNGO. No, mai. Comunque, è un posto dove effettivamente, non essendoci controllo, diciamo che si può fare di tutto.
PRESIDENTE. Va bene, si potrà pur fare di tutto, ma vogliamo discendere un attimo nei particolari? Conosce qualche circostanza precisa?
SALVATORE GRUNGO. No, no, non ho dati, appunto.
PRESIDENTE. C'è qualche personalità, qualche soggetto di cui lei è venuto a conoscenza, che potesse essere collegato con questo tipo di traffici?
PRESIDENTE. Quindi, tutti ne parlavano, tutti dicevano che si faceva, ma nessuno sapeva niente di preciso. Questa è la sintesi della situazione. Se ne parlava di traffici di rifiuti, di traffici di armi?
SALVATORE GRUNGO. Diciamo che, stando lì, le nostre fonti principalmente erano i giornali che arrivavano dall'Italia, oppure la radio, Rai International o qualcosa del genere, per cui eventuali commenti o supposizioni erano sulle cose che sentivamo.
PRESIDENTE. Lei è mai stato sentito su questi problemi e, più in generale, sui problemi della cooperazione in Somalia? Lei ricorda di una Commissione speciale dell'Unione europea che fu inviata in Somalia?
PRESIDENTE. Non le risulta di essere stato mai sentito o che qualcuno della sua organizzazione sia stato mai sentito?
SALVATORE GRUNGO. Della mia organizzazione, non glielo so dire. Io, di sicuro, no.
PRESIDENTE. Va bene. la prego cortesemente di rispondere ad eventuali domande dei colleghi. Do la parola all'onorevole Deiana.
ELETTRA DEIANA. Dottor Grungo, vorrei che lei ci desse qualche ulteriore informazione sull'attività della GTZ che, da quello che abbiamo appreso, sarebbe la cooperazione tedesca, non una ONG. Di che cosa si occupava, esattamente?
SALVATORE GRUNGO. A Gardo ci saremo stati, in un anno, forse tre o quattro volte, non di più, per cui ogni tanto andavamo là e parlavamo con loro. In quelle occasioni, magari durante un caffè preso insieme, ci si chiedeva reciprocamente che cosa facevamo. Da quel che ricordo, era loro intenzione lavorare nel campo idrico, come attività nuova, mentre avevano già in atto un intervento di assistenza veterinaria. Infatti, come ho detto in precedenza, ospitammo un loro veterinario per qualche mese.
ELETTRA DEIANA. Le risulta che tra le loro attività vi fosse anche l'escavazione di pozzi?
SALVATORE GRUNGO. Non glielo so dire. Da quel che ricordo, era loro intenzione intervenire nel settore idrico, ma non ebbero il tempo di iniziare, perché interruppero immediatamente la loro presenza a Gardo.
ELETTRA DEIANA. Da una testimonianza che abbiamo acquisito, risulta invece che avessero scavato pozzi, anche con una certa facilità, al contrario - in base a quanto ci è stato detto - di quanto avessero potuto fare gli italiani. Le risulta?
SALVATORE GRUNGO. Non le so dire né sì, né no. È possibile.
ELETTRA DEIANA. Si ricorda in che periodo avessero questa intenzione di lavorare nel settore idrico?
SALVATORE GRUNGO. Io arrivai a Garoe intorno a marzo 1993 e loro erano già lì. Poi, verso giugno-luglio 1995, andai via da Garoe e loro, poco prima della mia partenza - quindi, poco prima di giugno, luglio - abbandonarono repentinamente Gardo.
ELETTRA DEIANA. Ha detto a giugno, luglio 1995?
SALVATORE GRUNGO. Sì, direi di sì. Andarono via, però è possibile che abbiano fatto gli interventi idrici.
ELETTRA DEIANA. Lei ha detto che all'improvviso - quindi, questo fatto avvenne verso giugno, luglio 1995 - lasciarono tutto lì. Perché?
SALVATORE GRUNGO. Ebbero dei problemi. Di più non le so dire, nel senso che non mi ricordo che tipo di problemi fossero; di sicuro, ci fu un rapimento.
ELETTRA DEIANA. Mi scusi, ma mi sembra molto strano.
PRESIDENTE. Onorevole Deiana, non sa nemmeno perché è stato rapito!
ELETTRA DEIANA. La prego, presidente, mi faccia finire. È strano che lei non ricordi, perché le esperienze della cooperazione in quei paesi sono esperienze un po' estreme e - per quel che posso capire, per quel che so - costituiscono una specie di nicchia della memoria. Mi sembra strano, quindi, che lei non si ricordi.
Lei stesso ha detto che erano pochi i gruppi, le associazioni e le ONG: a Gardo, c'era la cooperazione di Stato tedesca; lei e la sua ONG eravate a Garoe; a Bosaso c'era Africa 70; insomma, mi sembra normale voler sapere quel che stesse succedendo, soprattutto quando un grosso soggetto della cooperazione prende e se ne va. Che tipo di problemi avevano? Problemi nei rapporti con la popolazioni? Difficoltà nelle relazioni con le varie faide e i vari gruppi di SSDF?
Sappiamo che SSDF era attraversato da fortissime contrapposizioni. Sappiamo che Africa 70 era dovuta andare via da Bosaso in ragione del fatto che una fazione non aveva accolto benevolmente l'intermediazione di un esponente che abbiamo audito, il signor Yusuf. Allora, Africa 70, che aveva goduto dei benefici dell'intermediazione del signor Yusuf, aveva dovuto sloggiare da Bosaso e andarsene per una ventina di giorni. Sono tutte cose che creano un contesto di cui, ovviamente, gli altri dovrebbero essere consapevoli. Lei non sa per quale motivo se ne andarono?
SALVATORE GRUNGO. Tenga presente che stiamo parlando della cooperazione tedesca, della cooperazione ufficiale, che sicuramente non sarebbe venuta alla LBA a spiegare i motivi per cui se ne andava via.
ELETTRA DEIANA. D'accordo, la cooperazione tedesca non lo ha spiegato agli italiani...
SALVATORE GRUNGO. Nemmeno ai somali, se è per quello!
ELETTRA DEIANA. Va bene, ma gli italiani quali notizie hanno acquisito sul campo? Oppure, ve ne siete infischiati, pensando che non era roba vostra? Siccome il contesto riguardava anche voi, probabilmente i loro problemi avrebbero dovuto in qualche modo riguardare anche voi; questa è la mia opinione.
Comunque, se lei non si ricorda non voglio insistere, però sarebbe interessante capire le ragioni per cui all'improvviso se ne andarono, tra l'altro lasciando tutto il preziosissimo e ricchissimo materiale - immagino, trattandosi di tedeschi - che avevano portato.
SALVATORE GRUNGO. Francamente non mi ricordo, non è che non voglio dire le cose! L'unica cosa che ricordo bene è che ci fu il rapimento del personale locale veterinario somalo che era all'interno di una macchina dell'organizzazione GTZ. La cosa strana è che fosse addirittura fuori della zona sia di Garoe che di Gardo; la macchina venne fermata in una zona in cui non si capiva per quale motivo vi fosse; era guidata da un somalo veterinario, che fu sequestrato non ricordo per quanti giorni. Non so, poi, che fine abbia fatto la macchina, né se sia stata restituita o meno.
ELETTRA DEIANA. E il somalo fu restituito?
SALVATORE GRUNGO. Credo di sì. Stiamo parlando di fatti avvenuti dieci anni fa, per cui non ricordo bene. Comunque, credo di sì.
ELETTRA DEIANA. Parliamo di fatti un po' eccezionali. Non è normale, per chiunque di noi, essere rapito o venire a sapere che il nostro vicino viene rapito.
SALVATORE GRUNGO. Non saprei; lavorando all'estero, in Africa, in Somalia, non è che sia così anomalo. Sia chiaro, non sto trovando giustificazioni, tuttavia bisogna dire che, lavorando in certi contesti, quel tipo di vita diventa normale.
ELETTRA DEIANA. E lei non si è fatto nessuna idea dei motivi per cui la cooperazione tedesca ha abbandonato il campo in quella maniera, all'improvviso, senza ragioni percepibili come giustificative? Se, come lei ha detto, era normale subire sequestri di persona, allora il sequestro di quel collaboratore non avrebbe dovuto suscitare una reazione particolare.
Lei e la sua ONG vi siete fatti un'idea del perché un così importante strumento della cooperazione tedesca avesse lasciato le tende all'improvviso? Non vi siete fatti un giudizio?
SALVATORE GRUNGO. All'epoca, sicuramente ne abbiamo parlato tra di noi, come anche con il nostro staff. Non credo che siano emersi elementi particolari, tali da farmene ricordare adesso.
ELETTRA DEIANA. Sa se la stampa tedesca abbia parlato di questa cosa?
SALVATORE GRUNGO. Non glielo so dire.
ELETTRA DEIANA. Presidente, forse sarà il caso di acquisire noi qualcosa, per capire come sono andati quei fatti.
PRESIDENTE. Dottor Grungo, mi scusi ma continuo a ritenere che questo non sia possibile; per quanto i sequestri di persona fossero una pratica usuale in Somalia, comunque è stato l'unico sequestro da lei subito nella sua vita; dico bene?
SALVATORE GRUNGO. Sì, uno solo, e mi basta.
PRESIDENTE. Appunto, ha subito solo quel sequestro. Le chiedo: com'è possibile che lei non sia in grado di ricordare? Le rammento gli obblighi che lei ha assunto davanti alla Commissione, ovvero dire la verità e rispondere. Per non rispondere ci sono tanti sistemi, come quello di non ricordare - e invece magari ci si ricorda - così come quello di non voler proprio rispondere. Allora, la invito cortesemente a fare uno sforzo di memoria.
L'onorevole Deiana le ha chiesto se lei o l'ONG di cui faceva parte foste a conoscenza delle ragioni per le quali l'organizzazione tedesca si allontanò. Lei ha detto che se ne parlò, ma non si giunse ad una conclusione. Può dirci cortesemente quando se ne parlò, che cosa si disse e quali ipotesi vennero fatte? Oppure la cosa non vi interessava proprio? Insomma, non è possibile che lei non ricordi particolari di questo genere: un altro paese europeo veniva attinto da un'operazione molto simile a quella che ha riguardato voi, non so se non dovesse essere di vostro interesse, quanto meno fare delle ipotesi!
La prego di rispondere.
SALVATORE GRUNGO. Sto semplicemente dicendo che non ricordo a che tipo di conclusione siamo arrivati.
PRESIDENTE. Non chiedo a quale conclusione siate arrivati, ma di che cosa avete parlato, delle ipotesi possibili.
SALVATORE GRUNGO. Sto dicendo semplicemente che non ricordo che tipo di discussione abbiamo fatto.
PRESIDENTE. Ecco, non si ricorda.
SALVATORE GRUNGO. Penso che probabilmente ne abbiamo parlato, non dico di no.
PRESIDENTE. Che ne abbiate parlato è sicuro, perché lo ha detto già due volte. Allora, quando ne avete parlato, avete pensato che vi fossero ragioni politiche, ragioni economiche, ragioni di interessi, di scorte? Non avete pensato alle mille e più ipotesi alle quali siamo oramai abituati, analizzando i fatti della Somalia? È mai possibile che lei non ricordi assolutamente nulla?
SALVATORE GRUNGO. A distanza di dieci anni, non ricordo che cosa ci siamo detti.
PRESIDENTE. E del suo rapimento? Avete parlato del suo rapimento, per fare delle ipotesi sulle relative causali?
SALVATORE GRUNGO. Ma certamente.
PRESIDENTE. E quali ipotesi avete fatto?
PRESIDENTE. Ma voi, voi della vostra organizzazione!
SALVATORE GRUNGO. Quando dice «voi», chi intende?
PRESIDENTE. Intendo lei, il suo collega, e così via.
SALVATORE GRUNGO. Io parlo per me, non posso parlare per la mia organizzazione.
PRESIDENTE. Mica avrà parlato da solo, lei! Avrà parlato con qualcun altro.
SALVATORE GRUNGO. Le posso dire quel che penso io...
PRESIDENTE. No, lei mi deve dire se ha parlato con qualcuno delle possibili ipotesi del rapimento oppure no. Ne ha parlato?
PRESIDENTE. Con chi ne ha parlato?
SALVATORE GRUNGO. Innanzitutto con il mio collega, con il quale siamo stati rapiti...
PRESIDENTE. Poi, con chi altro?
SALVATORE GRUNGO. Con degli amici...
PRESIDENTE. Hanno nomi e cognomi queste persone con le quali lei ha parlato?
SALVATORE GRUNGO. Sì, ma anche con gli amici, sicuramente...
PRESIDENTE. Ebbene, ce li dovrebbe dire un po' di nomi, per capire quali ipotesi sono state fatte. In queste interlocuzioni che lei ha tenuto con il suo collega, vittima insieme a lei del rapimento, e con altre persone, magari dell'ONG della quale lei faceva parte, quali ipotesi avete analizzato? Con quali ipotesi vi siete confrontati? Lasciamo perdere le conclusioni, ma quali sono state le ipotesi sulle causali?
SALVATORE GRUNGO. Di ipotesi ne abbiamo fatte. Alcune le ho dette anche
prima: c'era venuto il sospetto che inizialmente il motivo fosse quello di sequestrare la macchina.
PRESIDENTE. Però, questa è un'ipotesi che lei ha escluso, perché la macchina se ne è andata via regolarmente.
SALVATORE GRUNGO. No, non l'ho esclusa. Dipendeva poi dall'evoluzione del rapimento.
PRESIDENTE. Ma se era per la macchina, si sarebbero presi la macchina e vi avrebbero lasciati liberi!
SALVATORE GRUNGO. Questo è possibilissimo, ma per fare varie ipotesi...
PRESIDENTE. Sì, ma lei precedentemente ci ha detto che la macchina, con gli uomini della scorta, se ne tornò alla volta di Garoe, dove dettero l'avviso di quel che era successo; quindi, il furto della macchina non poteva essere un motivo. La risposta ve la siete data in un secondo, se questa fosse stata per un attimo - come sicuramente sarà stata - la causale che avete preso in considerazione.
Dottor Grungo, siete stati prigionieri per quattro giorni: avete pensato a quali potessero essere le causali? Avete parlato, avete espresso le vostre opinioni su quali fossero le causali? Non le sto chiedendo di dirci quale fu la causale, le sto chiedendo di dirci quali sono state le ipotesi che avete fatto.
SALVATORE GRUNGO. Le ipotesi che abbiamo fatto all'epoca furono, appunto, queste: o per chiedere un riscatto - quindi, per motivi di soldi - o per motivi di poteri all'interno dei vari clan che governavano la città di Garoe o la regione del Nogal, quindi per problemi al loro interno.
PRESIDENTE. Poteri nel senso che voi potevate essere collegati con un clan piuttosto che con un altro?
SALVATORE GRUNGO. No, il convincimento che ci siamo fatti è che più che altro fossimo stati utilizzati per motivi interni ai vari clan...
PRESIDENTE. Mi scusi, ma utilizzati a che fine? Non è che avendo il possesso delle vostre persone, si potesse in qualche modo incidere sui rapporti con gli altri clan. Questo sarebbe stato possibile soltanto in quanto, da parte della vostra organizzazione, vi fossero dei rapporti non dico privilegiati ma di un certo tipo piuttosto che di un altro, con una qualche parte di un clan o con una qualche parte di un'organizzazione politica più rilevante. C'erano questi rapporti?
SALVATORE GRUNGO. No, che io sappia no.
PRESIDENTE. Va bene. Do ora la parola all'onorevole Lavagnini.
ROBERTO LAVAGNINI. Grazie, presidente. Signor Grungo, nei suoi ricordi dei voli che avvenivano tra Gibuti e Garoe, tra Garoe e Bosaso, ha l'impressione che fossero voli programmati o, più semplicemente, venivano utilizzati quando c'erano?
A questa prima domanda è collegato un altro quesito. Di venerdì questi voli c'erano oppure no? Il venerdì è il giorno di festa musulmano, quindi poteva darsi che gli aeroporti non fossero agibili. Ricorda qualcosa al riguardo?
SALVATORE GRUNGO. Dunque, i voli avevano una frequenza prestabilita, per cui si sapevano in anticipo i giorni e addirittura, indicativamente, gli orari. Ad esempio, si sapeva quando il volo partiva da Nairobi o quando vi rientrava, quando arrivava a Mogadiscio, a Garoe o a Bosaso. C'era, come si suol dire, lo schedule dei voli.
Possiamo dire che l'aereo non andava tutti i giorni negli stessi posti. Faccio un esempio: a Mogadiscio, andava tre volte a settimana, non è che vi andasse tutti i
giorni, mentre a Garoe andava due volte a settimana. Vi erano tragitti diversi a seconda del giorno della settimana.
Non ne ho la certezza, ma mi sembra di ricordare che il venerdì si volasse. Però, parliamo di un po' di anni fa, poi sono stato in altri paesi dove si viaggiava sempre con questi aerei delle Nazioni Unite o della Comunità europea, per cui non vorrei confondere, ad esempio, il Burundi con la Somalia e scambiare un volo settimanale del Burundi con un volo della Somalia. A memoria, da quanto ricordo, il venerdì si volava. Credo che fosse la domenica il giorno di riposo, sia dei piloti che della manutenzione dell'aereo. Però, vado a memoria, veramente.
ROBERTO LAVAGNINI. Per quanto riguarda le operazioni aeroportuali, non so quale fosse l'organizzazione esistente in aeroporti che, probabilmente, avevano ancora piste in terra battuta, se non peggio; ci può dire se esistesse, comunque, un'organizzazione attraverso la quale si dava un via al take off o se ci fosse una torre di controllo che dava il via per poter volare? Oppure erano aeroporti, diciamo così, un po' casalinghi, dove i piloti facevano quel che potevano?
SALVATORE GRUNGO. Non si può parlare di aeroporti, non vi era torre di controllo o altro, ma solo una pista. Quasi tutti si basavano su personale locale appartenente alla propria organizzazione: intendo dire che l'UNICEF aveva il suo staff locale a Bosaso che, tramite radio, con i contatti radio, sapeva l'orario di arrivo dell'aereo, si faceva trovare all'aeroporto con i bidoni di carburante, quindi si faceva rifornimento e tutto il resto. Lo stesso valeva anche per il volo di ECO, che aveva il proprio personale, così come la Croce rossa, e tutto avveniva tramite radio.
ROBERTO LAVAGNINI. Anche Croce rossa e UNICEF erano programmati?
SALVATORE GRUNGO. Sì, diciamo che la Croce rossa era programmata e manteneva la programmazione; l'Unicef aveva un programma di massima e non sempre lo rispettava, per tanti motivi: o partiva in ritardo o saltava il giorno, e così via. Comunque, sulla carta c'era una programmazione.
ROBERTO LAVAGNINI. Una domanda del tutto personale: lei attualmente fa parte di Amnesty International?
ROBERTO LAVAGNINI. La ringrazio, ho concluso le mie domande.
PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Lavagnini e do la parola all'onorevole Deiana.
ELETTRA DEIANA. Signor Grungo, a proposito della domanda che le ha fatto il presidente sul traffico di armi in Somalia, lei ha cercato di spiegare - poi, è stato interrotto dalle altre domande del presidente - in che consistesse la sua consapevolezza circa questo traffico. Vorrei che ce lo spiegasse adesso.
SALVATORE GRUNGO. Bisogna un attimo immedesimarsi in un italiano che vive o abita in Somalia e che riceve i giornali italiani - sono questi, appunto, che danno un'informazione su ciò che avviene lontano - o ascolta la radio, la BBC o la RAI, per cui vengono fuori commenti che possono essere di questo genere. Pertanto, la fonte principale su certe informazioni erano i giornali italiani e la radio, principalmente la radio italiana. La situazione era questa, ora non ricordo, rispetto a fatti concreti, in quale giorno o in quale articolo di giornale li avessi letti.
ELETTRA DEIANA. Lei in loco non ha mai avuto occasione di verificare, di ipotizzare, di sospettare che ci fosse qualcosa che avesse a che fare con il traffico di armi?
SALVATORE GRUNGO. No, nella zona di Garoe no.
ELETTRA DEIANA. A proposito del suo rapimento, ci ha detto di non essere mai stato in grado di capire ragioni o modalità sia del rapimento sia della sua conclusione. Le chiedo se da parte della sua ONG, dei responsabili o dei colleghi, ci siano state reazioni al suo rapimento.
SALVATORE GRUNGO. In che senso?
ELETTRA DEIANA. Reazioni di qualsiasi tipo, per esempio di preoccupazione o di curiosità, oppure la decisione di andar via anche voi da laggiù. Mi riferisco a reazioni di qualsiasi tipo. All'interno della sua ONG, il suo rapimento ha provocato reazioni?
SALVATORE GRUNGO. Sì, per quanto ricordo, anche perché un rapimento è comunque un fatto straordinario, per fortuna non è una routine. Il problema è che vi furono anche altri rapimenti in Somalia, prima e dopo quello che ho subito io, per cui il dibattito è sempre stato del tipo: vale la pena continuare con gli aiuti umanitari o non sarebbe meglio andare via? È sempre stato questo il dibattito di fondo.
PRESIDENTE. Dottor Grungo, la domanda che le ha fatto l'onorevole Deiana è un'altra. Cerchi di rispondere.
ELETTRA DEIANA. Sì, vorrei sapere se vi sono state considerazioni sul suo rapimento, non in generale, ma anche in relazione al fatto che, essendo stato rapito lei, la cosa riguardava la sua ONG.
SALVATORE GRUNGO. La considerazione che successivamente facemmo con la nostra associazione era se si dovesse continuare o meno a stare in Somalia.
ELETTRA DEIANA. Ma questa può essere stata una conseguenza di alcune considerazioni, rispetto alle quali lei dovrebbe fare uno sforzo di memoria. Decidere, a quel punto, di rimettere in discussione la vostra impresa poteva essere la conseguenza di un ragionamento e di considerazioni intorno al caso. Io, appunto, le ho chiesto se siano state fatte delle considerazioni, se vi sia stata una ricerca per capire che cosa fosse successo. Comunque, può darsi che lei non lo ricordi, io non voglio insistere.
SALVATORE GRUNGO. Non ricordo fatti specifici in questa direzione.
ELETTRA DEIANA. Va bene; un'altra domanda: ha avuto occasione, dopo il suo rapimento, di vedere in giro, nella zona di Garoe qualcuno dei suoi rapitori o quel signore anziano con la barba rossa, immagino colorata con l'henné, quindi abbastanza riconoscibile? Li ha visti in giro, li ha incontrati di nuovo, magari in un contesto diverso?
SALVATORE GRUNGO. No, i rapitori no; credo di no, non li abbiamo mai più incontrati. Per quanto riguarda il vecchietto con la barba rossa, non era un rapitore, era semplicemente colui che alzava la sbarra al check-point; comunque, sì, lo abbiamo incontrato di nuovo.
ELETTRA DEIANA. Si trattava di un check-point somalo?
ELETTRA DEIANA. Di quale fazione? Chi è che controllava la zona?
SALVATORE GRUNGO. Credo che fosse quella di Garoe. Sì, era quella di Garoe, in quanto era un check-poin vicinissimo alla città di Garoe.
ELETTRA DEIANA. Va bene, ma le ho chiesto quale delle fazioni controllasse la zona.
SALVATORE GRUNGO. Non me lo ricordo.
ELETTRA DEIANA. Ma come, non se lo ricorda? Come è possibile che non si ricordi quale delle fazioni fosse?
SALVATORE GRUNGO. Io purtroppo non me lo ricordo.
ELETTRA DEIANA. Ma non è possibile che non si ricordi!
SALVATORE GRUNGO. E va bene, che le devo dire?
PRESIDENTE. No, guardi, lei deve rispondere.
SALVATORE GRUNGO. Non mi ricordo; se non mi ricordo, che posso fare?
PRESIDENTE. Come sarebbe a dire, non se lo ricorda? Lei si deve ricordare, non è possibile che non sappia niente! Non è possibile!
ELETTRA DEIANA. Quel signore aveva ricevuto l'incarico da parte della fazione cui lui apparteneva. Lì c'era SSDF, che controllava quella regione. Se lo ricorda per lo meno questo?
SALVATORE GRUNGO. Sto andando a memoria, veramente! Voi non mi credete, ma io sto andando a memoria. Per voi, forse, può sembrare strano, ma per me non è che sia così semplice o facile ricordarmi cose...
PRESIDENTE. A noi sembra strano che un sequestrato non riesca a ricordare quello di cui si è parlato.
SALVATORE GRUNGO. Ma sono passati dieci anni!
ELETTRA DEIANA. Le dico come la penso: è strano che un cooperante attivo in quella zona, in quel periodo, in quel contesto, non si ricordi come fosse organizzato politicamente il territorio, il controllo del territorio. Mi sembra strano, molto strano.
Comunque, il check-point era controllato da quel signore. Io le chiedo: lei ha avuto occasione di parlare successivamente con quel signore e di chiedergli che cosa ne sapesse dei rapitori? Non gli ha chiesto chi fossero e perché l'avessero rapita? Io l'avrei fatto.
SALVATORE GRUNGO. Sto cercando di ricordare, non è che non voglio rispondere.
ELETTRA DEIANA. Prego, faccia pure.
PRESIDENTE. Però, cerchi proprio di ricordare.
SALVATORE GRUNGO. Presidente, dal suo tono penso che lei non mi creda.
PRESIDENTE. No, certo che non la credo. È così, glielo dico chiaramente.
SALVATORE GRUNGO. Allora, che ci sto a fare qui?
PRESIDENTE. E no, lei ci deve stare! Lei ha l'obbligo di rispondere! Come sarebbe a dire, che ci sta a fare?
SALVATORE GRUNGO. Io rispondo, ma non mi credete!
PRESIDENTE. Non è possibile che lei non possa ricordare...
ELETTRA DEIANA. Va bene, presidente, se uno non ricorda, che può fare?
PRESIDENTE. Un attimo, onorevole Deiana, mi interessa sottolineare nuovamente un punto soltanto. Dottor Grungo, è impossibile che lei non ricordi i discorsi e le ipotesi fatte, tra lei e il suo collega anch'esso rapito, prima, durante e dopo il rapimento. Il resto va da sé.
SALVATORE GRUNGO. Qual era la domanda che mi ha fatto l'onorevole?
PRESIDENTE. Onorevole Deiana, la prego di ripetere la sua domanda.
ELETTRA DEIANA. Certamente. Premesso che lei non ha più rivisto i rapitori, ci ha detto che il signore con la barba
rossa era l'addetto al check-point. Non ricorda quale fazione gli avesse dato tale incarico: va bene, acquisiamo che lei non lo ricorda; a me sembra strano, però ognuno ha una sua memoria.
Successivamente al suo rilascio, siccome quello era il check-point di Bosaso e siccome lei non è partito il giorno dopo, quindi avrà avuto modo di andare avanti e indietro per Bosaso, nonché dentro e fuori Garoe, immagino che abbia avuto modo di incontrare di nuovo quel signore. Gli ha chiesto che cosa fosse successo quel giorno? Gli ha chiesto se conoscesse i rapitori? Gli ha chiesto se avesse qualche idea circa il rapimento ai suoi danni?
SALVATORE GRUNGO. Il rapimento avvenne alla fine di febbraio. Siamo stati liberati ai primi di marzo, dopo di che rientrammo in Italia e vi siamo rimasti per circa due mesi, poi siamo rientrati a Garoe intorno a maggio; a fine giugno, luglio abbiamo lasciato Garoe, per cui di fatto a Garoe, dopo il nostro rapimento, sia io che Giuseppe ci siamo stati un paio di mesi. Dopo il nostro rapimento, la situazione a Garoe era sicuramente cambiata anche per noi, non ci muovevamo più con tanta facilità, più che altro per un motivo psicologico, sia chiaro, non perché ci fossero minacce o cose del genere. Pertanto, anche le occasioni di attraversare il check-point non erano così frequenti come in precedenza. Ci siamo fermati ogni tanto a vedere, a salutare quel signore, a stringergli la mano. Da quel che mi ricordo, c'erano grandi sorrisi da parte sua, come a dire: «Eh, che vuoi da me?». Da un guardiano di check-point di più non si è riusciti ad ottenere.
ELETTRA DEIANA. In che senso «ad ottenere»? Gli avete fatto delle domande?
SALVATORE GRUNGO. «Ad ottenere» nel senso che, magari, andavamo lì a stringergli la mano, ad offrirgli una sigaretta, poi magari gli chiedevamo se si ricordava di noi e lui ci rispondeva di sì. Insomma, si cercava un po' di instaurare un rapporto con quel guardiano, lui sorrideva, però poi stava zitto.
ELETTRA DEIANA. Prima del rapimento, con quel guardiano lei aveva dei rapporti?
SALVATORE GRUNGO. No, il classico saluto che si fa al guardiano che viene per alzare la sbarra, non c'erano mai stati rapporti particolari.
ELETTRA DEIANA. Era sempre quel signore a stare al check-poimt?
SALVATORE GRUNGO. Direi di sì, anche se probabilmente in un anno qualche volta sarà stato sostituito da qualcun altro. Sostanzialmente, comunque, era lui l'incaricato.
ELETTRA DEIANA. La ringrazio, ho concluso le mie domande.
PRESIDENTE. Do ora la parola all'onorevole Cannella.
PIETRO CANNELLA. Signor Grungo, quando è tornato in Italia per la prima volta, dopo il rapimento?
SALVATORE GRUNGO. Poco dopo. Il rapimento durò quattro giorni, quindi siamo stati liberati intorno al 3 marzo; siamo stati poi a Nairobi qualche giorno, dopo di che siamo rientrati in Italia.
PIETRO CANNELLA. Qualcuno si è occupato del rapimento? Intendo dire, lei ha avuto contatti con carabinieri, funzionari del Ministero degli esteri, funzionari di polizia, dei servizi o della Croce rossa? Autorità italiane si sono occupate del suo rapimento? Lei ha parlato con qualcuno al riguardo?
SALVATORE GRUNGO. Come ho detto in precedenza, dopo che siamo stati liberati, a Garoe c'era la Croce rossa italiana, che gestiva l'ospedale. C'erano questi italiani e con un loro volo, con un volo della Croce rossa, andammo da Garoe a Nairobi; era un volo messo a disposizione dalla Croce rossa italiana.
PIETRO CANNELLA. Nessun organismo investigativo italiano o del ministero?
SALVATORE GRUNGO. Che io sappia, no.
PIETRO CANNELLA. Lei, dunque, non ha colloquiato con nessuno di questi?
SALVATORE GRUNGO. No, non sono mai stato contattato da nessuno.
PIETRO CANNELLA. Bene, ho concluso.
PRESIDENTE. La parola all'onorevole Motta.
CARMEN MOTTA. Buonasera, dottor Grungo. Premetto che ritengo l'esperienza di un rapimento abbastanza traumatica, anche se fortunatamente per voi non è stata particolarmente cruenta, nel senso che siete stati trattati bene ed è durata in tutto quattro giorni. Posso capire, dunque, che lei abbia vuoti di memoria, trattandosi di un'esperienza pesante nella vita di una persona.
Conclusa l'esperienza in Somalia, dopo il rapimento, quando lei è rientrato in Italia, per caso non ha scritto qualche appunto, non ha tentato di ricostruire quei giorni, per ricordare magari avvenimenti, contatti? Ne ha parlato con qualcuno in Italia? Il collega Cannella mi ha preceduto, ma ritengo di rivolgerle di nuovo questa domanda: c'è stato qualcuno, delle nostre istituzioni, che l'ha cercata? O, magari, non ha sentito lei il bisogno di andare a riferire - ad esempio, al Ministero degli esteri - alcuni fatti che l'avevano particolarmente colpita durante quei quattro giorni del rapimento?
In sostanza, c'è stato un suo lavoro personale di ricostruzione di quell'accadimento duro che le è capitato? Qualora l'avesse fatto, le chiedo se possa eventualmente metterci a conoscenza delle sue memorie personali - se lei ritiene, ovviamente.
Una volta rientrato in Italia, sebbene nessun appartenente ad uffici l'abbia cercata, lei non ricorda di aver fatto il tentativo di parlare con qualcuno del Ministero o magari della cooperazione, che gestisse i rapporti con la cooperazione internazionale, per dire che cosa le era successo e per avvertirli della situazione esistente in quei luoghi, per evitare che ad altre persone potesse succedere lo stesso?
Non sto dicendo che lei dovesse riferire di strani percorsi o traffici, ma magari poteva ritenere di portare la sua esperienza agli altri, affinché non succedesse la stessa cosa a qualcun altro. Poi, mi rendo conto che chi si reca in un paese di quel genere sa che potrebbe essere costretto ad una esperienza come la sua. Glielo dico perché mi sembra abbastanza naturale che ciò possa avvenire, poi certamente comprendo che lei voglia chiudere e mettere via tutto; lei, però, ha continuato a lavorare come cooperatore, quindi a qualcuno la sua esperienza deve pur essere servita: a lei senz'altro.
A noi la sua esperienza serve per capire bene, dottor Grungo; non mettiamo in discussione i suoi ricordi, tutt'altro. Noi abbiamo bisogno di capire, perché se non abbiamo la testimonianza - anche parziale - di persone come lei, che ci possono dare l'esatto contesto in cui questi fatti sono avvenuti o sarebbero potuti avvenire, perdiamo un elemento importante. Lei capisce che nessuno, meglio di chi era sul luogo, può illuminarci su quella circostanza. Circostanza che per lei, fortunatamente, è andata bene, per qualcun altro, purtroppo, è stata fatale. Certo, facevate mestieri diversi, per cui non c'è nessun parallelismo, ma credo che lei abbia capito quel che le sto chiedendo; per cui se lei ritiene, in tutta libertà, di avere qualcosa di personale da portarci, se non stasera, in un'altra occasione, io la sollecito a farlo. Grazie.
SALVATORE GRUNGO. Grazie a lei, onorevole, per l'impostazione della sua domanda.
Può sembrare strano, ma ho completamente rimosso ciò che è avvenuto in quel periodo - potete credermi o no, questo è più un problema vostro - e credo
che questa sia la prima volta in cui ne parlo. Non ne ho mai parlato, neanche con Giuseppe, il collega con il quale sono stato rapito; ci vediamo molte volte - anche un paio di mesi fa, in quanto fa il mio stesso lavoro e va in giro - ma rarissime volte abbiamo toccato l'argomento del rapimento, nonostante sia stato un rapimento - lo dico tra virgolette - dolce rispetto ad altri fatti del genere.
È stato sicuramente un rapimento che ha lasciato un segno. Non ho mai cercato - questa è, in parte, la risposta al perché non ho mai indagato più di tanto - né ho mai scritto niente, come non ho mai letto gli articoli apparsi sul giornale, che i miei genitori o altre persone della mia famiglia hanno raccolto.
Io sono, da dieci anni, in una scatola che non ho mai aperto; e credo che non l'aprirò nel breve periodo. Questo è uno dei motivi per cui vi ho detto che non ricordo, non perché non vi voglio dire alcune cose, ma perché le ho completamente rimosse. Aggiungo che sono passati dieci anni da allora e che, nel frattempo, sono stato in Liberia, in Burundi e in altri paesi, per cui magari nei miei ricordi si intrecciano perfino i nomi. Ad esempio, SSDF, che prima è stato menzionato, era da anni che non lo sentivo. Quando il presidente lo ha nominato, mi ha ricordato qualcosa, è stato un flash, perché erano sette, otto anni che non lo sentivo nominare e non solo perché ero in altre zone dell'Africa - il che in parte è vero, per cui ho ricordi diversi - ma perché effettivamente ho rimosso tutta la storia del rapimento, come credo abbia fatto anche il mio collega, Giuseppe.
Pertanto, ripeto, non ho mai scritto niente, non ho mai cercato di indagare più di tanto, per motivi più che altro miei personali; non è assolutamente un modo per negare o per non voler dare il mio contributo alla verità di ciò che avvenne a Ilaria e al suo collega; no, non va assolutamente letto in quella direzione.
CARMEN MOTTA. In questo senso, quello che lei ha detto giustifica il fatto che lei non ha cercato nessuno, delle autorità o della cooperazione, una volta rientrato in Italia? Il motivo è quello che lei sta dicendo adesso?
SALVATORE GRUNGO. Io sostanzialmente ho rimosso quel periodo di Garoe. È semplicemente così. È un motivo più che altro psicologico, non è per nascondere qualcosa.
CARMEN MOTTA. Va bene, la ringrazio
PRESIDENTE. Dottor Grungo, mi ha fatto piacere che lei abbia fatto queste specificazioni; probabilmente, lei non pensava nemmeno al tipo di domande che la Commissione le avrebbe rivolto questa sera, ma tenga conto del compito che la nostra legge istitutiva ci impone. Per noi è importante sapere: in questo senso, va letto lo spirito della domanda che le ha fatto l'onorevole Motta.
Le ho ricordato gli obiettivi della Commissione d'inchiesta, che hanno come motivo conduttore la ricerca della verità sui motivi che hanno determinato l'uccisione di due nostri concittadini e di persone che, sia pure a titolo diverso, hanno comunque operato nella stessa realtà sociale nella quale ha operato lei.
Prendiamo atto delle sue dichiarazioni. Prendiamo atto, altresì, della ragione per la quale lei non è in grado di poterci dare un contributo che forse, se non avesse rimosso, sarebbe stato in grado di darci. Però, l'aver rimosso non significa - come dire - poter rivisitare gli accadimenti che l'hanno così traumaticamente interessata al punto da rimuoverli.
Allora, noi le chiediamo una cortesia: quella di cercare di ricostruire quegli accadimenti e, soprattutto, le causali - che a noi interessano molto - del suo rapimento e magari di mettersi successivamente in contatto con la Commissione alla quale poter dare, in un'altra audizione, un contributo in termini di accertamento della verità. Se questo è un impegno che lei può prendere, le saremmo grati e capiremmo meglio questa audizione, sulla
quale contavamo molto ma che, per le ragioni che lei ha indicato, si è rivelata dall'utilità un po' più limitata
SALVATORE GRUNGO. Presidente, da parte mia non vi è nessun problema. Ci sono, però, dei tempi sui quali io stesso non posso decidere più di tanto.
PRESIDENTE. Non si preoccupi; se lei può prendere un impegno morale...
SALVATORE GRUNGO. Quello sì, certamente.
PRESIDENTE. ...nei confronti della Commissione, in nome delle verità che andiamo ricercando, le saremmo molto grati: noi ci contiamo.
SALVATORE GRUNGO. Va bene, presidente.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Salvatore Grungo ed i colleghi intervenuti e dichiaro chiuso l'esame testimoniale.
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