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Seduta del 18/3/2004


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Seguito dell'esame testimoniale del maresciallo Vincenzo Vacchiano.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame testimoniale del maresciallo Vincenzo Vacchiano, che ha già prestato giuramento. Ricordo che avevamo rinviato il seguito dell'esame per consentire un approfondimento, anche sulla base della documentazione della Commissione.
Ribadisco che lei, maresciallo, si trova sotto giuramento per le dichiarazioni che renderà.
Tra le diverse operazioni che lei ha seguito, è di particolare interesse per la Commissione l'operazione check to check, che lei ha svolto per la procura di Torre Annunziata, sotto la direzione di quali magistrati?

VINCENZO VACCHIANO. Inizialmente del dottor Giovanni Conso; quando questi andò via, l'operazione fu seguita dal dottor


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Paolo Fortuna e dal dottor Giancarlo Novelli e poi, per certi aspetti, dal dottor Alfredo Ormanni.

PRESIDENTE. Forse sono gli aspetti seguiti dal dottor Alfredo Ormanni quelli che ci interessano maggiormente.

VINCENZO VACCHIANO. Sì.

PRESIDENTE. Che cos'era l'operazione check to check?

VINCENZO VACCHIANO. L'indagine è nata - come a volte accade - da una semplice denuncia di furto d'auto. Nel 1994 ricevetti la denuncia di un imprenditore sorrentino che lavorava nell'ambiente del turismo, il quale era preoccupato perché non vedeva il figlio da 6-7 giorni e, in quella circostanza, mi rappresentò che il figlio era entrato in un giro poco pulito e aveva la sensazione che avesse venduto una BMW ad un gruppo di pregiudicati dell'area stabiese che portavano queste macchine all'estero, ne denunciavano il furto e le vendevano. Attraverso questi sistemi piazzavano le macchine su paesi esteri.
Siccome non aveva notizie del figlio, feci un'informativa all'autorità giudiziaria; chiedemmo di mettere sotto controllo i telefoni di questi personaggi, pregiudicati dell'area stabiese, e cominciarono ad emergere cose che andavano al di là dei normali reati: non si trattava di camorra, ma si sentiva parlare di transazioni, operazioni di denaro di rilevanza spaventosa, considerati anche i personaggi. Avevamo delle perplessità perché parlavano di migliaia di miliardi da transare, mentre i personaggi non erano nelle condizioni di poter muovere queste somme.
Capimmo quindi che c'era un meccanismo - che non gira solo in Italia, ma un po' in tutta Europa e forse nel mondo - di broker o faccendieri, attraverso i quali, per alcuni versi, venivano attuate vere e proprie truffe e, per altri versi, c'era la possibilità di portare all'estero soldi, oppure fare transazioni o ripulire del denaro proveniente da certe attività, come nel caso del traffico d'armi e di droga. A proposito di uno di questi personaggi, che pure sembrava una persona che non avesse disponibilità di denaro, ottenni la conferma in una rogatoria che feci in Svizzera dove andai ad interrogare un certo Antonio Fago, personaggio che era già stato arrestato da noi per riciclaggio. In quell'occasione scoprimmo che lui, per conto di un'organizzazione campana che operava nel traffico internazionale di droga, aveva riciclato in un anno 30 miliardi. È stato fatto anche un processo a Milano ed è stato condannato per questa vicenda.
In questa mole di attività, registrammo, oltre a questo flusso di denaro, anche intercettazioni di personaggi che si occupavano di traffico d'armi. Facemmo una prima informativa al magistrato: le attività di intercettazione durarono 7-8 mesi; il lavoro fu molto laborioso e produsse una mole tale di documenti che i magistrati stessi avevano difficoltà a seguirla, per cui dovemmo predisporre un riassunto, personaggio per personaggio, in modo che avessero un quadro chiaro della vicenda.
Nel 1995 furono emesse, su richiesta del pubblico ministero, 18 ordinanze di custodia cautelare.
Tra questi personaggi c'era un certo Elmo Francesco, che poi, per un lungo periodo, è stato collaboratore di giustizia. Noi andammo ad interrogarlo in carcere, dopo che fu arrestato in Sicilia: inizialmente ci lasciò un po' perplessi perché faceva nomi e parlava di operazioni che per noi erano... sembrava che stesse farneticando. Però non ci spiegavamo il motivo per il quale dicesse tutte queste cose: asseriva di essere stato un collaboratore dei servizi, o quantomeno di essere stato avvicinato da due uomini qualificatisi come uomini dei servizi.

PRESIDENTE. Che significa «servizi»?

VINCENZO VACCHIANO. I servizi segreti.

PRESIDENTE. Sì, ma sono tanti.


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VINCENZO VACCHIANO. Lui parlava del SISMI, perché faceva riferimento ad un certo Di Maggio e ad un'altra persona di cui non ricordo il nome. Diceva di essere stato contattato da queste persone, che gli avevano chiesto una serie di informazioni. Infatti, lui andava e veniva dalla Svizzera e aveva contatti, registrati dalle telefonate, con una marea di persone ed anche con uno studio notarile di Zurigo.

PRESIDENTE. Professionalmente, come si presentava? Che faceva di professione ufficialmente?

VINCENZO VACCHIANO. Non faceva niente. Si occupava di queste transazioni; aveva capito che attraverso questo giro poteva ricavare un po' di soldi e si era infilato in questa attività.
La cosa che ci lasciò un po' perplessi è che negli interrogatori successivi sostenne che uno di questi due uomini dei servizi segreti (del SISMI) fosse Mario Ferraro, il colonnello che fu trovato morto nella sua abitazione.
Su questa vicenda non abbiamo trovato alcun elemento: né il SISMI, né il SISDE, ai quali chiedemmo se Elmo fosse stato contattato, o risultasse essere un collaboratore, ci diedero alcuna conferma. Lui raccontava episodi di difficile riscontro, perché gran parte dell'attività, oltre a quella che si svolgeva in Italia, avveniva all'estero. Fortuna volle che chiedemmo un incontro con il procuratore di Zurigo, incontro al quale partecipammo io, il dottor Ormanni e il dottor Fortuna. La procura di Milano aveva iniziato un'indagine analoga sul riciclaggio e aveva preso contatti con le autorità di polizia svizzere che avevano seguito personaggi italiani e stranieri che facevano riferimento a questo studio notarile di Zurigo. Lì trovammo buona parte dei nominativi di cui Francesco Elmo parlava.
Questo per quanto riguarda sommariamente l'aspetto del riciclaggio.
Sempre nel carcere, nel 1995, lui fece riferimento anche a delle informazioni, che avrebbe dovuto fornire ai due uomini che lo avevano contattato, su un personaggio di origine somala che indicava col nome di Munie. Diceva che aveva delle navi e che, secondo loro, faceva traffico d'armi. Il personaggio mi era completamente sconosciuto; né io né i miei collaboratori conoscevamo le navi di cui parlava, per cui svolgemmo una serie di attività ed identificammo Munie in Mugne Said Omar, un personaggio somalo che ha studiato per un lungo periodo all'università di Bologna ed è stato anche dipendente o socio della cooperativa Edilter di Bologna.

PRESIDENTE. Che cooperativa era?

VINCENZO VACCHIANO. Una cooperativa che si occupava di lavori di edilizia. Pare che, grazie all'ingresso di Mugne, si sia occupata della realizzazione della strada imperiale di Bosaso (hanno fatto dei lavori per quanto riguarda la cooperazione).

PRESIDENTE. Per la quale c'è stato un processo a Roma.

VINCENZO VACCHIANO. C'è stato un processo a Roma e, per gli aspetti di corruzione, ci sono state anche indagini a Milano, a suo tempo.

PRESIDENTE. Lui era un socio della Edilter?

VINCENZO VACCHIANO. Risulta dipendente della Edilter, ma poi abbiamo acquisito dei documenti, nel corso di alcune perquisizioni, che attestavano il rapporto tra la stessa Edilter e Mugne.

PRESIDENTE. Anche la Shifco era a Bologna?

VINCENZO VACCHIANO. No. Avevano fatto un accordo con la SEC di Viareggio, una società...

PRESIDENTE. Mugne aveva fatto questo accordo?


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VINCENZO VACCHIANO. Sì, con la SEC di Viareggio. In sostanza, l'Italia nel periodo della cooperazione costruì tre pescherecci per la Somalia che dovevano essere affidati allo Stato somalo (tuttora sono nella disponibilità di Mugne). Inizialmente il Presidente della Repubblica somalo affidò a Mugne il naviglio, perché c'era un rapporto tra SEC e Shifco, in quanto tutto il pescato veniva portato in Italia e venduto sul mercato italiano.
Ci imbattemmo, quindi, in due filoni di traffico di armi. Infatti, nel periodo in cui mi sono occupato di questa vicenda, c'era stata anche la guerra nella ex Jugoslavia, dove avevamo individuato due personaggi, uno di origine slovena, un certo Nicolas Oman, console onorario della Liberia, e un certo Giorgi Franco, un italiano, di Ascoli Piceno.

PRESIDENTE. Questi facevano traffico d'armi da e verso la Jugoslavia?

VINCENZO VACCHIANO. Secondo quello che poi accertammo, Oman portò materialmente le armi a Karadzic, nel periodo in cui c'era il conflitto, tant'è vero che ci fu anche un problema di riscossione, nel senso che avevano pattuito una somma ed alcuni soldi non furono consegnati, per cui una di queste persone - mi pare Mazzeca Lorenzo - rischiò anche di essere uccisa.

PRESIDENTE. C'era un collegamento tra le persone che lei ha nominato, Giorgi, Nicolas Oman, Mazzeca Lorenzo, impegnate in traffico d'armi da e per la ex Jugoslavia, e il traffico d'armi in Somalia?

VINCENZO VACCHIANO. Lorenzo Mazzeca, che non ha mai negato di aver fatto da intermediario per le armi nei paesi dell'ex Jugoslavia, disse, tra le altre cose, che Nicolas Oman aveva fatto delle forniture di armi per l'Iran, la Libia e credo anche l'Iraq.

PRESIDENTE. C'era un travaso di armi dall'ex Jugoslavia a questi paesi?

VINCENZO VACCHIANO. Noi accertammo che Nicolas Oman era molto legato a personaggi dell'ex URSS, uno dei quali era un greco che aveva un ufficio in Austria e aveva rapporti oltre che con personaggi della criminalità russa anche con Vladimir Zirinoski. Come elemento di riscontro a quello che ci diceva Elmo - perché sembrava strano che Zirinoski potesse avere a che fare con questa persona - trovammo delle fotografie che riprendevano Zirinoski in maniera molto confidenziale nel castello di Bled di Nicolas Oman.

PRESIDENTE. Lei ha fatto riferimento al traffico di armi verso l'Iran, la Libia e l'Iraq. E la Somalia?

VINCENZO VACCHIANO. La Somalia no. Il versante del traffico di armi riguardava esplicitamente questi paesi.

PRESIDENTE. Questo sarebbe il primo filone?

VINCENZO VACCHIANO. Sì.

PRESIDENTE. E il secondo?

VINCENZO VACCHIANO. Il secondo filone riguardava le armi verso la Somalia, cui aveva fatto cenno Francesco Elmo. Anche lì, essendo una vicenda per noi completamente nuova e non approfondita come quella relativa all'ex Jugoslavia, facemmo una serie di ricerche e chiedemmo tramite la procura di Torre Annunziata alle varie procure l'acquisizione di atti che facevano riferimento ad eventuali episodi di traffico d'armi da e verso la Somalia. Da lì cominciammo ad interrogare un po' di persone: in quella vicenda, parallelamente a quest'indagine, compariva sempre la vicenda di Alpi e Hrovatin che erano stati uccisi.

PRESIDENTE. Le faccio questa domanda perché sicuramente le risulterà che Ilaria Alpi, prima di recarsi in Somalia dove avrebbe trovato la morte, era stata nella ex Jugoslavia, dove aveva conosciuto


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Miran Hrovatin, che stava facendo un servizio di guerra. Qualcuno ipotizza un collegamento; più volte i componenti della Commissione, in particolare l'onorevole Bulgarelli, hanno formulato domande su questo aspetto e sull'ipotesi di collegamenti e di traffico di armi tra la ex Jugoslavia e gli altri paesi, compresa la Somalia, e della consapevolezza di Ilaria Alpi rispetto a possibili travasi, o comunque collegamenti economici tra i paesi ai quali lei ha fatto riferimento (aggiungendo la Somalia) e la ex Jugoslavia.

VINCENZO VACCHIANO. No. So per certo che la Slovenia, avendo deciso di non partecipare alla guerra ed essendosi, nel periodo del conflitto, procurata armi nell'eventualità di doversi difendere, si è trovata alla fine della guerra con un carico notevole di armi che poi credo abbia venduto, non so in che termini.

PRESIDENTE. Francesco Elmo, che praticamente ha gestito lei...

VINCENZO VACCHIANO. Sì.

PRESIDENTE. ...è risultato inattendibile o attendibile?

VINCENZO VACCHIANO. Le parlo per quello che riguarda me, perché poi Francesco Elmo è stato ascoltato anche da altre procure per vicende che riguardavano aspetti della criminalità organizzata.

PRESIDENTE. Il nome di Mugne lo ha fatto lui?

VINCENZO VACCHIANO. Lo ha fatto nel carcere.

PRESIDENTE. Quindi, Elmo ha fatto il nome di Mugne, che era assolutamente ignoto alla vostra indagine?

VINCENZO VACCHIANO. Sì. Come ho detto in premessa, Elmo parlava, faceva nomi e raccontava cose che sembravano effettivamente frutto di grosse fantasie. Ricordo che il dottor Fortuna uscì un po' scettico da questo interrogatorio e discutemmo a lungo delle dichiarazioni. Io gli chiesi di darmi la possibilità di cominciare a fare qualche verifica su quello che lui aveva detto. Per esempio, aveva cominciato a parlare della Slovenia; andai in Slovenia, ebbi contatti con il capo della polizia slovena e con alcuni funzionari che mi confermarono che effettivamente nel porto della Slovenia c'era un carico di maschere militari antigas, che nessuno aveva mai ritirato, ma Francesco Elmo diceva che le aveva portate Nicolas Oman, perché doveva venderle.

PRESIDENTE. Quindi, c'è stato un riscontro?

VINCENZO VACCHIANO. Non solo questo: di riscontri ce ne sono stati tanti.

PRESIDENTE. E per il versante che a noi interessa?

VINCENZO VACCHIANO. Ci sono degli aspetti per quanto riguarda quello svizzero di cui lui parlava perché era presente, aveva fatto delle operazioni e aveva contattato delle persone; altri aspetti lui li raccontava de relato, sosteneva cioè che prendeva le informazioni per conto di questi due uomini, che non siamo riusciti mai a sapere se effettivamente fossero dei servizi segreti, se fossero faccendieri o persone che magari facevano parte di altre...

PRESIDENTE. Di Maggio e l'altro?

VINCENZO VACCHIANO. Sì, Di Maggio e l'altro personaggio. La difficoltà stava nell'accertare quello che lui ci raccontava de relato; comunque alcune cose le abbiamo accertate. È chiaro che non tutto era possibile, ma uno dei personaggi che confluivano presso lo studio Meroni, che noi arrestammo, era legato alla criminalità organizzata americana.

PRESIDENTE. Ha mai parlato di traffico di rifiuti tossici?


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VINCENZO VACCHIANO. Ha fatto solo degli accenni. Sul traffico di rifiuti abbiamo avuto un rapporto di collaborazione con la procura di Asti, che stava svolgendo un'indagine molto importante: anche se era nata per caso, per altre vicende, si sono trovati, senza volerlo, ad intercettare personaggi di estrema importanza, per quanto riguarda la vicenda della Somalia.

PRESIDENTE. Lei ha detto che vi siete incrociati con la vicenda di Ilaria Alpi. In che senso? Sotto quale profilo (le chiedo nomi, cognomi e circostanze)?

VINCENZO VACCHIANO. Francesco Elmo ha fatto il nome di Mugne e ha parlato di navi che, secondo lui, ufficialmente caricavano derrate alimentari, ma di fatto facevano traffico di armi da e verso la Somalia e addirittura anche la Libia. Dopo aver fatto i primi accertamenti, cercammo di capire quanto ci fosse di vero, perché lui non ci ha fornito materiale o documentazione, ci ha solo raccontato che era stato invitato a raccogliere elementi presso lo studio notarile svizzero per quanto attiene al personaggio Mugne e alle sue navi. Interrogammo una serie di persone e raccogliemmo del materiale da altre procure, perché, ad esempio, la procura di Brindisi, in un periodo antecedente al nostro, aveva fatto indagini sul traffico d'armi verso la Somalia. Alla fine l'inchiesta, con allegate tutte le intercettazioni, constava di oltre 60 volumi e quasi 80 mila atti. Trovammo riferimenti precisi per quanto riguarda Miragliotta Ernesto e un certo Zaganelli (intercettazioni della procura di Brindisi) che parlavano di ferro da portare in Somalia e chiedevano se si trattasse di ferri buoni o nuovi: in modo sottinteso parlavano di armi e parlavano anche di Giancarlo Marocchino, con il quale avevano un certo rapporto, dicevano che stava facendo i soldi in Somalia.

PRESIDENTE. Con le armi?

VINCENZO VACCHIANO. Ci sono delle intercettazioni delle quali ho una sintesi. Se vuole, le posso leggere un passaggio in cui parla Luigi Argentieri: «Sì, lo so; va bene Ernesto» - Ernesto Miragliotta - «eventualmente, se ce ne fosse bisogno per la Libia, qualche partita di ferri ci sono?». E Ernesto Miragliotta risponde: «Sì. Come non ci sono? Ci sono, purtroppo ci sono». E l'altro: «Tramite Malta, sempre». Questo era il crocevia attraverso il quale dovevano avvenire i traffici. Poi, più avanti Ernesto Miragliotta dice: «Poi, da lì vado a Mogadiscio, vado perché lì c'è Giancarlo che sta facendo una valanga di soldi e lì c'è un bel casino e, come tu sai, dove c'è casino io sto bene». Ernesto continua: «Poi c'è da fare qualcosa di grosso appena si rompono le corna»: si riferisce alla lotta fra i clan della Somalia. Alla domanda «Che dici, finirà questa storia giù, oppure no?», risponde: «Penso per il momento no, però chi si trova adesso si sistema. Giancarlo sta facendo i miliardi».

PRESIDENTE. I miliardi si possono fare per tante cose. Avete indagato su Marocchino come trafficante di armi? Lo avete mai interrogato?

VINCENZO VACCHIANO. No, perché era in Somalia e non abbiamo avuto la possibilità di sentirlo.

PRESIDENTE. Lo avete cercato?

VINCENZO VACCHIANO. Lo abbiamo cercato in Italia, ma non c'era.

PRESIDENTE. Ma lui sapeva che lo cercavate?

VINCENZO VACCHIANO. Non lo so.

PRESIDENTE. Che risultati avete raggiunto, dal punto di vista del traffico di armi o di altre cose da parte di Marocchino, sempre in ipotesi?

VINCENZO VACCHIANO. Le dico quello che abbiamo fatto. Su Giancarlo Marocchino (si trattava di un'indagine parallela: lui e Mugne)...


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PRESIDENTE. Avete accertato rapporti fra Mugne e Marocchino?

VINCENZO VACCHIANO. Entrambi dicono di non conoscersi, però a noi risulta che si conoscono ed hanno anche fatto qualcosa insieme.
Giancarlo Marocchino, nel periodo in cui c'era la missione in Somalia disposta dall'ONU, fu arrestato perché nel suo capannone furono trovati, oltre ad un numero consistente di kalashnikov, dei missili antiaerei e un radar di produzione italiana, che lui diceva gli servissero per difendersi. Questo fu il motivo per il quale ne fu disposto l'arresto e l'estradizione in Italia.

PRESIDENTE. Chi lo arrestò?

VINCENZO VACCHIANO. Gli americani. Sulla vicenda di Giancarlo Marocchino interrogammo il generale Fiore, il generale Rajola e Cantone.

PRESIDENTE. Fiore conosceva Marocchino?

VINCENZO VACCHIANO. Fiore dice che conosceva Marocchino, e che era uno che collaborava con la struttura militare italiana in Somalia, più che altro si occupava dell'aspetto logistico.
Sentimmo il generale Fiore anche sulla vicenda Alpi...

PRESIDENTE. Vi segnalo l'importanza di queste citazioni.

VINCENZO VACCHIANO. ...in particolare sulla vicenda di Marocchino. Qui dice: «Marocchino Giancarlo era per il nostro contingente un fornitore sia di materiale che di informazioni. Per un periodo ha stipulato dei contratti di lavoro per trasporti con Unosom 2. Con noi non ha mai fatto trasporti, perché i nostri mezzi erano sufficienti. Ci ha fornito un mezzo pesante, un gruppo elettrogeno e dei grandi serbatoi per contenere la benzina. Sul piano informativo è stato molto utile anche perché il suo deposito era nei pressi della nostra ambasciata. Noi lo ritenevamo un ottimo sensore locale; disponeva di alcune centinaia di uomini alle sue dipendenze, con i quali, oltre al normale lavoro di trasporto, assicurava la scorta ai giornalisti italiani. Specie nell'ultimo periodo, è stato molto utile sul piano informativo. Ricordo personalmente che la sera del 9 marzo 1994, alla vigilia dell'abbandono della sede dell'ex ambasciata, verso le 18-19, mi venne a riferire che sulla terrazza della scuola ubicata a 500-600 metri circa erano stati disposti alcuni mortai che, durante la notte, avrebbero sparato sull'ambasciata. Inviai alcuni distaccamenti di incursori, i quali effettivamente trovarono alcuni mortai e un consistente numero di bombe. Considerato che in quel periodo in ambasciata eravamo oltre 200 persone, se quelle bombe fossero state utilizzate, molti militari italiani sarebbero stati uccisi. Io per questo gli sono molto grato. Durante il mio periodo, Marocchino Giancarlo fu arrestato dall'ONU ed espulso dalla Somalia. Rientrò in Italia con un nostro aereo, su richiesta di Unosom. Successivamente andò in Kenia, ove mi risulta fosse in contatto radio con la moglie. Rientrato poi in Somalia...».

PRESIDENTE. Passiamo a Rajola.

VINCENZO VACCHIANO. Ci sono cose che poi noi abbiamo analizzato rispetto alle dichiarazioni rese sia da lui sia da Rajola.
Rajola dice: «Avevamo dislocato in Somalia un nucleo di uomini che avevano il compito di sorvegliare e svolgere attività di intelligence per il contingente italiano. Ritengo di dover fare una precisazione per evitare equivoci: il nostro compito primario è quello della salvaguardia della sicurezza del paese; principalmente ci occupiamo di tutto ciò che può essere di pericolo per l'Italia. In particolare la nostra struttura svolge servizio di informazioni in materia di armamenti strategici, che possono, come ho detto, mettere in pericolo il nostro paese. Ovviamente esaminiamo tutte le informazioni che ci forniscono, anche sul traffico di armi leggere,


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che regolarmente passiamo agli organi di polizia giudiziaria. Nel caso della Somalia, noi chiaramente sviluppavamo ogni tipo di informazione che riguardava il traffico di armi, atteso che vi era dislocato il nostro contingente italiano, per cui era compito precipuo la sicurezza del contingente».

PRESIDENTE. Rajola stava in Somalia quando fu arrestato Marocchino?

VINCENZO VACCHIANO. Questo non ce lo ha detto.

PRESIDENTE. Cosa dice Rajola di Marocchino?

VINCENZO VACCHIANO. Non ne parla. Addirittura dice solo che non gli constano rapporti tra Giancarlo Marocchino e Said Mugne. Dice anche che su Mugne vi erano soltanto voci pressoché generalizzate circa un suo fattivo coinvolgimento mediante navi della flotta Shifco nella movimentazione di armi e munizioni.
Alcune perplessità avemmo circa le informazioni che ricevemmo dal SISMI e dal SISDE sulla vicenda del traffico d'armi in Somalia, dove proprio organismi del SISMI segnalavano che la flotta trafficava armi verso la Somalia.

PRESIDENTE. Tra l'altro, lei sta a Grosseto, vero?

VINCENZO VACCHIANO. Sì.

PRESIDENTE. Quindi sta vicino a Talamone?

VINCENZO VACCHIANO. Sì. È un posto bellissimo.

PRESIDENTE. Lei ha accertato che le navi partivano da Talamone e arrivavano in Somalia?

VINCENZO VACCHIANO. Ci fu una dichiarazione secondo la quale un carico di navi era partito da Talamone, ma evidentemente le navi, più che partire, si fermano in rada e poi proseguono.

PRESIDENTE. Quindi praticamente Rajola fu smentito?

VINCENZO VACCHIANO. Molto sinteticamente Rajola diceva: «Principalmente il nostro compito era quello di salvaguardare il contingente italiano, non di meno raccoglievamo le informazioni che poi passavamo, per quanto riguarda eventuali ipotesi di traffico di armi».

PRESIDENTE. A proposito di Mugne e Marocchino?

VINCENZO VACCHIANO. Lui diceva che non gli constava il rapporto.

PRESIDENTE. Invece al servizio di sua appartenenza risultava?

VINCENZO VACCHIANO. Sì.

PRESIDENTE. E non gli constava, se non per voci correnti del pubblico, che c'era traffico di armi facente capo a Mugne?

VINCENZO VACCHIANO. Ci sono delle note declassificate - le ho portate - che ci hanno dato per uso della magistratura.

PRESIDENTE. Può darcele. Noi le segreteremo.

VINCENZO VACCHIANO. In sostanza, c'erano più note del SISMI e del SISDE che indicavano Mugne come possibile trafficante d'armi verso la Somalia. In qualche nota addirittura si fa riferimento anche all'uccisione di Ilaria Alpi.

PRESIDENTE. Quindi, avete sentito Fiore, Rajola e Cantone. Chi era questo Cantone?

VINCENZO VACCHIANO. Un tenente colonnello.


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PRESIDENTE. Dell'esercito?

VINCENZO VACCHIANO. Sì. Anche lui era in Somalia e quando lo abbiamo sentito era in Albania.

PRESIDENTE. Vi ha parlato della vicenda di Ilaria Alpi?

VINCENZO VACCHIANO. Anche lui ci diceva che non aveva mai sentito parlare della Shifco quando era in Somalia, né di Mugne. Il generale Rajola dice che aveva incontrato «non so se Pescarini Luca, quello che dico io, un appartenente al SISMI. Ricordo di averlo incontrato qualche volta nel periodo in cui sono stato in Somalia (aprile 1993). Qualche volta ci siamo messi a parlare della situazione in loco, ma nulla di specifico». Noi gli avevamo chiesto se gli fossero stati riferiti eventuali movimenti di armi.

PRESIDENTE. Nel 1994 non stava in Somalia?

VINCENZO VACCHIANO. Lui dice di no. Poi, su questa vicenda, sentimmo anche Miragliotta Ernesto, al cui carico risultano precedenti per traffico di armi e che comunque aveva avuto rapporti con la Somalia e con Giancarlo Marocchino.
Ad una domanda specifica, Miragliotta, che era stato in Somalia, risponde «In ordine ai motivi della mia presenza in Somalia e in particolare agli episodi di malaffare della Giza e dei suoi componenti, il 28 gennaio 1993, ho consegnato tutta la mia documentazione al nucleo centrale della Guardia di finanza, VII gruppo, per conto del giudice Paraggi», che mi pare che si occupò della vicenda...

PRESIDENTE. Sì, lo abbiamo sentito.

VINCENZO VACCHIANO. «Vi allego una copia di corrispondenza acquisita durante la mia attività in Somalia, copia di una tabella di codici dai quali si potevano individuare le destinazioni delle merci, numeri corrispondenti, personaggi politici e funzionari somali; una foto che ritrae Mugne, l'ambasciatore Manca, Malavasi e Marai Renato. Esibisco altresì copia della rassegna stampa relativa ai fatti somali... In una conversazione avuta con Marco Zaganelli, mi ricordo che Zaganelli adirato mi confidò che Mugne gli aveva proposto di fare un traffico d'armi, aggiungendo di non spiegarsi come Mugne avesse esordito in quel modo. Io lasciai cadere la cosa, senza chiedere nulla a Zaganelli, conoscendo il Mugne. Quello che invece posso dire, perché l'ho constatato personalmente, è che Mugne, fermo restando il suo potere in Somalia di gestire tutto, una sera, portandomi in un grossissimo deposito, sito al 5o o al 15o chilometro sulla strada che costeggia l'aeroporto, mi ci portò dentro e, rimproverando gli uomini di guardia, mi mostrò il contenuto che era una cosa allucinante: si trattava di automezzi militari, marca Iveco, per movimento terra e trasporti, furgoni adibiti ad officina, fresa, contrassegnati con il tricolore italiano. Se non sbaglio c'era anche la scritta FAI. Ovviamente vi erano numerose casse chiuse, nelle quali poteva esserci di tutto». Diceva questo per dire che il materiale italiano era nella disponibilità di Mugne, perché in quella occasione una delle accuse che rivolgevano al Mugne era che lui, insieme ad altri funzionari e qualche politico italiano, avessero gestito questi 1400 miliardi, di cui anche Ilaria Alpi si stava occupando, o che aveva annotato nell'agenda.

PRESIDENTE. Questo naturalmente è un settore importante del quale ci ha messo a parte con documenti precisi. Ma ora vediamo un po' più da vicino la vicenda di Ilaria e di Miran e della loro uccisione. In che senso è stata da voi investigata?

VINCENZO VACCHIANO. All'inizio ho fatto riferimento ad un certo Giorgi Franco, trafficante d'armi.

PRESIDENTE. Verso la ex Jugoslavia.

VINCENZO VACCHIANO. Sì. È stato collaboratore di numerosi servizi, non solo


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italiani, mi pare che anche abbia dato la sua collaborazione anche agli Stati Uniti. Dico questo perché un fatto mi lasciò un po' perplesso: quando individuammo Giorgi Franco, che emerse dalle attività di indagine che stavamo svolgendo, fummo contattati (non io, il dottor Fortuna) dal responsabile del centro SISDE di Napoli che disse che avevano un personaggio importante che poteva contribuire alla nostra inchiesta sul traffico di armi. Chiedemmo, se possibile, di parlare con questa persona e quando loro vennero in caserma a Vico con questa persona, capii che si trattava di lui e dissi «Un momento, noi su quest'uomo abbiamo già raccolto sufficienti elementi per quanto riguarda il traffico di armi con i paesi della ex Jugoslavia». Per cui lo interrogammo formalmente e fu anche indagato. Però scoprimmo che lui effettivamente è un personaggio che gira tanto e, prevalentemente, si occupa di questo tipo di attività. Al di fuori del verbale disse che era anche vecchio amico di Giancarlo Marocchino e si offrì dicendo: «Se voi volete, posso farmi una passeggiata in Somalia» - noi capimmo che, ovviamente, andava lì per i fatti suoi e non certamente per fare un favore a noi - «e quello che riuscirò a sapere, ve lo riferirò appena tornato in Italia».
Noi non ci credevamo e non pensavamo che lui potesse darci informazioni su questa vicenda, però lui andò in Somalia e riuscì ad entrare nelle grazie del Presidente ad interim della Somalia, di cui mi consegnò anche una lettera da portare alle autorità italiane - evidentemente si propose come incaricato - e contattò Giancarlo Marocchino per affari; non parlò di armi, ma disse che lo aveva contattato e gli aveva chiesto informazioni sulla vicenda di Ilaria Alpi. Mi fece una telefonata...

PRESIDENTE. Giorgi a lei?

VINCENZO VACCHIANO. Una telefonata che registrai, perché il personaggio è seguito un po' da tutti e ai tempi d'oggi è facile trovarsi coinvolti con avviso di garanzia. Come dicevo, registrai la telefonata e, se consentite, vorrei leggerla perché credo che sia importante: «Stammi a sentire, domani prendo la macchina e vado lì» - io dovevo andare a Roma, perché c'era stata una precedente telefonata, fattami dall'aeroporto, secondo cui lui era seguito: era di ritorno dalla Somalia e mi disse che era preoccupato ed io gli dissi di fare attenzione e poi di mettersi in contatto - «ma chi è quello che sta giù?» - aveva fatto riferimento ad un nostro colonnello - «Stava giù in Somalia. Chi è quell'uomo che stava seduto qui ieri? Non ti ricordi il nome che ti ho detto?» - lui si riferiva a Rajola, ma io volevo che lui facesse il nome e facevo finta di niente - «Come si chiama? Quello del SISMI». «Non ricordo il nome» dicevo io. Lui si incazzò e disse «Ma come ti dico il nome e tu te lo dimentichi!». Non me lo aveva detto; me lo aveva detto fuori, tra le righe. «Il colonnello del SISMI»; ed io: «Che c'entra il SISMI?». «Quando c'era tutto il casino lì, stava già in Somalia. Lui era il capo del SISMI». «Come si chiama?» «Neanche mi viene in mente ora. Il nome sta scritto pure sul librettino del padre della ragazza, che ha scritto il libro di questo colonnello». «Ah sì. Mi suona strano che Marocchino abbia dato le agende al colonnello», io cercavo di punzecchiarlo. «Non il colonnello, il generale Fiore, quello che comandava la forza di pace giù. Poi sono scomparse quelle agende.» «No, ne sono scomparse due» dice Giorgi. «Ma secondo te che c'entra Mugne in questa storia?» gli domando. E lui: «Io penso che c'entra qualcosa in questa storia. Mugne trasportava armi all'altra fazione». «Ma questo chi te lo ha detto, Marocchino?», e ancora lui: «No». «Chi te lo ha detto?», «La tesi del Marocchino è quella capitolata ormai dalla Commissione parlamentare che è stata giù. Dopo ti racconto; tutto un casino; ci sono stati quelli della Commissione parlamentare, quelli del SISMI». «Ma da lui?»; «Da lui la madre di Ilaria diceva che Ilaria non poteva vedere Marocchino. Io ho visto le fotografie di Ilaria che stava a pranzo con Marocchino; abbracci, baci, Ilaria, eccetera, eccetera». Poi gli dicevo: «Senti, ma


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che possiamo ricavarne da questa storia?» «Se si va a toccare qualcosa lì ne ricaviamo qualcosa; questa è gente strana, quella del SISMI». Allora io gli dicevo di non preoccuparsi e che avrei valutato io la situazione, perché volevo capire come muoverci. «Io ci sono andato sotto gli ultimi giorni, se no che sono venuto a fare fin quaggiù? Per lavorare o per fare l'investigatore? Con il Marocchino abbiamo parlato i primi giorni: raccontami un po' com'è questa storia e mi ha raccontato della Commissione parlamentare, dei parlamentari che sono andati giù che in totale erano sette. Ci sono quelli del SISMI e secondo me quelli del SISMI la storia la sanno: sono stati giù mesi interi. »Il motivo perché gli hanno sparato a questi?» dicevo io; «Quello è stato un omicidio; come me lo hanno raccontato non il Marocchino ma un'altra persona, dalla dinamica che mi hanno raccontato, un omicidio ben preparato». Ed io: «Com'è la dinamica?». «Lei stava salendo sulla jeep, stava uscendo dall'albergo ed è stata bloccata da un'altra camionetta. Sono scesi sette di loro e hanno fatto una vera esecuzione. La scorta di Ilaria non ha risposto neanche al fuoco. Dicono che i primi a sparare siano stati quelli della scorta di Ilaria Alpi, invece non è vero». Io continuavo «Questi volevano sequestrare la ragazza». «No, che sequestrare! Se tu vai giù a leggere gli atti del SISMI e della Commissione parlamentare, così è la storia e così è finita». «Che cosa aveva scoperto Ilaria?» gli domando io «Traffico d'armi. Mugne trasportava armi al cento per cento. Soltanto bisogna andarci con i piedi di piombo. La situazione è chiara, è un omicidio; adesso bisogna scoprire solamente il movente. Chi mi ha raccontato questo è il capo della Tribù». «Senti una cosa: ma Marocchino non ti ha detto se ha rovistato sugli appunti, prima di consegnarli?» gli domando. «Nulla di importante, perché gli appunti li ha consegnati subito. Marocchino non è una persona molto scaltra su queste cose, è un faticatore, un uomo di terra». Allora gli chiedo «Quando ci vediamo?» «Non lo so» «Io domani ti chiamo e ci diamo un appuntamento» «Io domani vado a far sviluppare le fotografie», perché aveva fatto delle foto per dimostrare che era stato in Somalia. «A che ora pensi di arrivare a Roma?» «Verso le due. Prima prendi contatti con il SISMI, informati bene con il magistrato perché per me è una cosa troppo seria. Non so se il SISMI copre questa storia. La cooperazione portava le armi a Siad Barre, punto e basta. Le armi arrivavano da Brescia» «Da Brescia. Allora c'entra l'amico di Mugne. Come si chiama?» «Io qualche nominativo lo stavo prendendo, però bisogna andarci con i piedi di piombo». Ed ancora io «Ma chi è quel nominativo?» «Uno di Brescia. Nel prossimo viaggio sapremo tutto da una persona: gli ho dato diecimila dollari e mi consegnerà notizie sicure». «Strana questa storia del SISMI», domandavo io. «Non è strana per niente; informati un po'» e continua così. «Ci arrivo alla verità, però bisogna starci sempre attento» ed io gli domando «Va beh, vediamo un po'» «Ci arrivo a saperlo, già sono al 40 per cento». «Qualche indicazione da Brescia non ti è stata data?» gli domando io. «No, aspetta la prossima volta»; «Te la potevi far dare»; e lui «Tu parli bene dietro una scrivania! Vieni tu qui, ti presento come commerciante, per renderti conto. Qui non esiste un'ambasciata, è tutto raso al suolo; diventa terra di nessuno. Io penso che la cosa sia alla conclusione in quattro o cinque mesi, già dal fatto che quello che ha mandato gli avvocati non era un italiano, erano somali, per riottenere le navi che erano state bloccate» si riferisce al sequestro.

PRESIDENTE. Della Shifco.

VINCENZO VACCHIANO. «Sicuramente non gli darà le navi indietro». Poi io gli domando «Non ho capito poi Gheddafi che dà le armi a quest'altro», perché lui accennava in una precedente conversazione che alcune armi provenivano dalla Libia. «Non si spiega come questo è riuscito a impossessarsi di queste navi; anche il Governo lo vuole sapere».
Poi, ovviamente, mi dà appuntamento al giorno dopo, ma non basta. Io lo


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chiamo e lo sento a verbale su questa vicenda. Lui prima mi manda una lettera, datata 18 settembre 1996 - che non è scritta di suo pugno perché lui non parla molto bene italiano, è molto confusionario, invece la lettera è scritta molto bene in italiano - nella quale sostanzialmente pensa di accreditarsi come un collaboratore: «Egregio maresciallo, ritengo di aver compiutamente svolto quanto richiesto, relativamente alla nota indagine in corso e da lei curata. Ci tengo a precisare che» - non è che io gli abbia fatto una delega specifica sul fatto; sapevo che lui aveva interessi in Somalia con Giancarlo Marocchino, per cui gli dissi che, poiché in qualche modo collaborava con i nostri servizi, pensavo che potesse raccogliere informazioni, in quanto in Somalia in quel periodo era impossibile anche fare una rogatoria - «tale acquisizione ha comportato per me, come certo comprenderà, notevoli disagi e oneri, essendo stato necessario effettuare più viaggi, uno a Bucarest il 6 luglio, l'altro a Sofia il 10 agosto, onde avere quanto a lei necessario. Con riferimento poi al secondo incarico relativo all'acquisizione di informazioni sull'omicidio di Ilaria Alpi, comunico che un primo viaggio è stato da me effettuato il 17 luglio 1996, via Nairobi, onde contattare tale Giancarlo Marocchino, da me conosciuto da tempo, pur se da oltre dieci anni non avevo avuto più contatti con lui. Avvalendomi di tale vecchia amicizia e presentandomi come venditore di armi, ho potuto avere contatti ed incontri con una pluralità di soggetti, dapprima sporadici e ufficiali, poi più frequenti e confidenziali, tanto da avere avuto la possibilità di essere introdotto in ambienti militari e governativi, sino ad avere contatti con il Presidente della Repubblica ad interim. In tali primi incontri, peraltro, non ho potuto ovviamente dar corso alle indagini specifiche che avrebbero rischiato di far comprendere il vero motivo della mia presenza, essendomi limitato sostanzialmente ad avere rapporto con il maggior numero di persone che ritenevo mi sarebbero state successivamente utili e questo per tutti i miei nove giorni di permanenza in cui non solo ho ampliato il mio giro di conoscenze, anche ad alto livello, ma ho avuto contatti anche in relazione ad altri problemi somali, che ovviamente ho dovuto coltivare. Di tutto questo peraltro avevo già riferito e intendo ora confermare quanto riferito circa l'esito del secondo viaggio. Ho avuto modo in tale seconda permanenza di avere cognizioni estremamente più specifiche, tenendosi conto, peraltro, ovviamente, della difficoltà della ricostruzione. La Alpi, infatti, stava acquisendo informazioni sulla sorte effettiva di aiuti italiani alla Somalia e sulla donazione di una flottiglia attualmente gestita dal dottor Mugne a voi noto, nonché sul reale comportamento tenuto dal contingente italiano in Somalia. Mi è stato riferito da persone degne di fede e bene introdotte che esso, Aidid, non solo era appoggiato e finanziato con denaro ed armi da detto Mugne, ma era riuscito ad avere, se non l'appoggio, certamente la non belligeranza del responsabile del contingente italiano, in quanto aveva possibilità di coinvolgere grossi nomi della politica italiana circa il reale uso dei fondi della cooperazione che in passato sarebbero stati formalmente inviati in Somalia, ma utilizzati in modo non corretto e non per fini umanitari a cui erano destinati. Peraltro la certezza che ho tratto è che la ricostruzione della vicenda è di estrema difficoltà e pericolosità. Altri soggetti indagavano e hanno infatti avuto la sorte che lei conosce. Di tanti fatti, pur riferitimi ed appresi, non ho, allo stato, prove certe, sicché ne debbo fare verifica. Così come di certo ulteriori indagini debbono essere svolte.»
Questa è una lettera che lui mi manda, però io lo chiamo e lo sento a verbale per avere dei chiarimenti. Gli facciamo delle domande specifiche e lui risponde: «No, non conosco Ernesto Miragliotta, né conosco Marco Zaganelli. Non ho mai sentito parlare di queste persone» - l'interrogatorio è del 29 luglio 1997 - «d'altro canto, tengo a ribadire che la mia attività lavorativa si svolge prevalentemente, se non esclusivamente, all'estero. I servizi segreti italiani, il SISMI, sono ancora molto attivi in Somalia. Quando sono tornato dalla


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Somalia, il 15 agosto 1996, mi sono fermato a Roma e ho pernottato presso un albergo, del quale non ricordo il nome. Fui contattato da una persona che si presentò col nome Bruno, il quale mi chiese un appuntamento presso l'hotel sito in fondo a via Veneto, dicendo che voleva parlarmi. Aggiunse che aveva avuto il mio numero di cellulare da un certo Angeli Luciano, che io conosco come collaboratore della DEA americana. Mi recai all'incontro e qui si presentò un signore di circa cinquant'anni con baffi bianchi, stempiato e robusto, alto uno e settanta, il quale andò subito nel vivo del discorso, presentandosi come uno dei servizi italiani. La persona mi domandò perché io mi stavo interessando della storia di Ilaria Alpi, dicendomi che avevo fatto delle foto in Somalia sul luogo dell'uccisione di Alpi e Hrovatin, facendomi capire che dovevo stare lontano da questa storia, perché era meglio interessarmi dei miei affari. Gli riferii che a me non interessava la storia della Alpi, ma che ero andato giù per vendere delle armi e in quella circostanza feci delle foto generiche della zona di Mogadiscio. Io preoccupato di quell'incontro, lo riferii al maresciallo Vacchiano, telefonicamente». «Gilao Ahmed era un uomo del SISMI italiano, il quale mi riferì che 4 mila miliardi stanziati per la cooperazione non sono mai arrivati in Somalia. Diceva che Barre sapeva dove erano finiti quei soldi». A domanda risponde: «Marocchino, nei vari colloqui, mi disse che non c'era motivo di meravigliarsi sul traffico d'armi. D'altro canto nel periodo antecedente alla guerra, Barre riceveva armi ufficialmente dal Governo italiano, che avveniva attraverso una nave denominata October 2». Risponde ancora a domanda: «Ho conosciuto Moallin Hassan, il dottore minerario di cui parlo nel verbale del 1996, per la prima volta nel luglio 1996 da Marocchino a Mogadiscio. L'Hassan infatti, da quello che ho capito, fungeva da fiduciario di Marocchino, nel senso di uno dei suoi uomini di fiducia. Ho parlato con Hassan in privato; abbiamo parlato prima del più e del meno e poi della vicenda Alpi. Ricordo che mi mostrò un opuscolo contenuto nella rivista Avvenimenti e mi disse che la vicenda Alpi era scritta tutta quanta lì. Gli risposi che i giornali scrivono stronzate e lui mi sembrò annuire. Quindi gli proposi di informarsi sulla verità. Lui mi disse che quando accadde il fatto non era sul posto, ma che non avrebbe avuto difficoltà ad informarsi. Il discorso è rimasto aperto, ma ho idea che sia in grado di riferire circostanze utili».
Poi raccogliemmo una nota della polizia somala, che non so se vi sia già stata esibita.

PRESIDENTE. No.

VINCENZO VACCHIANO. Un documento del commissario di polizia somalo, che noi acquisimmo credo dalla procura di Roma, in cui lui spiegava sostanzialmente quello che era successo.

PRESIDENTE. Lui chi?

VINCENZO VACCHIANO. Questo commissario della polizia somala.
Questa è una lettera del commissario di polizia, divisione Unosom 2, un documento che ho ricevuto trascritto, perché era in lingua, tradotto il 17 dicembre 1994 in lingua inglese, a partire dalla versione somala, dal colonnello Sahid Abdullah, consulente per la polizia somala presso il contingente generale Unosom 2, a Mogadiscio. Lui, il 15 dicembre 1994, scrive al comandante del reparto CID, polizia somala, relativamente ad informazioni sulla morte dei giornalisti italiani Alpi e Hrovatin: «Egregio signore, come verbalmente richiesto dal suo ufficio, le invio le seguenti informazioni relative a quanto in oggetto: il 20 marzo 1994, intorno alle 12.30, nei pressi dell'ambasciata italiana di fronte al Sahafi hotel, un gruppo di persone armate a bordo di una Land rover station wagon bloccano la Toyota su cui si trovano i due giornalisti e le loro guardie del corpo, sparando ed uccidendo entrambi i giornalisti Ilaria Alpi di RAITRE, del partito comunista italiano, e Miran Hrovatin di origine bosniaca (Lamerman suo collega). I due giornalisti sarebbero


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rientrati da Bosaso proprio quel giorno. Si suppone si trovassero presso il Sahafi hotel della parte sud di Mogadiscio, quando improvvisamente decidono di prendere una macchina, delle persone di scorta e dirigersi verso la parte nord della capitale, attraversando la linea verde. Prima dell'assassinio i due giornalisti erano stati visti uscire a bordo della loro macchina da un garage di un cittadino italiano di nome Giancarlo, situato sulla stessa strada circa due chilometri dalla scena del delitto. Nessuno sa che cosa facessero in quel luogo, né chi avessero incontrato in quel garage. So che il somal police re-establishment committee (comitato di ristabilimento della polizia somala), aveva nominato una commissione costituita da sette ufficiali di polizia, alcuni dei quali appartenevano al CID del mio dipartimento, il cui compito sarebbe stato quello di svolgere le indagini sul caso. Tuttavia, a tuttora non è stato loro possibile, per una ragione o per un'altra, svolgere indagini accurate al riguardo. È certo che nessuno è intenzionato a procedere alla raccolta di prove sul caso per motivi di sicurezza, visto che attualmente nel paese non vi è alcuna forma di legge né tipo di ordine. Tuttavia si ritiene che l'assassinio dei due giornalisti sia stato un atto premeditato e progettato da italiani, ivi compresi quel Giancarlo ed altri, e che le ragioni di fondo che hanno determinato la morte dei due giornalisti siano da ricercarsi nell'ambito dell'attività giornalistica che Ilaria stava svolgendo in Somalia. Si dice che gli assassini fossero in sei, uno è stato ucciso sul luogo del delitto e altri tre sono stati feriti durante lo scontro a fuoco. Non si conosce l'identità dell'assassino morto, né di quelli che sono riusciti a fuggire. I movimenti della Land rover utilizzata dagli assassini restano tuttora sconosciuti, così come sconosciuti rimangono i dati relativi alla targa della macchina utilizzata dagli assassini, nonché il suo proprietario. Il conducente del veicolo con a bordo i due giornalisti è stato ferito alla testa; non è stato possibile interrogarlo non essendo questi in grado di parlare. Attualmente si trova ancora ricoverato all'ospedale di Nairobi, dove è stato trasportato dopo l'assalto. Si conosce l'identità di una delle guardie del corpo dei due giornalisti: il suo nome è Nur Aden ed è stato lui ad uccidere uno degli assassini e a ferirne altri. Temendo una vendetta si è rifugiato in Etiopia. Non si conosce l'identità degli altri uomini di scorta; alcuni testimoni dicono che ci fossero solo l'autista e una guardia del corpo insieme con i giornalisti. Sembra che Giancarlo si sia categoricamente rifiutato di parlare con la polizia e di fornire commenti in relazione all'accaduto. Tuttavia è noto che è stato lui ad arrivare per primo sulla scena del delitto e a raccogliere i corpi dei due giornalisti, alcuni dei loro oggetti; è stato lui che ha organizzato il rientro delle salme in Italia via mare. La polizia è arrivata sul luogo del delitto solo dopo tre giorni; non vi erano ormai più tracce dell'assassinio, degli assassini o delle vittime. È stato possibile raccogliere solo delle storie non molto attendibili e affidabili fornite da gente del luogo. È un dato certo che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono venuti in Somalia innumerevoli altre volte durante il soggiorno delle forze Unitaf e Unosom; si dice che l'ultima volta fossero riusciti anche a scattare delle foto a Bosaso. Dopo la loro morte, abbiamo saputo che gli appunti e la macchina fotografica dei due giornalisti erano stati trovati e portati via da Giancarlo. Si dice, inoltre, che Ilaria e il suo collega fossero impegnati a raccogliere informazioni relative a presunte appropriazioni indebite di fondi pubblici destinati attraverso il progetto FAI alla costruzione delle strade nella regione di Bosaso (si tratterebbe di fondi stanziati durante il regime di Siad Barre dal Governo Craxi); presunto aumento del potere dei fondamentalisti islamici in Somalia; richieste di risarcimento inoltrate da giornalisti italiani inviati a più riprese in Somalia. Queste sono le sole informazioni, per giunta non confermate, che posso fornirvi. Non vi è molta speranza di raccoglierne altre. Colonnello Ali Jiro Scermarke».


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PRESIDENTE. Lei lo ha conosciuto?

VINCENZO VACCHIANO. No. Volevo sentirlo, ma non ci è stato possibile farlo.

PRESIDENTE. E com'è arrivata questa corrispondenza? Chi gliela ha fatta recapitare?

VINCENZO VACCHIANO. Noi la acquisimmo. Ho interrogato diverse volte anche i genitori di Ilaria Alpi, per cui non è improbabile che mi sia stata fornita da loro (non so come l'abbiano avuta). Insieme ad altri documenti, acquisivamo tutto quello che riguardava la Somalia, perché lo ritenevamo di estrema importanza.

ELETTRA DEIANA. Chi è il destinatario di quell'informativa?

VINCENZO VACCHIANO. Il comandante del reparto CID della polizia somala di Mogadiscio.

PRESIDENTE. Avete fatto accertamenti per sapere se questa persona svolga realmente questa attività? È un poliziotto?

VINCENZO VACCHIANO. All'epoca era un poliziotto.

ELETTRA DEIANA. È tutto interno alla polizia somala?

VINCENZO VACCHIANO. Sì. Come se fossero le note informative che noi ci scambiamo.

PRESIDENTE. Relazioni di servizio.

VINCENZO VACCHIANO. Sì.

PRESIDENTE. È individuabile questa persona?

VINCENZO VACCHIANO. Penso che non sia difficile individuarla.

PRESIDENTE. Dove si troverebbe adesso?

VINCENZO VACCHIANO. A Mogadiscio. È il commissario di polizia della divisione Unosom 2 (all'epoca era lui il responsabile).
Dicevo prima, a proposito di queste attività, che noi avevamo un rapporto costante anche con la procura di Asti, perché stavano conducendo delle indagini sul riciclaggio di rifiuti tossici verso la Somalia; fummo contattati, tramite il dottor Fortuna, dal dottor Tarditi, il quale ci informò che stavano controllando delle utenze telefoniche, tra le quali vi era quella di Faduma Aidid, la figlia dell'ex generale Aidid. Il periodo in cui loro hanno svolto queste intercettazioni - che mi risulta abbiano già esibito integralmente - è quello in cui la Commissione Gallo indagava sulla vicenda delle torture. È importante questa intercettazione perché è al di fuori di ogni tipo di attività e non era finalizzata al traffico delle armi. Faduma Aidid si sente continuamente con un certo Fortunato che, a quanto è dato sapere, è un uomo del SISMI che stava in Somalia quando si è verificata la vicenda di Ilaria Alpi. Quello che non riuscivamo a capire era il rapporto tra questo Fortunato e Faduma, un rapporto quasi di sudditanza, come di uno che per tenerla buona le dice «Non ti preoccupare; vedrai», in quanto lei era un po' adirata. Ho allegato le intercettazioni però ritengo che alcuni passaggi vadano sottolineati: lei si trova a Milano, quando ha il telefono sotto controllo, ed effettua una telefonata alla zia, che si chiama Hada, che i colleghi di Asti intercettano. Loro parlano prima della dichiarazione di Omar Jahil, un uomo sentito dalla Commissione Gallo che mentì su certe circostanze e sull'identità. Faduma dice: «È vero ciò che ha affermato Omar Jahil. Infatti, Gilao, Alì Mahdi, Marocchino, Mugne e il generale del SISMI...» Hada chiede: «Quale generale?» «Quello che ho salvato. Mi aveva supplicato. Quello che ha seppellito lo zio» «Rajola» «No» dice Faduma e Hada dice «Sì». «Tutti questi, i suoi uomini insieme hanno ucciso la ragazza e il vecchio», il vecchio è il padre Aidid.


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PRESIDENTE. E la ragazza chi è?

VINCENZO VACCHIANO. Appresso parlano di Alpi e le uniche ragazze uccise in Somalia sono Ilaria Alpi e una crocerossina. Quindi o l'una o l'altra.
«La ragazza morta e il vecchio sono stati eliminati da loro. Adesso li ho coperti. Non ci conviene accusarli; lo faremo una volta che il nostro Governo sarà riconosciuto. Non è conveniente, sono più forti di noi. Potrebbero uccidere il ragazzo», cioè il fratello di Faduma.

PRESIDENTE. La ragazza potrebbe essere una delle due. Il vecchio è Aidid: quando è morto?

VINCENZO VACCHIANO. Non so la data esatta.

PRESIDENTE. Dopo la Alpi o prima?

VINCENZO VACCHIANO. Non so essere preciso.

PRESIDENTE. L'intercettazione di quando è?

VINCENZO VACCHIANO. Bobina n. 76, telefono n. 3 del 22 gennaio 1998. Mi pare che fosse il periodo in cui operava la Commissione Gallo.
Noi ci domandavamo come mai, visto che Faduma non rivestiva alcun ruolo istituzionale, ci fosse questo rapporto. Insieme a lei c'era un ex ufficiale dell'esercito somalo che si era sentito male e questo Fortunato lo fece ricoverare all'ospedale militare di Milano. Solo che qualche giorno dopo morì, perché la malattia era abbastanza grave, e lei pretese ed ottenne che la salma fosse portata in Somalia. Pare che loro stessi si occuparono di portarla con un aereo nostro militare.
Noi ci domandavamo perché, e ancora adesso non siamo riusciti ad avere alcuna risposta su questa vicenda. D'altra parte se i servizi erano così interessati a lei, o era una persona - come potrebbe essere - che forniva (e fornisce tuttora informazioni, perché la Somalia comunque è un posto interessante sotto l'aspetto geopolitico e ci sono degli interessi che riguardano il nostro paese, per cui c'è bisogno di un referente che ci tenga informati), oppure c'era qualcos'altro. Il problema è che noi non siamo riusciti a sentire Faduma, che, di fronte ad un'affermazione del genere, io certamente avrei interrogato e le avrei chiesto di spiegarmi il tono delle conversazioni.

PRESIDENTE. Gli atti che lei ha portato sono stati trasferiti all'autorità giudiziaria di Roma?

VINCENZO VACCHIANO. Il procuratore Ormanni per quanto riguarda la vicenda della Somalia ritenne che, trattandosi di un fatto connesso (il traffico di armi) alla vicenda di Ilaria Alpi, dovesse essere mandato a Roma, cosa che fece regolarmente. L'inchiesta si concluse con una richiesta di rinvio a giudizio di oltre cento persone; solo che in quella sede ci furono delle eccezioni di competenza, per cui il GIP mandò questa parte a Roma, una parte a Milano, per quanto riguarda il riciclaggio, e una parte a Venezia, per quanto riguarda il traffico d'armi sul versante della ex Jugoslavia.

PRESIDENTE. Lei ha continuato ad interessarsi di questa vicenda? Attualmente qual è il suo interesse per questa vicenda?

VINCENZO VACCHIANO. In quel periodo mi ero fatto una notevole rete informativa. Però, purtroppo questa indagine ebbe un freno nel 1996 (eravamo proprio nel pieno delle indagini), per la nota vicenda di Angela Celentano, che sparì proprio da Vico Equense, dove io stavo, per cui abbandonai per un periodo di tempo l'indagine, perché ritenevo che la vicenda di Angela Celentano avesse la priorità.

PRESIDENTE. E attualmente?


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VINCENZO VACCHIANO. Qualcuno ancora mi chiama e mi dà delle informazioni.

PRESIDENTE. Non ha un fascicolo aperto?

VINCENZO VACCHIANO. No, perché in questo momento non saprei quale procura sarebbe competente a svolgere le indagini.
Penso che questa indagine poteva essere approfondita; sulla base degli elementi che avevamo raccolto, quantomeno sul conto di Mugne, un'iscrizione nel fascicolo processuale per traffico di armi l'avremmo fatta.

PRESIDENTE. Direi a questo punto di iniziare con le domande rivolte al settore di notizie che il maresciallo ci ha fornito oggi. Continueremo poi giovedì prossimo. Raccomando ancora una volta al maresciallo Vacchiano di inviarci eventuali altri atti che dovesse reperire, che sarebbero graditissimi alla Commissione.
Prego, onorevole Pinotti.

ROBERTA PINOTTI. Maresciallo Vacchiano, non ho domande da rivolgerle, perché la sua esposizione è stata precisa, completa e documentata. Vorrei, quindi, solo ringraziarla e sottolineare che alcuni aspetti che lei ha esposto richiedono da parte nostra un approfondimento.

PRESIDENTE. La lettura sia del resoconto stenografico sia degli atti che ci lascerà il maresciallo Vacchiano saranno fonte delle domande che formuleremo giovedì prossimo.
Prego, onorevole Schmidt.

GIULIO SCHMIDT. Mi associo anch'io all'apprezzamento della collega Pinotti.
Signor maresciallo, desidero fare una constatazione chiedendole una conferma e rivolgerle alcune domande. Per quanto riguarda Elmo e quanto da lui dichiarato, lei ha svolto una serie di riscontri: secondo lei qual è la percentuale di corrispondenza?

VINCENZO VACCHIANO. Posso rispondere per quanto riguarda me, perché non so per le altre procure.

GIULIO SCHMIDT. Sì, per quanto riguarda lei.

VINCENZO VACCHIANO. Penso l'80 per cento.

GIULIO SCHMIDT. Quindi 80 per cento di riscontro positivo a quanto detto.

VINCENZO VACCHIANO. Sì.

GIULIO SCHMIDT. Vi è un passaggio in quanto è stato riferito da Franco Giorgi che ritengo di grande importanza: mi riferisco alle agende che sarebbero state consegnate da Giancarlo Marocchino a Rajola o a qualcun altro?

VINCENZO VACCHIANO. Le ha prese Giancarlo Marocchino.

GIULIO SCHMIDT. Le ha prese Giancarlo Marocchino e le ha consegnate a qualcuno.

VINCENZO VACCHIANO. Sì, ma non ci è mai stato detto a chi. Almeno sugli appunti rimasti - dei quali sicuramente avrete copia - le cose più importanti che Ilaria aveva annotato, forse lo stesso giorno del suo viaggio a Bosaso, riguardano i 1400 miliardi; mi pare che la frase fosse «Che fine ha fatto quest'enorme mole di denaro?». Poi un'altra frase riguardava Mugne, scritto in due modi: Munie e Mugne e poi la Shifco.
Quello che suonava strano è che la macchina degli assassini pare che stesse lì ad attendere Ilaria e Hrovatin. Secondo le informazioni che abbiamo raccolto, pare che la macchina fosse stata lasciata incustodita fuori dall'albergo con dentro degli oggetti, quindi, se fossero state persone che volevano fare la classica rapina, avrebbero potuto agire; invece loro hanno aspettato che uscissero le persone dall'albergo per mettere in atto l'omicidio.


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GIULIO SCHMIDT. Come potevano immaginare che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin si sarebbero spostati dal loro albergo all'hotel Hamman?

VINCENZO VACCHIANO. Se lei avrà modo di leggere le dichiarazioni del sultano di Bosaso, vedrà che lui, ad un certo punto, ad una domanda specifica, risponde: «Io avevo una radio militare che mi consentiva di collegarmi per tutta la Somalia e di parlare»; diceva che arrivava fino all'Eritrea. Quindi, anche loro avevano un sistema di comunicazioni molto efficiente, benché non ci fossero linee telefoniche. Avevano dei sistemi radio, tant'è vero che la trattativa tra Mugne, che si trovava fuori dalla Somalia per il sequestro della nave che Alpi aveva occasionalmente scoperto andando dal sultano, avvenne via radio e parliamo di distanze notevoli.

GIULIO SCHMIDT. Lei sta dicendo che qualcuno all'interno dell'hotel avvisò e quindi arrivò l'ordine di spostarsi sull'hotel Hamman?

VINCENZO VACCHIANO. No, le dico che, se si tratta di una cosa organizzata, certamente i collegamenti erano tali da consentirlo.

GIULIO SCHMIDT. Mi interessa un'altra informazione che riguarda il rapporto della polizia somala in cui si afferma che prima dell'attentato, Ilaria fu vista uscire dal «garage di Giancarlo». Questo è di un certo interesse perché non risulta né nelle testimonianze dell'autista...

VINCENZO VACCHIANO. Però mi risulta che Giancarlo abbia smentito. Io purtroppo non ho avuto la possibilità di sentirlo, perché se ci fosse stata una minima garanzia, sarei andato, prevalentemente per il traffico d'armi e poi lì avremmo trovato qualcosa sulla vicenda e ce ne saremmo interessati.

GIULIO SCHMIDT. Un'altra constatazione. Non mi risulta, né dalle dichiarazioni dell'autista né da quelle della guardia del corpo, che uno degli attentatori sia stato ucciso.

VINCENZO VACCHIANO. E infatti.

GIULIO SCHMIDT. Questo mi sembra abbastanza strano...

VINCENZO VACCHIANO. È interessante.

GIULIO SCHMIDT. ...nel senso che dando un resoconto di come sono avvenuti i fatti, nel corso dei vari interrogatori, una cosa di tale rilevanza era di certo da raccontare, se non altro per dire «abbiamo fatto quello che potevamo fare». Invece non risulta mai. Non risulta neppure, dalle dichiarazioni, che l'autista venne ricoverato all'ospedale di Nairobi ma non poté essere interrogato perché ancora in stato di incoscienza.

VINCENZO VACCHIANO. Questi interrogativi ce li poniamo anche noi, perché Giorgi Franco, che, ripeto, non è un ragazzino, non è una persona che si spaventa facilmente - leggerete le sue dichiarazioni: racconta che in un periodo antecedente agli anni ottanta è stato in Libia, dove è stato arrestato da Gheddafi perché ritenuto una spia degli americani ed è stato imprigionato e torturato per sette-otto anni -, eppure appena torna da Roma dichiara di essere stato avvicinato da persone che si qualificano come appartenenti ai servizi e che gli intimano subito di lasciar perdere questa storia. Voglio dire che ci sono sicuramente, secondo me, delle cose che andrebbero approfondite; però, come ho detto, all'epoca la vicenda che mi interessava era quella del traffico internazionale di armi dall'Italia verso la Somalia. La vicenda Alpi avrebbe richiesto, per andare sullo specifico, di svolgere un'attività che non era di competenza della procura di Torre Annunziata.

GIULIO SCHMIDT. La ringrazio. Non ho altre domande.


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PRESIDENTE. La parola all'onorevole Cannella.

PIETRO CANNELLA. Innanzitutto, maresciallo, mi associo ai complimenti e all'apprezzamento che le è stato espresso dai miei colleghi, perché incontrare investigatori come lei certamente ci ridà fiducia nelle istituzioni ed in chi lavora quotidianamente su questo versante.

VINCENZO VACCHIANO. Grazie.

PIETRO CANNELLA. Desidero prima di tutto rivolgerle due domande per chiarire a me stesso ed ai miei colleghi alcune cose che ha detto e vorrei, poi, aprire un altro fronte. Quando si parla di traffico di armi in una zona in cui è in atto una guerra, com'era in Somalia a quell'epoca, credo che non si scopra nulla di particolarmente eclatante: allora, in una terra come la Somalia, in un momento come quello, in una zona in cui i nostri servizi segreti sono unanimemente riconosciuti tra i più capaci, soprattutto i più capaci di interpretare gli umori dell'integralismo islamico - la Somalia era l'epicentro, era innervata dai nostri servizi segreti - è certamente strano che proprio su un fatto eclatante come l'omicidio di due giornalisti ci si scontri con una vaghezza che è davvero impressionante. E perché il semplice traffico di armi può costituire un problema così importante da arrivare, da parte non si capisce bene di chi, alla determinazione di organizzare un omicidio? Mi sembra un po' poco. Quale giudizio dà lei di questa situazione, naturalmente sulla base delle sue indagini? Non le chiedo un parere personale ma, naturalmente, se vuole esprimerlo ne sarò ben lieto.

VINCENZO VACCHIANO. No, no. Se lei ricorda, il 1993 è il periodo del boom della procura di Milano riguardo alle inchieste sulla corruzione e in quel periodo loro hanno interrogato numerosi personaggi che avevano fatto parte della cooperazione, per cui è vero che Ilaria si annota di questa mole di danaro, anche se in Italia già si stanno svolgendo degli accertamenti. Almeno, vedo tra gli atti della dottoressa Gualdi (un interrogatorio che ho acquisito e di cui ho fatto copia) che già si comincia a parlare delle irregolarità sulla cooperazione. Lei si domanda perché per un traffico d'armi... Ci sono tante ragioni: innanzitutto, quando c'è una guerra, come nel caso della Somalia, Unosom 2 vietò per ragioni di sicurezza qualsiasi traffico di armi; poi, bisogna vedere quali personaggi erano coinvolti in questa vicenda del traffico d'armi. In Somalia, almeno in quel periodo, le armi non potevano arrivare senza che nessuno se ne accorgesse, era praticamente impossibile.

PIETRO CANNELLA. Quindi è possibile che cooperazione o mala cooperazione e traffico d'armi non fossero due canali paralleli, ma si intersecassero, creando una miscela esplosiva.

VINCENZO VACCHIANO. Se è vero quello che abbiamo raccolto, cioè che Marocchino, oltre ad occuparsi di questo, era anche colui che gestiva alcuni aspetti della cooperazione - GIZA o FAI adesso non so essere preciso nel dettaglio -, anche lì furono lamentati degli ammanchi notevoli: cioè, i soldi c'erano ma non arrivavano, benché l'Italia ne avesse mandati perché si sviluppasse un programma di aiuti umanitari. Anche lì si lamentava l'atteggiamento di questo e di altri personaggi che avevano delle responsabilità di cooperazione giù Somalia. Ora, se questa possa essere la causa di un omicidio, la risposta può essere «no» o «sì».

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Cannella, se mi permetto di brutalizzare la domanda: se questo traffico di armi, con o senza l'utilizzazione dei canali della cooperazione, fosse stato coperto o, addirittura, realizzato da servizi del nostro paese, probabilmente questa avrebbe potuto essere una ragione importante.

VINCENZO VACCHIANO. Guardi, c'è stato il periodo antecedente al conflitto nel


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quale, per relazioni internazionali tra uno Stato e l'altro, sono state fornite armi ad un governo che c'era, quindi tutto questo rientrava...

PIETRO CANNELLA. Nel legittimo.

VINCENZO VACCHIANO. Il problema è nato dopo. Perché quando è scoppiato il conflitto l'ONU ha detto «no». Succede in tutti i territori dove c'è un conflitto: la prima cosa che si vieta è il movimento delle armi. Che queste arrivassero... evidentemente c'erano...

PRESIDENTE. Durante il periodo del quale ci stiamo interessando, che funzione aveva Rajola secondo i suoi accertamenti? Non ho chiesto scusa all'onorevole Cannella, ma credo di averle rivolto la domanda che anch'egli voleva formulare.

VINCENZO VACCHIANO. Era uno dei responsabili della Somalia. Come avviene in tutte le aree dove c'è un conflitto, ci sono degli uomini che stanno lì a tutela dei nostri contingenti e raccolgono informazioni su cose che possono mettere in pericolo o il nostro paese o il contingente stesso. Lì c'era una presenza massiccia.

PRESIDENTE. Ma lei ci ha ricordato che Marocchino fu arrestato perché aveva i missili dentro i capannoni.

VINCENZO VACCHIANO. Sì.

PRESIDENTE. E Marocchino era in contatto con i servizi e con Rajola.

VINCENZO VACCHIANO. Loro negano, ovviamente, ma ci sono delle testimonianze, tra cui quelle di Elmo, che dicono che Marocchino, Rajola e Mugne si conoscevano.

PRESIDENTE. Perfetto. Chiedo scusa all'onorevole Cannella.

PIETRO CANNELLA. Credo, presidente, che lei abbia perfettamente integrato ed interpretato le mie domande ed anche anticipato un altro versante.
Ha sentito parlare dell'ambasciatore Cassini?

VINCENZO VACCHIANO. Sì. In alcuni passaggi dei documenti che ho qui - perché erano tanti e riguardavano gli aspetti della cooperazione -, nelle dichiarazioni di Piero Ugolini (non so se l'avete già sentito) lui stesso si lamenta con questo ambasciatore, il quale, però, gli fa capire «questa è la realtà che conosco, però possiamo fare poco rispetto a questa vicenda». Quindi, secondo quello che dice Ugolini, lui si è un po' piegato le spalle della vicenda.

PIETRO CANNELLA. Volevo anche sottolineare, presidente, che emerge il nome della città di Brescia e Brescia emerge anche nel tratto interrotto della famosa videocassetta di Miran Hrovatin durante l'intervista al sultano di Bosaso. Si riprende dicendo «venivano da Brescia, Milano» e altro.

VINCENZO VACCHIANO. A parte il fatto che il sultano di Bosaso, che io ho visto, mi ha dato l'impressione di essere un uomo di grossa cultura, una persona furba, scaltra e anche molto intelligente, se leggete le dichiarazioni che ha reso al pubblico ministero Pititto, nell'ambasciata dello Yemen, vedete che assume un atteggiamento strano. Cioè, dopo quello che aveva detto in video, quando viene interrogato dal pubblico ministero praticamente ha negato tutto; poi fa una pausa per motivi religiosi e quando rientra l'avvocato stesso gli dice «tu sei qua e devi dire la verità». Allora comincia a cambiare atteggiamento e sostiene cose diverse: dice che secondo le sue reti informative sapeva che quelle navi trafficavano in armi; questo era, in sostanza, il succo delle dichiarazioni del sultano di Bosaso. Non ci spiegavamo perché mentre davanti alla telecamera aveva detto quelle cose importanti, poi, quando viene sentito in un


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posto neutro, per cui non ha neanche motivo di avere paura, tenta inizialmente di negare e poi, dopo quella pausa, l'avvocato l'invita a dire quello che sa.

PRESIDENTE. E lo dice?

VINCENZO VACCHIANO. In termini non espliciti, ma lo fa capire.

PIETRO CANNELLA. Maresciallo, questo fiume carsico del traffico d'armi emerge, sembra, anche in provincia di Trapani. Ed emerge il nome di Mauro Rostagno, nel senso che viene coinvolto in una vicenda che richiama proprio la Somalia. Ci può dire qualcosa?

VINCENZO VACCHIANO. Sì. Ripeto che in quel periodo io avevo una grossa rete informativa. Ci fu un ragazzo di Malta che mi contattò e mi mandò anche una nota, che vi ho allegato. È un giovane, Navarro, che scrive per In-Nazzjon (credo fosse anche consigliere comunale, oltre che giornalista), il quale mi venne a trovare, mi parlò di questa vicenda e mi disse (poi pretesi che mi scrivesse quello che sapeva) che Ilaria Alpi era stata a Malta e aveva chiesto di lui. Mi disse anche che al rientro contattò in Italia la redazione di Ilaria Alpi ma gli dissero che lei non era in Italia, e sosteneva che Ilaria aveva chiesto informazioni su Rostagno, sulla comunità Saman, perché effettivamente c'erano dei rapporti tra questa comunità e la Somalia. E sulla vicenda di Rostagno c'è chi dice che lui avrebbe visto e filmato degli Hercules militari che partivano da un aeroporto e portavano armi in Somalia. Di questa videocassetta, ovviamente, non se ne è saputo niente. Contattai anche un altro giornalista italiano, che era negli Stati Uniti, il quale pure mi confermò questo episodio; però, era difficoltoso per me partire e andare in America a raccogliere informazioni. Avevo chiesto se potesse venire lui, ma in quel momento... Però, là dove ho potuto muovermi, in Europa, l'ho fatto, per onore della verità.

PIETRO CANNELLA. Ma esiste questa pista a Trapani, che lei sappia?

VINCENZO VACCHIANO. Da quello che io ho raccolto, c'era questo movimento di automezzi militari, ma, se vedrà gli atti, lo dicono anche alcuni della cooperazione che erano in Somalia, i quali sostenevano di aver visto aerei militari arrivare e scaricare armi in Somalia. Quindi, che arrivassero con i mezzi militari potrebbe essere.

PIETRO CANNELLA. Infatti le avrei chiesto subito dopo di Cammisa e Cardella. Cammisa ha incontrato Ilaria Alpi?

VINCENZO VACCHIANO. Dovrei riguardare un po' tutto quanto, perché anche di questa vicenda...

PRESIDENTE. Io direi che è importante che sia stata introdotta. La Commissione poi prenderà delle determinazioni, ma non faccio mistero del fatto che dovremo stabilire se raccogliere il materiale processuale della vicenda Rostagno, per approfondirla, e questo potrebbe essere uno dei temi da trattare giovedì prossimo o in un giorno successivo, in modo tale che il maresciallo Vacchiano possa con maggiore compiutezza esaminare l'argomento. Naturalmente se lei è d'accordo, onorevole Cannella.

PIETRO CANNELLA. Per me va benissimo.

PRESIDENTE. Intanto abbiamo incardinato un tema importante, al quale dedicheremo la massima attenzione.

PIETRO CANNELLA. Grazie, maresciallo.

VINCENZO VACCHIANO. Grazie a lei.

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole De Brasi.

RAFFAELLO DE BRASI. Concordo con il presidente che dovremo ascoltarla nuovamente, maresciallo, perché lei ha fatto un grande lavoro ed avremo bisogno di lavorare su quanto ci ha detto e ci dirà,


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così come sugli atti che consegnerà alla Commissione; vorrei, comunque, rivolgerle alcune domande.
Lei sa qualcosa sulla morte di Mario Ferraro? In sostanza, lei ha detto che Francesco Elmo sostiene che tra le sue fonti, o suggeritori, non so come chiamarli, ci fossero alcuni agenti del SISMI, se non ho capito male.

VINCENZO VACCHIANO. Devo farle una premessa. Quando Francesco Elmo mi dice di questi uomini, a me interessa poco chi siano perché quello che mi interessa è il contenuto di quanto dicono; anche se sarebbe stato ancora meglio poter accertare che si trattasse di persone che istituzionalmente indagavano su vari settori. Questo non è stato. Però, indipendentemente da questo, quello che mi sorprendeva era la conoscenza di cose che io, che da vent'anni faccio questo mestiere, non conoscevo. Le dirò di più: per essere preciso su questa indagine mi sono avvalso anche della collaborazione di qualche docente universitario, di un ricercatore che mi ha aiutato a capire aspetti che mi erano completamente sconosciuti.

RAFFAELLO DE BRASI. Siccome è venuta fuori la notizia che Mario Ferraro fosse uno di questi uomini, lei non ha mai avuto nessun tipo di riscontro in proposito?

VINCENZO VACCHIANO. No. Interrogai la compagna di Ferraro, avemmo un incontro anche con il dottor Nello Rossi, che si occupava a suo tempo di questa vicenda; ma è ovvio che non potevano esserci riscontri su questo.

RAFFAELLO DE BRASI. Ma le risulta che il colonnello Ferraro si fosse occupato di traffico di armi, di rapporti con la Somalia?

VINCENZO VACCHIANO. C'è una nota, perché noi chiedemmo delle informazioni al SISMI e loro ci dissero che a seguito della morte di Mario Ferraro (quindi parlavano del suicidio) furono sequestrati degli atti che riguardavano la Somalia. Credo nel suo ufficio. Se è in questi atti lo troveremo, perché ho raccolto tutte le informazioni, ma per certo so che furono sequestrati degli atti (non so se dalla sua scrivania) o dei fascicoli che riguardavano le sue attività, che riguardavano la Somalia.

RAFFAELLO DE BRASI. Nessun tipo di relazione, invece, con la vicenda Alpi le è mai giunta all'orecchio rispetto a questo?

VINCENZO VACCHIANO. No.

RAFFAELLO DE BRASI. Però Somalia e traffico d'armi, sì.

VINCENZO VACCHIANO. Sì.

RAFFAELLO DE BRASI. Grazie, Invece, per quanto riguarda Mugne, se non ricordo male, lei ha detto che era dipendente dell'Edilter e che avete fatto perquisizioni all'Edilter.

VINCENZO VACCHIANO. Sì.

RAFFAELLO DE BRASI. Può spiegarmi meglio, anche se in sintesi, perché l'avete fatto e quali sono stati i risultati? Se è troppo complicato, possiamo farlo...

VINCENZO VACCHIANO. Forse è meglio.

RAFFAELLO DE BRASI. Lei è anche stanco.

VINCENZO VACCHIANO. No, non sono stanco. Io ho portato...

RAFFAELLO DE BRASI. Le chiedo cosa ricordi; poi leggeremo gli atti, ovviamente.

VINCENZO VACCHIANO. Ricordo che noi arrivammo a questo facendo il classico accertamento dal codice fiscale, che ci dava dei contatti, dei rapporti con l'Edilter. Di questi rapporti già ci era stato detto


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in sede di attività investigativa, per cui, quando il PM decise di disporre la perquisizione presso la SEC di Viareggio, la Edilter e anche una società di Roma, di cui adesso non ricordo il nome, trovammo anche dei documenti che riguardavano il rapporto tra la Edilter e Mugne, addirittura un atto (che ho riletto pochi giorni fa) in cui Mugne chiede alla Edilter una sorta di sospensione del rapporto lavorativo, non so se chiamarlo convalescenza, per cui questo rapporto c'era. E c'era di più: addirittura pare che, nonostante non facesse più parte della Edilter, lui avesse ancora un conto corrente con la Edilter.

RAFFAELLO DE BRASI. Ricorda la motivazione della perquisizione?

VINCENZO VACCHIANO. Ovviamente indagavamo sul traffico d'armi. Sarebbe stato importante per noi verificare se agli atti di quella società ci fosse qualcosa che poteva darci delle indicazioni.

RAFFAELLO DE BRASI. Quindi se c'era qualche atto che coinvolgesse l'Edilter in questo traffico.

VINCENZO VACCHIANO. Più che l'Edilter, io penso che questo suo rapporto con l'Edilter fosse nato quando è nata la cooperazione italo-somala, perché l'Editer ha cominciato a lavorare in quel periodo con la Somalia.

RAFFAELLO DE BRASI. Questa perquisizione che tipo di risultato ha dato?

VINCENZO VACCHIANO. Noi raccogliemmo tutti gli atti, che furono fatti analizzare da un consulente, ma non credo che siano usciti grossi elementi rispetto al traffico d'armi. Uscirono degli aspetti di tangenti, che non riguardavano...

RAFFAELLO DE BRASI. Tangenti sulla cooperazione allo sviluppo?

VINCENZO VACCHIANO. No, no. Tangenti in generale.

RAFFAELLO DE BRASI. Rispetto al traffico d'armi fatto da Mugne attraverso la flottiglia della Shifco lei ha parlato di armi ufficiali; praticamente, ha detto che una parte della cooperazione militare con la Somalia era avvenuta anche utilizzando queste navi donate dalla cooperazione italiana a Siad Barre. Ho capito male?

VINCENZO VACCHIANO. I pescherecci furono donati dal nostro Governo al governo somalo, sì.

RAFFAELLO DE BRASI. Però, parlando di traffico d'armi lei ha parlato anche di armi ufficiali.

VINCENZO VACCHIANO. Sì, perché spiegavo prima che nel periodo antecedente al conflitto era un rapporto...

RAFFAELLO DE BRASI. Sì, ho capito, ma...

VINCENZO VACCHIANO. Per «ufficiali» intendevo questo.

RAFFAELLO DE BRASI. Io so benissimo che c'era una cooperazione militare; però non sapevo, e non è scritto da nessuna parte, che la cooperazione militare, il trasporto di armi avvenisse attraverso pescherecci.

VINCENZO VACCHIANO. No, assolutamente no. È avvenuto con i mezzi formali. Forse mi sono spiegato male.

RAFFAELLO DE BRASI. Posso aver capito male io, volevo soltanto chiarire. Lei ha poi detto che un certo Marco Zaganelli conosce Mugne e, praticamente, l'oggetto di questa relazione sono le armi, se non capisco male.

VINCENZO VACCHIANO. Facevo riferimento a quelle intercettazioni in cui parlavano di armi...

RAFFAELLO DE BRASI. Sì, certo, e le intercettazioni sono molto importanti. Quindi, si parlava di armi. C'è, poi, l'ipotesi


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di una triangolazione (mi riferisco anche al ragionamento che ha fatto il presidente, perché io ho posto questa domanda diverse volte, insieme al collega Bulgarelli), cioè che la Somalia non fosse solo un punto di arrivo, ma fosse anche un punto di triangolazione delle armi, anche perché in molti sostengono (io non sono un esperto) che di armi ce ne erano in abbondanza, che si potevano comprare e che molte tipologie di armi, anche della cooperazione militare, che erano arrivate lì, rispetto al campo di battaglia erano, in qualche modo, o sovradimensionate o inadeguate e c'era, comunque, interesse a triangolare questi armamenti in altre direzioni, compresa la ex Jugoslavia. La mia domanda è se lei abbia trovato, nel corso della sua indagine, tracce di questo, cioè di un traffico di armi verso i Balcani, sempre attraverso Mugne e la Shifco. Lo chiedo perché, come anche il presidente ha accennato, c'è un interrogativo che ancora non abbiamo sciolto: Ilaria Alpi va nei Balcani, ma non va solo a Belgrado per occuparsi, com'è stato detto dai suoi superiori, della situazione politica nuova che si stava creando, ma anche, in qualche modo, per indagare sulle rotte di questi traffici d'armi. Lei ha mai trovato qualche aggancio di questa natura?

VINCENZO VACCHIANO. No. Questo no.

RAFFAELLO DE BRASI. Veniamo molto brevemente a Marocchino (chiaramente non intendo accusare nessuno e la Commissione non ha questo scopo, sta cercando di capire, di indagare): egli viene intercettato in diversi modi - e qualcuno parla nelle intercettazioni di lui -: certamente c'è un interesse di Marocchino alle armi, ai rifiuti, alle informazioni che ha e che sicuramente non tiene solo per sé. Da una parte effettivamente svolge un'attività logistica e di servizio - questo lo sappiamo - ma noi cerchiamo di capire se quest'attività logistica e di servizio fosse non dico una copertura assoluta, ma in qualche modo finalizzata anche a qualcos'altro. Poiché ci è stato detto che Marocchino non era solo un informatore ma anche un agente del SISMI, dalle carte e dalle indagini lei cosa ha capito di questa persona?

VINCENZO VACCHIANO. I faccendieri tra loro si conoscono tutti: non a caso Miragliotta conosce Marocchino.

RAFFAELLO DE BRASI. Ma Zaganelli conosce Miragliotta?

VINCENZO VACCHIANO. Sì ed entrambi pare avessero precedenti specifici. Giorgi, uno che in sede di interrogatorio non ha negato di aver fatto traffico d'armi per la Bosnia, nel periodo in cui c'era la vicenda della ex Jugoslavia, dice di essere amico da dieci anni di Marocchino. Si fanno delle intercettazioni su un traffico internazionale di rifiuti tossici e, guarda caso, questi contattano Marocchino. Queste sono considerazioni, come tali molto diverse ovviamente da elementi di riscontro o di prova.

RAFFAELLO DE BRASI. Comunque, si tratta sicuramente di elementi importanti.
Per quanto riguarda la nota del SISMI cui lei ha fatto riferimento e che ha acquisito, lei dice che concerne Ilaria Alpi.

VINCENZO VACCHIANO. Sì, vi sono delle note... dunque, accadde questo: volevamo capire veramente quali fossero le informazioni non solo nostre ma anche di altri, per cui il procuratore Ormanni fece una lettera al CESIS chiedendo di informarsi se su alcuni versanti - indagavamo anche sulla ex Jugoslavia, oltre che sulla Somalia - vi fossero notizie riguardanti traffici d'armi. Quindi, notammo che da parte sia del SISDE sia del SISMI vi erano informazioni che giravano intorno a Giancarlo Marocchino, a Mugne, ad un certo Giovannini Giorgio, anch'egli persona molto conosciuta che faceva traffico d'armi; in qualche nota troverete che, secondo le informazioni raccolte, c'era un nesso tra il traffico d'armi e l'omicidio di Ilaria Alpi, scritto ora SISDE ora SISMI, adesso non ricordo. Per far capire come


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funzionano il SISMI ed il SISDE: loro raccolgono la notizia, fanno delle verifiche sull'attendibilità, sulla persona, eccetera; poi vanno raccolte dalla sede centrale che elabora ulteriormente questi elementi ed eventualmente chiede ulteriori riscontri; in linea di massima, avviene così. Quindi, queste sono note raccolte da organismi sparsi sul territorio, che raccolgono informazioni ed arrivano...

RAFFAELLO DE BRASI. L'ultima cosa. Lei ha parlato del rinvio a giudizio di cento persone...

VINCENZO VACCHIANO. Sì, cento o centoquindici persone.

RAFFAELLO DE BRASI. Com'è finita questa cosa?

VINCENZO VACCHIANO. Di questa vicenda che - ripeto - è stata mandata a Roma non so quale sia la sua destinazione. Quello che posso dire è che, dopo che arrivò la parte somala alla procura di Roma, fui sentito dal dottor Ionta il quale mi fece i complimenti per aver fatto un'enciclopedia, per il lavoro che avevo fatto e mi chiese testualmente (perché effettivamente l'indagine era grande, penso che per leggere tutte le carte il pubblico ministero avrebbe impiegato mesi, e forse anche di più) se ci fosse qualcuno che avesse visto materialmente le armi, cioè se avessi raccolto informazioni di qualcuno che avesse visto materialmente le armi. Io gli dissi di no; chiuso il verbale ci salutammo e ce ne siamo andati. Poi non l'ho più seguita ed ovviamente non so che fine abbia fatto.

RAFFAELLO DE BRASI. Quindi, non sa se sia stata...

VINCENZO VACCHIANO. No, non lo so.

PRESIDENTE. Posso interloquire? Nei processi di droga quando non c'è la droga si condanna; nei processi di armi, quando non ci sono le armi non si condanna.

VINCENZO VACCHIANO. Delle altre due inchieste, quella delle armi verso la ex Jugoslavia non so che fine abbia fatto anche se fu oggetto di discussione tra me ed i pubblici ministeri di allora perché io sostenevo che soggetti come Giorgi ed altri, che pure ammettevano di aver fatto traffico d'armi, si giustificavano sostenendo di non averlo fatto in Italia, mentre invece le trattative erano avvenute dall'Italia verso i paesi stranieri. Sostenevo, inoltre, che il regime che era in conflitto non era uno Stato che stava combattendo, ma uno che si era autoproclamato presidente come Karazic e che c'è una norma sul mercenariato, ratificata anche dall'Italia, che riguarda proprio chi va a combattere in paesi in conflitto. A mio avviso, questo soggetti dovrebbero rispondere almeno di concorso in questo tipo di attività. Mandarono tutto a Venezia, non so che fine abbia fatto. La parte del riciclaggio fu archiviata perché erano scaduti i termini della prescrizione.

PRESIDENTE. Una domanda finale: su Talamone lei ha mai condotto indagini?

VINCENZO VACCHIANO. No, su Talamone non ho mai fatto indagini; uscì questa dichiarazione a proposito di un appunto che ci era pervenuto di una nave che trasportava armi e che aveva fatto scalo al porto di Talamone; più che aver fatto scalo, penso che abbia sostato in rada nel porto di Talamone, ma non... l'ho conosciuto adesso che sono arrivato a Grosseto.

PRESIDENTE. Ringrazio il maresciallo Vacchiano, che invito a voler lasciare alla Commissione le carte che ha portato con sé per consentirci di leggerle, e rinvio il seguito del suo esame testimoniale a giovedì 25 marzo 2004.

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