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Seduta del 2/7/2003


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Seguito dell'audizione del dottor Massimo Masini.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno della seduta odierna reca il seguito dell'audizione del dottor Massimo Masini, iniziata nella seduta del 25 giugno 2003.
Sono ancora iscritti a parlare il senatore Consolo e l'onorevole Vito.

GIUSEPPE CONSOLO. Signor presidente, se lei consente, vorrei chiedere al dottor Masini preliminarmente come venissero


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effettuati i lavori del consiglio di amministrazione di SIN e STET, in relazione alle presenze dei componenti al consiglio medesimo. C'era un riscontro effettivo delle presenze?

MASSIMO MASINI. Nei consigli di amministrazione c'era una presenza assidua dei consiglieri; anzi, il mio sforzo è sempre stato quello di effettuare le riunioni in date che permettessero a tutti o a quasi tutti i consiglieri di essere presenti. Questo succedeva per i consigli di amministrazione di STET International, che si svolgevano nella sede propria e, nell'ultima fase, in via Bellini, e per quelli di STET International Netherlands, che prevalentemente venivano effettuati in Olanda.

GIUSEPPE CONSOLO. Quindi, lei esclude che si potessero redigere verbali falsi, cioè non veritieri?

PRESIDENTE. La domanda è irricevibile: non possiamo far dire una cosa che costituirebbe reato. Parliamo di «verbali irregolari».

GIUSEPPE CONSOLO. Bene: verbali irregolari.

MASSIMO MASINI. Non solo tutti i verbali di STET International Netherlands e di STET International erano regolari, ma, come ho esposto nella seduta precedente, era mia cura preparare anche una bozza di verbale e inviarla a tutti i consiglieri di amministrazione con un mio biglietto di accompagnamento e una nota sui punti più rilevanti all'ordine del giorno.

GIUSEPPE CONSOLO. Dottor Masini, le faccio presente che risulta dai verbali che al consiglio di amministrazione di SIN e STET del 5 e 6 giugno 1997 erano presenti i signori Tommasi, Gerarduzzi, De Iulio, De Sario e Battiato. Però, se la Commissione ha la pazienza di controllare la presenza del signor De Sario, vedrà che è stato ininterrottamente a Belgrado dal 4 al 9, come risulta dall'elenco dei passeggeri Noman inviatoci dalla polizia di frontiera. Non avendo il signor De Sario il dono dell'ubiquità, come poteva essere il 5 e il 6 giugno a Roma, se non attraverso un verbale falso o irregolare?

MASSIMO MASINI. Anzitutto parliamo di STET International e non di STET.

GIUSEPPE CONSOLO. SIN.

MASSIMO MASINI. Per quanto riguarda il consiglio di amministrazione di SIN, il dottor De Sario era presente in data 5 giugno. Nel consiglio del 9 non erano presenti - a quanto ricordo - il dottor De Sario, l'ingegner De Iulio e il dottor Battiato.

GIUSEPPE CONSOLO. Lei ha detto adesso che ricorda che il dottor De Sario era presente il 5. Io le contesto che il 4 era partito per Belgrado: siccome i cedolini della polizia di frontiera fanno fede fino a querela di falso, mi dia lei una spiegazione.

MASSIMO MASINI. Che io ricordi, il dottor De Sario non era presente nel consiglio del 9, mentre era presente nel consiglio del 5. Mi sembra strano, perché diversamente il dottor De Sario - come i dottori Battiato e La Mattina, - avrebbe potuto firmare per procura, quindi non si può fare un discorso di verbale falso. Rammento che era presente, se poi il 5 fosse a Belgrado non lo ricordo.

GIUSEPPE CONSOLO. A parte il fatto che la presenza per procura non è prevista dal nostro ordinamento...

MASSIMO MASINI. Per SIN sì.

GIUSEPPE CONSOLO. Io sto contestando che lei ha detto e ribadito di ricordare che era presente il 5, mentre il 5 si trovava a Belgrado, perché è partito il 4 ed è tornato il 9. La polizia lo conferma.
Dottor Masini, ci deve dare una spiegazione.


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MASSIMO MASINI. Che io ricordi non era presente solo il 9. Ricordo che il 5 era presente.

GIUSEPPE CONSOLO. Il suo ricordo è suffragato dal verbale del consiglio.

MASSIMO MASINI. Mi sembra strano - è un'intuizione, non un'affermazione - che sia stato fuori dal 4 al 9. Da quanto ho saputo, perché direttamente non ho controllato (come sapete, non sono andato a Belgrado e non ho firmato i contratti: ho dato delle deleghe), il dottor De Sario è andato a Belgrado per il 9, insieme - immagino - agli altri componenti della missione, fra cui verosimilmente c'erano il dottor Battiato, l'ingegner De Iulio e il dottor Tommasi. A quanto ricordo faceva parte della missione; non escludo che sia partito, rientrato e ripartito.

GIUSEPPE CONSOLO. No, il volo è stato unico.
Presidente, chiedo che al termine dell'audizione del teste si parli di questa vicenda in seduta riservata.
Lei ha detto «ho saputo formalmente nel maggio 1997 dell'operazione Telekom-Serbia»: lo conferma?

MASSIMO MASINI. Intendo dire che da STET Telecom Italia ho avuto una comunicazione.

GIUSEPPE CONSOLO. Quindi, lo conferma.

MASSIMO MASINI. Sì.

GIUSEPPE CONSOLO. Informalmente aveva mai sentito parlare dell'operazione?

MASSIMO MASINI. Nessuno mi aveva parlato dell'operazione. Mi aveva accennato qualcosa, in un incontro casuale, l'ingegnere Spasiano, dicendo che lui, come responsabile dell'internal operation di STET Telecom Italia, stava portando avanti un'iniziativa in Serbia. Niente di più. Non ho avuto informazioni dal top management né di STET né di Telecom Italia su questo tipo di iniziativa e non l'ho inserita neppure nel piano operativo della società per l'anno 1997. Nel momento in cui mi è stata comunicata, ho chiesto delle spiegazioni.

GIUSEPPE CONSOLO. Lei aveva poteri - sotto il profilo giuridico, non sostanziale - per corrispondere i 36 miliardi di provvigione?

MASSIMO MASINI. Non avevo poteri e i 36 miliardi di provvigione non li ho corrisposti io. Sono stati corrisposti da Telecom Italia, la quale ha fatto il contratto, li ha corrisposti e poi ha chiesto, con lettera in data 14 novembre, il rimborso alla STET International Netherlands, di cui ero diventato amministratore delegato.

PRESIDENTE. Sono fatti che lei ha già precisato.

GIUSEPPE CONSOLO. Lei ha parlato di un consiglio della società da lei amministrata nel quale chiese alla controllante un giudizio di congruità per corrispondere gli importi relativi a quelle fatture. Si riferisce ad un giudizio di congruità formale?

MASSIMO MASINI. Dovevo rimborsare delle fatture alla Telecom Italia, ma trattandosi di una società diversa, in questo caso STET International Netherlands, ho ritenuto opportuno non semplicemente pagare sulla base di una richiesta, ma informare i consiglieri di amministrazione della società, chiedere copia delle fatture (non una lista contenente dei numeri) e un giudizio di congruità. Se c'era da effettuare un rimborso, occorreva che ci fosse non solo la fattura ma anche qualcuno che dicesse che era stata effettuata la prestazione. Solo quando è arrivata questa documentazione (sia la richiesta del 14 novembre, sia il consiglio di amministrazione del 16 dicembre 1997), si è proceduto al rimborso di quanto richiesto da Telecom Italia.


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GIUSEPPE CONSOLO. Si è reso conto - o i suoi consulenti le hanno riferito - dell'assoluta irregolarità della procedura?

MASSIMO MASINI. Cosa intende per irregolarità?

GIUSEPPE CONSOLO. L'assoluta irregolarità sta nella seguente circostanza: non è neppure ipotizzabile che una società, peraltro posseduta da mano pubblica, scarichi, sia pure con l'avallo della controllante, un importo considerevole sul proprio bilancio, quando tale importo non è stato né commissionato né pattuito, prescindendo dalla congruità o meno. Intendo dire che la società X non può attribuire alla propria controllata Y un determinato importo che la controllante X ha pattuito e concordato, perché in questo caso si andrebbe a cozzare contro le norme, anche di natura penalistica, previste dal nostro codice. Ciò perché se la società X, in passivo, scaricasse una determinata fattura sulla società Y, in attivo, ci rimetterebbe lo Stato, che non riceverebbe le imposte su una passività artificiosa: questo si chiama raggiro fiscale.

MASSIMO MASINI. Ho capito perfettamente.

GIUSEPPE CONSOLO. Tra l'altro si ravvisa un ulteriore illecito ai sensi dell'articolo 100 della Costituzione, essendo la società in mano pubblica ed essendo sottoposta al controllo come ente cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, com'era all'epoca la Telecom. Di ciò questa Commissione, su mia richiesta, ha dato solo parzialmente - chiederò un'integrazione - notizia alla Corte dei conti.

MASSIMO MASINI. Per quanto riguarda STET International Netherlands non c'era alcuna irregolarità, perché io ho ricevuto la richiesta e non ho semplicemente rimborsato quanto chiesto, ma ho voluto avere la certezza che tutto fosse stato realizzato sotto il profilo amministrativo e di contenuti. Non le nascondo che l'operazione poteva, anzi a mio avviso doveva essere comunicata alla STET International Netherlands prima della conclusione. Io feci notare al consiglio di amministrazione di STET International, nonché di STET International Netherlands che vi era una presentazione non completa, a 360 gradi, sui costi dell'operazione. Si trattò però semplicemente dell'esposizione di quello che per me avrebbe dovuto essere un iter più corretto nei confronti dei vari consigli di amministrazione e delle società.

GIUSEPPE CONSOLO. Lei ha detto nel corso dell'audizione che ha passato circa trent'anni nelle partecipazioni statali.

MASSIMO MASINI. Sì.

GIUSEPPE CONSOLO. Quindi, se lei mi autorizza, posso qualificarla - non certo in senso ironico: non mi permetterei mai, anche perché la conosco come persona professionalmente preparata - come un esperto delle partecipazioni statali?

MASSIMO MASINI. Ho avuto un'esperienza abbastanza lunga, ho vissuto a lungo nei meccanismi delle partecipazioni statali.

GIUSEPPE CONSOLO. Sempre a livello apicale?

MASSIMO MASINI. Sì. Sono stato prima in un istituto finanziario, poi direttore finanziario delle iniziative internazionali dell'Italcable, poi responsabile dell'estero di STET e, dal 1992, amministratore delegato di STET International.

GIUSEPPE CONSOLO. È ipotizzabile che il Tesoro, controllante la società pubblicamente posseduta, e il Ministero degli esteri, per le funzioni di ausilio in materia economica, fossero all'oscuro dell'operazione?

MASSIMO MASINI. Per quanto riguarda la mia esperienza, non penso che fossero all'oscuro. Voglio citare un esempio. Quando fu espletata la gara per la


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privatizzazione della compagnia telefonica della Repubblica Ceca - una gara molto importante - fui io stesso ad accompagnare, come assistente, il dottor Pascale ad una riunione in IRI, presente il professor Prodi, nella quale illustrai nei dettagli l'iniziativa che volevamo portare avanti e, a grandi linee (perché si trattava di una gara e quindi non si potevano fornire cifre in dettaglio), l'eventuale investimento per STET International.
Quando sono entrato in STET ho anche verificato - e qui parlo come responsabile dell'estero - che di tutte le iniziative (allora il direttore generale era il professor Allione) veniva informata, non solo con note ma anche verbalmente, la Farnesina, presso la quale personalmente ho accompagnato a volte il professor Allione per illustrare le nostre iniziative

GIUSEPPE CONSOLO. Chi incontraste alla Farnesina?

MASSIMO MASINI. Non lo ricordo.

GIUSEPPE CONSOLO. Mi riferisco al livello delle persone che incontraste.

MASSIMO MASINI. Incontrammo i responsabili che seguivano l'attività sull'estero.

GIUSEPPE CONSOLO. In base alla sua esperienza, i responsabili del dipartimento economico informavano il ministro o il sottosegretario, che lei sappia?

MASSIMO MASINI. Certamente lo informavano, altrimenti non saremmo andati. Tutto questo lo riscontravamo quando andavamo nei paesi esteri e vedevamo che sulle varie iniziative erano informati i vari rappresentanti del nostro paese.

PRESIDENTE. Il nome dell'ambasciatore De Roberto le evoca qualcosa?

MASSIMO MASINI. Onestamente no. Non ricordo se l'ho conosciuto o meno.

PRESIDENTE. Era il capo del dipartimento economico. È possibile che vi incontraste con lui?

MASSIMO MASINI. Sul tema della Serbia? Assolutamente no. Sul tema della Serbia non sono mai entrato. Rispondevo alla domanda del senatore: la mia esperienza è che l'informativa c'era nei confronti del Ministero degli esteri e di quello del tesoro; c'era anche una normativa IRI che prevedeva che ci fosse un informativa nei confronti di quest'ultimo. A mio modesto parere... ritengo che anche in questa occasione - ma non ero direttamente coinvolto - ci sia stata una dovuta informativa alle autorità competenti: penso al Ministero del tesoro in quanto quest'ultimo, oltre tutto, era un azionista che andava incontro ad una privatizzazione.

PRESIDENTE. Quando poco fa lei ha detto che Prodi seppe perché fu informato in ragione del suo ufficio...

MASSIMO MASINI. Nell'occasione dell'iniziativa nella Repubblica Ceca ci fu una riunione a via Veneto, nella sede dell'IRI, nella quale l'amministratore delegato, dottor Pascale, da me accompagnato, presentò quell'iniziativa.

PRESIDENTE. Era un fatto di routine, ordinario.

ITALO TANONI. Cosa ci interessa della Repubblica Ceca?

PRESIDENTE. Mi scusi, ma non so di che cosa dovremmo parlare in questa sede se non della campagna acquisti. La domanda è molto precisa: se in occasione di queste informative per rapporti internazionali di rilevante portata il Presidente del Consiglio del tempo fosse o meno informato. Più corretto di così...

MASSIMO MASINI. Ripeto che sto rispondendo ad una domanda, cioè se, alla luce della mia esperienza, ci fosse un'informativa sulle iniziative internazionali. Per quelle che ho seguito direttamente io,


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la risposta è sì; per la mia esperienza all'interno del gruppo STET-Telecom Italia, la risposta è ancora sì. Ho citato a titolo di esempio la Repubblica Ceca perché si trattava di un investimento rilevante; nell'occasione andammo addirittura a presentare il progetto nella sede dell'IRI.

GIUSEPPE CONSOLO. Non è un esempio casuale ma che rafforza la posizione qualificata... (Commenti).

PRESIDENTE. L'audito ha risposto.

GIUSEPPE CONSOLO. Un'ultima domanda. Lei ha parlato di un certo Kourentis.

MASSIMO MASINI. È uno studio legale. Nella lista delle fatture da rimborsare a Telecom Italia c'erano tre grosse voci ed altre piccole, che riguardavano gli avvocati, e, se ricordo bene, 98 milioni di lire alla Arthur Andersen. Le voci principali erano la Mak, che come ammontare globale era 30 milioni di marchi, lo studio Kourentis (due milioni e settecentomila marchi), il quale, come ho approfondito successivamente, era quello che aveva assistito Telecom Italia nella trattativa con la OTE per l'ingresso di quest'ultima nella partecipazione in Telekom-Serbia, e poi c'era l'UBS, la cui voce, tra success fee, retainer fee e spese varie, ammontava a circa 3 milioni di marchi.

GIUSEPPE CONSOLO. Posso quindi affermare che lei leggeva i pareri legali e le documentazioni di spesa?

MASSIMO MASINI. Certamente, quando le ho detto che ho visto la fattura e i contratti...

GIUSEPPE CONSOLO. Io sono per la politica dei piccoli passi, altrimenti il collega si inalbera.
Ciò premesso, lei ha preso visione di due pareri legali - sempre retribuiti con pubblico denaro - che sconsigliavano l'operazione, il primo perché la stessa avrebbe dato luogo ad una violazione del precetto penale e l'altro perché avrebbe di fatto dato luogo ad una violazione dell'embargo?

PRESIDENTE. Per sollevarla da un'eventuale crisi di memoria, le preciso che lo studio che si è occupato del parere evocato è lo studio Pavia e Ansaldo.

MASSIMO MASINI. Non ho mai ricevuto indicazioni né ho preso visione della valutazione di questo studio legale.

GIUSEPPE CONSOLO. Con tutto il rispetto, dottor Masini, quando lei prima di pagare chiede la documentazione - prescindendo da quello che ho detto - i casi sono due: o le danno una documentazione non completa e la sviano, oppure è completa e lei non ne tiene conto. La Commissione vuole chiarire questa circostanza.

MASSIMO MASINI. Per quanto riguarda la fattura della Mak, come documentazione ho avuto semplicemente la lettera-contratto firmata da Telecom Italia, la fotocopia della prima fattura di 15 milioni di marchi inviata dalla Mak, le disposizioni di pagamento - ma su questo punto potrei ricordare male - ed un parere di congruità e soprattutto una dichiarazione che era stata effettuata la prestazione a firma dell'ingegner Gerarduzzi. Questa è tutta la documentazione che ho avuto: quattro documenti (il contratto, l'attestazione di congruità, la fotocopia della fattura e, ma questa non la ricordo bene, la disposizione di pagamento).

GIUSEPPE CONSOLO. Ho concluso, presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Vito.

ALFREDO VITO. All'atto di approvazione del contratto di acquisizione della partecipazione da parte di STET International, che lei ha firmato, qual era l'accordo sulla destinazione degli 893 miliardi? Si firma un contratto, si paga: si sa se


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questi soldi vanno a finire nel bilancio della società o nelle mani del Governo di quel paese? Lei che cosa sapeva in quel momento? Dove finivano questi 893 miliardi?

MASSIMO MASINI. Quando è stato firmato il contratto non era ancora stato firmato ufficialmente il closing memorandum, cioè quel documento che è stato firmato, con tutte le disposizioni di pagamento, se non sbaglio ad Atene il giorno dopo. Quindi, nel momento in cui si firmava il contratto, le indicazioni di pagamento erano certamente contenute nel contratto stesso e sarebbero state fornite successivamente, cioè in sede di closing memorandum.

ALFREDO VITO. Nel closing memorandum voi, come STET International, avevate una vostra prassi, una vostra competenza?

MASSIMO MASINI. No, non ho avuto la documentazione del closing memorandum; l'ho avuta in bozza successivamente. Devo dire onestamente che non ho visto neppure la firma definitiva del closing memorandum; ho visto successivamente che in bozza erano evidenziati una serie di percorsi per il pagamento. È tuttavia normale che le istruzioni vengano dal venditore; quest'ultimo può sempre dare le istruzioni - verosimilmente non all'ultimo minuto, come invece è successo in questo caso - su come e dove vuole essere pagato.

ALFREDO VITO. Voi avete firmato un contratto in data 7 giugno... o 5 giugno?

MASSIMO MASINI. Abbiamo fatto un consiglio il 5 giugno; il contratto è stato firmato a Belgrado il 9 giugno. Sono stati firmati due contratti: il guarantee agreement, che garantiva la controparte della nostra operazione (e se non sbaglio l'ha firmato l'ingegner Gerarduzzi) e lo stock sale and purchase agreement, praticamente il contratto effettivo, firmato dal dottor Tommasi.

ALFREDO VITO. Comunque, il 5 giugno vi siete preoccupati certamente di nominare i consiglieri di amministrazione di Telecom o di STET che dovevano entrare in Telekom-Serbia...

MASSIMO MASINI. Non in quella sede perché, se ricordo bene, i consiglieri furono nominati successivamente in una assemblea di Telekom-Serbia, e quindi fu un lavoro successivo al closing.

ALFREDO VITO. Ma i due consiglieri di Telecom Italia o di STET International, le due persone che entrarono a far parte come quota italiana del consiglio di amministrazione di Telekom-Serbia, chi furono e da chi furono nominati?

MASSIMO MASINI. Certamente da parte di STET-Telecom Italia, non da STET International.

ALFREDO VITO. Nel momento in cui questi due consiglieri entrarono a far parte di Telekom-Serbia si peritarono di avvertire Telecom Italia, STET, STET International, STET International Netherlands che nel bilancio di Telekom-Serbia, nella cassa, non erano stati trovati gli 893 miliardi? Lei ci ha detto che in cassa non c'era niente.

MASSIMO MASINI. Ma questi denari non dovevano essere nelle casse di Telekom-Serbia perché la spettabile STET International Netherlands acquisiva una partecipazione e la pagava; nulla finiva nelle casse di Telekom-Serbia. Tentai infatti di suggerire di verificare la possibilità di effettuare questa operazione, anche se parzialmente, attraverso un aumento di capitale, in modo che parte di questi denari finisse in Telekom-Serbia. Così non fu e fu firmato un contratto per il quale la STET Telecom Italia, attraverso STET International Netherlands, pagava l'importo (se non sbaglio 893 miliardi)...

ALFREDO VITO. Mi scusi se la interrompo. Lei sta giustamente dicendo che fu sua preoccupazione avvertire (non so in


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che modo fra voi vi avvertivate) di una certa situazione e chiedere perché non portare quegli 893 miliardi in aumento di capitale di Telekom-Serbia, visto che si andava in una società in cui si era minoranza e il socio di maggioranza, il Governo serbo, avrebbe avuto difficoltà a mettere i soldi per gli investimenti. C'erano tutte queste preoccupazioni, che lei certamente avrà rappresentato a qualcuno: siccome siamo una Commissione di inchiesta che, oltre ad essere interessata a conoscere i fatti sociologici, vuole anche sapere gli eventuali fatti penali che si sono verificati, chi fu che le disse di non pensare a dove andassero a finire quei soldi, che non arrivavano nel bilancio di Telekom-Serbia ma da un'altra parte? Chi è stato materialmente ad opporsi alla sua teoria di portare quei soldi in aumento di capitale?

MASSIMO MASINI. Non era un problema di contrapposizione: esaminavo queste carte quando ormai il contratto era stato definito ma non ancora firmato. Leggendo un po' di documentazione che mi aveva portato il dottor Baldizzone dissi a quest'ultimo: c'è la possibilità, nel rush finale, di effettuare questa operazione, anche se parzialmente, attraverso un aumento di capitale? Il dottor Baldizzone disse: abbiamo tentato di proporlo più di una volta ma la controparte è molto rigida e quindi vuole cedere ed incassare il controvalore.
Quando ci fu il closing memorandum ci indicarono esattamente come doveva essere effettuato il pagamento, che avvenne in linea con le loro istruzioni. Peraltro, questa era una prassi comune in tutte le operazioni internazionali.

ALFREDO VITO. È una prassi che lo stabilisca il venditore, ma nelle acquisizioni effettuate precedentemente sono andate in aumento di capitale delle varie aziende telefoniche?

MASSIMO MASINI. Nella mia attività - dal 1992 al 1997 - ho cercato nei limiti delle operazioni effettuate di realizzare queste operazioni anche attraverso aumenti di capitale: in alcuni casi è stato possibile, in altri no perché dall'altra parte c'era un venditore che voleva realizzare. Un caso di questo genere fu l'acquisizione da parte nostra di una partecipazione nel terzo gestore mobile in Francia e noi pagammo la controparte che vendeva.

ALFREDO VITO. Lei ha detto che nelle acquisizioni precedenti l'istruttoria e tutto il necessario era stato sempre curato da STET International; in questa circostanza invece siete stati informati pochi giorni prima, in maniera molto parziale: non vi è stato detto che bisognava pagare delle provvigioni, eccetera. Ad un certo momento vi hanno messo un contratto fra le mani e vi hanno chiesto di firmarlo. Ci vuole un grande potere per costringere delle persone a fare questo: vogliamo sapere chi materialmente, interloquendo, può aver costretto lei e i consiglieri a dire «obbedisco». Presumo infatti che un consiglio di amministrazione e lei stesso, come presidente dello stesso, nel momento in cui si vede richiesto di fare una acquisizione per 893 miliardi, in un paese a rischio, senza istruttoria, senza sapere nulla, chieda: perché devo firmare?

MASSIMO MASINI. Volevo fare due precisazioni. La prima è che non ero presidente ma amministratore delegato della STET International. La seconda è che in quel momento avevamo un azionista di maggioranza «totalitario». Da una parte, nella STET International Netherlands, l'azionista STET aveva il 52 per cento, dall'altra Telekom-Italia aveva il 42 per cento. Quindi mi trovo con due azionisti che hanno la totalità delle azioni e mi sottopongono un'operazione. Aggiungo che nel consiglio di amministrazione forse l'unico ad avere il distintivo solo di STET International ero io perché il dottor De Sario era presidente di STET International e anche responsabile delle attività internazionali di STET; c'era l'ingegner De Iulio, che se non sbaglio era vicedirettore o direttore generale della Telecom Italia; c'era il dottor Sardo, responsabile dell'attività amministrativa e contabile di STET


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Telecom Italia; c'era l'ingegner Cardone, che aveva firmato il contratto di Kourentis ed ha seguito l'operazione dell'OTE.

ALFREDO VITO. Il dottor Tommasi cosa era?

MASSIMO MASINI. Non era presente in nessuno dei due consigli. Dicevo che nel mio consiglio di amministrazione c'erano i più alti vertici di STET e di Telecom Italia. Devo presumere - forse sembrerà un assurdo - che conoscessero molto più di me questa operazione, in quanto in parte ne erano stati coinvolti. Avevo un consiglio di amministrazione che, dal presidente ai consiglieri, faceva parte degli azionisti totalitari che mi proponevano l'acquisizione. La mia professionalità mi ha portato, indipendentemente dalle responsabilità proprie di ognuno dei miei consiglieri...

ALFREDO VITO. Ma lei non disse ai suoi consiglieri: queste cose le abbiamo sempre trattate noi, siccome avete detto di sì in sede Telecom e STET, siamo noi a dover dire di sì nell'altra sede?

MASSIMO MASINI. Forse mi sono spiegato male: erano gli stessi consiglieri che erano più informati dell'amministratore delegato.

ALFREDO VITO. E lei non ha chiesto ai consiglieri perché nell'altra sede non avevano detto: è nostro diritto approvare, o respingere, in STET International e non qui?

MASSIMO MASINI. L'unica cosa che ho fatto e ho ritenuto utile ed opportuna è stata di presentare l'operazione così com'è avvenuta, cioè come un'operazione che è stata iniziata, elaborata, negoziata e valutata da parte degli azionisti di maggioranza, i quali avevano altresì consiglieri nei due consigli d'amministrazione.

ALFREDO VITO. Un'ultima domanda: nella sua audizione lei ha detto che, in quegli anni, nelle telecomunicazioni si è fatto di tutto; ha usato questo termine, con riferimento alla congruità del prezzo. Ci può riferire qualche episodio analogo, che dimostri che non solo per Telekom-Serbia ma anche in altre circostanze si è fatto di tutto, per gravità e dilapidazione di pubblico denaro?

MASSIMO MASINI. Delle operazioni che sono state realizzate io posso dire solo di quelle dove sono stato direttamente responsabile o coinvolto. In STET International, dal 1992 al 1996, sono state portate avanti nove operazioni, cinque delle quali hanno registrato degli utili macroscopici per il gruppo. Per esempio, la STET Hellas ha avuto un investimento di 150 milioni di dollari ed è stata quotata a 2 miliardi di dollari; la Mobilkom Austria è stata acquistata ad una cifra di 550 milioni di euro ed è stata rivenduta, sotto la gestione del dottor Tronchetti Provera, a 690 milioni di euro, in un momento in cui il settore delle telecomunicazioni era un po' appesantito sotto il profilo finanziario; l'IMPSAT Corporation, società di trasmissioni dati, è stata comprata ad 84 milioni di dollari ed è stata venduta a 125 milioni di dollari.

ALFREDO VITO. Solo con la Telekom-Serbia ha fatto un pessimo affare!

MASSIMO MASINI. Il gruppo Barti è stato acquisito intorno ai 60 milioni di dollari ed è stato venduto...

ALFREDO VITO. Ci dica i fatti negativi, non quelli positivi.

MASSIMO MASINI. Volevo completare. Bouygues Télécom, da 380 a 640. Sono rimaste in portafoglio, di quelle che avevo realizzato con investimenti in STET International, Entel Chile, a dei prezzi superiori a quelli dell'acquisizione, e Entel Bolivia, per la quale avemmo un'offerta, negli ultimi anni in cui ero ancora in Telecom, ad un prezzo leggermente superiore rispetto a quello di acquisizione, nonché due cellulari a Minas Gerais e a Bahia Sergipe, che certamente hanno un valore superiore all'acquisizione e, infine,


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un investimento concernente ETEC SA Cuba, che grosso modo a suo tempo fu valutata quanto avevamo investito. Queste sono le nove partecipazioni che rappresentavano più o meno quei 6.000 miliardi di cui ho parlato nella precedente audizione. Quindi, nel periodo dal 1992 al 1996 non c'è stata - voglio difendere non tanto la mia persona o la mia professionalità quanto i miei collaboratori - nessuna dilapidazione di capitali di un'azienda pubblica.

ALFREDO VITO. Dunque, la vicenda Telekom-Serbia è una vicenda a sé, perché avendo rivenduto la partecipazione...

MASSIMO MASINI. Ho detto che nel momento in cui si realizzava Telekom-Serbia la situazione era un po' quella che si ha quando sul mercato immobiliare i prezzi impazziscono: c'era una corsa generalizzata da parte dei più grossi gestori di telecomunicazioni, che si chiamavano France Télécom, British Telecom, alcune compagnie americane e la stessa Deutsche Telekom, e certamente questo faceva lievitare i prezzi al di sopra del normale valore delle azioni. In questo senso si era fatto di tutto e di più, ma relativamente ai prezzi e non certo ad iniziative non corrette o irregolari.

PRESIDENTE. Do la parola al senatore Scarabosio.

ALDO SCARABOSIO. Dottor Masini, vedo che anche adesso lei giustamente ha difeso la sua grande professionalità...

MASSIMO MASINI. I miei collaboratori, soprattutto.

ALDO SCARABOSIO. Ha detto che, quando ha potuto operare, lo ha fatto bene.

MASSIMO MASINI. Sono stato anche fortunato.

ALDO SCARABOSIO. Direi che la Telekom-Serbia è un'operazione di minoranza: si compra una quota di minoranza ad un prezzo molto elevato; quindi, una grossa operazione. A un certo punto nella sua esposizione, se non vado errato, ha affermato che subito dopo si è reso conto che per poter operare in Serbia occorrevano grossi supporti finanziari. È così?

MASSIMO MASINI. Non mi sono reso conto «dopo». Quando ho visto il piano degli investimenti - penso sia stato accennato qui da parte di altri colleghi che mi hanno preceduto - la mia preoccupazione era come riuscire a finanziare...

ALDO SCARABOSIO. Come si sarebbe poi operato...

MASSIMO MASINI. Infatti supponevano un accesso al mercato finanziario che poi si è rivelato impossibile.

ALDO SCARABOSIO. Anche perché se lei avesse deciso un aumento di capitale, essendo socio di minoranza, senza il consenso del socio di maggioranza non avrebbe potuto operare. Chiunque abbia un po' di conoscenza della problematica e degli assetti societari, nel momento in cui acquisisce una partecipazione di minoranza la prima cosa che fa è studiare gli assetti finanziari futuri. Infatti, sapendo di comprare una partecipazione di minoranza a 10 e di dover poi investire altri 1.000, direi che procederebbe ad un piano del futuro investimento, ma questo non è stato fatto. Lo trovo strano. Mi pare di aver capito che lei si sia trovato con la patata bollente e abbia detto: abbiamo comprato, ma come facciamo ad operare, visto che non abbiamo i soldi? Mi pare che lei questo lo abbia detto in modo abbastanza chiaro.

MASSIMO MASINI. Voglio ripetermi: il piano finanziario... Peraltro devo dire che c'era stata anche l'assistenza da parte dell'UBS e ritengo che quando si è visto il piano finanziario ci sia stata anche una consulenza dell'UBS.


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ALDO SCARABOSIO. A parte la consulenza, lei poi ha detto: io non sono riuscito ad operare successivamente in quanto non avevo le risorse finanziarie per farlo. È d'accordo? Mi pare che questo lo abbiamo sentito tutti.

MASSIMO MASINI. Si è verificato...

ALDO SCARABOSIO. Io le chiedo, alla luce della sua esperienza, se sia possibile fare un acquisto di 1.500 miliardi senza prevedere le risorse finanziarie, essendo socio di minoranza, per poter operare.
Le chiedo ancora: come è possibile questo, se non per il fatto stesso che si trattava di un acquisto non per una struttura industriale ma fine a se stesso? Lei non aveva il dovere, vedendo queste cose, di fermare l'operazione avvertendo che poi non sareste riusciti ad operare? È stato forse sottoposto a delle pressioni perché si procedesse in questo senso? Si tratta di un acquisto fine a se stesso, non di un acquisto chiaro per operare su un piano industriale, quando non si pensa alle risorse future; allora vuol dire che si voleva solo fare un'operazione. Perché si voleva fare solo un'operazione? A noi questi risvolti sono molto poco chiari, e li abbiamo già visti in mille occasioni. Si è proceduto ad un acquisto senza pensare che dopo si sarebbe dovuto operare e che, essendo un socio di minoranza, non si poteva operare, in quanto un socio di minoranza non può procedere ad un aumento di capitale, perché il socio di maggioranza lo blocca. È quindi ovvio che si fanno dei patti parasociali, ma li fanno tutti, anche una piccola società; come mai questo aspetto non fu studiato? Lei era un esperto della questione: perché non lo fece presente? Non lo fece presente perché ha subìto delle pressioni? Le chiedo ancora: da chi?

MASSIMO MASINI. Innanzitutto voglio precisare che non ho subìto alcuna pressione ad operare; quindi, se il mio operato può essere giudicato sbagliato, me ne assumo tutta la responsabilità.
In secondo luogo, volevo ritornare su quanto già detto forse precedentemente: esisteva un piano finanziario, che prevedeva un fabbisogno finanziario; su questo fabbisogno finanziario - se ricordo bene, era anche evidenziato nella nota che mi era stata presentata - non erano state evidenziate perplessità da chi aveva studiato il progetto, perché secondo le stime effettuate il fabbisogno finanziario sarebbe stato coperto dai flussi di cassa, quindi dall'autofinanziamento della società, nonché da un ricorso marginale - mi sembra si parlasse di 100 miliardi e, se ricordo bene, la società era indebitata per 60 miliardi, 60 milioni di marchi... Devo pensare che il responsabile del progetto e la banca che lo accompagnava ritenevano che quel piano di investimenti potesse essere coperto da determinati flussi di cassa e poi in parte con l'indebitamento. Se chi ha fatto il progetto e la banca d'affari che lo accompagna mi dicono che loro sono confident, cioè sono fiduciosi che il piano finanziario si realizzerà e che non ci sono preoccupazioni, non è che io posso contrastarli e salire su una cattedra che non è la mia. Lavoravano a questa operazione da sette mesi, avevano contattato 700 istituti bancari, l'UBS ci aveva lavorato per sei mesi e quindi non poteva essere Massimo Masini a dire che il piano finanziario era un grosso punto interrogativo.
Cosa ha fatto Massimo Masini? Ha esposto le proprie sensazioni. Le ripeto, io tutto questo l'ho valutato nell'arco di quattro o cinque giorni. Torno su questo punto perché non è facile valutare un'azienda in genere, anzi è molto difficile; è difficile e in certi paesi, come quelli dell'est, è quasi impossibile non essendo mai stato sul posto, non avendo visto gli impianti, non avendo parlato con le persone, non avendo visto i business plan, non avendo fatto dei controlli di cassa.
Quindi, cosa potevo dire? Due cose: in primo luogo, occorre vincolare il consiglio di amministrazione, e questo è stato fatto; il consiglio di amministrazione aveva dei veto right, cioè vi erano delle operazioni che la minoranza poteva bloccare.


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ALDO SCARABOSIO. Insomma, non ha potuto lavorare.

MASSIMO MASINI. Vorrei terminare. In secondo luogo, ho fatto presente una mia sensazione, nella mia attività professionale, affermando che a mio modesto parere potevano sorgere delle preoccupazioni, a livello finanziario, per sviluppare il piano della società. Questo lo feci presente, se ricordo bene, in un incontro che ebbi direttamente con il dottor Baldizzone. Quindi, non ho avuto pressioni. Mi sembra di aver approfondito, nei limiti del tempo disponibile, quello che potevo approfondire. Ho dato due suggerimenti per far sì che ci fosse una minoranza tutelata nei consigli di amministrazione e, se possibile, per poter non dico spicciare totalmente l'operazione all'ultimo minuto, ma in parte realizzarla con aumenti di capitale. Ho trasmesso questa mia sensazione e valutazione, ma, le ripeto, sulla base di un documento di sette o otto pagine e di una chiacchierata che è durata un'ora. Quindi, onestamente non potevo dire di più; avrebbe significato essere presuntuoso.

ALDO SCARABOSIO. Non ha potuto esercitare la sua funzione di amministratore delegato, come giustamente avrebbe dovuto fare. Era la STET International che comprava.

MASSIMO MASINI. Esattamente. Però ho fatto verbalizzare - lo ripeterò ancora una volta - nei consigli di amministrazione sia di STET International Netherlands sia di STET International che questa è stata una operazione iniziata, negoziata, valutata e conclusa da parte degli azionisti di maggioranza; poiché gli azionisti di maggioranza erano STET e Telecom Italia, che insieme avevano il 100 per cento della SIN, e poiché avevano nel mio consiglio di amministrazione i loro più alti dirigenti, penso di aver seguito il cammino più professionale. Certamente non vi era la possibilità, in tre o quattro giorni, di analizzare tutto il business plan, per contestare il piano degli investimenti.

ALDO SCARABOSIO. Certo.

MASSIMO MASINI. Anche perché - ripeto - c'era una banca d'affari che seguiva ed assisteva la STET. Forse anche la banca d'affari poteva fare queste considerazioni.

PRESIDENTE. Do la parola al senatore Cantoni.

GIAMPIERO CANTONI. Vorrei chiedere due chiarimenti. Il dottor Masini dà notizia che SIN ha autorizzato l'acquisto del 29 per cento di Telekom-Serbia su indicazione di STET a seguito di negoziazione condotta da STET e Telecom Italia, ma non ci risulta che siano tutte e due: da STET o da Telecom Italia?

MASSIMO MASINI. No, in quel momento erano tutte e due. Io ho citato precedentemente i dirigenti. L'iniziativa con la OTE era sta seguita da parte della STET e in particolare dal dottor De Sario e dell'ingegner Cardone; l'iniziativa precedentemente era stata seguita, soprattutto sotto il profilo tecnico, dall'International operation di Telecom Italia, il cui responsabile era l'ingegner Spasiano. Erano ancora due società, a quel tempo, STET e Telecom Italia, e successivamente, dopo qualche mese, si sono fuse. In quel momento la peculiarità delle due società era che i loro consigli di amministrazione erano gli stessi, però sotto il profilo operativo e professionale esistevano ancora delle realtà che seguivano l'estero in STET e delle realtà che seguivano l'estero in Telecom Italia. Queste due realtà hanno portato avanti il progetto.

GIAMPIERO CANTONI. Più volte lei ha ricordato che la valutazione era stata fatta con l'assistenza di UBS. Lei sa se all'UBS è stato richiesto specificatamente di aumentare la valutazione?

MASSIMO MASINI. Questo l'ho sentito qui, o meglio l'ho letto nei verbali delle audizioni. Io ho avuto solo la valutazione che ho riportato esattamente nel consiglio


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di amministrazione. Debbo dire di più, sempre per il discorso che ho fatto precedentemente: è chiaro che io non ho avuto nemmeno il tempo di vedere tutta la valutazione dell'UBS, perché penso saranno state due o trecento pagine di documenti.

PRESIDENTE. Il senatore Cantoni ha chiesto la valutazione dell'UBS; noi abbiamo accertato che ci sono state cinque valutazioni.

MASSIMO MASINI. Non ne sono mai stato al corrente.

GIAMPIERO CANTONI. Non è stato mai al corrente, ma in ogni caso è abbastanza singolare che l'amministratore delegato della STET International, colui che deve autorizzare e che poi di fatto ha autorizzato l'acquisizione, non fosse a conoscenza o quanto meno non abbia notato queste valutazioni gonfiate. Vorrei che rimanesse a verbale questo fatto, che è quanto meno anomalo e che indica delle gravissime responsabilità sia per la catena di comando sia per il fatto oggettivo che qualcuno aveva il potere di bypassare tutte le regole e le procedure della corretta posizione di management.

MASSIMO MASINI. Vorrei semplicemente aggiungere, se permette, che - come ho detto mi sembra nella precedente audizione - il contratto con l'UBS fu firmato da STET-Telecom Italia, e quindi tutto il progetto...

GIAMPIERO CANTONI. Il contratto per la valutazione.

MASSIMO MASINI. Sì, per la valutazione.

GIAMPIERO CANTONI. Ma nel momento in cui le propinano il contratto di una valutazione, dato che deve autorizzare l'acquisizione, come manager lei ha il dovere, sia per la carica che rappresenta sia per il denaro pubblico che deve difendere, di esprimere la sua opinione su queste valutazioni. Non è tanto il contratto che firma, quanto la valutazione a dover essere analizzata, anche perché in questa valutazione c'è l'indicazione di un rendimento atteso del 12 per cento, una cosa aleggiata qui. Nella valutazione dell'UBS questo 12 per cento non compare mai. Da dove viene questa percentuale, che poi è stata la base per un eventuale rimborso del pagamento di queste somme?

MASSIMO MASINI. Purtroppo debbo ripetermi: il progetto, così come l'ho presentato agli organi deliberanti sia di STET International sia di STET International Netherlands, è stato iniziato, seguito, negoziato e concluso... Sono stato coinvolto nella fase finalissima e ho cercato di offrire il mio contributo dando il suggerimento, che probabilmente non è stato possibile recepire, di portare avanti parzialmente l'operazione sotto forma di aumento di capitale. Ho dato un altro suggerimento che è stato invece completamente recepito, quello di tutelare gli interessi della minoranza attraverso i veto right nei consigli d'amministrazione.

GIAMPIERO CANTONI. Chi era la minoranza in questo caso?

MASSIMO MASINI. La minoranza eravamo noi, nel consiglio di amministrazione di Telekom-Serbia, quindi dovevamo essere tutelati; infatti c'era tutta una serie di punti che necessitavano il coinvolgimento della minoranza per portare avanti certe cose.

GIAMPIERO CANTONI. Questo 12 per cento, che è la base fondamentale per dire che si tratta di un affare che può stare in piedi, da dove salta fuori?

MASSIMO MASINI. Mi permetto di dissentire sul fatto del 12, 14 o 16 per cento; bisogna vedere come questo 12 per cento era costruito, bisogna vedere se dentro c'era un management fee oppure no, bisogna vedere com'era stato valutato il rischio paese.


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GIAMPIERO CANTONI. Se ci addentriamo in questa cosa io la tengo qui tre ore finché lei riesce a rispondermi.

MASSIMO MASINI. Se lei mi dice che il mio dovere era quello di approfondire la valutazione fatta da parte dei miei azionisti di maggioranza in un periodo di 12 mesi nel quale avevano vissuto a Belgrado, esaminato il sistema tariffario, il marketing potenziale ed i possibili investimenti, mi scusi, ma mi si domandava un lavoro che era impossibile fare. Sarebbe stata una presunzione per me entrare in una valutazione che aveva una serie di fattori per arrivare ad una valutazione che io non conoscevo.

GIAMPIERO CANTONI. Su questo siamo d'accordo: non conosceva. Adesso invece, conosce molti particolari; è in grado di dire se, conoscendo quello che ora conosce, avrebbe dato l'autorizzazione ad acquistare?

MASSIMO MASINI. Se lei mi dice esattamente che cosa conosco... Io conosco semplicemente che la banca d'affari...

GIAMPIERO CANTONI. Lei ha detto di aver sentito e letto...

MASSIMO MASINI. Io ho letto le audizioni e basta.

GIAMPIERO CANTONI. Avrà visto che questo affare è una costante di anomalie. A nostro avviso vi sono gravi responsabilità di anomalie nella conduzione di questo affare, quindi la mia domanda, alla quale può anche non rispondere...

MASSIMO MASINI. No, le voglio rispondere, perché mi prendo tutte le responsabilità. Dunque: sulla valutazione io non mi posso esprimere, perché sono troppe le variabili che non conosco. Le posso dire quello che ho affermato: cosa vuol dire il mio suggerimento a capitalizzare? Le aziende sono fatte di denaro e di uomini: io gli uomini non li conoscevo; ho detto «perlomeno salviamoci...», nel senso di «creiamo un comitato esecutivo in cui poter esercitare un potere». Per quanto riguarda gli aspetti del denaro... se avessi dovuto farlo io, forse avrei negoziato al massimo pur di realizzare parte di quella operazione attraverso un aumento di capitale.

GIAMPIERO CANTONI. Non è stato negoziato al massimo...

MASSIMO MASINI. Però questo non glielo so dire, perché non facevo parte dei negoziatori.

GIAMPIERO CANTONI. Il pagamento doveva essere garantito da SIN, come lei ha dichiarato.

MASSIMO MASINI. Il pagamento è effettuato da SIN. Ma era garantito da parte di Telecom Italia, perché fin quando non pagava...

GIAMPIERO CANTONI. E da SIN, che doveva poi ottenere un finanziamento da STET.

MASSIMO MASINI. No, l'aveva già ottenuto, perché c'era stato un consiglio di amministrazione in cui...

GIAMPIERO CANTONI. Telecom Italia rimborserà STET con un aumento di capitale che incrementerà la partecipazione a SIN.

MASSIMO MASINI. Esatto.

GIAMPIERO CANTONI. Il tutto, però, subordinato al consenso del Governo boliviano che, in sede di contratto STET-Entel Bolivia, aveva ottenuto l'impegno di STET a non scendere al di sotto del 51 per cento del capitale SIN. Questo non è avvenuto, quindi come potevate...

MASSIMO MASINI. È stato fatto un finanziamento in conto aumento di capitale. Noi ci trovavamo con una SIN che era per il 58 per cento STET e per il 41,80 per cento Telecom Italia. Chiaramente,


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non potemmo aumentare il capitale della SIN e facemmo un finanziamento in conto aumento capitale. Quindi, la spettabile Telecom Italia fece un finanziamento in conto aumento di capitale. Però il problema della Bolivia che poi, dopo, si è risolto, era molto semplice: siccome noi avevamo acquisito la società in Bolivia non attraverso la SIN ma attraverso la STET International, c'era la volontà da parte del Governo boliviano che vi fosse un possesso maggioritario di SIN in STET International. Quindi la SIN non poteva andare sotto al 51 per cento se non c'era l'accordo del governo boliviano.

GIAMPIERO CANTONI. Ma questo è avvenuto?

MASSIMO MASINI. Che io ricordi, sì, ma non in quella sede. È avvenuto più tardi.

GIAMPIERO CANTONI. Chiederei al presidente Trantino di compiere delle verifiche per appurare se ciò sia avvenuto. Se ciò non fosse, loro hanno deliberato in assenza di un impegno contrattuale che era vincolante.

MASSIMO MASINI. No, senatore, mi scusi. Noi abbiamo deliberato di fare un finanziamento infruttifero alla SIN e, come tale, non c'era un aumento di capitale, che era condizionato...

GIAMPIERO CANTONI. Questo lo ha chiarito bene: era condizionato ad un finanziamento in conto capitale.

MASSIMO MASINI. Non era in conto capitale. Se ricordo bene - se vuole, tiro fuori le carte - la dichiarazione era non interest baring loan che vuol dire senza interessi. Era un finanziamento senza interessi.

GIAMPIERO CANTONI. Ma con quale finalità?

MASSIMO MASINI. L'obiettivo finale era certamente... Posso prendere la delibera di STET International e leggerlo, perché è molto chiaro.

PRESIDENTE. È un punto nevralgico.

MASSIMO MASINI. Sinceramente non capisco perché sia nevralgico.

PRESIDENTE. Per noi è nevralgico, perché su questa circostanza già un suo collega ha lasciato un altro buco, quindi dobbiamo ricontrollare la materia per eventuali nuove audizioni.

MASSIMO MASINI. Io non vorrei lasciare un buco, quindi, se me lo permette, presidente, entro 48 ore farò sapere alla Commissione se e quando è stato realizzato l'aumento di capitale.

PRESIDENTE. Certo, può farci avere un documento ad integrazione della sua dichiarazione.

GIAMPIERO CANTONI. Le pongo un'ultima domanda, scusandomi anticipatamente qualora a ciò abbia già risposta mentre non ero presente. Avendo una grande esperienza di acquisizioni di partecipazioni internazionali, in considerazione dei tanti anni in cui ha operato nel settore, ritiene congruo, opportuno, corretto che vi sia stata una provvigione (che noi chiamiamo in altro modo perché è stata fatta estero su estero, con documenti non chiari), una commissione o, quanto meno, una facilitazione, l'intervento di facilitatori, come nel caso specifico di due personaggi che sono stati ascoltati dalla Commissione? A suo giudizio è stato congruo, corretto; in sostanza, ritiene si sia trattato di una operazione etica?

MASSIMO MASINI. Sono troppe cose: etico, congruo, corretto. Le posso dire che in molti paesi si sono verificate operazioni più semplici, diciamo, per l'investitore. C'era una gara internazionale, c'erano dei requisiti, c'era un preappello, c'era una selezione, c'era un final bit. In altri paesi


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tutto questo poteva risultare difficile, perché c'era l'intenzione, probabilmente, da parte del Governo, come in questo caso, di tenere la maggioranza o potevano esserci altri tipi di pretese. Io ritengo che un facilitatore, come dice lei, possa essere pagato a seconda della facilitazione che produce: cioè, se riesce a negoziare, a stare vicino a me ed a permettermi di conseguire un'economia sul prezzo di acquisto o di avere altre vantaggi - se, per esempio, fosse riuscito a farci avere non dico la maggioranza, ma il 50 per cento -, indubbiamente può realizzare un valore nell'iniziativa e una parte di questo valore gli può essere riconosciuta.

PRESIDENTE. Questo lo avete chiamato success fee. È così?

MASSIMO MASINI. No.

PRESIDENTE. Il facilitatore non porta un successo all'impresa?

MASSIMO MASINI. Il facilitatore porta un successo all'impresa; però, rispetto al normale success fee, il facilitatore ha, o dovrebbe avere, una attività molto più intensa. Io non so, perché, ripeto, non ho mai conosciuto questi facilitatori, non ho mai avuto modo di parlare con loro - ho saputo solamente dalla stampa che ci ha parlato l'ingegner Aloia -, quello che hanno fatto a livello di attività di facilitazione, quindi mi è difficile giudicare se sia congruo o meno. Certamente è corretto, però bisogna vedere se è congruo. Se poi non diventa congruo, non diventa nemmeno corretto. Se posso darle una risposta.

PRESIDENTE. Mi scusi, dottore: lei ha detto che l'intensità di questa operazione prende vigore negli ultimi sette mesi.

MASSIMO MASINI. « Prende vigore»... Io ne sentivo di più in quest'ultimo periodo.

PRESIDENTE. Perfetto: in questi ultimi sette mesi. In tale periodo lei ha mai avuto eco della presenza di Vitali e Dimitrijevic nell'operazione?

MASSIMO MASINI. Assolutamente mai. Mi permetta: io non ho avuto, se non a distanza dai fatti... Non sapevo nemmeno che queste due persone fossero della Mak. Solamente quando mi stata presentata la fattura della Mak...

PRESIDENTE. Si fermi qui. In quella occasione, quando le fu presentata la fattura della Mak, ebbe modo di informarsi sulla durata del periodo in cui costoro avevano lavorato per l'operazione?

MASSIMO MASINI. Io ne parlai con l'ingegner Cicchetti, che aveva firmato quel contratto, il quale, a sua volta, aveva avuto delle informazioni, se non sbaglio, da Geraduzzi, riguardo il fatto che avevano lavorato per tanti mesi: addirittura si parlava di più di un anno. Però, le ripeto: io non li ho mai visti, non li ho mai incontrati, non so nemmeno cosa abbiano fatto per questa iniziativa.

PRESIDENTE. Quindi, si parlava di più di un anno. Volendo allargare al massimo i tempi di collaborazione, abbiamo una retribuzione - non lo dico perché lei mi risponda, ma solo per fare qualche conto - di circa due miliardi e 800 milioni al mese per l'intervento, che corrispondono ai 30 miliardi dei due. Questo serve a noi non per futura, ma per costante memoria.

ROBERTO CALDEROLI. Vorrei, presidente, solo tre puntualizzazioni.

PRESIDENTE. La prego, senatore Calderoli, di formulare domande secche, in modo da poter ricevere risposte secche.

ROBERTO CALDEROLI. Dottor Masini, lei ha parlato di nove partecipazioni: riguardo a tutte e nove sono state date informative al Ministero degli esteri ed al Ministero del tesoro?

MASSIMO MASINI. Sempre sono state date le informative. Ora, non so esattamente se anche al Tesoro, perché noi le davamo all'IRI. Penso che questo, a sua volta, le desse al Tesoro.


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ROBERTO CALDEROLI. A proposito di Tesoro, lei ci ha riferito di un incontro tra Pascale ed il professor Prodi.

MASSIMO MASINI. Si trattò di una riunione operativa, alla vigilia della gara per la privatizzazione delle telecomunicazioni della Repubblica Ceca, alla quale la STET International si è presentata ma, ahimè, è stata sconfitta.

ROBERTO CALDEROLI. Prima dell'incontro, Pascale le aveva dato informazioni riguardo a quali fossero le direttive dell'IRI in merito all'acquisizione o alla partecipazione?

MASSIMO MASINI. Mi scusi, non ho capito la domanda.

ROBERTO CALDEROLI. Le ho chiesto se il dottor Pascale le avesse riferito di indicazioni da parte dell'IRI riguardo al motivo della riunione.

MASSIMO MASINI. No... Se no perché accompagnavo il dottor Pascale? Io accompagnavo il dottor Pascale, altrimenti non c'era motivo che lo facessi, perché dovevamo presentare, fra le altre cose - perché non era solo quello il punto all'ordine del giorno - l'iniziativa nella Repubblica Ceca...

PRESIDENTE. Perché l'informazione IRI era obbligatoria?

MASSIMO MASINI. Sì, sì. L'informazione IRI era obbligatoria.

PRESIDENTE. Questo è il punto.

GIUSEPPE CONSOLO. Va verbalizzato che l'informazione era obbligatoria.

ROBERTO CALDEROLI. Quale fu la posizione del professor Prodi in merito alla questione, in quell'occasione (se l'ha espressa, naturalmente)?

MASSIMO MASINI. In merito all'iniziativa?

ROBERTO CALDEROLI. Sì.

MASSIMO MASINI. La esaminammo a fondo. Sostanzialmente, verificammo quelli che potevano essere gli impegni finanziari della STET International, quale target di investimento potessimo, più o meno, realizzare, e poi ha delegato a noi la realizzazione dell'iniziativa. Quando siamo andati a mettere il prezzo nella busta - perché queste sono state tutte gare a busta - con tutta la relativa documentazione, fu una decisione della STET International; ma, chiaramente, avevamo informato l'IRI. C'è il range di investimento tra un minimo e un massimo e ne erano informati. Sapevano, sostanzialmente, i contenuti dell'operazione, cosa andavamo ad acquisire e, verosimilmente, gli importi. A grandi linee, ripeto, perché c'era anche la segretezza, legata ad una gara internazionale, su quella che sarebbe stata la nostra offerta.

ROBERTO CALDEROLI. Quindi, era una autorizzazione oppure una semplice presa d'atto della vostra intenzione di partecipare alla gara?

MASSIMO MASINI. Era un'autorizzazione.

ROBERTO CALDEROLI. Grazie.

PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Masini ed i colleghi intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

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