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PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Giovanni Garau.
Dottor Garau, lei è mai stato interrogato da altre autorità che si sono occupate del caso?
PRESIDENTE. Vuole declinare, per favore, le sue generalità?
GIOVANNI GARAU. Sono Garau Giovanni, nato a Roma, e ivi residente, il 29 agosto 1941.
PRESIDENTE. Quale ruolo ha occupato in Telecom Italia e in quali epoche? Ha mai collaborato, all'interno di Telecom Italia, per la conclusione dell'affare relativo all'acquisto del 29 per cento delle azioni di Telekom-Serbia? In caso positivo, ci sa indicare i nomi degli altri funzionari o dirigenti con i quali ebbe a collaborare?
GIOVANNI GARAU. Alla Telecom Italia sono stato assunto nel marzo del 1965. Ho lavorato a Roma come responsabile delle relazioni industriali dell'allora quarta zona SIP. Poi sono stato capo del personale presso la direzione regionale Sicilia. Successivamente, sono tornato a Roma come capo del personale della direzione regionale Lazio. Sono poi stato alla direzione generale come capo del personale e organizzazione della divisione rete. Nel 1995 sono stato nominato direttore regionale della Campania e Basilicata. Non ho mai partecipato a nessun tipo di attività che non fosse territoriale e operativa, e quindi non mi sono mai occupato di acquisizioni di alcun tipo.
PRESIDENTE. Di Telekom-Serbia in particolare?
GIOVANNI GARAU. Di Telekom-Serbia ho avuto conoscenza dal notiziario interno dei dirigenti, nel mese di giugno del 1997. Il 24 giugno dello stesso anno sono stato chiamato al telefono dal vertice dell'azienda pensando che mi volesse fare gli auguri per San Giovanni, e invece mi è stato detto che dovevo recarmi a Roma per una comunicazione. Nell'ambito di tale comunicazione, mi è stato detto che l'azienda intendeva mandarmi a fare il vicedirettore generale in Telekom-Serbia.
Ho chiesto una settimana di tempo, anche perché stavo a Napoli e volevo parlarne con mia moglie e mio figlio, ma mi è stato risposto negativamente, e mi fu detto: «Il 26 mattina c'è un aereo che ti porta a Belgrado per la nomina del consiglio di amministrazione». Essendoci ottimi rapporti tra me e l'allora amministratore delegato, ho accettato, così come è previsto anche dal regolamento dei dirigenti d'azienda, e sono andato in Telekom-Serbia il 26 giugno 1997.
PRESIDENTE. Il 22 maggio 1998 lei è in Telekom?
GIOVANNI GARAU. Il 22 maggio 1998 sono in Telekom-Serbia.
PRESIDENTE. Il 22 maggio 1998 - come le avevo anticipato - la società di revisione Cooper Lybrand non certifica il bilancio di Telekom-Serbia chiuso al 31 dicembre 1997 perché in contrasto con i principi prescritti dalla normativa jugoslava. Precisa inoltre che gli utili a quella data sono sovrastimati di oltre 49 milioni di dinari, quasi 1.500 miliardi di lire, e che il valore complessivo del capitale immobilizzato è sovrastimato di altri 955 milioni di dinari, oltre 28 miliardi di lire. Il bilancio del 1997 è stato poi certificato e da chi?
GIOVANNI GARAU. Se ricordo bene, non è stato certificato.
GIOVANNI GARAU. Perché c'era un'incongruenza tra ciò che era stato fatto, tra il valore che era stato dato ad alcuni asset al momento dell'acquisizione, e ciò che noi gestori avevamo riscontrato al momento di fare il bilancio.
PRESIDENTE. Delle varie irregolarità evidenziate dalla Cooper Lybrand è stato informato il gruppo STET-Telecom Italia? E in caso positivo, che decisioni sono state assunte al riguardo?
GIOVANNI GARAU. È stato informato il consiglio di amministrazione di Telekom-Serbia, dove c'erano due esponenti di Telecom Italia. Io non dipendevo dalla STET, dipendevo dal consiglio di amministrazione, dove erano presenti due esponenti di Telecom Italia. Tutto questo è passato sempre tramite il consiglio di amministrazione.
PRESIDENTE. E chi altri ne è stato messo al corrente, che lei sappia?
GIOVANNI GARAU. Penso il vertice aziendale. Dai componenti del consiglio di amministrazione.
PRESIDENTE. Quindi, il vertice aziendale avrebbe potuto sapere, i due esponenti sicuramente avranno saputo, essendo presenti, perché informati, che c'era - usiamo un eufemismo - questa grave anomalia per la mancata certificazione che non veniva da capriccio, ma derivava dal fatto che questo bilancio non era certamente «in odore di santità», per usare un'espressione benevola.
GIOVANNI GARAU. Io non userei l'espressione «in odore di santità». C'erano due modi per fare il bilancio. Il primo era quello alla maniera internazionale, l'altro era quello alla maniera cosiddetta jugoslava, cioè, purtroppo, un modo veramente diverso dal classico modello internazionale.
PRESIDENTE. Si fermi qui, perché ci interessa poco discutere sull'argomento in senso tecnico. Io le ho parlato di «odore di santità», e a questo punto le devo dire le circostanze che tecnicamente devo contestarle.
PRESIDENTE. Non a lei: le devo contestare perché lei sa, e quindi le contesto a lei affinché ci risponda, non perché ne sia responsabile.
PRESIDENTE. Qualunque sia la scelta - sistema jugoslavo o sistema italiano - il fatto che gli utili siano sovrastimati di oltre un miliardo e mezzo di lire, anzi, mi scusi, di 1.500 miliardi, fa in modo che non ci sia sistema che tenga, perché il sistema può avere un'oscillazione minima, ma nel caso di specie abbiamo una sovrastima di utili e, come se non bastasse, il valore complessivo del capitale immobilizzato sfora di 28 miliardi. Non mi dica che ci sono due scuole di pensiero per giustificare una situazione del genere.
GIOVANNI GARAU. Non ricordo a memoria, non avendo alcuna documentazione, perché essendo in pensione non ho potuto trattenere alcuna documentazione, però questa storia di 1.500 miliardi di utili in più non la ricordo assolutamente. Ricordo che il bilancio non fu certificato perché c'erano due tipi di valutazioni diverse fra il modo di valutare un bilancio, quello internazionale e quello jugoslavo. Questa storia dei 1.500 miliardi... mi scusi, ma mi sembra molto strana, perché 1.500 miliardi sono davvero molti. Lo dico anche perché, come presidente del comitato esecutivo, ho avallato la proposta al consiglio di amministrazione di un certo tipo di bilancio. Quindi, ricorderei questa cifra di 1.500 miliardi.
PRESIDENTE. Allora le dico che se appare sui giornali (su quelli diffusi, perché se appare su un giornale di provincia posso non saperlo) una notizia che riguarda Telekom-Serbia, ho il dovere di sapere in via oggettiva, perché se non lo so ci sarà qualche commissario che mi spinge a saperlo. Le notizie che le ho sottoposto non vengono dai servizi, vengono dal giornale La Repubblica, che il 17 febbraio 2001 si occupò a tutta pagina di quanto le ho detto. Quindi, credo che ognuno di voi aveva l'interesse di leggere, e qualcuno di precisare, correggere o smentire, data la gravità dell'affermazione.
GIOVANNI GARAU. I rapporti con la stampa italiana non potevo tenerli io che ero a Belgrado. Ho saputo di questa storia che è uscita fuori su La Repubblica (tanti articoli sono usciti su La Repubblica), ma non spettava a me, c'era l'ufficio stampa estero ...
PRESIDENTE. Ma non è intervenuto nessuno, glielo posso assicurare io, perché non abbiamo notizie.
GIOVANNI GARAU. Non fa parte del mio know how: non mi occupavo della stampa, mi occupavo della stampa serba per alcuni aspetti, ma non ero responsabile neanche di quello, perché le relazioni con la stampa erano tenute da una direzione serba, da un direttore generale serbo.
PRESIDENTE. Lei conosce il serbo?
GIOVANNI GARAU. Abbastanza. Dopo quattro anni un pochino l'ho orecchiato.
PRESIDENTE. C'era battaglia sui giornali serbi in ordine a questa operazione?
GIOVANNI GARAU. Dopo questa operazione specifica, no.
PRESIDENTE. Parlo dell'operazione Telekom-Serbia.
GIOVANNI GARAU. Dopo la pubblicazione di quegli articoli su La Repubblica, in Serbia hanno preso quegli articoli e ci hanno lavorato sopra, approfittando di quanto accadeva in Italia: hanno attaccato noi italiani, logicamente.
PRESIDENTE. Ricorda un'espressione testuale come questa (non le posso dire se era contenuta nel titolo o nel testo dell'articolo): «Con la nostra operazione abbiamo dato la bombola di ossigeno a Milosevic»?
GIOVANNI GARAU. Certo, ricordo perfettamente, era un cavallo di battaglia della stampa serba di allora, dopo la caduta di Milosevic.
PRESIDENTE. E voi, di fronte a questa affermazione, certamente lesiva della vostra immagine, avete compiuto qualche passo?
GIOVANNI GARAU. Era mio dovere personale fare la rassegna stampa tutte le mattine alla direzione generale e all'ufficio stampa estero, mandare tutto e sollecitare, se era possibile, delle smentite. La politica di allora, nel 2001, di Telecom Italia è stata quella di non smentire. E devo dire che questo ha portato anche ad un certo dissapore fra la dirigenza italiana che era in Serbia e che stava vivendo quella tragedia per quattro anni e la dirigenza italiana che ci ha abbandonato ad essere accusati tutti i giorni, e ad essere minacciati: non potevamo salire neanche sui taxi. Ma Telecom Italia ha scelto di non smentire e di non difenderci di fronte a queste gravissime accuse, in particolare nei miei confronti.
PRESIDENTE. Lei ha avuto notizia, o comunque la percezione di qualche anomalia in questa vicenda?
GIOVANNI GARAU. Le anomalie le ho riscontrate al momento in cui mi sono insediato come vicedirettore di Telekom-Serbia, anomalie dal punto di vista gestionale. Ho trovato una società che aveva solamente debiti e non aveva una lira in cassa. Ho trovato una società che aveva firmato un accordo che prevedeva 13.500 dipendenti non licenziabili nei primi cinque anni; faccio un confronto con l'azienda che gestivo fino al giorno prima, cioè quella della Campania-Basilicata, che aveva lo stesso numero di clienti ma 5.000 dipendenti. Queste sono le due grandi anomalie che ho trovato. La terza anomalia è che mi sono trovato a dover rispondere dei debiti - perché così era l'accordo - acquisiti dall'azienda precedente, che era la PTT, che oltre ad occuparsi delle poste gestiva anche le telecomunicazioni. Mi sono trovato con una cassa pari a zero più (anzi meno...) centinaia di miliardi di debiti acquisiti dalla PTT nei confronti delle imprese tedesche e francesi, che durante il periodo della precedente guerra avevano fatto firmare contratti alla Jugoslavia per l'acquisizione di centrali «come se piovesse».
PRESIDENTE. Conosce Del Vecchio?
GIOVANNI GARAU. L'ingegner Del Vecchio? Sì.
PRESIDENTE. Ha scritto un appunto in data 13 novembre, verosimilmente 1997, per come lo abbiamo collocato noi, indirizzato a lei ed altri funzionari di STET-Telecom. In estrema sintesi si deduce che, diversamente da quanto ci si aspettava, la situazione finanziaria di Telekom-Serbia era particolarmente grave.
PRESIDENTE. Ciò si evince dal fatto che viene sottolineata la necessità di trovare un finanziamento internazionale a medio o lungo termine «che consenta di attuare il business plan di Telekom-Serbia, perché tale società deve sopravvivere in questi sei mesi», si dice che «il piano degli investimenti deve essere rivisto» e infine che lei ha chiesto due-tre settimane di tempo-uomo per il bussines plan.
PRESIDENTE. È corretta l'interpretazione della situazione finanziaria di Telekom-Serbia? Mi pare che è coerente con quanto lei ha detto prima.
GIOVANNI GARAU. Certo. Il 28 e 29 settembre dello stesso anno, del 1997... Io sono andato in Serbia da solo, dopo due mesi ho avuto quattro collaboratori italiani, quattro dirigenti, che hanno occupato uno la direzione budget e controllo, uno la direzione internazionali, uno la direzione privati e l'ultimo era il vicedirettore della business. Insieme a loro per la prima volta siamo riusciti a fare il punto della situazione. Siamo venuti a Roma a settembre, poiché il consiglio di amministrazione ci aveva chiesto di fare le
previsioni di chiusura per il 1997 e quelle per il budget del 1998, e abbiamo chiesto un incontro a tutta la direzione internazionali, dove abbiamo messo in evidenza le gravissime carenze finanziarie in cui ci eravamo trovati, oltre a tanti altri aspetti, come il rapporto con i greci, quello con i serbi e così via. Di fronte al fatto che io mi sono rifiutato di fare un budget verosimile - in quanto mancava la «ciccia» - c'è stata questa lettera dell'ingegner Del Vecchio in seguito alle mie rimostranze circa la situazione finanziaria in cui Telekom-Serbia si trovava.
PRESIDENTE. Ricorda a quanto ammontavano questi debiti?
GIOVANNI GARAU. Vado veramente «a spanne», ma erano intorno agli 800 milioni di dinari. Se considerate che in quel momento tre dinari valevano un marco, siamo intorno ai 300 miliardi di lire. Erano debiti nei confronti della Siemens tedesca e della Alcatel francese per un programma che andava dal 1996 al 2002 per l'acquisizione di centrali che io definisco cattedrali nel deserto, perché erano in zone del paese dove mancavano la capienza ed il serbatoio degli eventuali clienti che ne giustificassero la presenza.
PRESIDENTE. Quindi, ovviamente, questo veniva caricato alla nostra responsabilità contabile.
GIOVANNI GARAU. Sì, nell'accordo era prevista l'acquisizione dei precedenti debiti relativi alle telecomunicazioni, quindi in questo caso l'acquisto di centrali, da parte della società che nasceva, e quindi Telekom-Serbia.
PRESIDENTE. Mi spiega una cosa, visto che lei è un tecnico dei numeri, mentre io uso il pallottoliere: una volta che c'è stata un'acquisizione di questo genere, non sarebbe stato più responsabile e prudente valutare quanti fossero i debiti, controllarli preventivamente e poi calarli nell'opportunità dell'operazione?
GIOVANNI GARAU. Sante parole, ma non le dica a me. Sono le stesse parole che io ho detto quando mi sono trovato, il 26 giugno, di fronte a certi numeri e a certe situazioni.
PRESIDENTE. La ringrazio per l'aureola che mi ha conferito, ma le devo fare un'altra domanda in merito. Per questo finanziamento di cui si parlava, ci fu poi l'effettiva erogazione?
GIOVANNI GARAU. Sì, ci fu un accordo fra i tre soci, PTT, Telecom Italia e OTE, per un finanziamento pro capite per aiutarci a superare il 1998.
PRESIDENTE. Quindi, questo accordo fu concluso diciamo per superare «l'effetto sorpresa».
GIOVANNI GARAU. No, si disse «superiamo il contingente», non l'effetto sorpresa.
PRESIDENTE. Sì, ma lei mi dice che è stata una sorpresa.
GIOVANNI GARAU. Sì, per il gestore sì.
PRESIDENTE. Ed io parlo del gestore.
GIOVANNI GARAU. Per chi aveva partecipato all'acquisizione non c'era nessuna sorpresa, perché era scritto quanti erano i debiti che dovevamo rilevare.
PRESIDENTE. Ma per lei gestore sì.
GIOVANNI GARAU. Per me era una sorpresa perché non sapevo come fare le previsioni per il 1998, avendo un problema di debiti. Infatti, una delle mie prime iniziative fu di andare a Monaco, anche se non era mia competenza, perché io non avevo competenza - cosa assurda - né sulla parte rete, quindi sulle centrali, né sulla parte acquisti, né sulla parte radiomobile; infatti, contestai a Telecom Italia questa organizzazione ridicola, essendo io fuori dalla responsabilità di quelle direzioni
chiave, per la gestione seria di una azienda. Nonostante questo, convinsi l'allora mio direttore generale, che poi non era altro che un parlamentare e quindi non sapeva nulla di telecomunicazioni...
GIOVANNI GARAU. L'ingegner Milos Nesovic, un parlamentare socialista serbo, il quale era una bravissima persona, era un rappresentante del partito che stava lì a dirigere a modo suo l'azienda. Lo convinsi ad andare a Monaco e litigai con la Siemens al punto tale che praticamente dovetti andare via, lasciare la riunione, in quanto io stavo mettendo in dubbio l'acquisizione dal 1996 al 2002 di una miriade di centrali che per noi non avevano alcun interesse produttivo.
GIOVANNI GARAU. Non mi chiami dottore, sono un infermiere semplice.
GIOVANNI GARAU. Sì, ho la maturità classica, non sono neanche laureato.
PRESIDENTE. Signor Garau, le chiedo allora: la situazione finanziaria che lei ha rappresentato, se fosse stata conosciuta prima della stipula del contratto, avrebbe a suo avviso, per la responsabilità che lei aveva, quindi non è un giudizio generico, modificato il business plan, e quindi il valore di Telekom-Serbia, e conseguentemente il prezzo della transazione?
GIOVANNI GARAU. Non sono esperto in queste cose, posso dare solo il mio parere personale, perché non ho mai fatto acquisizioni. Ripeto che nei miei 38 anni di azienda sono sempre stato un operativo, levati alcuni mesi in direzione generale, ma non mi sono mai occupato di queste cose. Indubbiamente, anche il motivo per cui, alla fine, improvvisamente, in tre giorni, sono stato scelto io per andare in Serbia in quanto avevo una fama di «bandito», è perché, probabilmente, al momento in cui si è presa in mano questa azienda, ci si è accorti che forse c'era stata un po' di fretta. Ma questa è una mia opinione personale, perché non sono un esperto di acquisizioni.
PRESIDENTE. Sì, ma la mia domanda è molto più semplice di quanto appare. Lei è un cittadino come tanti, come lo siamo tutti. Poniamo che ad un certo punto acquista una casa, senza fare una visura ipotecaria. Dopo l'acquisto scopre che questa casa è gravata da una serie di oneri, come debiti pregressi e così via. In condizioni di conoscenza, avrebbe acquistato per lo stesso prezzo quella casa?
GIOVANNI GARAU. Se fossi stato io, probabilmente no.
PRESIDENTE. Perché era denaro suo?
PRESIDENTE. Ecco, questo mi interessava. Le chiedo: nello stesso appunto di Del Vecchio di cui abbiamo parlato si afferma che l'audit post closing sul bilancio di scissione è «in ritardo mostruoso»; sia Arthur Andersen che Price Waterhouse sono «fuori tempo massimo». Ma rispetto a che cosa?
GIOVANNI GARAU. Rispetto ad alcune date che erano prestabilite in un incontro successivo alla data di acquisizione. Se ricordo bene, nell'accordo erano previste delle date entro le quali bisognava effettuare il post closing. Ricordo che ci furono delle difficoltà. Non abbiamo gestito noi, bensì gli azionisti, questa partita del post closing, ma ricordo che ci furono delle difficoltà in particolare del socio di maggioranza serbo su questo post closing.
PRESIDENTE. In un appunto del 12 marzo 1998 inviato a lei dal dottor Righi... Lei ricorda il dottor Righi?
GIOVANNI GARAU. Come no? Era un mio collaboratore. Era il responsabile della direzione internazionali.
PRESIDENTE. Io ho comunque il dovere di dirlo, perché può anche essere un cognome detto da noi per errore, quindi, nel caso, lei ci può correggere.
PRESIDENTE. Ebbene nell'appunto si dice che è stato un caso scoprire il problema del balkan pool. Di che cosa si tratta?
GIOVANNI GARAU. L'ingegner Righi era il responsabile della direzione internazionali. Un giorno, per caso, da una dichiarazione di una sua collaboratrice, venimmo a sapere che, senza averlo mai conosciuto (almeno noi italiani), era stato costituito da greci, rumeni, macedoni, serbi eccetera un pool cosiddetto balcanico che si stava occupando anche lui di telecomunicazioni e di traffico internazionale. Ma noi, a Belgrado, non avevamo saputo niente né dai serbi né dai greci, eppure, fra l'altro, Righi aveva come collaboratore un vicedirettore greco. Aggiungo che c'era una situazione anomala, simile in parte a quella che c'era qui 15 anni fa circa. A latere nostro c'era una specie di comitato ministeriale che si occupava dei problemi di traffico internazionale al di fuori della Serbia e noi non sapevamo nulla, perché questo comitato ministeriale non ci diceva alcunché. Anche questo ci ha messo in confusione.
PRESIDENTE. È chiaro. Con lettera del 5 marzo 1998 a lei inviata per conoscenza, l'ingegner Del Vecchio ha stigmatizzato il fatto che Nesovic, DG di Telekom-Serbia, abbia firmato solo il contratto commerciale con Ericsson, che sarebbe diventato il fornitore della telefonia mobile, e non anche le condizioni finanziarie, invitandola ad adempiere entro il giorno dopo. La domanda è: le risulta se Nesovic abbia poi adempiuto e che lavoro ha effettuato Ericsson con riferimento sia alla telefonia fissa sia a quella mobile?
GIOVANNI GARAU. Lei sta parlando del 1998?
GIOVANNI GARAU. Io non ero responsabile del radiomobile, ma c'era un collega italiano alle dirette dipendenze dell'ingegner Nesovic. Consideri che abbiamo cominciato a lavorare sul radiomobile alla fine del 1997. Inizialmente, la Ericsson con noi ha fatto esclusivamente lavori di piattaforma del radiomobile. La scelta cadde su Ericsson in quanto il nostro ingegner Cristofori, che era un esperto, era un uomo che proveniva dalla TIM ed era abituato a lavorare con la piattaforma Ericsson; quindi, la Ericsson è stata favorita come prima introduzione, come creazione della prima piattaforma radiomobile in Telekom-Serbia. Credo che la Ericsson abbia lavorato con noi verso la fine del 2000 anche per una centrale internazionale...
PRESIDENTE. Sì, questo non ci riguarda. Torniamo al bilancio del 1997, bilancio non certificato.
PRESIDENTE. Bilancio 1998. La società B Excel, che peraltro aveva partecipato alla due diligence ante contratto Telekom-Serbia, certifica il bilancio relativo al 1998.
PRESIDENTE. Allora le chiedo: quale è stata la posizione di tale società circa la mancata certificazione del bilancio relativo all'anno precedente? In particolare, ci può spiegare come è stato possibile certificare il bilancio del 1998 sulla base di un bilancio dell'anno precedente i cui dati non erano stati «garantiti», ma anzi inficiati di irregolarità?
GIOVANNI GARAU. C'è stato un accordo degli azionisti al di sopra di Telekom-Serbia.
PRESIDENTE. Quindi, c'è stato un accordo che si è tradotto in una specie di condono?
GIOVANNI GARAU. Approvato dal consiglio di amministrazione. Penso che sia così. Non ho partecipato a quella valutazione, in quanto noi, come comitato esecutivo, facemmo presente che non potevamo portare avanti un bilancio 1998 avendo il problema del 1997. Noi eravamo solo propositivi verso il consiglio di amministrazione, e il consiglio di amministrazione ha avocato a sé - né io né il direttore generale partecipavamo al consiglio di amministrazione -, e abbiamo saputo che il bilancio del 1998 era stato approvato.
PRESIDENTE. Lei ha conosciuto Drasko Petrovic, direttore generale di Telekom-Serbia?
GIOVANNI GARAU. L'ho conosciuto sì, è subentrato a me come direttore generale. Io ho retto Telekom-Serbia, dopo la caduta di Milosevic e l'esautorazione di Nesovic, per 51 giorni, come direttore generale, poi è subentrato Drasko, ed io sono tornato a fare il vicedirettore generale.
PRESIDENTE. Le risulta qualche tentativo di licenziamento del quale pare fosse rimasto vittima Petrovic, e per quali motivi?
GIOVANNI GARAU. Non so se si può chiamare licenziamento...
PRESIDENTE. Cessazione del rapporto? Chiamiamola così.
GIOVANNI GARAU. Io so che Petrovic era stato nominato, era stato imposto a Telekom-Serbia d'allora presidente della Federazione serba, cioè Kostunica, il quale dopo pochi mesi perse potere in Serbia, e il grande potere andò al primo ministro della Repubblica serba, che era Djincic. Costui non gradiva la presenza di Petrovic come direttore generale, e cercò di cambiarlo. Poi si misero d'accordo, e almeno fino a quando sono rimasto io, fino all'estate del 2001, Petrovic è rimasto. Non so se adesso sia ancora il direttore generale.
PRESIDENTE. Potrebbe farci capire i rapporti, se vi sono stati, tra la Telekom-Serbia e la Mobtel, altro gestore della telefonia mobile in Serbia?
GIOVANNI GARAU. Quando noi siamo arrivati esisteva già questo gestore di telefonia mobile, che era di una società depositata in Russia, da un punto di vista commerciale, ma era di proprietà dei fratelli Karic, dei grossi imprenditori serbi che avevano vari interessi in banche, nell'edilizia e così via.
PRESIDENTE. Erano indiani questi fratelli?
GIOVANNI GARAU. No, serbi, di Pec, del Kossovo. Io ho conosciuto tre di loro. Sono quattro fratelli ed avevano grossi interessi in Russia, in Canada, a Cuba, in Inghilterra.
PRESIDENTE. Ci sono stati affari tra Ericsson e Mobtel, che lei sappia?
GIOVANNI GARAU. Tra Ericsson e Mobtel? So che, prima di noi, Ericsson già aveva fatto la piattaforma Mobtel. Quando siamo arrivati in Serbia e abbiamo iniziato a lavorare anche noi come radiomobile, la piattaforma iniziale Mobtel era Ericsson.
PRESIDENTE. Che lei sappia, c'è o c'è stato un consorzio che si chiamava EMT, cioè Ericsson-Marconi-Tratos?
GIOVANNI GARAU. No, questo, veramente, è un nome che...
PRESIDENTE. Doveva partecipare a gare di appalto, ma non sappiamo che fine abbia fatto. Non ha notizie?
GIOVANNI GARAU. Conosco la Ericsson, conosco la Marconi, ma separate. Questo consorzio no.
PRESIDENTE. Lei conosce il dottor Gianni Vitali?
GIOVANNI GARAU. Sì, lo conosco.
PRESIDENTE. Quale attività svolse il Vitali nell'interesse di Telekom-Serbia?
GIOVANNI GARAU. Ho conosciuto Gianni Vitali a ottobre o novembre, dopo tre o quattro mesi che eravamo lì. Le ricordo che a settembre scendemmo a Roma, mettendo fra l'altro in evidenza un problema di deleghe, perché ancora non erano state assegnate le deleghe a me e ai miei direttori. Quindi, fu promosso un incontro fra i nostri massimi responsabili, gli esponenti del consiglio di amministrazione, l'ingegner Gerarduzzi e l'ingegner Cicchetti, con l'allora ministro Beko, cioè colui che aveva praticamente condotto l'accordo. In questo incontro mi fu presentato, si presentò, questo signore, questo conte (perché lo chiamavano conte), Gianni Vitali. Chiesi chi fosse e mi dissero che era un consulente di Telecom Italia.
PRESIDENTE. Lei ha saputo che è stato pagato per questa mediazione? Se lo ha saputo, in quali termini?
GIOVANNI GARAU. Mi è stato detto che ha partecipato sia al momento dell'acquisizione... e poi ripeto, me lo sono trovato presentato come consulente di Telecom Italia in questa trattativa che facemmo per il problema delle deleghe post accordo.
PRESIDENTE. Per le acquisizioni - in ragione della sua esperienza - Telecom pagava mediazioni?
GIOVANNI GARAU. La mia esperienza, come le ho detto, è zero sulle acquisizioni. Mi è sempre stato detto, però, che in certi territori era normale fare un discorso di mediazioni. Però la mia esperienza sulle acquisizioni è veramente zero.
PRESIDENTE. Ha conosciuto l'ambasciatore serbo presso la Santa Sede, Maslovaric?
GIOVANNI GARAU. È un altro personaggio che partecipava a questi incontri post accordo. Veniva presentato come consulente della PTT.
PRESIDENTE. Quindi aveva un doppio ruolo.
GIOVANNI GARAU. Era ambasciatore presso la Santa Sede, questo lo ricordo.
PRESIDENTE. E poi era consulente, perché il 14 dicembre partecipa ad una riunione con i vertici di Telekom-Serbia nella qualità di consulente.
GIOVANNI GARAU. Il 14 dicembre 1998?
GIOVANNI GARAU. Sì, c'ero anch'io, la mattina.
PRESIDENTE. Siamo dopo l'affare.
PRESIDENTE. E lui continua in questa sua attività.
GIOVANNI GARAU. Mi sono trovato lui e Gianni Vitali una mattina, a Roma, quando io ero presente con PTT e Telekom-Serbia. So che il pomeriggio andarono alla Ericsson, ma non ho partecipato a questo secondo incontro. Erano presenti Maslovaric e Gianni Vitali.
PRESIDENTE. Signor Garau, ora ho il non gradito, ma doveroso compito di farle delle domande particolarmente gravi. La invito, a questo punto, a meditare sulle risposte che sta per dare.
PRESIDENTE. Siamo in possesso di atti di indagine dai quali è emersa a suo carico la circostanza di una sovrafatturazione per l'acquisto di beni e servizi e infrastrutture funzionali alla modernizzazione degli impianti di Telekom-Serbia con successivo trasferimento ai destinatari dell'importo differenziale, con pagamento estero su estero su conti correnti cifrati.
GIOVANNI GARAU. Riferita a me?
PRESIDENTE. Certamente non a me.
GIOVANNI GARAU. Ma assolutamente, guardi, proprio non esiste nulla in tal senso.
PRESIDENTE. Lei ha conosciuto per motivi di lavoro l'ingegner Gerolamo Cristofori?
GIOVANNI GARAU. Come no, era il direttore del radiomobile quando io ero vicedirettore generale.
PRESIDENTE. Dagli stessi atti di indagine che le ho detto - perché, a seguito delle risposte che dà, abbiamo il dovere di investire chi di competenza per leggere funzionalmente queste carte - risulta che lei e Cristofori avete posto in essere attività illecite proprio in relazione alle operazioni sopraindicate di modernizzazione e di adeguamento delle infrastrutture di Telekom-Serbia. In particolare, dagli atti emerge che di tale attività illecita sarebbero a conoscenza anche tali Markovic Ana, segretaria di Cristofori... La ricorda?
PRESIDENTE. ...e Claudio Bordin.
GIOVANNI GARAU. Claudio Bordin lo ricordo perfettamente. È un veneto, mi pare. Ana... aveva tante segretarie che adesso non ricordo.
PRESIDENTE. Non ha importanza. Risulta pure che il Cristofori sarebbe stato allontanato dall'Italia proprio al fine di impedirgli di rivelare in Serbia i piani illeciti ai quali avrebbe partecipato. Sarebbe interessante sapere da lei qualcosa sul conto di Cristofori, per esempio perché fu allontanato, se lo sa.
GIOVANNI GARAU. A me non risulta... Intanto, quando Cristofori è venuto in Telekom-Serbia già era un pensionato. Lui è venuto perché acquisito da TIM come consulente. Gerolamo, infatti, aveva oltre sessant'anni ed era in pensione. È venuto acquisito da TIM come consulente ed inserito nella struttura del radiomobile come direttore. Conoscendo Cristofori da 30-35 anni (ero ragazzino quando sono entrato in azienda ed era già un signor ingegnere), posso dire che era ritenuto tra i migliori ingegneri di TIM: fu uno dei grandi fautori della rete TIM in Italia. È una persona serissima. Quanto lei sta dicendo non mi risulta assolutamente. Lei ha detto che è stato allontanato, ma a me non risulta che Cristofori sia mai stato allontanato da Telekom-Serbia. Io, come Cristofori, come l'ingegner Righi ed altri... venne Colaninno e ci disse che aveva concluso un accordo con l'ingegner Djincic, il primo ministro, e che ci sarebbe stato un ricambio graduale dei vertici italiani di Telekom-Serbia. L'ingegner Cristofori è andato via qualche giorno prima o qualche giorno dopo di me (forse dopo), ma non mi risulta assolutamente che sia stato allontanato da alcuno. Anzi, è talmente stimato che mi pare che dopo abbia continuato a lavorare - ma posso sbagliare, perché sono anni che non lo sento - in Turchia o addirittura in Brasile.
PRESIDENTE. In Brasile, lo sappiamo.
GIOVANNI GARAU. Ecco. Quindi, ciò che lei dice - allontanato, indagato - mi sembra molto strano, perché la società è sempre la stessa, la TIM, e continua ad avvalersi della sua collaborazione, che ritengono preziosa. Ricordo, anche se non
sono un ingegnere, che Cristofori era stimato come una delle persone più serie e tecnicamente più preparate.
PRESIDENTE. Dagli stessi atti emerge che la Ericsson Italia abbia presentato a TKS... Ricorda che vuol dire questa sigla?
GIOVANNI GARAU. TKS? Telekom-Serbia.
PRESIDENTE. ... un progetto senza esserne richiesta e che successivamente Telekom-Serbia abbia designato una commissione i cui lavori portarono alla conclusione che occorreva procedere ad una gara, all'esito della quale furono presentate altre offerte, con prezzi notevolmente inferiori rispetto a quelli praticati da Ericsson Italia, che alla fine la gara fu annullata proprio dal Garau - si dice questo - arresosi all'evidenza dei fatti.
GIOVANNI GARAU. Io non c'entro niente con il radiomobile, non mi sono mai occupato di radiomobile! Se si fa leggere quali erano le mie competenze, vedrà che non ho mai toccato un problema del radiomobile, in quanto le mie competenze erano su sette direzioni: personale ed organizzazione, amministrazione, finanza, budget e controllo, business, clienti privati e internazionali. Il radiomobile - ed è stato uno dei miei crucci - non è mai entrato nelle mie competenze. In alcune occasioni ho partecipato a delle riunioni preparatorie di alcune trattative della Ericsson, ripeto, al punto tale che il 14 dicembre 1998, quando ci fu il primo accordo vero del grande progetto Ericsson-Telekom-Serbia la mattina ci incontrammo a Roma, presso la sede Telecom, e il pomeriggio i serbi, i dirigenti di Ericsson, il signor ambasciatore e l'ingegner Vitali andarono presso la sede della Ericsson e fecero l'accordo. Ma io non avevo alcuna competenza per partecipare a queste trattative.
PRESIDENTE. Le do un elemento in più affinché possa rispondere più attrezzatamente. Risponde al vero la circostanza della richiesta, nel dicembre 2000, da parte di Telekom-Serbia, di una partita di cellulari indirizzata alla Ericsson Italia per il tramite proprio - si dice - di Garau e di Cristofori?
GIOVANNI GARAU. Mai firmata una richiesta del genere.
PRESIDENTE. Lei quindi non sa indicare il prezzo praticato in questa offerta, perché non se ne è mai occupato.
GIOVANNI GARAU. Non potevo occuparmene, ripeto...
GIOVANNI GARAU. No, scusi, ripeto: le mie deleghe non riguardavano il radiomobile né alcun tipo di acquisto. In più, il consiglio di amministrazione permetteva al vicedirettore generale di firmare contratti di sua competenza - clienti privati, business e internazionali - fino a un milione di marchi, e al direttore generale fino a 5 milioni di marchi. Tutto il resto - e qui parliamo di decine di milioni di marchi, il contratto Ericsson - era dopo l'approvazione del consiglio di amministrazione e solo il direttore generale, l'ingegner Nesovic, poteva firmare questi accordi. Quindi, non riesco a capire cosa possa essere accaduto nella testa della gente che Garau, ma anche lo stesso ingegner Cristofori, abbia potuto firmare o acquisire o fare ordini al di fuori delle proprie competenze.
PRESIDENTE. Lei conosce la località Surcinska, dove c'è un aerodromo?
GIOVANNI GARAU. No, mai stato. Aerodromo? Mai stato.
PRESIDENTE. Ha mai sentito parlare di un palo contraddistinto con la sigla BG17?
PRESIDENTE. È o è stato titolare o cointestatario di conti correnti accesi presso istituti di credito svizzeri, sui quali sono state accreditate le entrate non in clearing, con versamenti che sarebbero spettati alla Telecom Italia Spa?
GIOVANNI GARAU. Mi viene da ridere. Lei sta leggendo notizie che sono uscite sui giornali serbi...
PRESIDENTE. No, non sono i giornalisti serbi, questi. Non abbiamo la traduzione dei giornali serbi. Io le do qualche notizia in più, invitandola alla concentrazione e non alla ilarità.
PRESIDENTE. Nell'appunto che abbiamo noi - appunto di autorità istituzionale, non carta stampata in Serbia - si precisa che in Svizzera esistono due conti, di cui uno riferibile a Garau-Nesovic e l'altro a firma esclusiva di CYPTT, sul quale venivano accreditate le entrate non in clearing con versamenti di nostra competenza per 1,3 milioni di dollari. Ci può spiegare qualcosa?
GIOVANNI GARAU. Come no! Quando noi siamo subentrati, tra le varie cose di cui l'ingegner Righi, responsabile internazionale, si è accorto, è che in Svizzera, per il discorso che, come voi sapete, prima c'erano le sanzioni nei confronti della Jugoslavia, chi faceva il traffico internazionale depositava i soldi presso non ricordo quale banca svizzera, e su questa banca svizzera avevano accesso esclusivamente i responsabili della PTT e i responsabili di quell'ufficio ministeriale che le ho accennato prima e del quale non riesco a ricordare il nome (era una specie della nostra azienda di Stato). E c'erano le firme depositate di questi personaggi della PTT e di questi signori.
Se lei se la fa dare, c'è una pronuncia del consiglio d'amministrazione (non ricordo se del 1997 o del 1998, ma penso del 1998) in cui si dice che le firme presso questa banca, o queste banche, dovevano essere sì della PTT, ma anche di Telekom-Serbia, in quanto erano soldi che spettavano a Telekom-Serbia, perché PTT aveva finito la sua attività di telecomunicazioni il 9 giugno 1997 e, quindi, le persone autorizzate eventualmente per questi soldi erano l'ingegner Nesovic ed il vicedirettore generale.
Quindi, per cortesia, i signori che scrivono queste cose facciano i veri accertamenti. Né io né Nesovic, fra l'altro (lo ricordo bene), abbiamo mai toccato questi soldi, perché c'era un blocco e un contenzioso che è durato almeno fino al momento in cui io, fortunatamente, ho finito i miei quattro anni di tragedia in Telekom-Serbia e me ne sono andato a casa. Queste erano le firme depositate presso i conti: erano le firme di Garau e dell'ingegner Milos Nesovic, perché autorizzati dal consiglio d'amministrazione di Telekom-Serbia.
PRESIDENTE. Può aiutarmi lei, poiché non ci sono riuscito, ad interpretare la sigla CYPTT?
GIOVANNI GARAU. È quella che le dicevo. È l'ufficio che le dicevo.
PRESIDENTE. Ed erano conti cifrati?
GIOVANNI GARAU. Non mi risulta che fossero conti cifrati.
PRESIDENTE. A noi risulta che si trattava di conti cifrati.
GIOVANNI GARAU. Secondo me, è una balla grossa come una casa. Non erano assolutamente conti cifrati, perché c'era la disponibilità della firma del presidente della PTT, che era una donna, la signora Ludmilla... non ricordo il nome, del direttore
generale della PTT, che era Jokic, del direttore generale della Telekom-Serbia, Milos Nesovic, mio e di questi responsabili della PTT di cui non ricordo i nomi. Dunque, non c'era niente di cifrato.
PRESIDENTE. «Balla» a parte, questi atti dove erano depositati? La fonte può incorrere in inesattezze, ma non costruisce «balle».
GIOVANNI GARAU. Nel consiglio d'amministrazione, che ha deliberato queste firme, e nella direzione finanza di Telekom-Serbia, che aveva le competenze per accedere a questi conti. Ma, ripeto, a questi conti non si è potuto accedere perché per anni c'è stato un blocco, in particolare degli Stati Uniti, che erano i nostri maggiori debitori, perché c'era un problema di sanzioni. Quindi c'erano decine e decine di milioni di dollari fermi...
PRESIDENTE. E questi soldi congelati dove avrebbero dovuto trovarsi?
GIOVANNI GARAU. Fino al 9 giugno 1997 nelle casse della PTT. Dal 1997 in poi nelle casse di Telekom-Serbia, perché era traffico spettante a Telekom-Serbia, se svolto dal 9 giugno 1997 in poi.
PRESIDENTE. Quindi - mi rivolgo agli onorevoli commissari - oggetto della rogatoria che si farà in terra ex jugoslava sarà anche questo, perché è fondamentale apprendere quale sia stato il passaggio ulteriore di queste somme allora congelate.
Le faccio un'ultima domanda: in una nota di cui disponiamo, sono contenuti dei punti critici sull'affare Telekom-Serbia dopo l'acquisizione del 29 per cento delle azioni. È una nota trasmessa in data 12 marzo 1998, da Belgrado, da Claudio Righi ad Archimede Del Vecchio e per conoscenza a lei. In conclusione, il Righi ricordava ai destinatari della sua nota di far ribadire all'azionista di riferimento che l'acquisto del 29 per cento di Telekom-Serbia non era solo un contributo finanziario...
GIOVANNI GARAU. Quello che le ho detto prima. Noi abbiamo vissuto una tragedia, in quanto da parte dei serbi non ci volevano dare le deleghe; da parte dei greci, azienda statale, si era lì solamente per prendere quel poco sole che veniva a Belgrado. Noi eravamo andati lì con altre intenzioni: quelle di lavorare, di fare i manager e di portare avanti un'azienda. Abbiamo resistito, e io in particolare, nonostante minacce di morte e altre cose del genere. Abbiamo resistito fino a che abbiamo potuto, ma non potevo impedire ad un mio collaboratore, specialmente all'uomo degli internazionali, che si vedeva depauperato tutti giorni del traffico internazionale, di scrivere a chi di dovere che ci eravamo stancati di stare lì a prendere solo schiaffi, a lavorare dalle 8 di mattina alle 24 senza poter portare a casa nessun risultato. Io sono stanco, e per questo motivo sono andato via a settembre 2001 dalla Telecom, non da Telekom-Serbia, in quanto per quattro anni io e i miei allora 29 collaboratori abbiamo sopportato anche l'insopportabile. Io, personalmente, per evitare l'esproprio di Telekom-Serbia, sono rimasto sotto i missili e sotto le bombe per dieci giorni, fino a costringere le autorità serbe a scrivere che erano loro che mi mandavano via, ma non erano gli italiani... Io, perché i miei collaboratori li avevo mandati via due giorni prima che iniziasse la guerra, su avvisaglia dell'allora ambasciatore Sessa. Ma io sono rimasto lì fino a che non mi hanno cacciato e fino a che non hanno messo per iscritto che non ero io che abbandonavo Telekom-Serbia, ma era il ministro della difesa che mi espelleva, essendo un aggressore. E ho fatto 100 chilometri a piedi sotto i missili per uscire dalla Serbia, e ho impiegato due giorni per tornare a casa.
PRESIDENTE. In che data questo?
GIOVANNI GARAU. Il giorno 29 marzo del 1999. Perché per cinque giorni sono stato sotto i missili. Sono stato aggredito dai serbi, ma io andavo tutte le mattina in ufficio e a lavorare. Non ho accettato nessuna ingerenza ed io per primo, alla fine della guerra, facendomela in macchina da Roma a Belgrado, sono piombato a Belgrado per andare a capire cosa avevano fatto in quei tre mesi di guerra e cosa ci avevano rubato. E io per primo ho preso la macchina e sono andato in Kosovo, a noi espropriato, circondato da Kfor con il mitra, con gli albanesi che mi facevano segno di tagliarmi la gola.
PRESIDENTE. Certo, noi apprezziamo questo suo...
GIOVANNI GARAU. Lei non deve apprezzare, lei...
PRESIDENTE. Da italiano, l'apprezzo.
GIOVANNI GARAU. Lei deve solo sentire e riferire a chi di dovere che quando fanno le indagini, come lei ha detto, organi istituzionali...
PRESIDENTE. Mi scusi: si calmi. Posso capire la sua agitazione, ma non vada oltre, perché io non ho da riferire a nessuno se non alla mia Commissione, che ha sentito...
GIOVANNI GARAU. Lei ha parlato di indagini nei miei confronti.
PRESIDENTE. Indagini, è chiaro. Sappiamo quello che dobbiamo fare, non abbiamo bisogno di indicazioni da nessuno.
GIOVANNI GARAU. Le chiedo scusa.
PRESIDENTE. Le chiedo, allora: se, alla luce di quanto ha detto, lei ha preso schiaffi e umiliazioni, oltre ai rischi, noi questi schiaffi e questa umiliazione li abbiamo pagati quasi 900 miliardi.
GIOVANNI GARAU. Io ho avuto 900 miliardi?
PRESIDENTE. Non lei. Noi, Italia, li abbiamo pagati 900 miliardi.
GIOVANNI GARAU. Se posso esprimere un mio parere personale, le posso dire: non so se il valore, al momento dell'acquisizione, degli 878 miliardi fosse congruo o meno perché, ripeto, non sono un esperto di acquisizioni; però le posso dire che, se non fosse subentrato il problema Kosovo, e quindi l'esproprio del Kosovo - se lei si fa portare il business plan che avevo preparato nel 1998, che puntava in particolare sull'esplosione del Kosovo (consideri che il Kosovo aveva il 5 per cento di penetrazione telefonica ed era la regione più ricca di tutta la Serbia) -, noi in cinque anni avremmo portato quell'azienda ad una situazione che avrebbe giustificato, probabilmente, quel primo investimento da 900 milioni. Questa è una mia opinione personale, da gestore.
PRESIDENTE. Però, tutte le due diligence che abbiamo esaminato e i business plan dicono che la guerra aleggiava; quindi, non era un fenomeno imprevedibile.
GIOVANNI GARAU. Non so se per loro aleggiava. Per me si sono cominciati ad avvertire i problemi del Kosovo solamente nell'estate del 1998. Solo dopo un anno, perché sino al 1998, se veniva a Belgrado, poteva vedere che gli albanesi insieme ai serbi si erano divisi la città, vivevano tranquillamente insieme, non c'era quella sensazione di diatriba tra albanesi e serbi. Dopo è scoppiata; nell'estate è cominciato qualcosa.
PRESIDENTE. Ultima domanda: cosa intende lei per entrate non in clearing?
GIOVANNI GARAU. Entrate non in clearing? Sto pensando nel contesto di quale frase può essere messa l'entrata non in clearing. Il clearing è il rapporto fra due gestori internazionali: questo si chiama
clearing, cioè io chiamo dall'Italia all'Austria: dall'Italia fino al confine il guadagno è mio, dal confine dell'Austria fino a Vienna o a qualsiasi altra città è della società con la quale ho fatto il clearing.
PRESIDENTE. E non in clearing cosa vuol dire?
GIOVANNI GARAU. Non in clearing significa che sono delle telefonate al di fuori di accordi già fatti.
PRESIDENTE. Praticamente, accordi clandestini, diciamo.
GIOVANNI GARAU. No, non clandestini. Ad esempio, ultimamente sono stato in ferie in Egitto e in Egitto ci sono tre o quattro società di radiomobile, sorte con il boom del Mar Rosso: con alcune già c'è l'accordo con TIM di roaming e quindi di clearing, con altre non c'è questo accordo; nel momento in cui faccio una telefonata (non so se, stando all'estero, ha visto che all'improvviso cambia gestore) in un angolo del paese...
GIUSEPPE CONSOLO. Lei sta parlando del roaming, non del clearing.
GIOVANNI GARAU. Se mi fa finire di parlare, cerco di spiegare il roaming e il clearing. Dunque, se io con quella azienda non ho fatto ancora un contratto di roaming, in quel momento quella mia telefonata è un'entrata non in clearing, in quanto non ho potuto contabilizzarla non avendo nessun accordo con la nuova azienda. Quindi, secondo me, non sono entrate clandestine, ma sono entrate che non si è potuto contabilizzare al momento in cui sono state effettuate. Ma poi, siccome sono registrate...
PRESIDENTE. Possiamo dire: non verificabili?
GIOVANNI GARAU. No, sono verificabili dopo, perché vengono ugualmente registrate. In quel momento non rientrano nell'accordo, in quanto non c'è accordo con quella società; ma, dopo, si va al tavolo con quella società e ognuno ha le registrazioni fatte da questo o da quello.
PRESIDENTE. Per quanto mi riguarda, non ho altre domande da porre.
Intervenendo brevemente sull'ordine dei lavori, poiché dopo avere ascoltato il signor Garau dovremo procedere all'audizione dell'ingegner Cicchetti, che si presenta per la seconda volta, vorrei il vostro consenso, colleghi, a concludere intorno alle 15,30 l'audizione in corso - se fosse prima, ancor meglio -, ad introdurre o, come diciamo noi penalisti, incardinare quella dell'ingegner Cicchetti e, ove non fosse possibile completarla, rinviarne la conclusione alla seduta di mercoledì prossimo. Non essendovi obiezioni, possiamo procedere su questa linea.
Do la parola al senatore Consolo.
GIUSEPPE CONSOLO. La ringrazio, presidente. Signor Garau, ci sono alcune discrepanze nella sua deposizione, discrepanze che vorrei venissero chiarite. Preliminarmente, vorrei chiedere al presidente in quale qualità è stato sentito, se di dichiarante o di teste.
PRESIDENTE. In audizione libera.
GIUSEPPE CONSOLO. Dunque, lei ha dichiarato di essersi trovato di colpo a dover far fronte a «centinaia di miliardi di debiti non contabilizzati».
GIOVANNI GARAU. Non ho detto questo. Ho detto che mi sono trovato a far fronte ad un'azienda che aveva una cassa zero, in più aveva circa 800 milioni di dinari, pari, al cambio di allora, a circa 300 miliardi, di debiti. Quindi non ho parlato di contabilizzati.
GIUSEPPE CONSOLO. La domanda è questa. Inoltre, lei ha detto che vi erano gravissime carenze finanziarie e che non era in grado di preparare un budget perché non vi era «circa» in cassa. Ha parlato
di centrali «cattedrali nel deserto». Ha riassunto il tutto dicendo di aver trascorso quattro anni di tragedia...
GIOVANNI GARAU. Lavorativa, intendo.
GIUSEPPE CONSOLO. Sì, certo. Poi si è meravigliato quando il presidente le ha chiesto - domanda che avrei fatto anch'io e, credo, anche altri colleghi commissari - quali altri aspetti negativi abbia avuto questa operazione, oltre alla supervalutazione, ed ha risposto che non vi è stata supervalutazione. Mi sono permesso di ricordarle questi quattro punti della sua deposizione perché mi interessa particolarmente la sua opinione da intraneo - avendovi lei partecipato direttamente, gestendo come vicedirettore generale di Telekom-Serbia - su questa operazione.
GIOVANNI GARAU. Ho già detto qual è l'impressione che ho avuto di questa operazione. Ho detto che, essendo io un non esperto di acquisizioni, non so dichiarare se il valore di acquisizione era congruo o non era congruo. Il presidente mi ha detto che ci sono state varie verifiche e che non era congruo, ma non sta a me giudicare.
GIUSEPPE CONSOLO. Da 1.500 siamo passati ad 800 miliardi. Questi sono i risultati della Commissione.
GIOVANNI GARAU. Io stavo dicendo che, secondo la mia impressione, se non ci fosse stato il problema del Kosovo, così come eravamo riusciti nel 1998 a far partire il radiomobile, ad essere arrivati quasi alla pari dell'allora concorrente Mobtel, ad aver cominciato ad organizzare l'azienda in una certa maniera, probabilmente nell'arco di quattro o cinque anni questa azienda avrebbe potuto giustificare la spesa iniziale. Questo ho detto ma, ripeto, parlo da gestore, non da acquisitore, perché non sono un esperto di acquisizioni.
Per ciò che riguarda il discorso della carenza finanziaria, il mio problema era, a settembre del 1997, cosa inserire nel 1998, perché avendo io delle entrate prevedibili, nel 1998, dal traffico, dagli abbonati, eccetera, avevo, però, dei debiti da pagare a Siemens ed Alcatel. Quindi, se avessi dovuto pagare quei debiti, non avrei potuto mettere una lira di investimento per l'incremento di Telekom-Serbia. Ecco il motivo per cui sono andato a Roma ed ho chiesto: «Cosa debbo fare? Debbo pagare i debiti e stare fermo per un anno, nel 1998, o voi azionisti, Telecom e PTT, mi aiutate sul problema dei debiti, sul problema degli investimenti?». Tutto qua. Questo era il problema di crisi finanziaria: se pago i debiti, non posso investire.
GIUSEPPE CONSOLO. Il presidente correttamente le ha ricordato - lei ha preso cappello, come si suol dire, ma forse è stata una cattiva interpretazione - di conti svizzeri che erano stati sottoscritti - lei ha aggiunto «legittimamente», ma non è questo il problema - congiuntamente da lei e dal direttore di quella azienda... Nesovic, mi pare...
GIOVANNI GARAU. Non di «quell'azienda», di Telekom-Serbia.
GIUSEPPE CONSOLO. Io non discuto, adesso, del conto; però lei disse che per fortuna finì il suo rapporto e che del conto non sa più nulla. Lei ha firmato qualcosa prima di andare via, per consentire ai suoi successori di entrare in possesso di quelle somme, o non seppe proprio più niente del conto? Se due persone sono cointestatarie di uno stesso conto - lasciamo stare se legittimo o illegittimo, perché non è questo il problema - perché il successore di una delle due possa subentrare è necessario che questa firmi un atto. Lei fece qualcosa di questo tipo o no?
GIOVANNI GARAU. Non dovevo fare nulla, in quanto il conto non era intestato personalmente a Giovanni Garau. Il conto era intestato a Giovanni Garau in qualità di vicedirettore di Telekom-Serbia: avendo il consiglio d'amministrazione sostituito il signor Giovanni Garau con l'ingegner Daniele
Aceto quale vicedirettore generale di Telekom-Serbia, automaticamente io non potevo più usufruire di eventuali firme su quel conto. Quindi, sarebbe stato il consiglio amministrazione della direzione finanza ad aggiornare il titolare di quel conto, la banca non so quale sia, forse l'UBS, ma non ricordo...
GIUSEPPE CONSOLO. Ma la mia domanda è: lei firmò qualcosa...
GIOVANNI GARAU. Non dovevo firmare.
GIUSEPPE CONSOLO. Lasci stare se doveva.
GIOVANNI GARAU. Io ho consegnato ad Aceto...
GIUSEPPE CONSOLO. Presidente, vuole dire al dichiarante che non gli sto chiedendo se dovesse o no; gli sto chiedendo se, in fatto, ricordi di aver firmato qualcosa a favore dell'ingegner Aceto o no.
GIOVANNI GARAU. No, perché era il consiglio d'amministrazione che doveva dare le deleghe ad Aceto. Non ero io che dovevo firmare niente per Aceto.
GIUSEPPE CONSOLO. Chiedo, presidente, che venga sul punto sentito l'ingegner Aceto e spiego il motivo di tale richiesta: non esiste, per prassi bancaria, sia nazionale che internazionale, la sottoscrizione nella qualità. Mi spiego meglio: mi scusi se la cito nel mio esempio, ma se lei firma un conto quale presidente della Commissione Telekom-Serbia e poi rinuncia al mandato per andare ad occupare un'altra carica, lei nei confronti della banca terza dovrà sottoscrivere un pezzo di carta in cui si dice chi è il suo successore. Non è automatico. Nei confronti della banca il consiglio di amministrazione non ha alcun potere. Ecco perché le ho chiesto, signor Garau, se firmò qualcosa. Lei ricorda di non aver firmato.
PRESIDENTE. Registriamo questa sua richiesta, senatore Consolo, di audire l'ingegner Aceto. Personalmente, la considero opportuna; se poi vi saranno osservazioni contrarie, saranno esplicitate.
Prego, continui.
GIUSEPPE CONSOLO. Ultima domanda. Quando andò in Jugoslavia, quali istruzioni ricevette dai suoi danti causa, cioè dai suoi superiori gerarchici?
GIOVANNI GARAU. Le istruzioni che si ricevono quando si prende un nuovo incarico.
GIUSEPPE CONSOLO. Cioè: caro signor Garau, lei ora viene destinato in Jugoslavia a gestire, quale vicedirettore, Telekom-Serbia; dovrà fare questo, questo e quest'altro. Lei va lì e trova centinaia di miliardi di debiti, trova le cattedrali nel deserto, trova che gli uffici non c'erano, trova che il budget non poteva essere preparato. A questo punto, chiama il suo dante causa, oppure gli scrive, oppure va in Italia e, prima di passare quattro anni di tragedia, ovviamente lavorativa, gli chiede «cosa mi avete mandato a fare?» E quelli cosa le hanno risposto?
GIOVANNI GARAU. Mi pare di aver già detto che a settembre, appena avuti alcuni collaboratori italiani (quattro), ci siamo resi conto, abbiamo preparato una memoria ed ho chiesto un incontro ufficiale con la direzione internazionali - con la persona che state per ascoltare...
GIUSEPPE CONSOLO. Cioè Cicchetti?
GIOVANNI GARAU. Allora era il direttore degli internazionali. ... al quale abbiamo esposto la situazione che avevamo trovato. Erano presenti l'ingegner Cicchetti e tutti suoi collaboratori.
GIUSEPPE CONSOLO. E loro cosa le dissero?
GIOVANNI GARAU. Mi dissero come affrontare certi argomenti.
GIOVANNI GARAU. Di andare avanti ugualmente. Man mano avremmo visto se c'era la possibilità di fare un finanziamento... I discorsi che si fanno. Io ho chiesto in quell'occasione che tipo di risorse, dal punto di vista delle persone, mi sarebbero state date... I discorsi che si fanno normalmente quando si deve affrontare una situazione. Ma anche l'ingegner Cicchetti, se ricordo bene, non era a conoscenza di tante cose, perché neanche lui aveva partecipato alla acquisizione...
GIUSEPPE CONSOLO. Presidente, chiedo rimanga a verbale che non sono soddisfatto di questa risposta, probabilmente perché non riesco a porre correttamente la domanda. Ma siccome il signor Garau è un dichiarante e non un testimone, allo stato non posso fare di più.
In conclusione, però, desidero sapere (se posso avere la risposta) perché lei sia rimasto, perché, giustamente dal suo punto di vista, dovette ricorrere all'espediente di farsi cacciare, di farsi mandare via come persona indesiderata. Non sarebbe stato logico che i suoi danti causa l'avessero richiamato immediatamente in patria, visto che tutti sapevano - prova ne sia che vi era un rischio guerra elevatissimo in quella zona - che da un giorno all'altro sarebbe scoppiata la guerra? Perché dovette andare a chiedere agli altri di espellerla? Non era più logico che, come sono tornati in Italia i suoi 29 collaboratori, tornasse anche lei?
GIOVANNI GARAU. Ma cosa sta dicendo? Scusate, io non ho detto questo.
PRESIDENTE. Si fermi. La domanda è improponibile perché, in effetti, il dichiarante ha detto cosa diversa.
GIOVANNI GARAU. Io ho detto una cosa diversa. Io ho detto...
GIOVANNI GARAU. Mi scusi, ma...
PRESIDENTE. Lo dirigo io il dibattito.
GIOVANNI GARAU. Dirige lei dibattito, ma io vorrei rispondere ad una domanda...
PRESIDENTE. Lei ha già risposto. E se ha già risposto, questo è a suo favore, vuol dire che ha chiarito.
GIOVANNI GARAU. Oltre ad aver fatto il mazzo ti devi sentir dire certe battute spiritose!
PRESIDENTE. Intanto, usi un tono diverso, perché qui non siamo né allo stadio né in altri luoghi assimilabili.
GIOVANNI GARAU. Neanche io sono abituato ad essere trattato in questa maniera.
PRESIDENTE. Lei è stato trattato come tutti gli altri, da commissari che vogliono sapere e conoscere. E lei, per essere al centro della questione, è l'unico che può dichiarare.
GIOVANNI GARAU. Mi faccia rispondere, allora.
PRESIDENTE. Se tanto ci tiene, risponda.
GIOVANNI GARAU. Io ho dichiarato che il venerdì prima che scoppiasse la guerra ho ricevuto una telefonata del dottor Sessa, allora ambasciatore italiano, il quale mi ha detto, siccome già c'erano stati due allarmi (se lei si ricorda, Rambouillet ha avuto più fasi e già in due occasioni si era temuto un attacco): «Gianni, attenzione, questa volta è la verità». Noi eravamo circa trenta italiani e ci organizzavamo che, ogni quindici giorni, quindici tornavano a casa e quindici rimanevano; quindici erano già partiti, perché l'Alitalia aveva l'aereo il venerdì. Il dottor Sessa mi ha avvisato che arrivava un aereo dell'Alitalia più grande perché faceva partire i familiari dei suoi addetti all'ambasciata (come voi sapete, l'ambasciata italiana è rimasta aperta per tutta la
guerra); allora io ho convocato nella notte tutti i collaboratori e gli ho detto «partite». Il lunedì sono andato in ufficio ed ho saputo che anche i greci che dipendevano da me, senza dirmi nulla, erano già scappati. I serbi, che avevano un servizio di sicurezza ben organizzato, mi hanno fatto trovare una bella lettera con cui espropriavano Telecom Italia e OTE in quanto avevano abbandonato il posto di lavoro; allora io ho preso questa lettera, sono andato dal direttore generale e gli ho detto «Guarda che Telecom Italia è presente, è nell'ufficio a fianco a te. Da questo momento io continuo a presidiare le mie direzioni». Ho continuato per cinque giorni, fino a che sono stati costretti a far dichiarare al ministro della difesa che, essendo appartenente ad una nazione belligerante, non potevo reggere il ruolo di vicedirettore generale delle telecomunicazioni. Gli ho detto: «Allora lo mettete per iscritto. Scrivete a OTE e a Telecom Italia che non è esproprio». Allora ho preso, ho chiesto all'ambasciatore...
GIUSEPPE CONSOLO. In tutto questo, i suoi danti causa che istruzioni le davano?
PRESIDENTE. Non credo che questo sia risolutivo.
GIOVANNI GARAU. Ho avvisato...
PRESIDENTE. Mi scusi, signor Garau: lei ha ripetuto esattamente la risposta che aveva dato. Io volevo risparmiare questa ripetizione. Lei sgarbatamente non lo ha colto: è un problema suo. Continui a ripetere per conto suo.
È iscritto a parlare l'onorevole Vito.
GIOVANNI GARAU. Ah! È lei quello che ha detto che io stavo in Brasile. Mi ha detto un mio collega che lei ha detto...
PRESIDENTE. Lasci perdere. Lei è qui non per chiedere, ma per rispondere all'onorevole Vito.
Onorevole Vito, poiché lei è a conoscenza del contingentamento che ci siamo imposti, la invito a lasciare un buon ricordo di sé, alla vigilia della trasferta che stiamo per intraprendere...
ALFREDO VITO. Signor Garau, ci può dire nel periodo in cui lei è stato vicedirettore, dal 1997 al 2001...
ALFREDO VITO. ... rientri o non rientri nelle sue competenze, quale sia stato l'ammontare degli appalti, delle forniture che Telekom-Serbia ha dato alla Ericsson o ad altre ditte italiane che hanno lavorato con voi?
GIOVANNI GARAU. È difficile parlare di cifre. Intanto, altre ditte italiane oltre all'Ericsson io non le ricordo.
ALFREDO VITO. Quindi, solo la Ericsson ha lavorato per voi.
GIOVANNI GARAU. Non credo per la rete ditte italiane. Per la telefonia pubblica, che era di mia competenza, mentre la rete no, c'era una ditta greca. Per gli internazionali nel 2000 è subentrata la Ericsson. Non mi sembra... aziende italiane, almeno nella mia gestione... ripeto: non ero io che facevo acquisti...
ALFREDO VITO. Lei ha fatto riferimento ad un incontro avvenuto nel pomeriggio del 14 dicembre 1998 tra Maslovaric e Vitali, che dopo andarono in Ericsson.
GIOVANNI GARAU. Non solo Maslovaric e Vitali, ma PTT e Telekom-Serbia rappresentata dal suo direttore generale.
ALFREDO VITO. La Ericsson - ci interessa sapere - che contratto ha avuto?
GIOVANNI GARAU. Ha avuto il contratto di base della creazione della piattaforma tecnologica per il servizio radiomobile.
ALFREDO VITO. Di che importo era questo contratto?
GIOVANNI GARAU. Mi pare - però se lo faccia portare, perché non ricordo- che l'iniziale era intorno ai 60 milioni di marchi, però questo è un contratto che sarà arrivato minimo, nei vari aggiustamenti, stazioni di base, eccetera, intorno ai 200 milioni di marchi. Però posso dire una cifra che veramente...
ALFREDO VITO. Quindi, grosso modo, 200 miliardi delle vecchie lire.
GIOVANNI GARAU. Minimo, penso.
ALFREDO VITO. E di questo se ne è interessato l'ingegner Cristofori.
GIOVANNI GARAU. Se ne è interessato come proposta tecnologica. Ma se ne è interessato il consiglio d'amministrazione, perché tutto ciò che era...
GIOVANNI GARAU. Come proposta di piattaforma, sì, la direzione radiomobile.
ALFREDO VITO. Era dell'ingegner Cristoforori.
ALFREDO VITO. Con quali interlocutori della Ericsson l'ingegner Cristofori ha trattato?
GIOVANNI GARAU. Beh, la Ericsson ai tempi miei ha cambiato più volte. Ad un certo punto c'era Maurizio Tucci. Poi c'era un signore... Ce n'erano diversi. C'era un signore romano...
ALFREDO VITO. Per caso, Massimo Gentili?
GIOVANNI GARAU. Gentili, bravo. Poi c'era una signora, che faceva la parte economica. Però, ripeto, io non ho avuto contatti continui con l'Ericsson.
PRESIDENTE. Non può dire quello che non ricorda o non sa.
GIOVANNI GARAU. Io conosco Maurizio Tucci perché suo padre è stato un mio direttore generale quando io ero ragazzo in SIP. Ecco perché ci conosciamo personalmente, è venuto a trovarmi, eccetera eccetera. Ma non ho avuto rapporti lavorativi con questa gente. Mi ricordo Gentili, lui sì, e una signora di cui, però, non ricordo il nome.
ALFREDO VITO. Quando lei ha detto che nel pomeriggio del 14 dicembre 1998 Maslovaric e Vitali... Poi, non si capisce bene perché Vitali, il quale ha fatto opera di mediazione regolarmente pagata fino al giugno 1997, è stato successivamente, per circa sei-sette mesi, ancora consulente regolarmente remunerato, come risulta dagli atti...
GIOVANNI GARAU. A me è stato presentato nel novembre 1997.
ALFREDO VITO. Però al 14 dicembre 1998 non risultano rapporti remunerati di Vitali. Comunque, Vitali e Maslovaric sono andati alla Ericsson...
GIOVANNI GARAU. Forse, in quel momento era consulente Ericsson.
ALFREDO VITO. Potevano essere consulenti Ericsson, quindi.
GIOVANNI GARAU. Non lo so. Io le dico che quando ho conosciuto Vitali, nel 1997, mi è stato presentato dai miei superiori come consulente Telecom Italia. Poi, l'ho rivisto in questa tavola, dove abbiamo parlato di altri problemi, e so che nel pomeriggio ci doveva essere un incontro PTT-Telekom-Serbia-Ericsson presso la loro sede sull'Anagnina, dove mi hanno detto che erano presenti questi due signori. Però non so in quale veste.
ALFREDO VITO. Chi andò per Telekom-Serbia a questo incontro?
GIOVANNI GARAU. Per Telekom-Serbia il direttore generale: era sua competenza. Non c'era neanche l'ingegner Cristofori.
ALFREDO VITO. Quindi il direttore Milos Nesovic.
Un'ultima domanda. Il dottore Lardera, della UBS, che lei non ha conosciuto, nel corso della sua audizione ci ha detto che il pagamento dell'importo al governo jugoslavo da parte di Telecom Italia della partecipazione fu effettuato su una banca greca, filiale di una banca cipriota, e che ci furono più tranche. Una prima tranche fu effettuata subito: disse in contanti, tanto è vero che noi chiedemmo se in soldi, e ci rispose di no, con accrediti eccetera. Successivamente, sono state pagate altre tranche. Per quanto riguarda la valutazione del prezzo, il dottor Lardera disse che poteva anche essere considerato congruo, qualora nel contratto fosse inserita qualche clausola che rivedesse il prezzo al verificarsi di certi effetti (ricognizione dei debiti, stato della rete e via dicendo). Atteso che lei andò il giorno dopo a Belgrado come vicedirettore e che subito notò questo buco nei debiti, le stazioni, le situazioni eccetera, e che si fece promotore di comunicarlo al suo azionista, nonostante tutto questo furono pagate la seconda e la terza tranche da parte di Telecom Italia? Lei ne è al corrente?
GIOVANNI GARAU. No, non ne sono al corrente perché non sono tenuto ad esserlo - erano rapporti tra Telecom Italia e PTT -; però penso di sì, perché non ho mai saputo che eravamo debitori nei confronti di PTT.
ALFREDO VITO. Ma lei era lì non in veste di componente del consiglio d'amministrazione, perché non ne faceva parte, ma in veste di vicedirettore generale, quindi numero uno italiano.
ALFREDO VITO. Lei, che qui ci ha dimostrato di avere amor di patria...
GIOVANNI GARAU. È l'unica cosa che ho.
ALFREDO VITO. Perfetto. Dunque, lei rileva che man mano, ogni giorno, si verificano fatti sempre negativi: le stazioni, le linee che non esistono...
GIOVANNI GARAU. Negativi per le gestore.
ALFREDO VITO. Perfettamente. Scrive queste cose a Telecom Italia...
ALFREDO VITO. Sa - presumo che sapesse - che nel contratto c'era scritto che il secondo e il terzo pagamento sarebbero avvenuti successivamente. Lei che battaglia ha fatto? Ne ha parlato con qualcuno? All'amministratore che le aveva detto «Vai a fare il vicedirettore lì. Questa è un'operazione importante. Abbiamo pagato molti soldi», lei ha fatto presente questa situazione?
GIOVANNI GARAU. Non all'amministratore, perché io dipendevo dal direttore degli internazionali.
ALFREDO VITO. Al direttore degli internazionali lo ha fatto presente?
GIOVANNI GARAU. Io e i miei collaboratori abbiamo fatto presente quali erano le difficoltà gestionali che avevamo trovato e stavamo trovando nell'affrontare il futuro...
ALFREDO VITO. Chi era il direttore degli internazionali?
GIOVANNI GARAU. L'ingegner Oscare Cicchetti.
PRESIDENTE. La parola al senatore Lauria.
MICHELE LAURIA. Prima di rivolgere le mie domande al signor Garau, le chiedo, presidente, una conferma riguardo all'ordine dei nostri lavori. Se ho ben compreso, al termine di questa audizione ascolteremo l'ingegner Cicchetti e, nel caso in cui non fosse possibile concludere in giornata anche tale seconda audizione, potremo proseguire nel corso di una prossima seduta.
MICHELE LAURIA. Signor Garau, la Commissione, per la verità, non ha infierito ed i colleghi le hanno rivolto le domande che dovevano rivolgerle, sulla scorta di alcuni avvenimenti...
GIOVANNI GARAU. Mi aspettavo qualcosa di diverso.
GIOVANNI GARAU. Non posso esprimere la mia opinione?
PRESIDENTE. Sì, certo. Siamo esigenti, l'ho detto io.
MICHELE LAURIA. Anche perché alcuni aspetti riguardano date successive all'acquisizione di Telekom-Serbia, le cui modalità sono quelle che maggiormente ci interessano. Io, quindi, le faccio una sola domanda: a parte le difficoltà gestionali notevoli, alle quali lei ha fatto ampiamente cenno, mi pare di aver capito che, potenzialmente, se le vicende non fossero andate così come andarono, per fatti internazionali e bellici, la nuova società, sia per l'ampliamento della rete fissa, sia per il decollo del radiomobile, avrebbe potuto costituire un affare non in perdita. Ho capito bene?
GIOVANNI GARAU. Nei tempi lunghi, assolutamente. Così come noi siamo stati abituati - almeno nei miei 38 anni di attività -, quando si fa gestione si sa che l'investimento può arrivare a tempi brevi o a tempi lunghi.
MICHELE LAURIA. Questa è l'unica domanda che intendevo formulare, presidente.
PRESIDENTE. La parola al senatore Eufemi.
MAURIZIO EUFEMI. Preliminarmente, presidente, chiederei che il verbale dell'odierna audizione, alla luce delle discrepanze che abbiamo registrato tra documenti in nostro possesso, domande da lei poste e risposte fornite dall'audito, sia trasmesso all'autorità giudiziaria competente di Roma e di Torino, nello spirito di collaborazione che abbiamo con questi due organi. Infatti, sulla questione del conto cifrato credo che debba essere compiuta una verifica.
PRESIDENTE. Le rispondo subito che per prassi, che lei conosce, non appena disporremo del verbale dell'audizione torneremo a discutere di questo. Si tratta, infatti, di una decisione che intendo assumere in sede di Commissione plenaria, per le eventuali iniziative da intraprendere.
MAURIZIO EUFEMI. Signor Garau, lei poco fa ha detto di essere stato chiamato, di essere stato informato che sarebbe dovuto partire e di aver dovuto assumere una decisione in tempi rapidi. Chi l'ha chiamata?
GIOVANNI GARAU. Sono stato chiamato prima da un dirigente del personale organizzazione...
MAURIZIO EUFEMI. Ci deve dire il nome, poiché abbiamo bisogno di identificare le persone.
GIOVANNI GARAU. Il primo che mi ha convocato a Roma è stato il dottor Tedeschi.
MAURIZIO EUFEMI. Il nome di battesimo?
GIOVANNI GARAU. Non ricordo... Mi pare Giovanni, come me, però non sono sicuro.
MAURIZIO EUFEMI. Quale incarico aveva?
GIOVANNI GARAU. Era un dirigente che si occupava dei rapporti con i dirigenti.
MAURIZIO EUFEMI. E si trattava di una sua decisione?
GIOVANNI GARAU. No, aveva avuto mandato dal direttore del personale organizzazione, dottor Attolini, di comunicarmi che l'azienda mi proponeva di andare lì. Io ho risposto no. Poi mi ha chiamato il mio diretto superiore, che allora era l'ingegner Massimo Sarmi, direttore generale della direzione clienti privati, al quale io ho risposto no. Poi mi ha chiamato il capo del personale, il signor Attolini, gliel'ho detto, al quale io ho risposto no. Poi, la sera, sul cellulare, mi ha chiamato l'ingegner Cicchetti, che allora era un assistente del dottor Tommasi, e mi ha detto che il dottor Tommasi mi voleva parlare. Mi ha passato il dottor Tommasi e al dottor Tommasi io ho detto «dammi una settimana di tempo». Lui mi ha risposto «no, hai due giorni, perché giovedì mattina hai l'aereo». E ho detto «OK».
MAURIZIO EUFEMI. Quindi la decisione, sostanzialmente, è stata di Tommasi.
GIOVANNI GARAU. Tutto questo è successo di martedì. La decisione era stata presa il sabato dal dottor Tommasi e cinque direttori generali, ai quali era stato sottoposto un certo numero di nomi, tra i quali il dottor Tommasi aveva scelto me.
MAURIZIO EUFEMI. Lei ha detto che il giovedì doveva partire perché c'era l'aereo per Belgrado.
GIOVANNI GARAU. C'era un aereo privato, perché quel giorno era insediato il consiglio d'amministrazione per la nomina del direttore generale e del vicedirettore generale.
GIUSEPPE CONSOLO. Presidente, ha parlato di un aereo privato.
PRESIDENTE. La ringrazio per avermelo sottolineato. Ricorda di quale compagnia fosse?
GIOVANNI GARAU. No. Era un aereo da cinque posti: eravamo io, i due consiglieri d'amministrazione, ingegner Gerarduzzi e ingegner Cicchetti, la responsabile legale, che era la dottoressa Petralia, e un'altra persona che non ricordo.
PRESIDENTE. Non ricorda di quale compagnia aerea si trattasse?
MAURIZIO EUFEMI. Da dove siete partiti?
GIOVANNI GARAU. Da Ciampino, da dove partono tutti gli aerei.
PRESIDENTE. Gli aerei non di linea partono da lì: è noto.
GIUSEPPE CONSOLO. Poi, quando chiediamo, gli aerei non ci sono più.
PRESIDENTE. Non ci sono mai stati, sono aerei fantasma questi...! Ma lei non c'entra niente, signor Garau. Sono «fantasma» per definizione.
MAURIZIO EUFEMI. Lei è un esperto di personale, ci ha detto poco fa che dirigeva l'area Campania-Lucania...
GIOVANNI GARAU. In Campania io ero direttore regionale, facevo tutto.
MAURIZIO EUFEMI. Direttore regionale, appunto. Si è posto la domanda come mai fosse stato chiamato a questo incarico?
PRESIDENTE. L'ha detto già, perché era un «bandito».
GIOVANNI GARAU. Perché la Serbia aveva circa due milioni di abbonati e direttori che fossero in grado di gestire due milioni di abbonati eravamo in tre: io, il direttore regionale del Lazio, che aveva circa due milioni di abbonati, e il direttore regionale della Lombardia, cioè le tre più grosse regioni d'Italia. Io ero il più «bandito» e hanno scelto me.
PRESIDENTE. Mi scusi, al fine di interpretare lessicalmente meglio, cosa vuol dire che era il più «bandito»?
GIOVANNI GARAU. Ero l'uomo che quando c'è stato da ristrutturare la SIP, nel 1983, è stato mandato allo sbaraglio in Sicilia, contro la mafia...
PRESIDENTE. Kamikaze, insomma.
GIOVANNI GARAU. Sì. Quando c'è stato da sistemare i problemi della Campania-Basilicata, sono stato mandato lì. Quando c'è stato il problema delle brigate rosse, a Roma, negli anni '80, sono stato messo in contatto con la DIGOS ed ero io ad andare ad arrestare, insieme alla DIGOS, i dipendenti presunti terroristi. Se vuole, posso continuare.
PRESIDENTE. No, no. Aveva un'altra assicurazione, spero.
GIOVANNI GARAU. No, non avevo alcuna assicurazione, ma siccome sono figlio di un poliziotto ho sempre creduto in certe cose.
MAURIZIO EUFEMI. Poco fa, lei ha parlato di essersi trovato in una situazione che era una tragedia.
GIOVANNI GARAU. Dal punto di vista lavorativo, sì. Non ha dato grandi soddisfazioni.
MAURIZIO EUFEMI. Volevo riferirmi ad altre questioni, cioè: consolidamento dei debiti, 13.500 persone non licenziabili, praticamente una serie di difficoltà. Lei ha detto anche di aver presentato una memoria ai suoi superiori.
GIOVANNI GARAU. Abbiamo preparato una memoria e ci siamo recati a Roma, nel settembre 1997, per esporre le varie problematiche.
MAURIZIO EUFEMI. Di questa memoria lei ha copia? L'ha conservata?
GIOVANNI GARAU. No. Fin dal 1999 avevo chiesto di andare in pensione perché avevo raggiunto i trentacinque anni di servizio; mi è stato chiesto di stare un anno e poi un altro anno; a gennaio ho chiesto di andare in pensione e ho concordato la mia uscita. All'uscita si sottoscrive che non si può prendere neanche un foglio, che non si può fare alcuna dichiarazione né rilasciare interviste, solo se si è convocati dall'autorità giudiziaria o...
MAURIZIO EUFEMI. Ho posto la domanda per capire se la memoria era recuperabile. È possibile averla alla fonte?
GIOVANNI GARAU. Alla fonte ve la daranno; si trattava di una scaletta che ho esposto ai miei superiori.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Zanotti.
KATIA ZANOTTI. Vorrei una precisazione sul termine «bandito», da lei utilizzato.
GIOVANNI GARAU. Ovviamente, bandito va tra virgolette, non vorrei essere collegato ai conti cifrati in Svizzera!
KATIA ZANOTTI. Questo è chiarissimo. Nonostante questo termine, quali erano i suoi rapporti con i serbi e, in particolare, con il direttore Petrovic?
GIOVANNI GARAU. Petrovic è l'ultimo; per anni ho avuto rapporti con Nesovic, il quale si occupava esclusivamente di politica, essendo parlamentare del partito socialista, e per tutto ciò che riguardava fatti tecnici aveva la bontà di chiedermi un parere. Aveva però un problema: qualsiasi decisione riguardante la nomina di taluni personaggi, l'acquisizione di un'impresa serba anziché di un altro Stato, doveva interessare il Governo, che decideva, perché lui era un semplice dipendente. Sotto il profilo dell'educazione e dei rapporti è stato una persona squisita.
Petrovic era un ragazzo di trentatré anni che faceva l'assistente all'università; suo fratello era un uomo di fiducia di Kostunica e quando dovettero decidere la mia sostituzione - dato che per 51 giorni ho retto Telekom-Serbia - hanno scelto lui, che era molto intelligente ma totalmente inesperto. In più, doveva andare da Ponzio a Pilato, perché essendo stato scelto politicamente era costretto, nonostante i miei pareri, a sentire il parere del fratello, di Kostunica o di altri personaggi subentrati a Milosevic per assumere determinate decisioni. Il rapporto con Petrovic è durato dal febbraio al maggio 2001.
Con Nesovic il rapporto è durato 3 anni e mezzo; più volte mi ha aiutato in momenti molto brutti, specie quando ho ricevuto minacce di morte, stando sempre al mio fianco.
KATIA ZANOTTI. Quindi, le condizioni per una collaborazione con i serbi esistevano?
GIOVANNI GARAU. Sì, con i serbi sani.
PRESIDENTE. Ringrazio il signor Garau, i colleghi intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
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