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Seduta del 10/3/2005


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Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trieste, Nicola Maria Pace.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trieste, Nicola Maria Pace. L'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha concordato sull'opportunità che la Commissione proceda nell'odierna seduta all'audizione del dottor Nicola Maria Pace, al fine di poter acquisire elementi informativi, per quanto di sua competenza, sugli aspetti nazionali ed internazionali del traffico dello smaltimento illecito di rifiuti pericolosi e speciali, mediante l'impiego delle cosiddette «navi dei veleni».
Ricordo che la Commissione ha già ascoltato il dottor Pace nel corso della missione svoltasi in Friuli-Venezia Giulia, nel novembre 2002.
Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento al dottor Nicola Maria Pace per la disponibilità manifestata, gli do la parola, riservando eventuali domande dei colleghi della Commissione in esito alla sua relazione.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trieste. Signor presidente, devo avvertire la Commissione che esistono due fattori che possono appannare sia i ricordi sia la completezza dei miei riferimenti.
Il primo fattore è il tempo, visto che sono passati circa dieci anni dai fatti sui quali ho svolto le indagini. Per quanto tali indagini siano state condotte con grande attenzione e senso di responsabilità e nonostante sia dotato di una discreta memoria, qualche dettaglio potrà sfuggirmi.
È da considerare che si trattava di indagini riguardanti l'ipotesi di smaltimento in mare di rifiuti radioattivi, in cui ho svolto accertamenti, coordinandomi ed essendo in collegamento investigativo con la procura di Reggio Calabria, per cui non ero direttamente responsabile delle indagini.
All'epoca mi occupavo, con un'indagine che durava da anni, di centri italiani di riprocessamento del combustibile nucleare, in particolare di quello di Rotondella, in provincia di Matera.
Ho già riferito in merito a tali indagini e desidererei indicare alla Commissione di occuparsi ancora del problema, in quanto la situazione di pericolo individuata non solo permane ma potrebbe aggravarsi, in rapporto soprattutto alla giacenza di rifiuti radioattivi liquidi ad alta attività dentro contenitori che già all'epoca avevano esaurito il tempo massimo previsto in progetto.
Se tali rifiuti non sono stati solidificati come prevedono la scienza e gli stessi regolamenti tecnici dell'ENEA, in particolare secondo la guida tecnica numero 26,


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in cui si stabilisce che i rifiuti devono essere solidificati mediante vetrificazione o ceramizzazione, ovviamente, la situazione, già valutata in termini di gravissimo rischio all'epoca, è destinata a peggiorare.
Venendo al tema dell'audizione, ricordo che il DODOS era un progetto di smaltimento di deposito in mare di rifiuti radioattivi, da riconvertire in progetto ODM, come fu fatto da Giorgio Comerio, e quindi dando luogo all'ipotesi investigativa che ha portato nel corso delle indagini ad individuare una serie di elementi indizianti circa l'affondamento preordinato di navi nel Mediterraneo.
È necessario però fare un passo indietro e parlare di tecnologia di fissione nucleare, che nasce negli Stati Uniti, in cui si individua il modo di scindere l'atomo di uranio per ricavare energia con un minimo dispendio di massa. Con una piccola dose di combustibile, perciò, si ricavano grandi quantità di energie ma fin da subito si capisce che le conoscenze dell'epoca non permettevano di individuare un sistema di smaltimento dei rifiuti.
Allora, si decise di incassare i vantaggi della tecnologia, un'idea che rappresentava il sogno americano di Eisenhower rappresentato dal famoso slogan «Atomi per la pace» (forse un modo di «lavarsi l'anima» dopo Hiroshima e Nagasaki). Indubbiamente, si individuò una tecnologia estremamente vantaggiosa; tuttavia, si disse di rimandare il problema dello smaltimento dei rifiuti alle future acquisizioni scientifiche: sarà in seguito la scienza che dirà come dovremo smaltire la coda del ciclo produttivo. Sono trascorsi quasi ottant'anni, ma tale prospettiva non è stata realizzata, né sembra potersi mettere in pratica in tempi brevi. Ho parlato con il professor Rubbia, che dirige al CERN di Ginevra gli studi per un progetto di termodistruzione della radioattività, che mi diceva che si è ben lontani dalla soluzione del problema.
Non essendo giunti ad un sistema generale di smaltimento finale delle scorie, è stato individuato un sistema sicuro di condizionamento e di conservazione delle scorie. Durante tale fase sono state avanzate ipotesi diverse, come il lancio di materiali nello spazio, ma alla fine è stato scelto il sistema del deposito per tempi lunghissimi in cavità geologiche: miniere di sale e cavità di basalto, in quanto il sale ha capacità di assorbire umidità e di propagare con gradualità il calore, mentre le rocce basaltiche sono notoriamente molto dure e quindi più impermeabili all'umidità.
Si tratta del sistema in auge fino agli anni '80, quando la comunità scientifica internazionale prende atto che tale sistema è inadeguato, insicuro, soprattutto, determinato da tempi lunghissimi perché i materiali depositati possano decadere. Il plutonio ha, ad esempio, tempi di dimezzamento pari a circa 24 mila anni e tempo decadimento finale, stimato, in tre milioni e mezzo di anni.
A Ispra, presso gli impianti dell'Euratom di Varese, attraverso finanziamenti americani e giapponesi (entro in ambito di acquisizioni investigative), si avvia un progetto alternativo al sistema di deposito in cavità geologiche. Tale progetto, denominato DODOS, ha visto la partecipazione di centinaia di tecnici di tutto il mondo: hanno contribuito due esperti scienziati dell'ENEA ed anche Giorgio Comerio.

PRESIDENTE. A che titolo partecipava Comerio?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trieste. Lo dirò più avanti, per meglio inquadrare le sue funzioni.
Il progetto va comunque a compimento ed è descritto in otto volumi. È stato acquisito da me e dal collega Neri e risulta essere un progetto di altissimo valore scientifico, che prevede il deposito delle scorie in profondità oceaniche pre-studiate, in siti marini con una batimetria rilevante, pari a migliaia di metri, che devono avere uno fondale marino molle.
Il processo prevede che sei chili di scorie siano incapsulate in cannister, contenitori adeguati in acciaio e carbonio, quarantaquattro di tali contenitori siano


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infilati in un grosso cilindro, a cui si avvita un puntuale mentre all'altra estremità si collocano alcune alette, per cui otteniamo un siluro, che deve essere lanciato (abbiamo visto i lanci fatti nelle Azzorre ed acquisito i filmati che riproducono la fase sperimentale), da navi Ro.Ro, dotate di portellone. Il siluro ha un peso di circa 280 tonnellate e può raggiungere per caduta una velocità di circa 220 chilometri all'ora, per cui attraverso il calcolo della legge di Einstein (velocità al quadrato per la massa), si verifica quale enorme energia sia acquisita dal siluro, che si abbatte sul fondale molle e resta incapsulato sul fondale marino. Il progetto prevede, inoltre, di fare una mappatura del sito di deposito, attraverso un'antenna, ed è tale sistema che porta le nostre indagini a Comerio.
L'antenna, al momento in cui il siluro si conficca nel terreno, invia un segnale al satellite, che elabora il dato e redige la mappa. Si pensa poi al recupero dell'antenna ed è in tal caso che si ricorre a Comerio, che possiede la tecnologia per una antenna ad espulsione.
Giorgio Comerio aveva già operato nel campo ambientale, attraverso i georadar, con una società che usava tecnologie di rilevamento del suolo, alla ricerca di materiali ferrosi sottostanti, ed inoltre mostrava sue collaborazioni avute con la procura di Milano, alla ricerca di cadaveri nascosti nel terreno.
Comerio fa parte del gruppo di esperti che elabora il progetto, apportando la sua specifica conoscenza per l'antenna espulsa e recuperata per altri lanci, nel momento in cui il siluro affonda nel terreno, dopo aver dato il segnale al satellite.
Il progetto di altissimo valore scientifico, che superava di gran lunga in termini di sicurezza il precedente sistema, garantiva, secondo studi effettuati, una tenuta in sicurezza delle scorie a quelle profondità per milioni di anni. Si trattava di un grosso passo avanti, che aveva superato la vecchia tecnologia, basata sulle cavità, inadeguata e pericolosa. Nel corso delle indagini si parlò, addirittura, di una esplosione di un deposito sotterraneo, avvenuto nel Ghana.
Il progetto concluso perviene all'OCSE e Comerio riesce ad acquisirne il diritto d'uso (la privativa), denominandolo progetto ODM, e inizia ad avviare una serie di contatti con diversi paesi, come Svizzera, Francia, Austria, che però lo rifiutano: temono, infatti, di essere indicati come i primi smaltitori di rifiuti nucleari in mare.
Comerio ottiene un parere da uno studio legale di Lubiana che serve ad eludere la Convenzione dell'ONU e quella di Londra, relative rispettivamente allo sversamento ed alla territorialità marina, al fine di tutelarsi dall'accusa di essere uno smaltitore di rifiuti nucleari in mare. Il parere confermava che non si smaltivano le scorie presso i mari territoriali e che i rifiuti non venivano sversati, venivano depositati. Munito del parere ed attraverso una società presso le Isole Vergini (poco più di un recapito), avvia i contatti internazionali di cui sopra ed, inoltre, procede ad una intesa con una giunta militare africana, che si impegnava a cedere a Comerio tre isole, di cui una sarebbe stata affidata a lui, in cui avrebbe installato un centro di smaltimento di rifiuti radioattivi in mare, un'altra sarebbe stata ceduta a Ligresti, in cui avrebbe costruito villaggi turistici, la terza infine sarebbe stata data al professor Carlo Rubbia, affinché potesse installarvi un reattore di potenza abbastanza piccolo, per fornire energia sia all'impianto di smaltimento sia ai villaggi.
Dovevamo ascoltare le persone coinvolte e, dopo qualche esitazione, il professor Rubbia venne sentito, e ci disse che, in occasione di una sua conferenza presso l'università di Pavia, Comerio l'aveva contattato ma di non aver accettato la sua proposta.

PRESIDENTE. Avete sentito Ligresti?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trieste. No.
In tale ambito entriamo in collaborazione investigativa con il collega Neri ed assumiamo gli atti in maniera congiunta, supportati dal Corpo forestale dello Stato


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ed, in particolare, dalla Polizia ambientale di Brescia. Il colonnello Martini mi aveva impressionato per la sua intelligenza e la sua capacità di contatto, a livello di intelligence, con ex smaltitori di rifiuti.
Altri supporti provenivano da personale scelto da me e da Neri, come il maggiore Zaccaria ed il maresciallo Moschitta, e dalla Polizia giudiziaria di Reggio Calabria. Non tardammo perciò a verificare che la materia d'indagine era scottante e che esisteva una grande attenzione da parte di persone non identificate: a Brescia c'era un camper sospetto munito di una telecamera che filmava i nostri movimenti. Ne parlai con il colonnello Martini che consigliò di lasciarli fare, senza intervenire con una perquisizione: meglio sapere quello che stavano facendo che rischiare di essere spiati senza saperlo. Fummo anche costretti a cambiare il ristorante dove mangiavamo, perché frequentato da strani personaggi, probabilmente iracheni. Inoltre, altre persone, che invece sostenevano l'indagine, si fecero avanti: mi ricordo di un agente israeliano, probabilmente del Mossad, che mi mostrò il suo tesserino di riconoscimento.
A Brescia, dove si trovava la nostra base operativa per gli interventi investigativi di maggiore importanza, si disposero circa sedici perquisizioni, che portarono all'acquisizione di un quantitativo abnorme di materiale.
Mi ricordo i filmati degli affondamenti e delle sperimentazioni compiute presso le isole Azzorre: lo scenario che si stava delineando mi dava la sensazione forte che la nostra Terra fosse piccola ed indifesa, che potesse bastare un qualsiasi Comerio per metterla in pericolo.
Il materiale acquisito poi andò a Reggio Calabria, per cui avevo una conoscenza dei contenuti sulla base di quello che discutevo con il collega Neri, anche in seguito alla morte di Natale De Grazia.
Furono ottenuti i contratti, con cui la società di Comerio comprava rifiuti da una serie di paesi, ed elementi che portavano all'impiego di navi, per lo smaltimento dei rifiuti. Subentrò allora nella collaborazione investigativa anche il capitano Natale De Grazia, di cui ricordo l'entusiasmo ed i sacrifici personali, per contribuire all'indagine. Non era usuale che la Capitaneria di porto si calasse con tanta determinazione e dispendio di tempo in attività investigative. Il capitano Natale De Grazia aveva il compito di riepilogare gli affondamenti e di verificare che cosa fosse accaduto per ogni evento del genere. La mattina del giorno della sua morte ero a Matera; alle 10,30 mi chiamò a casa e mi disse che stava partendo per Massa Marittima e, successivamente, per La Spezia, dove avrebbe compiuto alcune verifiche sui registri nautici. Disse che a Reggio Calabria mi avrebbe portato con un'imbarcazione della Marina sul punto esatto, dove era stata affondata la Rigel, una delle tante navi effettivamente colate a picco, su cui nutro i maggiori sospetti. Affondata al largo di Capo Spartivento, a 1.400 metri di profondità era la nave sul cui affondamento esisteva certezza, attraverso una annotazione cifrata in inglese che la citava come persa.
Ciò che è emerso sui singoli affondamenti è stato acquisito attraverso l'esame del materiale che è stato portato a Reggio Calabria ed esaminato poi in un anno dai collaboratori di Franco Neri. Sono ben informato dello scenario complessivo; tuttavia, dei contenuti specifici di quelle carte, che davano conto delle navi affondate e delle modalità, ne so poco.
Parlo perciò dell'indagine dal momento in cui si comincia dal progetto DODOS e si passa a quello ODM, con l'implicazione di un trafficante di rifiuti, come Giorgio Comerio.

PRESIDENTE. Quali erano gli interessi in gioco?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trieste. Parlo di iracheni in quanto avevo elementi acquisiti dalle indagini sul Trisaia di Rotondella, che verificavano il fattore di maggior rischio nel centro di Rotondella, ricollegato alla giacenza di rifiuti liquidi ad alta attività dentro contenitori «marci», che avevano già dato luogo a tre


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incidenti nucleari accertati. Si trattava di un impianto che per trent'anni era stato mascherato come centro di ricerca e su cui il presidente dell'ENEA dovette ammettere una situazione di tipo «cimiteriale», con una pessima guardiania per i materiali depositati.
Il mio obiettivo era di selezionare il tema investigativo di maggiore importanza, relativo al concetto di precauzione, di prevenzione, di messa in sicurezza dei materiali e di tutela della popolazione e dell'ambiente. Era evidente, tuttavia, che altre cose erano emerse, in un quadro di variegata illegalità, ancora da approfondire.
Risultò che, per l'esecuzione di un'opera, furono fatti sedici subappalti, che evidenziavano un dispendio di risorse. Il nostro ordinamento amministrativo prevede che ogni ente sia controllato dall'esterno, ma l'anomalia dell'ENEA era quella di controllarsi da sé, attraverso il suo dipartimento ispettivo, il quale avallava le maggiori irregolarità. La tenuta dei materiali, all'interno di contenitori inidonei, era una regola avallata, attraverso proroghe continue, da parte di due ingegneri, Naschell e Letti, che, dopo l'ennesimo incidente, avvenuto il 14 aprile del 1994, furono costretti a redigere un documento di estremo allarme che mai l'ENEA avrebbe divulgato all'esterno, soprattutto, se letto nel linguaggio dei nuclearisti.
Il documento, acquisito da me, fu soggetto ad un'attività di verifica, perché convocai i due ingegneri, in un momento drammatico, in quanto ad certo punto gli stessi sparirono, con la Polizia giudiziaria che li cercava nei bagni e nei garage, in quanto i due erano terrorizzati dalla citazione ricevuta. Dopo aver accertato l'autenticità del documento, perché tema di grandissimo interesse per la sicurezza nazionale, pensai ne dovesse essere informato il Capo dello Stato. Io, insieme al dottor Franco Marini, inviammo una nota con il documento, incaricando il colonnello Martini di portarlo al Capo dello Stato. Nella stessa notte, presso la Presidenza della Repubblica, alla presenza del segretario generale Gifuni, il Capo dello Stato ci chiamò ringraziandoci e dicendoci di informare il Presidente del Consiglio dei ministri, l'onorevole Dini, il quale incaricò il sottosegretario Cardia di seguire la vicenda ed a cui ho riferito tutto, affinché provvedesse per la tutela della sicurezza pubblica.
Nel prosieguo delle indagini, sono venute fuori altre questioni. È stata acquisita la documentazione sui rapporti intercorsi fra Italia e Stati Uniti, dal 1954 agli anni '70, che rivela la totale subalternità del nostro paese, senza mezzi e risorse scientifiche per gestire la materia nucleare. Da tali documenti risulta, quindi, che l'Italia nel 1978 ha ceduto all'Iraq due reattori plutonigeni Cirene, che allarmano la comunità internazionale, in quanto servono a ricavare la materia prima che i trattati di non proliferazione vietano di cedere; successivamente, presso il centro di riprocessamento di Rotondella c'è stata inoltre la continuativa presenza di personale iracheno, che apprendeva l'uso di tale tecnologia.
A tale riguardo, è necessario citare un episodio. In quel periodo indagavo sui cosiddetti siroi, che erano cavità scavate nella roccia risalenti al IV secolo a.C. usate come silos per contenere cereali, quando l'area dell'attuale Trisaia di Rotondella costituiva l'antico porto sul fiume Sinni. Da un manuale dell'ENEA, i Siroi risultavano impiegati per il deposito di scorie radioattive.
In Italia, l'unico studioso di tali siti era il professor Quilici, docente di antropologia culturale all'università di Bologna, di cui mi ero già occupato per altri fatti legati all'eversione terroristica. Mi posi, allora, il quesito se si trattasse della stessa persona e gli telefonai per localizzare i siroi. Venne da me, ma, quando comprese che l'obiettivo dell'indagine non era legato all'archeologia, fu preso dal panico e cominciò ad accampare varie questioni, producendo una consulenza non vera, in quanto negava che fossero ancora riconoscibili e, quindi, non più localizzabili.
In connessione con la vicenda dell'Iraq, mi rivolsi perciò ad una persona, che


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aveva compiuto una scelta di vita per la Basilicata, deceduta ultranovantenne proprio in questo periodo, il professore rumeno Adamesteanu, che aveva condotto studi archeologici in Basilicata, terra di cui si era infatuato. Chiesi allora al professore se poteva rintracciare i siroi, ma costui non poteva aiutarmi. Disse infatti che era stato pubblicato un testo, oramai introvabile, contenente le mappe dei siroi, che aveva posseduto in passato, custodito presso la sua abitazione, ma che gli era stato in seguito trafugato. Raccontò che un giorno aveva ricevuto una strana visita da parte di iracheni, che gli fecero molte domande, e mi citò anche il nome dell'albergo dove avevano alloggiato. Sta di fatto che una volta usciti gli iracheni dalla sua casa, era sparito anche il libro sui siroi.
Collegai quindi il fatto descritto agli avvenimenti di Brescia, quando ho raccontato di strani movimenti di persone, probabilmente arabe, che stazionavano nei pressi di un camper, munito di telecamere, e che chiaramente, ora, ero molto più propenso di altri a ritenere di nazionalità irachena.

PRESIDENTE. Fu esaminato anche Garelli e furono accertati rapporti con la criminalità organizzata?

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trieste. Alla procura di Lecce esistevano procedimenti chiusi, definiti Urano 1 e 2. Andai, perciò, personalmente, ad acquisire tale materiale; tuttavia, non ho avuto poi il tempo di leggere tali documenti, in quanto le acquisizioni furono effettuate nel momento in cui lasciai Matera per andare a Trieste, la mia attuale sede.
Attraverso colloqui con il collega Cataldo Motta, seppi che il procedimento nella sua fase iniziale riguardava un traffico di riciclaggio di autovetture e che esistevano alcuni indizi concernenti lo smaltimento di scorie radioattive, presso un deserto di cui non ricordo il nome. Tali questioni iniziali non furono accertate ulteriormente, in quanto, avendo più volte indagato su tali argomenti, conosco con certezza le difficoltà dei magistrati ad approcciare le questioni di carattere nucleare. Probabilmente, non sono stati colti gli spunti più interessanti.
Signor presidente, chiedo che il mio intervento prosegua in seduta segreta.

PRESIDENTE. Prendo atto che la Commissione concorda e dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.

(La Commissione procede in seduta segreta).

PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
Non essendovi altre domande, ringrazio il dottor Nicola Maria Pace, non solo per la sua cortesia, ma soprattutto per l'interessantissimo panorama che ci ha offerto, che, sicuramente, permette di comprendere al meglio i fenomeni che la Commissione ha il compito di esaminare.

NICOLA MARIA PACE, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trieste. Signor presidente, sono io che la ringrazio anche per aver rimandato la mia audizione.

PRESIDENTE. La ringrazio e le auguro buon lavoro. Dichiaro conclusa l'audizione.

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