XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 4906
Onorevoli Colleghi! - La legge 11 febbraio 1992, n.
157, ha prodotto nel nostro Paese un notevole cambiamento
dell'uso della caccia introducendo il concetto del "legame del
cacciatore al territorio". Tale concetto, pur avendo una
valenza nei confronti della selvaggina stanziale per la cui
conservazione appare indispensabile la programmazione, diventa
del tutto inefficace per la selvaggina migratrice, dove assai
più marginale risulta essere l'intervento dell'uomo perché
condizionato fortemente dai flussi migratori. La riforma del
1992 ha inteso ordinare la mobilità del cacciatore italiano
limitando il nomadismo e ponendolo di fronte alla scelta della
forma di caccia: vagante alpina, fissa da appostamento, e
l'insieme delle altre forme di attività venatoria previste
dalla legge citata.
La scelta, unica ed esclusiva per la durata di tre anni,
ha visto orientarsi la stragrande maggioranza dei cacciatori
italiani per la terza forma di prelievo, venendo a determinare
una situazione a dir poco paradossale. Tutti coloro che
scelgono la caccia da appostamento fisso, si condannano - per
così dire - agli "arresti domiciliari". Mentre i cacciatori
che optano per la prima, ma soprattutto quelli che scelgono la
terza forma di prelievo, si ritrovano - loro malgrado -
rinchiusi in una "gabbia venatoria" dalla quale possono uscire
solamente, e non sempre, con la richiesta d'iscrizione e
conseguente pagamento, per accedere a un ambito territoriale
di caccia diverso da quello "di diritto". Ancora peggio accade
per la caccia alla selvaggina migratoria, dal momento che tale
opzione "esclusiva" trascura inquietantemente il concetto più
volte ripreso dalla stessa riforma e dalla direttiva
79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, e cioè quello
incentrato sulle "consuetudini, sulle tradizioni e la cultura
delle popolazioni locali".
Ne consegue che nella legge n. 157 del 1992 oltre i due
terzi dell'articolato sono dedicati alla programmazione e al
prelievo della selvaggina stanziale, trascurando quello della
selvaggina migratrice.
Il nostro Paese, essendo da sempre un importante
territorio di transito per le popolazioni migratrici che
provengono dal Paleartico, esprime un considerevole numero di
cacciatori legati a una consolidata tradizione venatoria.
In tale senso è stato operato un tentativo, da parte di
alcune regioni, di rimediare alla menzionata lacuna con
l'intento di regolamentare in qualche modo la mobilità
venatoria finalizzata essenzialmente al prelievo della
migratoria, introducendo la cosiddetta "teleprenotazione".
Altre amministrazioni locali hanno introdotto la vendita di
pacchetti di giornate da richiedere con largo anticipo.
Purtuttavia i macchinosi accordi interregionali annuali, il
più delle volte disattesi, nel primo caso, e i costi pretesi
nel secondo, non hanno portato alcun rimedio, determinando fra
i cacciatori maggiore malcontento e malumore.
La proposta di legge non intende stravolgere il concetto
di "gestione programmata del prelievo venatorio" riservato
agli ambiti territoriali di caccia previsti dalla legge n. 157
del 1992, nè intende limitarne le competenze, ma si propone di
svincolare il prelievo della selvaggina migratoria dalle
limitazioni e dalle pastoie burocratiche imposte dalle
normativa in vigore.
In tale senso si pone la sostituzione del comma 5
dell'articolo 14 della legge n. 157 del 1992, che introduce un
concetto rispettoso delle consuetudini e delle tradizioni
delle popolazioni italiane interessate al prelievo, e una
particolare attenzione per quelle vocate alla caccia
migratoria, restituendo loro il diritto di esplicare tali
forme di caccia, non più in via esclusiva e in una sola forma,
come indicato dall'articolato vigente.
I tre articoli della proposta di legge riguardano quindi
la problematica da tutti conosciuta come "mobilità venatoria"
e rappresentano l'asse portante di una volontà unanime del
mondo venatorio. L'attuale regolamentazione, per come si
esprime, penalizza pesantemente le consuetudini, le tradizioni
e le espressioni culturali legate alla pratica delle
cosiddette "cacce tradizionali", che sta rischiando di perdere
inesorabilmente le proprie caratteristiche peculiari e
determina una condizione di vantaggio per i cacciatori degli
altri Paesi che, interessati dai medesimi e comuni flussi
migratori, hanno saputo, per mezzo di un'adeguata
legislazione, mantenere vive le caratteristiche intrinseche
delle proprie tradizioni venatorie.