XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 4432




        Onorevoli Colleghi! - Il principio dell'inamovibilità del magistrato, espressamente sancito - con specifico riguardo alla magistratura ordinaria - dall'articolo 107 della Costituzione, è e deve rimanere uno dei cardini fondamentali delle guarentigie assicurate dall'ordinamento a tutela dell'autonomia e dell'indipendenza della funzione giurisdizionale, nel contesto del corretto assetto dei rapporti istituzionali e delle garanzie teso ad assicurare il giusto equilibrio fra i poteri dello Stato e, quindi, il rispetto dei valori fondamentali e fondanti della democrazia.
        Il medesimo principio, tuttavia, deve essere oggi rivalutato, proprio nell'ambito del suddetto assetto e dell'esigenza di garantire l'assoluta trasparenza dell'esercizio delle funzioni giudiziarie come presidio non a tutela del singolo magistrato, ma dell'ordine giudiziario. E, quindi, non come assoluto privilegio uti singuli, ma come generale garanzia delle funzioni giurisdizionali.
        In una moderna concezione del principio in esame, l'esercizio di tali funzioni non deve essere mai offuscato o affievolito da situazioni che, anche senza colpe individuali, possano attentare al valore della terzietà del giudice e, comunque, dell'indipendenza e autonomia del magistrato da ogni e qualunque condizionamento.
        D'altra parte, la significativa introduzione nella nostra Costituzione delle modifiche di cui all'articolo 111 (legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2) impongono la parametrazione del principio di cui all'articolo 107 della Costituzione con quello del giusto processo, implicando questo stesso - ancor più di prima - una magistratura, in particolare quella giudicante, totalmente e preventivamente estranea rispetto a qualsiasi vulnus della imparzialità.
        Orbene, in tale ottica s'impone, per una serie di molteplici motivi, una più aggiornata rilettura del principio dell'inamovibilità dei magistrati allo scopo di contemperare doverosamente l'indiscussa garanzia dell'ordine giudiziario e l'assoluta invulnerabilità dell'interesse generale all'imparzialità delle funzioni giudiziarie da ogni e qualunque influenza.
        Continuare, ai nostri giorni, ad evitare la necessaria rivisitazione di quel principio varrebbe di fatto a fare divenire di difficile comprensione quell'inamovibilità che, ove ancora intesa come una sorta di dogma assoluto, cesserebbe dalla sua funzione di presidio a tutela della funzione giurisdizionale per apparire solo come privilegio del singolo magistrato. E, per di più, come fonte di distorsione, personalizzazione e influenza ambientale di quanti esercitano per lunghissimi periodi di tempo in uno stesso unico contesto l'attività giurisdizionale. Tutto questo con un conseguente e sicuro affievolimento di quella indipendenza e autonomia della magistratura che deve essere, ma (è bene ricordarlo sempre) anche apparire, tale.
        Va, quindi, riletto il principio dell'inamovibilità in modo da consentire che la legge preveda sacrosanti limiti temporali generalizzati all'esercizio dell'attività giurisdizionale del singolo magistrato (anche diverso dal dirigente dell'ufficio) per periodi eccessivamente lunghi nella medesima funzione o sede giudiziaria.
        Tutto questo al precipuo scopo di evitare che la mancanza, spesso del tutto assoluta, di avvicendamenti trasformi l'inamovibilità (come prima correttamente intesa) da strumento, a tutela del cittadino, di garanzia dell'imparzialità della funzione giurisdizionale e del suo apparire come tale, a sostanziale negazione della medesima garanzia e del come essa può concretamente apparire ed essere percepita.
        Va, in proposito, ricordato come gli effetti nefasti conseguenti all'eccessivo prolungato esercizio delle funzioni giurisdizionali presso il medesimo ufficio o la stessa sede giudiziaria si sono, nel tempo, accresciuti anche per effetto di leggi ormai datate. Si pensi, in proposito, alla disciplina della progressione in carriera della magistratura disposta dalle leggi 25 luglio 1966, n. 570, e 20 dicembre 1973, n. 831, le quali sancendo una possibile assoluta inamovibilità anche nel caso della medesima progressione, hanno stravolto il contenuto della guarentigia già accordata dalla Costituzione e prima ancora, ma in altro e ben differente contesto normativo, storico e sociale, dall'articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (che andrà, ovviamente, pur esso e nella opportuna sede modificato).
        E tutto questo proprio nel mentre si va accentuando, con il mutare dei tempi, una generalizzata tendenza per cui, pur nella salvaguardia delle professionalità acquisite, si impone un approccio professionale più dinamico e versatile, rispondente alle cennate esigenze di salvaguardia dell'essere e apparire in tutto e per tutto imparziale. Un approccio - è bene sottolineare - che non depaupera il bagaglio tecnico e umano del magistrato.
        Anzi, l'esigenza dell'avvicendamento di sede e di ufficio e una maggiore reversibilità delle funzioni finiscono proprio per esaltare e arricchire l'esperienza del singolo e, con essa, per rinvigorire credibilità e funzionalità dell'intero ordinamento e del sistema nel suo complesso.
        A tale esigenza, tanto avvertita pur senza trovare il naturale sbocco normativo quale quello di cui alla presente proposta di legge costituzionale, sono stati significativamente, pur se solo parzialmente, già sensibili il legislatore ordinario e lo stesso Consiglio superiore della magistratura.
        Il primo con la previsione, per la prima volta direttamente operativa nell'ambito del procedimento di tabellarizzazione degli uffici giudiziari, di cui al comma 2-ter dell'articolo 7-bis dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, introdotto dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479; ed, ancora, con la sancita temporaneità dell'incarico di procuratore nazionale antimafia (articolo 76-bis, comma 3, del medesimo ordinamento giudiziario).
        Il secondo, con numerosi parziali interventi di normazione secondaria (circolari e risoluzioni in tema di tabelle di composizione degli uffici), prevedendo limiti massimi per l'espletamento delle medesime funzioni giudiziarie presso le stesse sedi, con specifico riferimento ai giudici addetti alla trattazione di procedure fallimentari e di esecuzione o designati a comporre le direzioni distrettuali antimafia.
        In definitiva una inamovibilità, quale si persegue con la presente proposta di legge costituzionale, temperata, che non contrasta con il complesso dei valori dettati dal costituente a tutela dell'ordine giudiziario.
        Essa anzi interviene come seria risposta ad una problematica reale, che incide gravemente sul comune sentire, sulla concreta percezione e sull'aspirazione ad una giustizia giusta, assicurata dall'esercizio autonomo e imparziale della funzione giudiziaria e che appaia incontestabilmente come tale.
        L'inamovibilità che si propone risponde, pertanto, ad un'esigenza imposta dai tempi e ad un modo di sentire di tutti gli operatori giudiziari e dei cittadini largamente diffuso e rappresenta, ormai, una scelta aggiornata, doverosa e non più eludibile.
        La previsione costituzionale della riserva assoluta di legge per la concreta determinazione dei criteri (e della connessa relativa disciplina) tesi ad evitare l'esercizio per periodi estremamente eccessivi delle funzioni giurisdizionali presso lo stesso ufficio o la medesima sede lungi, quindi, dallo stravolgere la garanzia dell'inamovibilità del singolo magistrato finisce anzi, riproponendola correttamente come presidio di interesse generale, per esaltarla.




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