XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 4311




        Onorevoli Colleghi! - Una nuova legge per la cooperazione internazionale è una scelta impegnativa, non solo per la complessità della materia ma anche perché, come dimostra la storia degli ultimi anni, arrivare all'approvazione di una vera e propria legge è un percorso difficile. Pur tuttavia questo tentativo deve essere fatto non come pura testimonianza parlamentare, bensì come una vera iniziativa politica. Le ragioni sono molteplici. Sono anni che la cooperazione pubblica allo sviluppo da parte del nostro Paese è praticamente inesistente. Questo stato di cose chiama in causa in primo luogo la volontà politica dei governi. Siamo ormai giunti a un finanziamento per gli aiuti pubblici allo sviluppo che supera di poco lo 0,10 per cento del prodotto interno lordo: è chiaro che sono venute meno le condizioni minime perché si possa parlare di "cooperazione". Se a ciò sommiamo la tortuosità burocratica del sistema di finanziamento la partita si chiude definitivamente. Non è un caso che le organizzazioni non governative vivano da anni in un conflitto acuto con il Ministero degli affari esteri. Né è meno significativo che la struttura di esperti nel campo della cooperazione all'interno del Ministero sia stata di fatto smantellata. Responsabilità, in primo luogo, di chi aveva il compito dell'assunzione delle scelte politiche, ma anche di una legge - la lontana legge n. 49 del 1987 - che si è rivelata alla prova dei fatti non solo una porta aperta ai tanti, troppi, fatti di corruzione, ma inadeguata alle nuove sfide dell'epoca globale che è poi il vero problema. Le debolezze del passato, gli errori fatti e i problemi ancora aperti sono molti: l'idea generosa, ma politicamente debole, che la cooperazione sia fondamentalmente "l'angolo dei buoni sentimenti", che l'aiuto ai Paesi in via di sviluppo si risolva in un atto pur importante di solidarietà; l'uso cinico e strumentale della cooperazione come opportunità per condizionare, interferire nelle scelte politiche dei Paesi poveri; la cooperazione come "apripista" per le nostre aziende, vincolata non allo sviluppo di queste difficili aree del mondo, bensì unilateralmente all'ampliamento dei profitti e degli affari leciti e meno leciti della parte meno illuminata della nostra imprenditoria; infine, una cooperazione che spesso ha contribuito a stravolgere le economie e il tessuto sociale dei Paesi poveri ignorando compatibilità ambientali, esigenze sociali e culture locali. Queste vicende poco gloriose della nostra cooperazione non cancellano le cose buone fatte sia in ambito "non governativo" (nelle tante e straordinarie azioni di solidarietà) sia in quello governativo attraverso progetti e iniziative esemplari portati avanti dagli esperti del nostro Ministero degli affari esteri, e neppure il lavoro lungimirante di settori non marginali della realtà imprenditoriale. Sarebbe non solo ingeneroso, ma sbagliato disperdere questo patrimonio importante. Deve, però, essere chiaro che tutti - governi, istituzioni decentrate, mondo economico, organizzazioni non governative, volontariato - siamo obbligati a un salto di qualità.
        Oggi la cooperazione ha un senso se contribuisce ad affrontare le emergenze che quotidianamente si affacciano sulla scena internazionale, se è parte di un progetto ambizioso che affronti le sfide che si presentano al mondo; in primo luogo la pace, oggi messa drammaticamente in discussione dal terrorismo e dai conflitti militari. Milioni e milioni di uomini e donne in tutto il mondo si sono alzati in difesa della pace, uno straordinario movimento che contro la violenza delle armi chiede un mondo più giusto. Una grande iniziativa politica che rifiuta il governo militare e unipolare del mondo e chiede un governo comune dei grandi problemi che scuotono l'umanità: la cooperazione fra i popoli. Una politica di cooperazione è, quindi, essenziale non solo per lenire le ferite, per ridurre le sofferenze là dove regnano guerre e violenza, ma, soprattutto, per prevenire la violenza del terrorismo e della guerra, per indicare una strategia alternativa alla soluzione militare dei conflitti e dei problemi, per mettere al centro la politica e la ricerca di soluzioni comuni alle drammatiche questioni di questa nostra epoca. Per tali ragioni, oggi, una politica di cooperazione deve essere pensata insieme ad una nuova centralità delle Nazioni Unite, ad un rilancio della strategia multilaterale e ad un nuovo protagonismo politico dell'Europa. Perché ciò sia possibile è decisivo che dalla cultura politica degli Stati e delle istituzioni nazionali ed internazionali non scompaiano le politiche di cooperazione.
        La cooperazione allo sviluppo può e deve essere uno degli strumenti importanti per affrontare le gravi contraddizioni economiche, sociali e ambientali che patisce il Sud del mondo, le grandi contraddizioni che dividono i Paesi ricchi da quelli poveri. Un miliardo di persone vive con meno di un dollaro al mese; nell'ultimo decennio 13 milioni di bambini sono morti a causa di malattie intestinali; ogni anno mezzo milione di donne, una per ogni minuto del giorno, muore durante la gravidanza o il parto; più di 800 milioni di persone soffrono di malnutrizione.
        Il mutamento radicale di questa realtà richiede scelte complesse e forti. Non è pensabile affrontare il nodo del sottosviluppo, come solennemente venne dichiarato alla conferenza dell'ONU di Monterey sullo sviluppo dei Paesi poveri, senza mettere mano a questioni decisive per il futuro dei Paesi in via di sviluppo: il debito e gli interessi pagati sul debito dai Paesi in via di sviluppo che ogni anno drenano risorse finanziarie dai Paesi poveri al Nord ricco del mondo; le regole inique del commercio internazionale che chiudono le porte del mercato ai prodotti e alle merci del Sud e condannano centinaia e centinaia di milioni di contadini a lottare per la sopravvivenza; le regole del mercato finanziario sul quale, ogni giorno, la speculazione finanziaria muove immense ricchezze - una volta e mezzo l'intero prodotto interno lordo italiano - e che potrebbe invece contribuire allo sviluppo economico e sociale dei Paesi in via di sviluppo.
        La cooperazione può non essere una goccia d'acqua nel deserto, gli aiuti pubblici allo sviluppo possono diventare "una rondine che porta la primavera" a condizione che le politiche di cooperazione si combinino con scelte che mettano mano a tutti quei problemi che trascinano sempre più in basso una parte grande dei Paesi del mondo e impediscono a grandi Paesi del Sud di avere un ruolo di primaria importanza sullo scenario mondiale.
        L'impegno deve essere quello di realizzare gli obiettivi della Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, adottata a New York l'8 settembre 2000.
        La cooperazione può conquistare una sua centralità a condizione che vi sia un intervento vero dello Stato, una mobilitazione straordinaria della società civile, una iniziativa forte delle istituzioni decentrate e degli enti locali, una partecipazione consapevole del mondo economico. Alcune di queste condizioni sono già in campo e non da oggi. Negli anni che abbiamo alle spalle si è imposta sulla scena mondiale una nuova "potenza" politica, uno straordinario movimento critico verso gli effetti più distruttivi della globalizzazione, un movimento ricco di organizzazioni e di associazioni che già oggi opera nel campo della solidarietà e della cooperazione. E' questa una risorsa fondamentale per azioni positive e per garantire che nelle attività di cooperazione non tornino i vecchi vizi. E' da anni che comuni e regioni sono impegnati a mobilitare risorse culturali, professionali ed economiche per dare sostegno a iniziative di cooperazione nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. La riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione risolve incomprensioni e burocraticismi del passato, apre le porte a nuove opportunità e alla possibilità di un ruolo più generale delle istituzioni decentrate dello Stato nelle politiche di cooperazione. Vi è una domanda nella società civile e nel tessuto istituzionale decentrato che esige una risposta, dai governi, dal Parlamento e, più in generale, dalla politica. Con la presente proposta di legge intendiamo contribuire a superare la passività dell'esecutivo e la negligenza del Parlamento.
        La proposta di legge si compone di 23 articoli. L'articolo 1 concerne le finalità e le attività dell'aiuto pubblico allo sviluppo (APS) e della cooperazione allo sviluppo dell'Italia. I commi 1 e 2 ne evidenziano le differenti modalità. In particolare al comma 2 si attribuisce all'APS la funzione di parte integrante della politica estera italiana e si richiamano le finalità di cui al comma 1, tra cui: la promozione dello sviluppo sostenibile, la lotta contro la povertà e l'esclusione sociale, economica, politica, etnica, religiosa e di genere, ed, ancora, la promozione della pace, della democrazia, della giustizia tra i popoli e della piena realizzazione dei diritti umani e civili delle popolazioni. Allo scopo di promuovere tali finalità, l'APS fa propri gli obiettivi di sviluppo del Millennio stabiliti dalle Nazioni Unite. Sempre al comma 2 si richiama l'importanza di coordinare, armonizzare e integrare le politiche dell'APS italiano con quelle della comunità internazionale, in particolare della Commissione europea e delle Nazioni Unite.
        L'articolo 2 indica gli obiettivi finanziari da raggiungere per il finanziamento dell'APS, prevedendo la quota dello 0,33 per cento del prodotto nazionale lordo entro il 2006 e il progressivo raggiungimento dello 0,7 per cento. A tale riguardo si specifica che gli impegni di spesa si devono intendere al netto degli stanziamenti destinati all'abbattimento del debito estero dei Paesi cooperanti. L'articolo 3 evidenzia lo slegamento dei finanziamenti dell'APS dalla fornitura di beni e di servizi di origine italiana e si rimanda ogni diversa decisione motivata al Ministro degli affari esteri.
        Gli articoli 4 e 5 indicano i destinatari dell'APS italiano (articolo 4) ed i soggetti italiani dell'APS (articolo 5). L'articolo 4 indica le organizzazioni internazionali e comunitarie, i governi centrali e le amministrazioni locali dei Paesi cooperanti, le popolazioni e le comunità locali dei Paesi cooperanti, nonché i soggetti pubblici e privati di tali Paesi quali destinatari dell'APS italiano. L'articolo 5 individua nel Governo, nelle regioni, negli enti locali e nei soggetti della cooperazione non governativa i soggetti dell'APS italiano.
        L'articolo 6 concerne gli obiettivi politici dell'APS. Il comma 1 prevede che il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro degli affari esteri, di intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, approvi ogni tre anni il documento di indirizzo politico dell'APS italiano. Il comma 2 prevede che il Ministro degli affari esteri trasmetta annualmente al Consiglio dei ministri ed alle competenti Commissioni parlamentari una relazione sull'attività svolta. Il comma 3 indica i temi che dovranno essere contenuti nel documento di indirizzo politico.
        L'articolo 7 definisce le competenze del Ministro degli affari esteri e del Ministro dell'economia e delle finanze nell'ambito dell'APS. In particolare al comma 3 si attribuiscono ad un vice Ministro degli affari esteri le funzioni relative all'APS. L'articolo 8 concerne i poteri di controllo e di indirizzo delle competenti Commissioni parlamentari. Con il comma 2 si prevede che tali Commissioni possano effettuare indagini, ispezioni e attività di monitoraggio su qualsiasi iniziativa dell'APS.
        L'articolo 9 prevede che la legge finanziaria indichi gli stanziamenti destinati all'APS in maniera distinta tra le iniziative di APS bilaterali e multilaterali e le spese di finanziamento dell'Agenzia di cui all'articolo 10. Il comma 2 prevede la costituzione, presso l'Agenzia del Fondo unico per la cooperazione allo sviluppo e al comma 3 se ne indicano le fonti.
        L'articolo 10 istituisce l'Agenzia italiana per l'APS. Tale organismo provvede alla realizzazione degli obiettivi di cui all'articolo 6 e alla gestione delle attività di APS, ed è regolamentata ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Il comma 3 prevede che l'Agenzia sottoponga al vice Ministro per l'APS un programma triennale di attività. I commi 4, 5, 6 e 7 disciplinano i compiti specifici dell'Agenzia, nonché la sua struttura.
        L'articolo 11 indica gli organi dell'Agenzia (presidente, consiglio di amministrazione, collegio dei revisori dei conti), nonché le modalità di assunzione del personale e dei relativi profili professionali. Il comma 12 inibisce il personale dell'Agenzia ad assolvere a compiti militari o di polizia. L'articolo 12 stabilisce le modalità di emanazione dello statuto dell'Agenzia, prevedendo il parere delle competenti Commissioni parlamentari. Con l'articolo 13 si prevede che l'Agenzia si possa avvalere della collaborazione, mediante apposite convenzioni, di istituti idonei per l'istruttoria e per la gestione dei crediti di aiuto. L'articolo 14 concerne le procedure di affidamento per l'esecuzione delle attività di APS.
        L'articolo 15 disciplina le modalità di accesso ai finanziamenti dei progetti dell'APS da parte delle organizzazioni non governative; in particolare al comma 1 si indicano i requisiti per accedere a tali finanziamenti. Il comma 3 prevede la possibilità di iscrizione delle organizzazioni non governative ad un apposito Albo, istituito presso l'Agenzia. Il comma 4 elenca i benefìci a cui possono accedere le organizzazioni non governative iscritte al suddetto Albo.
        L'articolo 16 intende promuovere il valore del commercio equo e solidale, prevedendo - tramite l'iscrizione ad un apposito Albo - per le organizzazioni che promuovono tali attività, agevolazioni fiscali stabilite dal Ministro dell'economia e delle finanze, di intesa con il Ministro degli affari esteri.
        Con l'articolo 17 si evidenziano le caratteristiche della cooperazione decentrata. Infatti, al comma 1 si esplicita che le regioni, le province autonome, le province, i comuni e le comunità montane, nonché i loro consorzi ed associazioni, partecipano alle iniziative di cooperazione, in conformità alla legislazione nazionale. Per il finanziamento delle attività di cooperazione promosse da tali organismi è prevista l'istituzione di un apposito capitolo di bilancio e la possibilità di accedere ai finanziamenti per l'APS, nonché a contributi di carattere privato. Allo scopo di armonizzare le attività di APS e la cooperazione decentrata è prevista la istituzione (comma 3) di un Comitato interistituzionale composto da rappresentanti dell'APS, delle regioni e delle province autonome, delle province e dei comuni. Il comma 4 specifica che i soggetti della cooperazione decentrata possono essere individuati dall'Agenzia quali esecutori dei progetti di APS.
        Il ruolo, le caratteristiche e i benefìci previdenziali e assicurativi dei volontari e dei cooperanti che prestano la loro opera in rapporto con una organizzazione non governativa in un Paese cooperante viene normato dall'articolo 18.
        L'articolo 19 prevede che le donazioni di persone fisiche o giuridiche, di cui all'articolo 5, siano detraibili dall'imponibile relativo all'imposta sul reddito delle persone fisiche o, rispettivamente, all'imposta sul reddito delle persone giuridiche nella misura massima del 2 per cento; stabilisce, altresì, che il trasporto e la spedizione di beni all'estero in attuazione di finalità umanitarie non sono imponibili ai fini dell'imposta sul valore aggiunto.
        Al fine di consultare i vari soggetti interessati alle politiche di APS (articolo 20) il vice Ministro delegato convoca annualmente una Conferenza nazionale sull'APS.
        Gli articoli 21, 22 e 23 regolamentano rispettivamente le norme transitorie, la copertura finanziaria l'abrogazione delle norme in contrasto con le disposizioni della legge.




Frontespizio Testo articoli