XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 4162
Onorevoli Colleghi! - Con la presente proposta di legge
si intende riparare ai danni gravissimi provocati allo Stato
di diritto e all'immagine internazionale dell'Italia dalla
legge sul rientro dei capitali dall'estero nota anche come
"scudo fiscale" (decreto-legge n. 350 del 2001, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 409 del 2001). Una vera
beffa per i cittadini e gli imprenditori onesti con la quale
l'evasione fiscale è stata elevata a sistema. Già durante
l'esame in Parlamento era stato sollevato il dubbio di
incostituzionalità di queste misure legislative perché in
contrasto con il principio di eguaglianza dei cittadini
davanti alla legge (articolo 3 della Costituzione).
Opportunamente l'opposizione aveva chiesto come si
intendeva garantire il principio di uguaglianza tra chi, nel
corso di questi anni, poiché non temeva la patrimoniale, le
tassazioni sui conti correnti e l'inflazione, aveva deciso di
non esportare i capitali che realizzava, e con questi aveva
costruito aziende, avviato attività produttive, dato lavoro e
contribuito alla crescita e alla ricchezza del nostro Paese, e
chi, invece, per fuggire al fisco aveva preferito riparare i
capitali all'estero in qualche "paradiso fiscale". La domanda
è rimasta senza risposta.
Il Governo ha eliminato la punizione per un delitto
commesso misurando soltanto la convenienza fiscale di tale
operazione, sostenendo che, anche per merito dei suoi
interventi in economia, cresceva la convenienza a rimpatriare
in Italia i capitali illegalmente posseduti all'estero mentre
decresceva la convenienza a tenerli fuori.
Secondo gli ultimi dati disponibili dell'Ufficio italiano
cambi, il cosiddetto "scudo 1" ha consentito di raccogliere da
tutto il mondo 54,16 miliardi di euro mentre dalla operazione
"scudo 2", la cui scadenza è stata prorogata fino al 30
settembre 2003, sarebbero arrivati soltanto 8,3 miliardi di
euro (di cui il 46 per cento provenienti dalla Svizzera).
Con lo scudo fiscale 2 però un quarto dei capitali che
risultano rimpatriati dalla Svizzera, in realtà torneranno di
nuovo in Svizzera. Infatti, secondo uno studio recente
dell'Associazione delle banche ticinesi (ABT), citato dal
Corriere Economia di lunedì 30 giugno 2003, l'inserto
economico del Corriere della Sera, questi patrimoni non
vengono portati e lasciati in Italia ma semplicemente affidati
dai clienti delle banche elvetiche alle fiduciarie aperte
dalle stesse banche elvetiche nel nostro Paese.
Dopo averli dichiarati al fisco italiano, le fiduciarie
rispediscono i capitali nelle loro sedi in Svizzera, dove il
cliente può reinvestirli come e dove vuole, in tutta
riservatezza, protetto dal filtro della fiduciaria, che terrà
per suo conto e in suo nome i rapporti con l'erario italiano.
"Si paga la tassa, insomma - scrive il Corriere della
Sera-, ma il denaro non si muove. In gergo lo chiamano
rimpallo".
Franco Citterio, direttore dell'ABT, spiega: "il vantaggio
di questa soluzione è che permette di agire sotto il nome
della fiduciaria. Il fisco italiano sa che tizio ha fatto
rientrare i capitali, ma non sa che uso ne farà. Gli
investimenti restano schermati. In più il cliente rimane sulla
banca svizzera, lontano da eventuali richieste fiscali o
penali italiane".
In conclusione in cambio di un introito di circa 1,7
miliardi di euro, quanto finora incassato dall'erario, si è
consentito agli evasori fiscali di sfuggire ope legis al
fisco, assicurando un salvacondotto anche ai riciclatori di
denaro sporco che hanno usufruito, come era inevitabile, di
queste norme. Solo ora si scopre che molti di questi soldi
resteranno all'estero o vi ritorneranno sotto la protezione
dello scudo fiscale.
Le ragioni per cui ingenti capitali sono stati
illegalmente trasferiti all'estero sono varie: innanzitutto
l'evasione fiscale, ma anche la creazione di quei famosi fondi
neri utilizzati per pagamenti nascosti, corruzioni di vario
genere, distrazioni di fondi dai loro scopi istituzionali e
non meno importante il riciclaggio di proventi da attività
illecite. L'intensa espansione del traffico di narcotici e
delle altre attività economiche illegali ha comportato
l'accumulazione di ingenti quantitativi di denaro "sporco".
Mentre parte di tali somme è reinvestita in affari illeciti,
una quota ancora maggiore è "ripulita" tramite il sistema
finanziario nazionale e internazionale. In questo quadro i
paradisi fiscali e finanziari occupano un ruolo centrale
nell'universo della finanza nera, poiché essi sono i suoi
"laboratori di riciclaggio", territori d'accoglienza, che
lavano e fanno fruttare il denaro sporco delle mafie e dei
politici corrotti.
Negli ultimi anni è cresciuta la cooperazione
internazionale tra il settore finanziario e quello
investigativo-giudiziario per aumentare l'efficienza del
sistema delle norme antiriciclaggio. L'approvazione delle
norme sul rientro dei capitali all'estero ha indebolito
l'azione del nostro Paese su questo fronte in un momento
delicato come quello del passaggio della lira all'euro,
facendo dell'Italia "un paradiso capace di attrarre non i
capitali, ma i criminali" (onorevole Bressa, resoconto
stenografico dell'Assemblea, seduta n. 50 del 22 ottobre 2001
- Camera dei deputati, XIV legislatura). "Perché l'identità
di chi rientra, di chi beneficia di un trattamento
privilegiatissimo deve essere nascosta? Perché gli italiani,
che non hanno evaso, che non hanno fatto false fatturazioni,
che non hanno riciclato la propria ricchezza, che non hanno
avuto paura della patrimoniale, non dovrebbero conoscere
l'identità dei loro connazionali che si sono avvantaggiati e
che anche oggi si avvantaggiano dell'onestà altrui?" si
chiedeva in Aula l'onorevole Castagnetti (resoconto
stenografico dell'Assemblea, seduta n. 53 del 25 ottobre 2001
- Camera dei deputati, XIV legislatura), il giorno in cui
venne approvato questo provvedimento.
Per tali motivi, con la presente proposta di legge
obblighiamo gli intermediari che hanno provveduto al rimpatrio
o alla regolarizzazione di denaro, attività finanziarie,
attività immobiliari e altri investimenti detenuti fuori dal
territorio dello Stato a comunicare all'amministrazione
finanziaria ogni dato utile per individuare gli evasori e
permettere i necessari accertamenti tributari, facendo allo
stesso tempo venire meno la protezione dello scudo fiscale.