XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 4119
Onorevoli Colleghi! - Seimilaseicentottantadue. Non ci
si riflette mai abbastanza su questo numero. 6.682 morti. Ed è
quello che, in termini di vite umane, avviene puntualmente
ogni anno, senza soluzione di continuità: 6.682 vittime della
strada nel 2001, 6.649 l'anno prima, 6.662 nel 1999, 6.342 nel
1998. Il 20 per cento dei morti ha meno di 25 anni di età.
Solo nel decennio fra il 1992 e il 2001 sono avvenuti
circa 65.923 decessi. Effettuiamo un confronto tra cosa è
cambiato nel 2002 rispetto al 2001: sulle autostrade i morti
lo scorso anno sono stati 714, praticamente gli stessi sia
dell'anno precedente (715) sia del 2000 (710). I feriti da un
anno all'altro, invece, sono quasi mille di più (23.794
rispetto ai 22.818 del 2001) e sono aumentati anche gli
incidenti (da circa 47.500 si è andati oltre la soglia dei
48.000).
Proprio basandosi su dati dell'Unione europea, peraltro, è
stato possibile stimare che la semplice riduzione della
velocità massima di 5 chilometri orari (Kmh) eviterebbe ogni
anno alla comunità ben 11 mila morti, un quarto del totale.
Altro punto chiave delle strategie dell'Unione europea è
l'uso della cintura di sicurezza, un obbligo rispettato in
Italia solo dal 30 per cento delle persone. La distanza
dall'Unione europea è marcata pure dall'andamento della
mortalità sulle strade nei dieci anni che vanno dal 1992 al
2001. Il fatto che sulle automobili siano sempre più diffusi
sistemi di sicurezza attiva e passiva per i passeggeri (abs,
airbag, barre di protezione, eccetera) ha contribuito a
far scendere ovunque il numero dei decessi. Ma ci sono Paesi
che non si sono fermati all'ammodernamento del parco auto. In
Germania e in Inghilterra, nazioni con le quali amiamo spesso
confrontarci, intervenendo con decisione sull'educazione
stradale, sulla sensibilizzazione e sul controllo capillare
delle violazioni alle regole della circolazione, hanno ridotto
i morti, rispettivamente, del 34 per cento e del 17 per cento
tra il 1992 e il 2001. L'Italia fa segnare solo un 10 per
cento (terzultima nella Unione europea precede solo Irlanda e
Lussemburgo, dove però il numero dei sinistri è bassissimo in
numeri assoluti), meno della metà della media europea (-23,56
per cento) e con un altro dato, quello dei feriti,
assolutamente in controtendenza: schizza dai 241.994 del 1992
a 334.679 del 2001.
Perché queste differenze enormi tra noi e gli altri Stati
del vecchio continente? Anche in passato i diversi governi che
si sono succeduti in carica - e lo racconta bene purtroppo una
volta ancora l'analisi delle serie storiche del bollettino dei
morti e dei feriti, che oscilla sì ma per circostanze legate
più alla casualità che a qualche seria strategia nazionale -
non hanno certo legiferato o agito con competenza ed
efficacia. Si può ricordare forse il decreto Ferri che, nel
biennio 1988-1989, per sette mesi complessivi fissò in 110 kmh
il limite massimo sulle autostrade: il risultato fu una
diminuzione della mortalità del 13,7 per cento. Accantonata
quella norma temporanea ci sono stati almeno dieci anni di
vuoto, fino all'approvazione nel marzo del 2000 del Piano
nazionale della sicurezza stradale, che prevedeva un
complessivo ammodernamento della rete, partendo dai punti più
a rischio. Ma a tre anni di distanza, esso è sostanzialmente
inapplicato poiché anche nell'ultima legge finanziaria (legge
n. 289 del 2002) non c'è traccia dei fondi necessari a farlo
partire, almeno 650 milioni di euro.
Il discorso economico richiama immediatamente un altro
aspetto: come il Paese impiega i soldi destinati alle
infrastrutture. Di certo lo sviluppo del trasporto
ferroviario, la manutenzione e l'ammodernamento della rete
asfaltata garantirebbero una rapida diminuzione
dell'incidentalità. Ci sono, ad esempio, 26.215 chilometri di
strade statali che hanno la carreggiata troppo stretta,
inferiore agli 8 metri previsti dalle norme, mentre oltre 10
mila chilometri presentano una pavimentazione appena
sufficiente, insufficiente o addirittura completamente
degradata.
Fatto grave è anche il problema della cronica carenza di
organico delle Forze di polizia che effettuano i controlli
sulle strade. Se nel 1960 controllavano il traffico 54 mila
pattuglie per 2 milioni e mezzo circa di veicoli (una
pattuglia ogni 4,5 automobili) oggi la asimmetria, il profondo
squilibrio sono evidenti: ogni pattuglia ha mediamente il
compito di sorvegliare la circolazione di circa 90 veicoli. E
con l'aggravante che, rispetto al 1960, il numero delle
pattuglie non è diminuito solo percentualmente ma anche in
termini assoluti: dalle 545 mila di allora alle 477 mila di
oggi.
Anche le sanzioni comminate sulle strade sono diminuite.
Se nel 1981, con circa 24 milioni di veicoli circolanti, le
violazioni contestate dalla stradale furono 3,5 milioni, nel
2000, con un parco veicoli prossimo ai 42 milioni, sono scese
a 2,6 milioni. Il rapporto tra multe e veicoli è passato dal
14,3 per cento del 1981 al 6 per cento del 2000. Sono
diminuite, è la spontanea domanda retorica, le infrazioni
commesse dagli automobilisti?
In ogni caso a un fenomeno complesso, come è quello
dell'incidentalità stradale, si deve rispondere con una serie
articolata di azioni.
Ecco allora il senso della proposta di legge, che vuole
essere un primo passo verso il raggiungimento dell'obiettivo
fissato dall'Unione europea di dimezzare il numero dei morti
per incidente stradale al 2010, che è frutto anche del
confronto con diverse realtà della società civile quali: la
Fondazione Luigi Gruccione ente morale vittimestrada,
l'Associazione dei familiari e vittime della strada
l'Associazione amici della Polizia stradale, il Centro
Antartide, Legambiente e altre; proposta di legge con la quale
si intende promuovere l'adozione di alcune misure che
permettano di coordinare meglio e di accelerare la capacità di
intervento delle strutture che operano nell'ambito della
sicurezza stradale, che introduce elementi propedeutici al
rispetto di alcune norme fondamentali del codice della strada
(limiti di velocità e cintura di sicurezza prima di tutto) e
che, nello stesso tempo, vuole essere un punto di partenza per
un ripensamento complessivo del sistema dei trasporti
italiano.
Lo squilibrio che vede la stragrande maggioranza degli
spostamenti avvenire su gomma, con una quota residuale
lasciata al ferro e al cabotaggio, ha costituito e costituisce
tuttora un elemento di forte negatività per il nostro Paese
dal punto di vista ambientale, economico e - naturalmente -
anche da quello dell'incidentalità stradale. Un'opera di
ammodernamento del sistema dei trasporti dovrebbe dunque
intervenire sulle "piccole opere" (manutenzione, messa in
sicurezza, riadattamento, rifacimento delle infrastrutture) e
dare nuova linfa alle ferrovie.
Nel dettaglio la proposta di legge presentata prevede
intanto una "Sala unificata", una regia di tutti i soggetti
che si occupano di sicurezza stradale al fine di coordinare
meglio le iniziative per abbattere il rischio di
incidentalità. Un organo che avrà anche il compito, come già
avviene all'estero, di individuare le arterie più critiche, i
punti più a rischio, e indirizzare quindi anche gli interventi
per il miglioramento delle infrastrutture. Alla Sala
unificata, che accoglierà anche rappresentanti delle
associazioni di familiari e vittime della strada,
ambientaliste e dei consumatori, il compito di raccogliere,
con cadenza settimanale, dati sui flussi di traffico e
sull'incidentalità stradale, di elaborarli al fine di
predisporre una carta dei rischi riferita alla rete delle
strade statali, principali e secondarie, e delle autostrade.
Una elaborazione finalizzata al rapido e capillare intervento
da parte delle Forze dell'ordine nell'attività di vigilanza
sul rispetto dei limiti di velocità e di regolazione dei
flussi di traffico, in particolare nei giorni festivi. Questa
task force dovrà inoltre compilare ogni anno, entro il
31 dicembre, l'elenco delle gallerie, delle strade urbane,
delle strade extraurbane e delle autostrade più a rischio di
incidenti stradali così da poter individuare gli interventi
prioritari di manutenzione delle strade più a rischio. Dovrà
individuare, inoltre, nuove modalità d'intervento, anche
mediante l'uso di strumenti ad alta tecnologia, per ridurre il
numero degli incidenti stradali, seguendo, da questo punto di
vista, l'esperienza consolidata di altri Paesi europei (come
l'Inghilterra) o extraeuropei (come l'Australia) dove è prassi
la periodica redazione di un rating del rischio di
incidentalità sulle arterie nazionali.
Naturalmente tra i compiti di questa nuova struttura vi è
anche la realizzazione di campagne di educazione stradale e di
comunicazione sui rischi legati alla violazione delle norme di
comportamento del codice della strada. A proposito di
sensibilizzazione, la proposta di legge prevede, sul modello
francese, l'installazione di sagome nere di forma e dimensione
umane in corrispondenza dei luoghi dove si sono verificati
incidenti mortali al fine di ammonire gli utenti della strada
ad una maggiore prudenza.
La proposta di legge si sofferma poi sulle auto:
suggerisce un dispositivo che consenta l'accensione della
vettura solo con la cintura di sicurezza allacciata e
l'installazione di un limitatore di velocità regolabile dal
proprietario, interviene sulla patente a punti e su alcune
sanzioni particolari che dovrebbero costare di più agli
indisciplinati. Infine richiede un finanziamento di 200
milioni di euro l'anno per l'attività della Polizia stradale e
dell'Arma dei carabinieri in materia di prevenzione, di
vigilanza e repressione delle infrazioni al codice della
strada, per l'incremento del numero delle pattuglie su strada,
per l'acquisto di dispositivi tecnici per l'accertamento di
determinate infrazioni, per il completamento della pianta
organica e per la formazione e l'aggiornamento professionali
degli addetti.