XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 4067




        Onorevoli Colleghi! - La proposta di legge prende atto del vuoto legislativo aperto dalle ultime decisioni della magistratura amministrativa e si propone di colmarlo fornendo i princìpi giuridici di base su cui fondare la corretta normativa per il rilascio, da parte delle autorità competenti, delle autorizzazioni necessarie per la realizzazione delle strutture, destinate all'ormeggio e all'assistenza tecnica e turistica delle unità da diporto, costruite, fuori dall'ambito dei porti (marittimi e delle acque interne), su aree di proprietà privata e con i bacini acquei scavati a secco e successivamente collegati al mare, o alle acque interne, a mezzo di canali artificiali.
        Quando si cominciarono a richiedere le autorizzazioni per queste nuove strutture, l'Amministrazione competente non si pose il problema ritenendo, erroneamente, che ricadessero nella disciplina demaniale sancita dagli articoli 822 del codice civile e 28 e 29 del codice della navigazione. Ritenne, perciò, di poter operare applicando, in base a circolare del Ministero della marina mercantile n. 121 del 28 luglio 1970, successivamente sostituita dalla n. 154 del 24 maggio 1975, la normativa concessoria, prevista dal codice della navigazione per i porti turistici realizzati su aree demaniali.
        Pertanto, malgrado le conclusioni contrarie di una autorevole dottrina (Acquarone, Benvenuti Impallomeni, Romanelli, Tranquilli Leali) e di numerosa giurisprudenza (Corte di cassazione a sezioni unite 2 maggio 1962, n. 849, Corte di cassazione sezione prima 2 giugno 1978, n. 2756 e 14 febbraio 1979, n. 968, tribunale di Venezia sezione prima 16 novembre 1994, n. 3114, tribunale di Bologna 22 marzo 1999, n. 559, Corte di cassazione sezioni unite 5 febbraio 2002, n. 1552), l'Amministrazione continuò a operare in base a queste circolari arrogandosi il potere di dare concessioni su aree private, destinate dal proprietario a ospitare strutture ricettive per il diporto, nell'erroneo convincimento di poterle incamerare, sic et simpliciter, fra i beni demaniali in uno con tutto quanto si andava a realizzare su di esse.
        Solo nel 1998 l'Amministrazione esplicitò formalmente la sua posizione al riguardo con il regolamento di cui al decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione 30 luglio 1998, n. 343: riconobbe il principio generale per cui le aree non demaniali e gli impianti, i manufatti e le opere su di esse edificati conservano la loro natura giuridica preesistente ma, confermando l'erronea interpretazione dell'articolo 28 del codice della navigazione, decretò che questo principio non si applica agli specchi acquei portuali, alle relative sponde e ai canali di comunicazione con il mare.
        Infatti, il comma 1 dell'articolo 5 del citato regolamento di cui al decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione n. 343 del 1998 sancisce il principio per cui le aree non demaniali marittime e gli impianti, i manufatti e le opere sulle stesse edificate, anche se compresi nel perimetro del porto turistico, conservano la loro natura giuridica preesistente, indipendentemente dalle trasformazioni strutturali e funzionali dei luoghi, ma, purtroppo, con il successivo comma 2, contraddicendo se stessa, l'Amministrazione decreta che la previsione del comma 1 non si applica ai canali di comunicazione con il mare, agli specchi acquei portuali e alle relative sponde e, pertanto, queste opere assumono immediatamente la qualificazione demaniale marittima ai sensi dell'articolo 28 del codice della navigazione.
        Questa volta, però, trattandosi non più di circolari ma di un regolamento, i diretti interessati e l'Unione nazionale industrie nautiche ed affini possono ricorrere al tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio e chiedere l'annullamento del comma 2 del citato articolo 5 in quanto l'articolo 28 del codice della navigazione, riferendosi al solo demanio naturale, non può essere utilizzato per le strutture realizzate artificialmente su aree private.
        La sezione III-ter del TAR del Lazio accolse il ricorso e con sentenza n. 1265 del 19 febbraio 2001 annullò il comma contestato.
        Contro questa sentenza, il Ministero dei trasporti e della navigazione interpose appello al Consiglio di Stato che, però, in data 29 ottobre 2002, con sentenza n. 3239 della sezione sesta, respinse il ricorso in quanto:

            1) "Le opere anzidette - che si identificano in pratica nelle darsene costruite "a secco" su aree private, e nei canali di comunicazione con il mare realizzati in funzione delle stesse darsene - non possono essere ricomprese in alcuna delle categorie dei beni del demanio marittimo naturale, così come elencate nell'articolo 28 del codice della navigazione (oltre che nell'articolo 822, primo comma, parte prima, del codice civile), e neppure tra i beni del demanio marittimo artificiale di cui al successivo articolo 29 del codice della navigazione";

            2) "La nozione di porto, cui fa riferimento l'articolo 28 del codice della navigazione, presuppone una realtà che deve esistere naturalmente, e come tale assolvere alla funzione sua propria, anche senza opere di adattamento o perfezionamento, intendendosi con tale nozione il tratto di mare chiuso che per la sua particolare natura fisica è atto al rifugio, all'ancoraggio ed all'attracco delle imbarcazioni provenienti dall'alto mare. In questo contesto è evidente che la darsena costruita a secco su area privata non è assimilabile al porto e non fa parte del demanio marittimo naturale. La demanialità non deriva infatti dall'aver realizzato un bacino mediante lo scavo artificiale del terreno e dalla conseguente utilizzazione dello specchio d'acqua per le necessità dei natanti, ma solo dalla particolare natura fisica di tale specchio d'acqua, e cioè dal fatto che esso costituisce un tratto di mare chiuso.
        Per altro verso, nemmeno è possibile ricomprendere le darsene nel demanio marittimo artificiale, a norma dell'articolo 29 del codice della navigazione, dal momento che "le costruzioni e le altre opere" realizzate "entro i limiti del demanio marittimo" entrano a far parte di detto demanio solo in ragione della loro appartenenza allo Stato";

            3) "Non possono annoverarsi tra i beni del demanio marittimo, secondo il vigente codice delle navigazione, i "canali di comunicazione con il mare" (e "relative sponde") costruiti in funzione della darsena e ciò per la decisiva considerazione che, ai sensi dell'articolo 28, lettera c), del codice della navigazione, sono definiti come demaniali i soli canali "utilizzati ad uso pubblico marittimo", mentre il canale che colleghi al mare una darsena, ove questa sia privata, non assolve certamente ad un uso pubblico".
        Accertato che le strutture realizzate su aree private conservano la loro natura giuridica preesistente, anche dopo essere state artificialmente collegate con il mare o con le acque interne, e che la "nozione di porto", cui fa riferimento l'articolo 28 del codice della navigazione, non si può applicare al nostro caso, risulta fin troppo evidente che il settore delle strutture per la nautica da diporto, di cui trattasi, non rientra in nessuna delle leggi vigenti che regolano la portualità.
        Da queste considerazioni deriva la proposta di legge volta anche ad evitare nuovi equivoci e conflitti di competenze.
        In particolare:

                a) l'articolo 1 specifica le finalità della legge;

                b) ai sensi dell'articolo 2:

                1) l'autorità competente per l'approvazione dei progetti relativi alle strutture di cui all'articolo 1 deve attenersi alla programmazione regionale e a quella eventuale dell'autorità portuale competente;

                2) è prevista una conferenza di servizi qualora siano coinvolti più soggetti pubblici;

                3) per l'esecuzione delle opere sono previsti i regimi del permesso a costruire e quelli contributivi e fiscali;

                4) alle aree e alle opere non si applicano gli articoli 28 e 29 del codice della navigazione e 822 del codice civile;

                c) ai sensi dell'articolo 3 la classificazione delle strutture è stabilita dall'autorità competente;

                d) l'articolo 4 detta norme per regolarizzare la posizione delle strutture e delle concessioni esistenti alla data di entrata in vigore della legge;

                e) l'articolo 5 detta norme sul canale di collegamento della darsena privata al mare o alle acque interne. Nessun problema per le quote di aree demaniali impegnate dal canale di collegamento. Sono già di competenza regionale e pertanto non è necessario seguire le procedure previste dagli articoli 34 del codice della navigazione e 36 del regolamento per l'esecuzione del codice della navigazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 1952;

                f) l'articolo 6 tratta i poteri di vigilanza e di polizia sui bacini acquei delle strutture;

                g) l'articolo 7 reca norme transitorie e prevede l'adozione del regolamento di attuazione della legge.




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