XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 3964
Onorevoli Colleghi! - Il 12 maggio del 1977 a Roma,
mentre era in corso la campagna per la raccolta delle firme
per i referendum promossi, ai sensi dell'articolo 75
della Costituzione, dal partito radicale, verso le ore 20 fu
uccisa, all'imbocco del ponte Garibaldi, Giorgiana Masi e
furono feriti Elena Ascione e il carabiniere Francesco
Ruggiero. Giorgiana cadde, colpita alla schiena, da un
proiettile calibro 22 che le trapassò la vertebra, mentre
fuggiva ad una carica della polizia.
Volgeva la schiena al ponte, alle Forze di polizia che
avanzavano. Nel corso della stessa giornata, fin dalle ore 13,
altre decine di cittadini, tra cui alcuni parlamentari, furono
malmenati, colpiti e feriti dalla polizia che non denunciò
invece alcun ferito fra gli agenti.
I 1.500 uomini della Polizia, dei Carabinieri, della
Guardia di finanza, della squadra mobile, avevano ricevuto
l'ordine non solo d'impedire lo svolgimento della "festa" a
piazza Navona e della raccolta delle sottoscrizioni ai
referendum radicali, ma di coinvolgere tutto il centro
storico di Roma, con un impressionante e sproporzionato
impiego di forze, nella caccia di chiunque, "manifestante" o
passante che circolasse a piedi, potesse essere sospettato di
avere intenzione di recarsi a piazza Navona.
In quelle circostanze la polizia fece largo uso delle armi
da fuoco, degli artifici lacrimogeni sparati ad altezza
d'uomo, degli altri mezzi di coercizione, degli agenti in
borghese travestiti da "autonomi" con bavagli, armi improprie
e pistole non d'ordinanza.
L'imprevisto comportamento sostanzialmente passivo dei
"manifestanti" e dei passanti, il copioso materiale
fotografico e cinematografico realizzato dai giornalisti che
erano stati convocati per ben altra rappresentazione, ha
consentito all'opinione pubblica, o almeno ad una parte di
essa, di partecipare indirettamente a quello che, secondo i
programmi dei registi, doveva essere un bagno di sangue, una
ritorsione per l'assassinio dell'allievo Passamonti e una
vittoria della maggioranza d'ordine contro gli oppositori
"sanguinari" e "violenti".
Il risultato di questa "brillante" operazione di guerra fu
la privazione della vita ad una giovane, inerme, ragazza di 18
anni; la rabbia e la disperazione imposta anche a chi non
voleva accettare la logica della vendetta; la riduzione dello
spazio politico esclusivamente al confronto fra forze di
regime e partito armato. Poi l'indecoroso comportamento di un
Ministro della Repubblica costretto, davanti alle prove
fornite quotidianamente dalla stampa, a smentire giorno dopo
giorno le notizie che era costretto a riferire persino al
Parlamento: i "manifestanti" avevano aggredito la polizia; non
c'erano agenti in borghese infiltrati tra i manifestanti; non
erano armati; non avevano le P.38; non avevano sparato
(...).
A tre anni da quella data la magistratura, che aveva
avviato due inchieste su quegli avvenimenti, una relativa
all'assassinio di Giorgiana Masi e al ferimento di Elena
Ascione e Francesco Ruggiero, l'altra sul comportamento delle
Forze dell'ordine nelle fasi precedenti a questi fatti,
rinunciò ad individuare qualsiasi responsabilità, dopo avere
omesso in quegli anni di avviare qualsiasi indagine
significativa sui fatti denunciati. Nonostante il copioso
materiale messo a disposizione dalla parte civile
(cinquantacinque testimonianze, centinaia di fotografie, due
filmati, perizie balistiche), dagli atti istruttori depositati
emerge un fatto inquietante: i magistrati inquirenti si
limitarono praticamente a formalizzare alcune di tali prove, a
raccogliere dichiarazioni, nella maggioranza rese per
iscritto, da parte dei funzionari e degli ufficiali che
avevano diretto le operazioni del 12 maggio 1977, senza
neppure interrogare il questore di Roma e gli estensori di
questi mattinali così burocraticamente simili.
I massimi livelli d'indifferenza, se non di spudoratezza,
furono raggiunti nella mancata identificazione degli agenti
ripresi nei filmati e nelle fotografie mentre facevano uso
delle armi, nella mancata individuazione dei responsabili
delle false dichiarazioni rese alla stampa, in Parlamento e
alla magistratura circa l'uso delle armi, nel rifiuto di
procedere alle perizie richieste per determinare con
precisione l'arma, il proiettile, la distanza dalla quale era
stato sparato, la dinamica dell'assassinio. Ma nonostante la
gravità dei fatti appena accennati, che hanno trovato ampia
documentazione sui giornali e su "libri bianchi", il ricorso
allo strumento parlamentare dell'inchiesta apparirebbe solo
parzialmente giustificato se non concorressero altri motivi
che configurano invece, pienamente, il "pubblico interesse",
richiesto dall'articolo 82 della Costituzione,
nell'accertamento autonomo da parte del Parlamento delle gravi
responsabilità del Governo, dell'amministrazione, della
magistratura non solo in relazione ai comportamenti messi in
atto nel corso della strage del 12 maggio 1977, ma anche agli
eventi che hanno preceduto, giustificato e seguito quella
tragica giornata. E non ci si riferisce solamente a quei
comportamenti che evidenziano emblematicamente l'uso distorto
e illegittimo della polizia e delle armi da fuoco: l'effetto
criminogeno delle norme fasciste del testo unico di pubblica
sicurezza a cui si appellò il prefetto di Roma o quello della
legge "Reale", la "resistenza" della magistratura nelle
indagini che coinvolgono la responsabilità delle Forze di
polizia e del Governo.
Il questore di Roma è stato rimosso ma, evidentemente, i
promotori di questo disegno cinico quanto criminale devono
essere ricercati non solo nella questura di Roma, ma ben più
in alto, nei centri di potere e di direzione dello Stato.
Inoltre, le dichiarazioni fatte dall'ex Capo di stato ed
allora Ministro dell'interno, Francesco Cossiga, durante
un'intervista in una famosa trasmissione televisiva ("Report")
andata in onda il 27 aprile 2003 hanno riaperto questa pagina
fondamentale della storia degli anni '70. Egli ha affermato di
sapere cose sulle stragi evitate, sulle responsabilità
dell'assassinio di Giorgiana Masi e sulla gestione democratica
dell'ordine pubblico in Italia. Ha anche aggiunto che in
merito alla morte della giovane egli ha "un segreto che non
confesserebbe neppure se chiamato dalla magistratura".
L'inchiesta parlamentare su questi fatti presenterebbe,
inoltre, non solo i caratteri di una "inchiesta politica" ma
anche quelli di una "inchiesta legislativa" che possa
accertare e definire i presupposti di una legislazione futura,
anche abrogativa, atta ad impedire quei comportamenti
anticostituzionali, quelle omissioni che, sotto le più diverse
specie, sono stati rappresentati in quella vicenda.
E' evidente, del resto, che le responsabilità che possono
configurarsi potrebbero raggiungere livelli ai quali dovrebbe
fermarsi l'iniziativa della magistratura non solo e tanto per
le funzioni dei possibili "imputati" ma per il carattere
politico delle responsabilità.
Di qui l'iniziativa di una inchiesta che affronti gli
eventi del 12 maggio 1977, quelli che li hanno preceduti e
seguiti, sotto ogni aspetto e che rappresenti anche, per gli
altri poteri dello Stato, uno stimolo a comportamenti
adeguati. E' forse il caso di aggiungere che la Camera dei
deputati ha già avuto modo, in varie occasioni nella VII
legislatura, di affrontare questi problemi e di rendersi conto
dell'ampiezza delle responsabilità politiche che sono
coinvolte dai fatti del 12 maggio 1977.
La Commissione parlamentare di inchiesta dovrebbe quindi
affrontare principalmente i seguenti problemi relativi ai
fatti del 12 maggio 1977: 1) la legittimità del provvedimento
del prefetto di Roma con il quale si sono vietate, per un
periodo di circa due mesi, tutte le manifestazioni nella
Capitale; la compatibilità delle norme di pubblica sicurezza
con il dettato dell'articolo 17 della Costituzione; le
responsabilità politiche in relazione a tale divieto; 2)
individuazione delle ragioni che determinarono la decisione di
mantenere il divieto per la manifestazione di piazza Navona,
in considerazione della finalità che aveva in attuazione di un
istituto costituzionale, anche quando gli organizzatori
avevano annunciato di rinunciare ai comizi e di volersi
limitare a svolgere una "festa" musicale e a raccogliere le
sottoscrizioni referendarie; le ragioni della mancata presa in
considerazione della richiesta da parte dei segretari
nazionali delle tre confederazioni sindacali e del presidente
del gruppo socialista alla Camera dei deputati di autorizzare
almeno la "festa" e comunque di essere ricevuti per
scongiurare la tragedia che si annunciava; 3) individuazione
delle eventuali pressioni politiche realizzate al fine di
danneggiare il partito radicale e l'iniziativa referendaria
che in quei giorni si avvicinava al traguardo delle 500 mila
firme, attraverso un piano di provocazione politica e
poliziesca; 4) accertamento delle responsabilità di chi, sin
dalle ore 13, aveva diffuso tra le forze dell'ordine la
notizia del ferimento di alcuni poliziotti da parte dei
"manifestanti"; di chi aveva dato l'ordine della prima carica
contro pacifici passanti a piazza San Pantaleo; di chi aveva
dato l'ordine, attraverso la radio in dotazione della polizia,
di fare uso delle armi, come risulta dalla registrazione dei
colloqui intercorsi tra la questura e i responsabili di
settore; 5) accertamento delle responsabilità di chi aveva
disposto l'uso di agenti "travestiti" da "autonomi", che
imbavagliati, con mazze di ferro, con pistole non di ordinanza
hanno creato tra i poliziotti e i cittadini un clima di
terrore e panico provocando reazioni sproporzionate da parte
delle Forze di polizia e l'uso generalizzato delle armi contro
gruppi di persone inermi; 6) valutazione, anche alla luce
delle disposizioni generali di polizia, dell'intero
comportamento e dei movimenti dei reparti di polizia nel corso
dell'intera giornata; 7) valutazione dell'attendibilità delle
verifiche fatte sulle armi di ordinanza, anche alla luce delle
prove presentate dalla parte civile e che smentiscono le
dichiarazioni di Ministri e questori circa il mancato uso
delle armi da fuoco nel corso della giornata; 8)
individuazione dei responsabili delle dichiarazioni rese dal
Ministro dell'interno, nei giorni successivi al 12 maggio, sia
sulla stampa sia in Parlamento, che non corrispondevano a
verità in seguito emerse e che solo parzialmente furono
rettificate; 9) individuazione delle eventuali responsabilità
della magistratura non solo in ordine alla mancata ricerca dei
responsabili della morte di Giorgiana Masi ma anche per
l'omessa individuazione e incriminazione dei responsabili
delle numerose azioni delittuose che furono realizzate nel
corso dell'intera giornata da parte delle Forze dell'ordine;
10) censimento delle armi non di ordinanza possedute
singolarmente da appartenenti alle Forze dell'ordine o alle
scuole di polizia e dei carabinieri; 11) accertamento della
esistenza o meno di altri documenti e dati, in possesso
dell'Esecutivo, che non fossero stati rimessi alla
magistratura, in ordine allo schieramento delle Forze di
polizia, agli ordini di servizio, ai rapporti dei reparti
operanti, nonché ai dati forniti al Ministro dell'interno ai
fini delle sue dichiarazioni in Parlamento. Con la presente
proposta di legge, adempiendo all'impegno preso non solo nei
confronti della famiglia di Giorgiana Masi ma di tutti i
sinceri democratici, si intende fornire a tutti i parlamentari
di ogni gruppo politico una occasione per l'accertamento della
verità su di una vicenda che ha gravemente inquinato la vita
politica italiana e provocato conseguenze laceranti nel
tessuto sociale del Paese, nella convinzione che solo su
questi presupposti di certezza e di chiarezza gli istituti
costituzionali della Repubblica possano affrontare
positivamente gli attacchi e i tentativi di screditamento che
sono messi in atto con allarmante violenza e determinazione da
forze interne ed esterne dello Stato.