XIV LEGISLATURA

RELAZIONE - N. 3890 - 1160 - 2574-A




        Onorevoli Colleghi! - "Una legge sul procedimento amministrativo serve alla salvaguardia dello Stato di diritto nell'esecuzione della legge, all'emanazione concreta e razionale di decisioni materialmente corrette da parte della pubblica amministrazione, all'ordinata partecipazione di coloro che vengono colpiti dall'azione amministrativa, alla preparazione della decisione", questo era il pensiero di un noto giurista tedesco riportato durante l'esame di quella che poi divenne la legge n. 241 del 1990. Il presente provvedimento, a distanza di tredici anni dall'entrata in vigore di questa fondamentale legge, si propone di completare ed integrare la suddetta legge alla luce della esperienza applicativa di questi anni e per compiere ulteriori passi verso l'obiettivo che aveva ispirato il legislatore del 1990. L'obiettivo è quello di instaurare un rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione sempre più ispirato da principi di efficienza, economicità ed imparzialità; un rapporto cioè che pur partendo dalla consapevolezza del peculiare interesse che la pubblica amministrazione deve perseguire nel suo agire si avvicini sempre più ad un modello paritario dei rapporti tra cittadini ed amministrazioni.
        E' significativo che il presente provvedimento, analogamente a quanto avvenne in occasione dell'approvazione della legge n. 241, sia all'esame del Parlamento nello stesso momento in cui si discute nelle medesime Aule della esigenza di modifiche costituzionali tese, in linea di principio, a rendere più efficienti le istituzioni anche attraverso un nuovo assetto dei rapporti tra gli organi costituzionali. Non può infatti non condividersi ancora la tesi esposta dall'allora Presidente della I Commissione Affari costituzionali, che al momento della approvazione della legge n. 241 affermò che la democrazia politica si rinvigorisce anche e soprattutto attraverso questo tipo di interventi legislativi oltre che mediante le riforme dei "rami alti" del sistema costituzionale. Un corretto e trasparente rapporto tra la pubblica amministrazione ed i cittadini è un problema infatti di democrazia politica, non meno fondamentale della riforma del bicameralismo, della forma di governo o delle leggi elettorali.
        Il testo del disegno di legge del Governo, approvato con modificazioni dal Senato, da cui trae origine il testo ora all'esame dell'Assemblea riprende a sua volta la impostazione contenuta nel progetto di legge n. 6844 approvato dalla Camera nel corso della XIII legislatura con voto quasi unanime ma successivamente decaduto, una volta trasmesso al Senato, per la fine della legislatura; è anche il frutto di un lavoro di critica, approfondimento e sistemazione effettuato dalla Commissione per l'esame di iniziative legislative in tema di attività amministrativa e tutela del cittadino, costituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 luglio 2001 e presieduta dal Ministro per la funzione pubblica, di cui fa parte anche il prof. Vincenzo Cerulli Irelli già presentatore della proposta di legge n. 6844 nel corso della XIII legislatura.
        La I Commissione ha dedicato all'esame del provvedimento un approfondito e attento lavoro istruttorio consistente in sette sedute in sede referente e cinque riunioni del comitato ristretto; la Commissione, con lo svolgimento di una serie di audizioni informali, ha aperto anche un proficuo confronto e dialogo con il mondo accademico e con esponenti della magistratura amministrativa che ha dato la possibilità alla Commissione stessa di apportare modifiche significative rispetto al testo trasmesso dal Senato pur mantenendo la condivisione sull'impianto generale e sui principi di fondo dell'intervento normativo.
        I tratti essenziali caratterizzanti il testo esaminato dalle Camere nella 13^ legislatura sono confermati dal presente provvedimento: il richiamo al principio di legalità sul quale si fonda tutta l'azione amministrativa; il riconoscimento della possibilità per le pubbliche amministrazioni di utilizzare gli strumenti di diritto privato, anche nel perseguimento dei propri fini istituzionali; la compressione dell'area delle invalidità giuridiche degli atti amministrativi mediante l'individuazione di vizi a carattere meramente formale non invalidanti.
        Il provvedimento è completato da modifiche che incidono sull'istituto della conferenza di servizi e sul diritto all'accesso ai documenti amministrativi e da una norma relativa all'ambito di applicazione delle disposizioni della legge n. 241 del 1990 alla luce del nuovo titolo V della Parte seconda della Costituzione.
        Venendo alla illustrazione puntuale del contenuto del provvedimento non si può non rilevare come la modifica proposta dall'articolo 1 del provvedimento in esame all'articolo 1 della legge n. 241 del 1990 disveli il filo conduttore del complessivo intervento normativo che si propone. L'intervento riformatore, infatti, intende rispettare l'impianto originario della legge n. 241, apportando ad esso quelle correzioni e integrazioni la cui necessità si è resa evidente, secondo le elaborazioni dottrinarie e giurisprudenziali nei tredici anni dalla sua applicazione. Ciò anche al fine di adeguarne il contenuto alle innovazioni del sistema costituzionale e normativo nel frattempo intercorse
        Già con le modifiche introdotte dall'articolo 1 si manifesta quindi la filosofia di fondo della riforma, che intende definire principi e norme generali ulteriori sull'attività amministrativa per favorire un rapporto sempre più paritario e garantistico fra cittadini e amministrazione.
        Il comma 1, lett. a), dell'articolo in oggetto, riformula infatti il comma 1 dell'articolo 1 della legge n. 241 del 1990 prevedendo una riscrittura dei principi generali dell'attività amministrativa ivi enunciati, con lo scopo di arricchirne il catalogo nel senso della continuità di principio.
        Ferma restando l'affermazione del principio di legalità ("L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge"), ai "criteri di economicità, efficacia e di pubblicità", che reggono l'azione amministrativa ai sensi del vigente comma 1, viene aggiunta, unitamente ai princìpi del diritto comunitario, la "trasparenza", che, come è stato chiarito durante le audizioni, è principio diverso dalla pubblicità ed è la base per un corretto rapporto con il cittadino, in grado di determinare una diminuzione il tasso di contenzioso.
        Durante l'esame in Commissione si è deciso di non allargare ulteriormente il catalogo dei principi espressamente richiamati nell'articolo 1 della legge n. 241, come era invece previsto anche nel testo approvato dal Senato, non perché non se ne condivida il contenuto, bensì perchè si è ritenuto che nell'articolo 1 di una legge fondamentale come la n. 241 del 1990 si debba privilegiare la sintesi e perché molti dei principi che ci si proponeva di elencare espressamente sono già contenuti indirettamente mediante il richiamo ai principi dell'ordinamento comunitario.
        Si ricorda, in proposito, che il generico richiamo recato nella novella ai princìpi del diritto comunitario, quale fonte di disciplina dell'azione amministrativa, è già contenuto nella legge n. 59 del 1997 che prevede, all'articolo 20, tra i princìpi informatori dell'ampia attività di delegificazione e semplificazione di procedimenti amministrativi ivi preconizzata, anche "l'adeguamento della disciplina sostanziale e procedimentale dell'attività e degli atti amministrativi ai princìpi della normativa comunitaria".
        Rilevante dal punto di vista sistematico-ordinamentale è il comma 1, lett. b), che aggiunge un comma 1-bis all'articolo 1 della legge n. 241 del 1990.
        Il nuovo comma 1-bis introduce il principio generale secondo cui la pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, può agire secondo le norme del diritto privato quando la legge non disponga altrimenti
        Si tratta del riconoscimento normativo della possibilità che le amministrazioni pubbliche operino attraverso gli strumenti del diritto privato anche nel perseguimento dei propri fini istituzionali, consistenti nella cura concreta degli interessi pubblici ad esse affidati dalla legge.
        La nuova disposizione non incide, pertanto, sulla natura della funzione amministrativa - che rimane finalizzata al miglior perseguimento dell'interesse pubblico - ma soltanto sulla sua forma, che si potrà esprimere, quando non è richiesta necessariamente l'adozione di atti di natura autoritativa, attraverso i moduli dell'agire consensuale, pur restando assoggettata ai principi di carattere pubblicistico enunciati nel nuovo comma 1 dell'articolo 1, sopra richiamati.
        La disposizione esprime la tendenza dell'ordinamento verso il superamento del dogma che storicamente attribuiva all'Amministrazione il dovere di agire mediante poteri di imperio e atti unilaterali. In tal senso, la riforma si inquadra nelle moderne tendenze di privatizzazione, volte a ridimensionare le connotazioni pubblicistiche dell'amministrare, e si configura non soltanto come una "scelta tecnica", ma anche come una "scelta culturale e istituzionale", volta ad incentivare un modello paritario e non gerarchico nei rapporti tra i cittadini e le amministrazioni. Preme alla Commissione sottolineare tutto ciò anche se dopo un serrato dibattito e confronto si è privilegiata una formulazione della norma diversa da quella approvata al Senato.
        Attraverso l'inserimento di un nuovo comma 1-ter all'articolo 1 della legge n. 241 del 1990 la Commissione intende garantire inoltre che anche i privati che siano preposti all'esercizio di attività amministrative debbano assicurare il rispetto dei principi di cui al comma 1.
        L'articolo 2 interviene in materia di tutela giurisdizionale avverso il silenzio dell'amministrazione, una volta che sia decorso il termine per provvedere stabilito ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 241.
        Attraverso l'inserimento nell'articolo 2, di un nuovo comma 4-bis, la novella stabilisce che, decorso il termine per la conclusione del procedimento amministrativo senza alcuna risposta da parte dell'amministrazione procedente, l'interessato possa ricorrere al tribunale amministrativo regionale, ai sensi dell'articolo 21-bis della legge n. 1034 del 1971, senza bisogno di atto di diffida nei confronti dell'amministrazione inadempiente.
        Con l'articolo 3 si introduce il principio secondo il quale, a fini di efficienza, le pubbliche amministrazioni sono chiamate ad incentivare l'uso della telematica nei rapporti interni tra amministrazioni, e tra amministrazioni e privati, nel rispetto delle forme previste dal vigente testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa.
        L'articolo 4 inserisce al comma 2 dell'articolo 8 della L. 241, dopo la lettera c), due nuove lettere (c-bis e c-ter), con le quali vengono rafforzati gli istituti di partecipazione procedimentale e di trasparenza dell'azione amministrativa già previsti nella legge n. 241.
        La novella stabilisce infatti che, nella comunicazione con cui si dà notizia dell'avvio del procedimento, l'amministrazione indichi anche la data di conclusione dello stesso nonché le conseguenze e i rimedi esperibili dall'interessato in caso di inerzia della medesima amministrazione (lett. c-bis) e, nei casi di procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione dell'istanza (lett. c-ter).
        L'articolo 5, inserito nel corso dell'esame in Commissione, introduce il principio secondo il quale nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, deve comunicare tempestivamente agli interessati i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Gli interessati hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni. Tale disposizione è tesa ad introdurre un istituto procedimentale attraverso il quale ci si propone di limitare il contenzioso tra cittadino e pubblica amministrazione mediante la previsione di un ulteriore canale di comunicazione tra le parti precedente alla decisione finale.
        L'articolo 6 novella l'articolo 11 della legge n. 241, che disciplina il ricorso ad accordi fra amministrazione e soggetti interessati al contenuto del provvedimento amministrativo.
        In particolare si provvede a generalizzare l'uso degli accordi sostitutivi di provvedimenti proponendo, all'articolo 11, comma 1, la soppressione della clausola che prevede che tali accordi possano essere conclusi solo "nei casi previsti dalla legge".
        La disposizione è collegata al principio, sancito all'articolo 1 del presente provvedimento, secondo il quale le amministrazioni pubbliche possono utilizzare gli strumenti del diritto privato qundo che la legge non disponga altrimenti.
        Gli articoli da 7 ad 12 del provvedimento in esame apportano modifiche di rilievo alla disciplina delle conferenze di servizi recata dagli articoli 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990.
        L'articolo 7, composto da un solo comma ripartito in tre lettere, novella in vari punti l'articolo 14 della legge, concernente le ipotesi in cui può o deve essere indetta la conferenza di servizi. Nell'ipotesi (articolo 14, comma 2) in cui l'amministrazione procedente non ottenga il necessario assenso di altre amministrazioni, la conferenza di servizi è indetta dopo 30 giorni dalla data di ricezione della richiesta e non, come prevede il testo vigente, decorsi 15 giorni dall'inizio del procedimento. La conferenza di servizi è altresì indetta qualora sia pervenuto esplicito dissenso da parte dell'amministrazione interpellata.
        I lavori pubblici non sono più soggetti alla specifica disciplina di cui all'articolo 7 della legge n.109 del 1994 (legge quadro sui lavori pubblici). La lettera b) del testo in esame sopprime infatti il rinvio all'articolo 7 citato.
        La conferenza di servizi che riguardi l'affidamento di concessione di lavori pubblici può essere convocata non solo dal concedente ma anche ad istanza del concessionario, fermo restando il consenso del concedente al quale spetta, in ogni caso, il diritto di voto (lettera c).
        L'articolo 8 (diviso in tre lettere) interviene sull'articolo 14-bis della legge n 241 del 1990, che disciplina il ricorso alla conferenza di servizi c.d. "preliminare" per la realizzazione di "progetti di particolare complessità" e di opere pubbliche e di interesse pubblico. La disciplina viene espressamente riferita anche alla realizzazione di insediamenti produttivi (lettera a), n. 1); la richiesta di convocazione della conferenza di servizi deve essere documentata, se non da un progetto preliminare, almeno da uno studio di fattibilità (lettera a), n. 2); tra i c.d. "interessi sensibili" meritevoli di tutela costituzionale, specificamente elencati al comma 2 (tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o della salute), è inserita anche la tutela della pubblica incolumità (lettera b); la particolare procedura prevista nell'ipotesi in cui, in sede di conferenza di servizi, emerga il dissenso delle amministrazioni preposte alla tutela degli "interessi sensibili", è estesa alla conferenza preliminare. Su questo ultimo aspetto, pur mantenendo delle perplessità di fondo sull'estensione di tale procedura anche alle ipotesi di conferenza di servizi preliminare, la Commissione, modificando il testo approvato dal Senato, ha ritenuto opportuno prevedere la sua applicazione non solo per l'ipotesi di dissenso espresso dall'amministrazione preposta alla tutela della pubblica incolumità, con riferimento alle opere interregionali, ma anche al dissenso espresso da quelle altre amministrazioni preposte alla tutela di tutti gli altri interessi sensibili previsti dalla normativa generale in tema di conferenza di servizi (lettera c).
        Le modificazioni apportate dall'articolo 9 (suddiviso in otto lettere) all'articolo 14-ter della legge n. 241 del 1990 rispondono principalmente a finalità di snellimento procedurale: sono abbreviati o ridefiniti infatti alcuni termini ed è introdotto un termine per la prima riunione della conferenza di servizi. Di particolare rilievo è il nuovo comma 6-bis introdotto nell'articolo 14-ter, dalla lettera f), ai sensi del quale la determinazione adottata in esito ai lavori della conferenza deve tener conto delle "posizioni prevalenti" espresse in quella sede. Il testo vigente prevede invece che, in caso di dissenso espresso in sede di conferenza di servizi, la determinazione di conclusione del procedimento sia presa "sulla base della maggioranza" delle posizioni emerse.
        L'innovazione è stata motivata con le incertezze interpretative che il computo della maggioranza può determinare in presenza di amministrazioni di diversa natura e dimensione.
        La parziale soppressione operata al comma 7 dalla lettera g) appare finalizzata invece ad obbligare ciascuna delle amministrazioni interessate ad esprimere in via definitiva la propria volontà in sede di conferenza di servizi.
        Per quanto riguarda la lettera h), che riformula il comma 9 dell'articolo 14-ter, la Commissione ha ritenuto, al fine di scongiurare dubbi interpretativi, di preferire rispetto alla formulazione approvata dal Senato secondo la quale il provvedimento finale doveva "tener conto" della determinazione conclusiva della conferenza di servizi, una formulazione più vicina a quella attualmente vigente prevedendo quindi che "il provvedimento finale conforme alla determinazione... sostituisce a tutti gli effetti..."
        L'articolo 10 modifica ed integra in misura rilevante la disciplina recata dall'articolo 14-quater della legge n. 241 del 1990 relativa all'espressione del dissenso da parte di una o più amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi, ed agli effetti di tale dissenso sul procedimento.
        Le innovazioni proposte sono dichiaratamente finalizzate ad integrare l'elenco degli "interessi sensibili costituzionalmente protetti", in relazione ai quali si prevede che la conferenza di servizi non possa superare il motivato dissenso dell'amministrazione preposta alla relativa tutela, e che tale dissenso determini la rimessione della decisione ad altra, superiore istanza; a ridefinire l'individuazione degli organi chiamati ad assumere la determinazione sostitutiva, adeguandola alla nuova ripartizione di competenze tra i diversi livelli di governo introdotta dalla riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione; a coordinare, secondo criteri di snellimento, tempi e modalità delle relative procedure.
        Il testo in esame attribuisce fra l'altro alla Conferenza Stato-regioni ed alla Conferenza unificata competenze decisionali sulle materie in oggetto.
        In caso di dissenso tra amministrazioni regionali, è espressamente fatta salva la possibilità per le regioni di definire modalità diverse per la composizione del dissenso mediante le intese di cui all'articolo 117, ottavo comma della Costituzione. Tale disposizione consente la stipulazione di intese tra regioni, da ratificare con legge regionale, per il migliore esercizio delle rispettive funzioni, anche con individuazione di organi comuni.
        Qualora nelle sedi indicate non si giunga a una deliberazione entro i termini fissati la decisione è rimessa al Consiglio dei ministri o alla competente Giunta regionale (o Giunta delle province autonome di Trento e di Bolzano), a seconda che la questione verta su materia di competenza statale o regionale ai sensi degli articoli 117, secondo comma, e 118 della Costituzione.
        In caso di inerzia da parte delle regioni, la decisione spetta in ultima istanza al Consiglio dei ministri, il quale peraltro delibera con la partecipazione del Presidente della regione interessata. Quest'ultima disposizione costituisce attuazione del potere sostitutivo di cui all'articolo 120 della Costituzione.
        L'articolo 11 introduce nella legge n. 241 del 1990 un nuovo articolo, il 14-quinquies, con il quale viene prevista la partecipazione, senza diritto di voto, alla conferenza di servizi indetta per l'approvazione del progetto definitivo nei casi di cui agli artt. 37-bis e seguenti della legge 11 febbraio 1994, n. 109, anche dei soggetti aggiudicatari di concessione individuati all'esito della procedura di cui all'articolo 37-quater della legge n. 109 del 1994, ovvero delle società di progetto di cui all'articolo 37-quinquies della medesima legge.
        L'articolo in esame dispone quindi una estensione dei partecipanti alla conferenza di servizi. In particolare, oltre ai soggetti che rappresentano i vari interessi pubblici coinvolti, si consente la partecipazione dei soggetti aggiudicatari di concessione ai sensi dell'articolo 37-quater della legge n. 109 del 1994 o delle società di progetto costituite ai sensi del successivo articolo 37-quinquies, cioè di quei soggetti privati che intervengono in una operazione di project financing.
        La disposizione specifica, tuttavia, che tale partecipazione esclude il diritto di voto.
        L'articolo 13 del disegno di legge prevede l'inserimento di un nuovo capo - il IV-bis- nella legge n. 241 del 1990.
        Si tratta di un capo relativo all'efficacia ed invalidità del provvedimento e della revoca e del recesso dai contratti da parte della pubblica amministrazione.
        Il nuovo articolo 21-bis della legge n. 241 del 1990 interviene in materia di efficacia degli atti amministrativi disciplinando il profilo della comunicazione dei provvedimenti.
        Viene prevista la regola secondo la quale gli atti con effetti limitativi della sfera giuridica dei destinatari acquistano efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso. Al fine di tutelare il principio della certezza dell'azione amministrativa, durante l'esame in Commissione, si è previsto comunque che la comunicazione possa essere effettuata anche nelle forme per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile e che qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l'amministrazione possa provvedere mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima. Il provvedimento non avente carattere sanzionatorio può contenere una motivata clausola di immediata efficacia. I provvedimenti cautelari ed urgenti sono immediatamente efficaci.
        La disposizione non incide sulla disciplina dei termini procedimentali che resta quella stabilita dalle leggi e dai regolamenti di settore.
        Si prevede inoltre che per tutti i provvedimenti non aventi carattere sanzionatorio si possa apporre una clausola motivata d'immediata efficacia e che i provvedimenti cautelari ed urgenti siano immediatamente efficaci.
        La disposizione in commento rappresenta un importante rafforzamento del profilo della trasparenza dell'azione amministrativa e degli istituti di difesa del cittadino destinatario di un provvedimento limitativo della sua sfera giuridica.
        Il nuovo articolo 21-ter della legge n. 241 del 1990, introducendo per la prima volta nel nostro ordinamento una disciplina generale della cosiddetta esecutorietà del provvedimento amministrativo, prevede che le pubbliche amministrazioni possano imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti "nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge: si intende, così, ricondurre l'esecutorietà del provvedimento amministrativo al principio di legalità.
        L'esecutorietà del provvedimento amministrativo si sostanzia nel potere dell'Amministrazione di portare ad esecuzione, anche coattivamente e contro la volontà del soggetto passivo, se necessario, i propri provvedimenti senza dover ricorrere al giudice. Si tratta di una manifestazione dell'autotutela dell'amministrazione pubblica, strumentale all'imperatività dello stesso provvedimento amministrativo
        Al comma 1 si specifica - dopo aver sancito in via generale il principio di legalità in tema di esecutorietà - che il provvedimento amministrativo recante obblighi può essere eseguito coattivamente nelle ipotesi e secondo le modalità prevista dalla legge, in presenza di tali condizioni: inottemperanza da parte del soggetto interessato all'obbligo previsto dal provvedimento amministrativo, che deve indicare il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto interessato e previa diffida ad adempiere.
        Il nuovo articolo 21-quater della legge n. 241 del 1990 disciplina, al comma 1, l'esecutività del provvedimento amministrativo, prevedendo che i provvedimenti amministrativi efficaci sono immediatamente eseguiti salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo.
        Al comma 2 è disciplinato l'istituto della sospensione, che riveste carattere eccezionale rispetto alla regola generale dell'immediata esecuzione del provvedimento amministrativo. Si prevede, infatti, la possibilità di sospendere l'efficacia e, quindi, l'esecuzione del provvedimento amministrativo da parte dell'organo che lo ha emanato o di altro organo previsto dalla legge per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario.
        Il termine della sospensione deve essere espressamente indicato nell'atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta ovvero ridotto per sopravvenute esigenze.
        L'articolo 21-quinquies reca la disciplina generale dell'istituto della revoca.
        La revoca è il provvedimento che produce la cessazione definitiva e irreversibile dell'efficacia durevole di un altro provvedimento, fermi restando gli effetti da questo già prodotti: essa opera, pertanto, con efficacia ex nunc.
        Le ragioni di interesse pubblico che sottostanno all'adozione del provvedimento di revoca attengono ad una valutazione di incompatibilità dell'ulteriore efficacia del provvedimento con determinati interessi valutati preminenti dall'Amministrazione.
        Sulla scorta di una consolidata giurisprudenza in materia la disposizione prevede la possibilità di revocare un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole, da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero di altro organo previsto dalla legge, in presenza di una delle seguenti situazioni: sopravvenuti motivi di interesse pubblico; mutamento della situazione di fatto; nuova valutazione dell'interesse pubblico originario. La revoca determina l'inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti: si sancisce, così, l'efficacia ex nunc del provvedimento amministrativo di revoca.
        Nel caso in cui l'adozione del provvedimento di revoca comporti pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, la pubblica amministrazione ha l'obbligo di provvedere all'indennizzo degli stessi. Le controversie in ordine alla determinazione e alla corresponsione dell'indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
        Il nuovo articolo 21-sexies (già contenuto, seppur con formulazione diversa, nell'articolo 1 del provvedimento in esame nel testo approvato dal Senato) prevede che il recesso unilaterale dai contratti da parte della pubblica amministrazione sia ammesso nei soli casi previsti dalla legge o dallo stesso contratto. Rispetto alla formulazione approvata dal Senato si è soppresso il riferimento alle ragioni di interesse pubblico sul presupposto che le stesse debbano essere da un lato insite nella ragione che ha portato la legge a prevedere in capo all'amministrazione un tale potere e dall'altro che sarà la clausola contrattuale a prevedere, se del caso, questo presupposto la cui applicazione in concreto sarà poi eventualmente oggetto di sindacato giurisdizionale.
        La disposizione è volta ad estendere all'attività negoziale dell'amministrazione il principio della stabilità degli obblighi contrattuali, per salvaguardare l'affidamento dei terzi che stipulano contratti con la pubblica amministrazione e assicurare, in tal modo, l'affidabilità del contraente pubblico.
        Sulla delicata questione riferita all'obbligo dell'indennizzo per i casi di recesso unilaterale da parte della pubblica amministrazione, il Governo si è riservato di continuare la riflessione con la Commissione in fase di esame in Assemblea.
        L'articolo 21-septies reca la disciplina della nullità del provvedimento amministrativo.
        L'istituto della nullità non risulta attualmente sancito in via generale da alcuna norma di diritto positivo. L'unica norma di carattere generale espressamente diretta a definire il regime dell'invalidità amministrativa (articolo 26, testo unico delle norme sul Consiglio di Stato, articolo 3 legge istitutiva dei TAR) configura solo un regime di annullabilità e non di nullità.
        La disposizione, introducendo per la prima volta nell'ordinamento la disciplina generale della nullità, prevede, sulla base degli orientamenti prevalenti emersi in sede giurisprudenziale, tale forma di invalidità nei seguenti casi: mancanza degli elementi essenziali del provvedimento amministrativo; difetto assoluto di attribuzione; violazione o elusione del giudicato; espressa previsione della legge.
        Si precisa inoltre che sono deferite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le questioni inerenti la nullità dei provvedimenti amministrativi per violazione o elusione del giudicato.
        L'articolo 21-octies, al comma 1, reca la disciplina dell'annullabilità del provvedimento amministrativo. Su tale disposizione, in particolare, si è svolto un approfondito dibattito durante l'esame in Commissione che ha portato ad approvare alcune sostanziali modifiche rispetto al testo approvato dal Senato.
        Come già accennato, l'unica norma di carattere generale (articolo 26, testo unico delle norme sul Consiglio di Stato, articolo 3 legge istitutiva dei TAR) diretta a definire il regime di invalidità degli atti amministrativi riguarda l'annullabilità. Ai sensi di tale disciplina il provvedimento amministrativo è annullabile per incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere.
        L'incompetenza come vizio di annullabilità è la cosiddetta incompetenza relativa, che si verifica nei casi in cui lo sconfinamento riguardi attribuzioni appartenenti ad un organo facente parte dello stesso settore dell'amministrazione. Restano, pertanto, fuori le ipotesi di incompetenza assoluta o straripamento, con invasione quindi delle potestà pertinenti ad altro ordine di poteri o rami del tutto diversi dell'Amministrazione, rilevanti solo ai fini della nullità.
        Il vizio di violazione di legge ricorre quando sussiste il contrasto tra il provvedimento e la fattispecie normativa, che non riguardi il profilo soggettivo.
        L'eccesso di potere si configura come vizio tipico delle scelte discrezionali della pubblica amministrazione ed è pertanto estraneo all'attività amministrativa vincolata. Nato, inizialmente, come caso di incompetenza particolarmente grave, uno straripamento di potere (esercizio di un potere spettante ad autorità totalmente diversa da quella che l'esercita), l'eccesso di potere è stato successivamente interpretato dalla giurisprudenza amministrativa come sviamento di potere, come esercizio scorretto della discrezionalità, che si configura laddove la pubblica amministrazione abbia esercitato un suo potere per un fine diverso da quello tipico.
        Il vizio non si esaurisce solo nella figura dello sviamento di potere, che ha rappresentato il punto di partenza di una complessa evoluzione giurisprudenziale che ha portato all'elaborazione delle cosiddette figure sintomatiche dell'eccesso di potere (contradditorietà, disparità di trattamento, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, illogicità ecc.) in base ad un percorso logico di questo tipo: se nell'iter seguito dalla Pubblica Amministrazione si evidenziano lacune e quindi si ravvisano elementi di illogicità, irragionevolezza, incoerenza, si può ritenere sussistente il vizio dell'eccesso di potere.
        La disposizione approvata dal Senato prevedeva l'annullabilità del provvedimento amministrativo nei casi di violazione di norme imperative e di eccesso di potere.
        Pertanto alla vecchia tripartizione (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) si sostituiva la bipartizione suddetta i cui elementi innovativi erano da individuare nella eliminazione dell'incompetenza come vizio autonomo, stante che essa sarebbe potuta continuare a rilevare nei limiti in cui avesse integrato una fattispecie di violazione di norme imperative e nella limitazione della fattispecie della violazione di legge solo ai casi di violazione di norme imperative. La previsione che di fatto prevedeva che solo la violazione di leggi e regolamenti attributivi della competenza degli organi amministrativi sarebbe stata fonte di illegittimità avrebbe comportato, inoltre, che la violazione di disposizioni generali a carattere non regolamentari con le quali è espressamente previsto dalla legislazione vigente (articolo 17, comma 4-bis, lettera e), della legge n. 400 del 1988) che si possa ripartire competenze amministrative sarebbe stata ininfluente.
        I dubbi interpretativi inoltre che avrebbe portato con sé la dizione "norme imperative" (utilizzata tra l'altro nel codice civile per i casi di nullità e non di annullabilità dei contratti) hanno indotto la Commissione a privilegiare la consolidata tripartizione (che si coordina perfettamente con le dizioni utilizzate nelle disposizioni vigenti sopracitate in tema di giustizia amministrativa) dei vizi del provvedimento che conducono alla annullabilità del provvedimento. La Commissione ha poi sottolineato che la dizione "violazione di legge" deve intendersi, conformemente a quanto afferma la giurisprudenza, in senso lato, comprendendo tutti gli atti di normazione (primaria, secondaria e comunitaria).
        Al comma 2 si introduce il concetto proprio di altri ordinamenti (Spagna e Germania) in base al quale le violazioni di norme sul procedimento o sulla forma degli atti amministrativi non danno luogo ad annullabilità del provvedimento qualora per la natura vincolata del provvedimento sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Si prevede inoltre, nel senso già indicato da una parte della giurisprudenza, che il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
        Si sancisce così sul piano del diritto positivo l'istituto dell'irregolarità, relativo alla violazione di norme procedimentali o comunque di regole di corretta redazione degli atti, prescriventi adempimenti di carattere formale, o comunque marginali rispetto al contenuto e alle finalità del provvedimento finale.
        Alla base di tale previsione vi è la convinzione secondo cui l'illegittimità "formale" assume rilievo, ai fini dell'annullamento, solo quando essa riverbera i propri effetti, diretti o indiretti, sul contenuto del provvedimento.
        Come sopra ricordato, l'istituto dell'irregolarità non è attualmente previsto da alcuna disposizione normativa; si tratta di un istituto di elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria. La giurisprudenza e la dottrina prevalenti ritengono, infatti, che esistano anormalità, nel senso di difformità dello schema normativo, di minima rilevanza, tali da non dare luogo ad invalidità dei provvedimenti amministrativi, poiché l'interesse pubblico non ne risulta leso.
        Il nuovo articolo 21-nonies della legge n. 241 del 1990 disciplina gli istituti dell'annullamento d'ufficio e della convalida degli provvedimenti amministrativi annullabili.
        L'annullamento d'ufficio consiste nell'eliminazione del provvedimento amministrativo illegittimo. Nell'ordinamento vigente non si riscontra alcuna norma che preveda un potere di carattere generale di tal tipo: la sussistenza di tale potere in capo ad ogni autorità amministrativa è generalmente riconosciuta da una tradizione giurisprudenziale pacifica e consolidata. L'annullamento non presuppone solo lo stato di annullabilità del provvedimento oggetto del riesame, essendo altresì necessaria una congrua e puntuale motivazione sull'interesse pubblico concreto ed attuale all'eliminazione del provvedimento illegittimo. Connessa alla sussistenza di una ragione specifica di interessa pubblico è la questione del "fattore tempo": secondo la giurisprudenza, non esistono termini perentori che circoscrivano nel tempo il potere di annullamento della pubblica amministrazione, essendo solo sufficiente che quest'ultimo sia esercitato in ragionevole collegamento logico e causale con la situazione illegittima da rimuovere, per cui l'eccessivo decorso del tempo può determinare l'illegittimità dell'annullamento d'ufficio.
        La disposizione precisa che il provvedimento illegittimo ai sensi del precedente articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio dall'organo che lo ha emanato o da altro organo previsto dalla legge qualora sussistano le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole. Nel corso dell'esame in Commissione si è deciso di eliminare, anche alla luce della tradizione giurisprudenziale sopra citata, il limite dei due anni per la pubblica amministrazione per addivenire all'annullamento.
        Il comma 2 del medesimo articolo reca la disciplina della convalida del provvedimento annullabile.
        La convalida è il provvedimento amministrativo di riesame diretto alla rimozione del vizio di cui un precedente provvedimento - che ne costituisce oggetto - risulta affetto. Esso ha come scopo quello di sanare i vizi dell'atto precedente, che resta comunque l'atto di esercizio del potere sostanziale. La convalida produce, pertanto, effetti retroattivi: gli effetti sostanziali restano però quelli decorrenti dall'atto convalidato. Il vizio la cui presenza dà luogo a convalida deve essere per sua natura rimuovibile, e perciò attinente alla competenza, alla procedura, ferma restando la sostanza del provvedimento, il cui contenuto dispositivo si suppone risulti conforme alla legge e all'interesse pubblico.
        La disposizione prevede la possibilità di convalida in presenza di ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
        Gli articoli 14, 15 e 16 del provvedimento in esame modificano il Capo V della legge. n. 241 del 1990 (artt. 22-27), nel quale sono dettati i principi generali in materia di accesso ai documenti amministrativi da parte dei cittadini.
        L'articolo 14, sostituisce integralmente l'articolo 22 della legge n. 241 prevedendo al comma 1 secondo una tecnica redazionale derivata dai testi normativi comunitari e divenuta ormai abituale, la definizione dei termini principali contenuti nel Capo V della legge n. 241. Il comma 1 si articola in cinque lettere.
        La lettera a) definisce il "diritto di accesso" facendo riferimento al diritto, riconosciuto ai soggetti interessati, di prendere visione dei documenti amministrativi e di ottenerne copia. La lettera b) individua l'ambito soggettivo attivo del diritto di accesso, designando come titolari del diritto tutti i privati, ricomprendendo tra essi anche i portatori di interessi pubblici o diffusi (quali le associazioni, i comitati, ecc.), i quali comprovino di avere un interesse diretto, concreto e attuale, che corrisponda ad una situazione giuridicamente tutelata, la quale sia connessa al documento al quale si richiede l'accesso.
        I concetti richiamati nella disposizione in esame richiamano quelli già precisati dalla giurisprudenza amministrativa.
        La lettera c) individua i soggetti "controinteressati" nei soggetti terzi che hanno interesse alla riservatezza dei documenti richiesti con la domanda di accesso.
        La lettera d) definisce l'oggetto del diritto di accesso, indicando i supporti materiali utilizzati per rappresentare gli atti della pubblica amministrazione ("documenti amministrativi") o comunque inerenti ad un procedimento amministrativo.
        La disposizione riprende, ampliandola, la formulazione già contenuta nel vigente articolo 22, comma 2, della legge n. 241. In particolare, la nuova accezione del termine ricomprende anche gli atti che non sono relativi ad un procedimento specifico; quelli che sono comunque "detenuti", e non solo formati, come è attualmente previsto, da una pubblica amministrazione, e che si riferiscono ad attività di pubblico interesse, prescindendo dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale. L'ampia formulazione della norma comprende, in attuazione della più recente giurisprudenza in materia, nella nozione di documento amministrativo anche gli atti formati dai soggetti privati, purché significativamente collegati con lo svolgimento dell'attività amministrativa. La lettera e) enuclea i soggetti nei confronti dei quali (i soggetti passivi) può essere esercitato il diritto di accesso: oltre ai soggetti di diritto pubblico, sono quelli che svolgano un'attività di pubblico interesse regolamentata dalla normativa nazionale o comunitaria.
        Ai sensi del comma 2, il principio dell'accessibilità ai documenti amministrativi è elevato, in ragione delle sue finalità di interesse pubblico generale, a principio generale dell'attività amministrativa ed è ricondotto tra i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che, in base all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, spetta alla potestà legislativa esclusiva dello Stato garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale.
        La disposizione, che è volta ad adeguare la disciplina del diritto di accesso alle modifiche costituzionali intervenute con la revisione del Titolo V della Costituzione, fa comunque salva la potestà delle regioni e degli enti locali di garantire livelli ulteriori di tutela nell'ambito delle rispettive competenze e dell'esercizio dei propri poteri normativi.
        L'esercizio del diritto di accesso è circoscritto, dal comma 4, alle sole informazioni contenute in documenti amministrativi, con espressa esclusione di quelle che non rivestono la forma di documento.
        I soggetti pubblici, secondo quanto stabilisce il comma 5, si devono attenere al principio di leale collaborazione tra le istituzioni quando procedono all'acquisizione di documenti in possesso di pubbliche amministrazioni.
        Viene posta comunque una eccezione a tale principio nel caso in cui una pubblica amministrazione o un gestore di pubblico servizio consulti direttamente gli archivi di una amministrazione certificante, per procedere all'accertamento d'ufficio di stati, qualità e fatti, oppure al controllo sulle dichiarazioni sostitutive presentate dai cittadini.
        Il comma 6 infine introduce un limite temporale, oltre a quello dettato dal comma 4, all'esercizio del diritto di accesso, stabilendo che può essere avanzata richiesta di visione o copia degli atti amministrativi fino al momento in cui l'amministrazione è obbligata a conservare gli stessi.
        L'articolo 15, sostituisce integralmente l'articolo 24 della legge n. 241, con cui sono dettati i casi di esclusione del diritto di accesso. Il comma 1 del nuovo articolo 24 stabilisce una serie di limitazioni all'esercizio del diritto di accesso in relazione ad esigenze di segreto o di riservatezza concernenti determinati documenti amministrativi, poste sia nell'interesse pubblico sia nell'interesse di terzi.
        Il comma 4, su cui il Governo si è riservato per l'esame in Assemblea di proporre una formulazione più chiara, stabilisce un ulteriore principio di carattere generale tendente ad assicurare il massimo di accessibilità ai documenti amministrativi: secondo tale principio, nei casi in cui sia sufficiente, per potere salvaguardare eventualmente le esigenze di riservatezza, differire l'accesso ai documenti, l'amministrazione deve comunque assicurare l'esercizio del diritto di accesso. Tale principio, già contenuto nell'articolo 8, comma 3, del regolamento di attuazione della legge 241, viene pertanto ad essere legificato.
        Il comma 6 autorizza il Governo ad adottare un regolamento di delegificazione per disciplinare i casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi al fine di salvaguardare i valori, alcuni di rilievo costituzionale, indicati dai criteri direttivi posti dal comma in esame.
        La tutela della riservatezza dei dati, stabilisce il comma 7, deve comunque garantire, agli interessati che lo richiedono, l'accesso ai documenti relativi ai procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per l'esercizio del diritto di difesa o per far valere un diritto in giudizio.
        L'articolo 16 profondamente modificato nel corso dell'esame in Commissione introduce alcune modifiche alle norme sulla tutela giurisdizionale del diritto di accesso sostituendo o modificando i commi 4, 5 e 6 dell'articolo 25 della legge n. 241, ed inserisce i commi 5-bis e 5-ter nello stesso articolo, provvedendo inoltre ad alcune abrogazioni.
        La lettera a) del primo comma della disposizione in esame sostituisce il comma 4 dell'articolo 25 della legge 241. Per effetto di tale modifica decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta di accesso, questa si intende respinta; in caso di diniego dell'accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell'articolo 24, comma 4, il richiedente potrà presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5.
        Rispetto alla normativa vigente si elimina, anche alla luce dell'esperienza applicativa di questi anni, la possibilità di chiedere al difensore civico competente che sia riesaminata la suddetta determinazione. Nel testo approvato dal Senato, tra l'altro, era stata inserita la possibilità di richiesta di riesame anche alla Commissione per l'accesso di cui all'articolo 27 della legge n. 241, istituita presso la Presidenza del Consiglio.
        La lettera b) modifica il primo periodo del comma 5 dell'articolo 25 della legge 241 prevedendo una norma processuale speciale di carattere accelleratorio; si prevede infatti che il giudice amministrativo nel decidere sulle richieste in materia di accesso debba procedere con la procedura abbreviata prevista dall'articolo 26, commi 4, 5 e 6 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. La decisione in forma semplificata, introdotta nell'ordinamento dalla legge n. 205 del 2000, ha già dato infatti soddisfacenti risultati nella pratica processuale e ben si attaglia ad un contenzioso spesso di facile soluzione come quello in materia di accesso.
        Nel testo approvato dal Senato si prevedeva un "rito speciale" per il contenzioso in materia di accesso solo nel caso in cui si fosse in pendenza di un ricorso presentato ai sensi della legge. n. 1034 del 1971 (e quindi di un eventuale processo amministrativo in corso); il ricorso contro i provvedimenti che negano, differiscono o limitano il diritto di accesso ai documenti amministrativi poteva essere proposto, secondo il testo approvato dal Senato che ripeteva quanto già previsto nell'articolo 21 della legge n. 1034 del 1971, con istanza presentata direttamente al presidente della sezione cui è assegnato il ricorso amministrativo e deciso in camera di consiglio con ordinanza istruttoria. La Commissione, anche alla luce della esperienza applicativa della norma sopracitata, ha preferito mantenere l'abrogazione della disposizione contenuta nell'articolo 21 della legge n. 1034 del 1971 nel presupposto che le stesse finalità nella pratica processuale sono raggiunte con una semplice richiesta istruttoria.
        La lettera c), introducendo il comma 5-bis all'articolo 25 della legge n. 241, stabilisce che, nei giudizi in materia di accesso, le parti possono stare in giudizio personalmente, senza l'assistenza del difensore e l'amministrazione può essere rappresentata e difesa da una proprio dipendente purché con qualifica di dirigente ed autorizzato dal rappresentante legale dell'ente.
        La disposizione riproduce in identico testo l'articolo 4, comma 3, della legge n. 205 del 2000, che viene conseguentemente abrogato ad opera del successivo comma 2 dell'articolo in esame.
        Con il comma 5-ter, introdotto durante l'esame in Commissione, si vuole prevedere un meccanismo processuale teso ad eliminare il proliferarsi di ricorsi intentati senza che il soggetto abbia potuto prendere visione degli atti collegati al provvedimento che si intende impugnare; la semplice visione degli atti connessa alla garanzia che il decorso del tempo non lo privi della possibilità di impugnare in via generale il provvedimento potrebbe condurre il privato a desistere dalla intenzione di proporre il ricorso principale. Si prevede a tal fine che il ricorso contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso sospende i termini per la presentazione dei ricorsi previsti dalla legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Il termine riprenderà a decorrere entro termini tassativi previsti dal secondo periodo del nuovo comma che si propone di introdurre.
        La Commissione, sempre in materia di diritto di accesso, durante l'esame in sede referente, ha soppresso un articolo (ex articolo 14) che sostituendo l'articolo 27 della legge n. 241 del 1990 modificava le modalità di nomina, la composizione e le funzioni della Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi istituita presso la Presidenza del Consiglio. La Commissione ha infatti preferito mantenere inalterate le disposizioni già previste in materia dall'attuale articolo 27 della legge n. 241.
        Tale deliberazione è conseguente anche alla soppressione delle disposizioni, introdotte dal Senato, in merito alle nuove competenze della Commissione per l'accesso.
        L'articolo 17 sostituisce integralmente l'articolo 29 della legge n. 241 del 1990. Il testo attuale dell'articolo 29 prevede che le regioni a statuto ordinario regolano le materie disciplinate dalla stessa legge n. 241 del 1990 nel rispetto dei principi desumibili dalle disposizioni in essa contenute, che costituiscono princìpi generali dell'ordinamento giuridico e che operano direttamente nei riguardi delle regioni fino a quando esse non abbiano legiferato in materia.
        L'articolo 17 del provvedimento in esame nel modificare l'articolo 29 della legge n. 241 dispone l'applicazione di tutte le disposizioni della legge ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell'ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali e che le sole disposizioni in tema di giustizia amministrativa si applichino a tutte le amministrazioni pubbliche.
        Il comma 2 stabilisce che le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, regoleranno autonomamente le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come definite dai princìpi stabiliti dal provvedimento in esame.
        A tal proposito è da condividere quanto già emerso nel dibattito presso il Senato circa il fondamento costituzionale da cui trae origine la disposizione in esame. La disposizione in commento infatti riconosce un fondamento costituzionale diretto al provvedimento, in particolare negli articoli 3 e 97 della Costituzione. Tali disposizioni costituzionali, insieme al principio del giusto procedimento connesso a quello di buon andamento dell'amministrazione, al principio democratico e alle riserve di legge a tutela delle libertà personali ed economiche "costituiscono il primo nucleo della disciplina generale dell'attività amministrativa". Pur non volendo escludere la più o meno indiretta connessione con alcune materie che ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione, sono demandate alla competenza legislativa dello Stato, appare indubbio che la natura del provvedimento in esame, sostanzialmente attuativa dei principi costituzionali sopracitati, oltre a legittimare in via generale l'intervento legislativo statale in materia rappresenta anche il fondamento per la delineazione dei predetti vincoli imposti alle regioni ed agli enti locali.
        Sempre a questo proposito, l'articolo 20 del provvedimento in esame precisa che fino alla data di entrata in vigore della normativa regionale prevista all'articolo 29, comma 2, della legge n. 241 del 1990, come modificato dall'articolo 17 del provvedimento, i procedimenti amministrativi sono regolati dalle leggi regionali vigenti. In mancanza di una normativa regionale vigente in materia si applicano le disposizioni della legge n. 241 del 1990, come modificata dal provvedimento in esame.
        L'articolo 21 reca infine alcune disposizioni transitorie riferite alla materia dell'accesso ai documenti amministrativi.
        Il comma 1 autorizza il Governo ad adottare entro tre mesi dall'entrata in vigore del disegno di legge di riforma, un regolamento per adeguare il vigente regolamento sul diritto d'accesso, il decreto del Presidente della Repubblica n. 352 del 1992, alle ampie modifiche introdotte dalla presente riforma alla disciplina del diritto d'accesso ai documenti amministrativi. Il comma 2, introdotto durante l'esame in Commissione, prevede, con una disposizione in parte collegata a quella contenuta nel nuovo articolo 18 del provvedimento che prescrive l'abrogazione dell'articolo 31 della legge n. 241 del 1990, che le nuove disposizioni in tema di diritto di accesso avranno effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento previsto dal comma 1.
        Il comma 3, infine, dispone che ciascuna pubblica amministrazione, nel rispetto della propria autonomia, provveda, se necessario, ad adeguare i propri regolamenti alle modifiche apportate dalla presente riforma al Capo V della legge 241 in materia di accesso ai documenti amministrativi, e alle modifiche che verranno introdotte al regolamento governativo sull'accesso di cui al comma 1.
        Con l'articolo 19 del provvedimento, introdotto durante l'esame in Commissione, ci si propone di inserire in tutti gli articoli della legge n. 241 del 1990 le apposite rubriche al fine di facilitarne la lettura ed adeguare anche sotto tale profilo la legge del 1990 alle moderne tecniche di redazione dei testi normativi.
        L'illustrazione puntuale del contenuto del provvedimento unitamente alle premesse di carattere generale esposte all'inizio della presente relazione, non possono far sfuggire l'importanza e la complessità sistematica-istituzionale insita nell'intervento normativo che si propone all'Assemblea. E' per questo motivo che si auspica una sollecita e condivisa approvazione del provvedimento.

Gianclaudio BRESSA, relatore.




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