XIV LEGISLATURA
RELAZIONE - N. 3890 - 1160 - 2574-A
Onorevoli Colleghi! - "Una legge sul procedimento
amministrativo serve alla salvaguardia dello Stato di diritto
nell'esecuzione della legge, all'emanazione concreta e
razionale di decisioni materialmente corrette da parte della
pubblica amministrazione, all'ordinata partecipazione di
coloro che vengono colpiti dall'azione amministrativa, alla
preparazione della decisione", questo era il pensiero di un
noto giurista tedesco riportato durante l'esame di quella che
poi divenne la legge n. 241 del 1990. Il presente
provvedimento, a distanza di tredici anni dall'entrata in
vigore di questa fondamentale legge, si propone di completare
ed integrare la suddetta legge alla luce della esperienza
applicativa di questi anni e per compiere ulteriori passi
verso l'obiettivo che aveva ispirato il legislatore del 1990.
L'obiettivo è quello di instaurare un rapporto tra cittadini e
pubblica amministrazione sempre più ispirato da principi di
efficienza, economicità ed imparzialità; un rapporto cioè che
pur partendo dalla consapevolezza del peculiare interesse che
la pubblica amministrazione deve perseguire nel suo agire si
avvicini sempre più ad un modello paritario dei rapporti tra
cittadini ed amministrazioni.
E' significativo che il presente provvedimento,
analogamente a quanto avvenne in occasione dell'approvazione
della legge n. 241, sia all'esame del Parlamento nello stesso
momento in cui si discute nelle medesime Aule della esigenza
di modifiche costituzionali tese, in linea di principio, a
rendere più efficienti le istituzioni anche attraverso un
nuovo assetto dei rapporti tra gli organi costituzionali. Non
può infatti non condividersi ancora la tesi esposta
dall'allora Presidente della I Commissione Affari
costituzionali, che al momento della approvazione della legge
n. 241 affermò che la democrazia politica si rinvigorisce
anche e soprattutto attraverso questo tipo di interventi
legislativi oltre che mediante le riforme dei "rami alti" del
sistema costituzionale. Un corretto e trasparente rapporto tra
la pubblica amministrazione ed i cittadini è un problema
infatti di democrazia politica, non meno fondamentale della
riforma del bicameralismo, della forma di governo o delle
leggi elettorali.
Il testo del disegno di legge del Governo, approvato con
modificazioni dal Senato, da cui trae origine il testo ora
all'esame dell'Assemblea riprende a sua volta la impostazione
contenuta nel progetto di legge n. 6844 approvato dalla Camera
nel corso della XIII legislatura con voto quasi unanime ma
successivamente decaduto, una volta trasmesso al Senato, per
la fine della legislatura; è anche il frutto di un lavoro di
critica, approfondimento e sistemazione effettuato dalla
Commissione per l'esame di iniziative legislative in tema di
attività amministrativa e tutela del cittadino, costituita con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 luglio
2001 e presieduta dal Ministro per la funzione pubblica, di
cui fa parte anche il prof. Vincenzo Cerulli Irelli già
presentatore della proposta di legge n. 6844 nel corso della
XIII legislatura.
La I Commissione ha dedicato all'esame del provvedimento
un approfondito e attento lavoro istruttorio consistente in
sette sedute in sede referente e cinque riunioni del comitato
ristretto; la Commissione, con lo svolgimento di una serie di
audizioni informali, ha aperto anche un proficuo confronto e
dialogo con il mondo accademico e con esponenti della
magistratura amministrativa che ha dato la possibilità alla
Commissione stessa di apportare modifiche significative
rispetto al testo trasmesso dal Senato pur mantenendo la
condivisione sull'impianto generale e sui principi di fondo
dell'intervento normativo.
I tratti essenziali caratterizzanti il testo esaminato
dalle Camere nella 13^ legislatura sono confermati dal
presente provvedimento: il richiamo al principio di legalità
sul quale si fonda tutta l'azione amministrativa; il
riconoscimento della possibilità per le pubbliche
amministrazioni di utilizzare gli strumenti di diritto
privato, anche nel perseguimento dei propri fini
istituzionali; la compressione dell'area delle invalidità
giuridiche degli atti amministrativi mediante l'individuazione
di vizi a carattere meramente formale non invalidanti.
Il provvedimento è completato da modifiche che incidono
sull'istituto della conferenza di servizi e sul diritto
all'accesso ai documenti amministrativi e da una norma
relativa all'ambito di applicazione delle disposizioni della
legge n. 241 del 1990 alla luce del nuovo titolo V della Parte
seconda della Costituzione.
Venendo alla illustrazione puntuale del contenuto del
provvedimento non si può non rilevare come la modifica
proposta dall'articolo 1 del provvedimento in esame
all'articolo 1 della legge n. 241 del 1990 disveli il filo
conduttore del complessivo intervento normativo che si
propone. L'intervento riformatore, infatti, intende rispettare
l'impianto originario della legge n. 241, apportando ad esso
quelle correzioni e integrazioni la cui necessità si è resa
evidente, secondo le elaborazioni dottrinarie e
giurisprudenziali nei tredici anni dalla sua applicazione. Ciò
anche al fine di adeguarne il contenuto alle innovazioni del
sistema costituzionale e normativo nel frattempo intercorse
Già con le modifiche introdotte dall'articolo 1 si
manifesta quindi la filosofia di fondo della riforma, che
intende definire principi e norme generali ulteriori
sull'attività amministrativa per favorire un rapporto sempre
più paritario e garantistico fra cittadini e
amministrazione.
Il comma 1, lett. a), dell'articolo in oggetto,
riformula infatti il comma 1 dell'articolo 1 della legge n.
241 del 1990 prevedendo una riscrittura dei principi generali
dell'attività amministrativa ivi enunciati, con lo scopo di
arricchirne il catalogo nel senso della continuità di
principio.
Ferma restando l'affermazione del principio di legalità
("L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla
legge"), ai "criteri di economicità, efficacia e di
pubblicità", che reggono l'azione amministrativa ai sensi del
vigente comma 1, viene aggiunta, unitamente ai princìpi del
diritto comunitario, la "trasparenza", che, come è stato
chiarito durante le audizioni, è principio diverso dalla
pubblicità ed è la base per un corretto rapporto con il
cittadino, in grado di determinare una diminuzione il tasso di
contenzioso.
Durante l'esame in Commissione si è deciso di non
allargare ulteriormente il catalogo dei principi espressamente
richiamati nell'articolo 1 della legge n. 241, come era invece
previsto anche nel testo approvato dal Senato, non perché non
se ne condivida il contenuto, bensì perchè si è ritenuto che
nell'articolo 1 di una legge fondamentale come la n. 241 del
1990 si debba privilegiare la sintesi e perché molti dei
principi che ci si proponeva di elencare espressamente sono
già contenuti indirettamente mediante il richiamo ai principi
dell'ordinamento comunitario.
Si ricorda, in proposito, che il generico richiamo recato
nella novella ai princìpi del diritto comunitario, quale fonte
di disciplina dell'azione amministrativa, è già contenuto
nella legge n. 59 del 1997 che prevede, all'articolo 20, tra i
princìpi informatori dell'ampia attività di delegificazione e
semplificazione di procedimenti amministrativi ivi
preconizzata, anche "l'adeguamento della disciplina
sostanziale e procedimentale dell'attività e degli atti
amministrativi ai princìpi della normativa comunitaria".
Rilevante dal punto di vista sistematico-ordinamentale è
il comma 1, lett. b), che aggiunge un comma 1-bis
all'articolo 1 della legge n. 241 del 1990.
Il nuovo comma 1-bis introduce il principio generale
secondo cui la pubblica amministrazione, nell'adozione di atti
di natura non autoritativa, può agire secondo le norme del
diritto privato quando la legge non disponga altrimenti
Si tratta del riconoscimento normativo della possibilità
che le amministrazioni pubbliche operino attraverso gli
strumenti del diritto privato anche nel perseguimento
dei propri fini istituzionali, consistenti nella cura
concreta degli interessi pubblici ad esse affidati dalla
legge.
La nuova disposizione non incide, pertanto, sulla natura
della funzione amministrativa - che rimane finalizzata al
miglior perseguimento dell'interesse pubblico - ma soltanto
sulla sua forma, che si potrà esprimere, quando non è
richiesta necessariamente l'adozione di atti di natura
autoritativa, attraverso i moduli dell'agire consensuale, pur
restando assoggettata ai principi di carattere pubblicistico
enunciati nel nuovo comma 1 dell'articolo 1, sopra
richiamati.
La disposizione esprime la tendenza dell'ordinamento verso
il superamento del dogma che storicamente attribuiva
all'Amministrazione il dovere di agire mediante poteri di
imperio e atti unilaterali. In tal senso, la riforma si
inquadra nelle moderne tendenze di privatizzazione, volte a
ridimensionare le connotazioni pubblicistiche
dell'amministrare, e si configura non soltanto come una
"scelta tecnica", ma anche come una "scelta culturale e
istituzionale", volta ad incentivare un modello paritario e
non gerarchico nei rapporti tra i cittadini e le
amministrazioni. Preme alla Commissione sottolineare tutto ciò
anche se dopo un serrato dibattito e confronto si è
privilegiata una formulazione della norma diversa da quella
approvata al Senato.
Attraverso l'inserimento di un nuovo comma 1-ter
all'articolo 1 della legge n. 241 del 1990 la Commissione
intende garantire inoltre che anche i privati che siano
preposti all'esercizio di attività amministrative debbano
assicurare il rispetto dei principi di cui al comma 1.
L'articolo 2 interviene in materia di tutela
giurisdizionale avverso il silenzio dell'amministrazione, una
volta che sia decorso il termine per provvedere stabilito ai
sensi dell'articolo 2 della legge n. 241.
Attraverso l'inserimento nell'articolo 2, di un nuovo
comma 4-bis, la novella stabilisce che, decorso il
termine per la conclusione del procedimento amministrativo
senza alcuna risposta da parte dell'amministrazione
procedente, l'interessato possa ricorrere al tribunale
amministrativo regionale, ai sensi dell'articolo 21-bis
della legge n. 1034 del 1971, senza bisogno di atto di diffida
nei confronti dell'amministrazione inadempiente.
Con l'articolo 3 si introduce il principio secondo il
quale, a fini di efficienza, le pubbliche amministrazioni sono
chiamate ad incentivare l'uso della telematica nei rapporti
interni tra amministrazioni, e tra amministrazioni e privati,
nel rispetto delle forme previste dal vigente testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
documentazione amministrativa.
L'articolo 4 inserisce al comma 2 dell'articolo 8 della L.
241, dopo la lettera c), due nuove lettere (c-bis
e c-ter), con le quali vengono rafforzati gli istituti
di partecipazione procedimentale e di trasparenza dell'azione
amministrativa già previsti nella legge n. 241.
La novella stabilisce infatti che, nella comunicazione con
cui si dà notizia dell'avvio del procedimento,
l'amministrazione indichi anche la data di conclusione dello
stesso nonché le conseguenze e i rimedi esperibili
dall'interessato in caso di inerzia della medesima
amministrazione (lett. c-bis) e, nei casi di
procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione
dell'istanza (lett. c-ter).
L'articolo 5, inserito nel corso dell'esame in
Commissione, introduce il principio secondo il quale nei
procedimenti ad istanza di parte il responsabile del
procedimento o l'autorità competente, prima della formale
adozione di un provvedimento negativo, deve comunicare
tempestivamente agli interessati i motivi che ostano
all'accoglimento della domanda. Gli interessati hanno il
diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni. Tale
disposizione è tesa ad introdurre un istituto procedimentale
attraverso il quale ci si propone di limitare il contenzioso
tra cittadino e pubblica amministrazione mediante la
previsione di un ulteriore canale di comunicazione tra le
parti precedente alla decisione finale.
L'articolo 6 novella l'articolo 11 della legge n. 241, che
disciplina il ricorso ad accordi fra amministrazione e
soggetti interessati al contenuto del provvedimento
amministrativo.
In particolare si provvede a generalizzare l'uso degli
accordi sostitutivi di provvedimenti proponendo, all'articolo
11,
comma 1, la soppressione della clausola che prevede che tali
accordi possano essere conclusi solo "nei casi previsti dalla
legge".
La disposizione è collegata al principio, sancito
all'articolo 1 del presente provvedimento, secondo il quale le
amministrazioni pubbliche possono utilizzare gli strumenti del
diritto privato qundo che la legge non disponga altrimenti.
Gli articoli da 7 ad 12 del provvedimento in esame
apportano modifiche di rilievo alla disciplina delle
conferenze di servizi recata dagli articoli 14 e seguenti
della legge n. 241 del 1990.
L'articolo 7, composto da un solo comma ripartito in tre
lettere, novella in vari punti l'articolo 14 della legge,
concernente le ipotesi in cui può o deve essere indetta la
conferenza di servizi. Nell'ipotesi (articolo 14, comma 2) in
cui l'amministrazione procedente non ottenga il necessario
assenso di altre amministrazioni, la conferenza di servizi è
indetta dopo 30 giorni dalla data di ricezione della richiesta
e non, come prevede il testo vigente, decorsi 15 giorni
dall'inizio del procedimento. La conferenza di servizi è
altresì indetta qualora sia pervenuto esplicito dissenso da
parte dell'amministrazione interpellata.
I lavori pubblici non sono più soggetti alla specifica
disciplina di cui all'articolo 7 della legge n.109 del 1994
(legge quadro sui lavori pubblici). La lettera b) del
testo in esame sopprime infatti il rinvio all'articolo 7
citato.
La conferenza di servizi che riguardi l'affidamento di
concessione di lavori pubblici può essere convocata non solo
dal concedente ma anche ad istanza del concessionario, fermo
restando il consenso del concedente al quale spetta, in ogni
caso, il diritto di voto (lettera c).
L'articolo 8 (diviso in tre lettere) interviene
sull'articolo 14-bis della legge n 241 del 1990, che
disciplina il ricorso alla conferenza di servizi c.d.
"preliminare" per la realizzazione di "progetti di particolare
complessità" e di opere pubbliche e di interesse pubblico. La
disciplina viene espressamente riferita anche alla
realizzazione di insediamenti produttivi (lettera a), n.
1); la richiesta di convocazione della conferenza di servizi
deve essere documentata, se non da un progetto preliminare,
almeno da uno studio di fattibilità (lettera a), n. 2);
tra i c.d. "interessi sensibili" meritevoli di tutela
costituzionale, specificamente elencati al comma 2 (tutela
ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio
storico-artistico o della salute), è inserita anche la tutela
della pubblica incolumità (lettera b); la particolare
procedura prevista nell'ipotesi in cui, in sede di conferenza
di servizi, emerga il dissenso delle amministrazioni preposte
alla tutela degli "interessi sensibili", è estesa alla
conferenza preliminare. Su questo ultimo aspetto, pur
mantenendo delle perplessità di fondo sull'estensione di tale
procedura anche alle ipotesi di conferenza di servizi
preliminare, la Commissione, modificando il testo approvato
dal Senato, ha ritenuto opportuno prevedere la sua
applicazione non solo per l'ipotesi di dissenso espresso
dall'amministrazione preposta alla tutela della pubblica
incolumità, con riferimento alle opere interregionali, ma
anche al dissenso espresso da quelle altre amministrazioni
preposte alla tutela di tutti gli altri interessi sensibili
previsti dalla normativa generale in tema di conferenza di
servizi (lettera c).
Le modificazioni apportate dall'articolo 9 (suddiviso in
otto lettere) all'articolo 14-ter della legge n. 241 del
1990 rispondono principalmente a finalità di snellimento
procedurale: sono abbreviati o ridefiniti infatti alcuni
termini ed è introdotto un termine per la prima riunione della
conferenza di servizi. Di particolare rilievo è il nuovo comma
6-bis introdotto nell'articolo 14-ter, dalla
lettera f), ai sensi del quale la determinazione
adottata in esito ai lavori della conferenza deve tener conto
delle "posizioni prevalenti" espresse in quella sede. Il testo
vigente prevede invece che, in caso di dissenso espresso in
sede di conferenza di servizi, la determinazione di
conclusione del procedimento sia presa "sulla base della
maggioranza" delle posizioni emerse.
L'innovazione è stata motivata con le incertezze
interpretative che il computo della maggioranza può
determinare in presenza di amministrazioni di diversa natura e
dimensione.
La parziale soppressione operata al comma 7 dalla lettera
g) appare finalizzata
invece ad obbligare ciascuna delle amministrazioni
interessate ad esprimere in via definitiva la propria volontà
in sede di conferenza di servizi.
Per quanto riguarda la lettera h), che riformula il
comma 9 dell'articolo 14-ter, la Commissione ha
ritenuto, al fine di scongiurare dubbi interpretativi, di
preferire rispetto alla formulazione approvata dal Senato
secondo la quale il provvedimento finale doveva "tener conto"
della determinazione conclusiva della conferenza di servizi,
una formulazione più vicina a quella attualmente vigente
prevedendo quindi che "il provvedimento finale conforme alla
determinazione... sostituisce a tutti gli effetti..."
L'articolo 10 modifica ed integra in misura rilevante la
disciplina recata dall'articolo 14-quater della legge n.
241 del 1990 relativa all'espressione del dissenso da parte di
una o più amministrazioni partecipanti alla conferenza di
servizi, ed agli effetti di tale dissenso sul procedimento.
Le innovazioni proposte sono dichiaratamente finalizzate
ad integrare l'elenco degli "interessi sensibili
costituzionalmente protetti", in relazione ai quali si prevede
che la conferenza di servizi non possa superare il motivato
dissenso dell'amministrazione preposta alla relativa tutela, e
che tale dissenso determini la rimessione della decisione ad
altra, superiore istanza; a ridefinire l'individuazione degli
organi chiamati ad assumere la determinazione sostitutiva,
adeguandola alla nuova ripartizione di competenze tra i
diversi livelli di governo introdotta dalla riforma del Titolo
V della parte seconda della Costituzione; a coordinare,
secondo criteri di snellimento, tempi e modalità delle
relative procedure.
Il testo in esame attribuisce fra l'altro alla Conferenza
Stato-regioni ed alla Conferenza unificata competenze
decisionali sulle materie in oggetto.
In caso di dissenso tra amministrazioni regionali, è
espressamente fatta salva la possibilità per le regioni di
definire modalità diverse per la composizione del dissenso
mediante le intese di cui all'articolo 117, ottavo comma della
Costituzione. Tale disposizione consente la stipulazione di
intese tra regioni, da ratificare con legge regionale, per il
migliore esercizio delle rispettive funzioni, anche con
individuazione di organi comuni.
Qualora nelle sedi indicate non si giunga a una
deliberazione entro i termini fissati la decisione è rimessa
al Consiglio dei ministri o alla competente Giunta regionale
(o Giunta delle province autonome di Trento e di Bolzano), a
seconda che la questione verta su materia di competenza
statale o regionale ai sensi degli articoli 117, secondo
comma, e 118 della Costituzione.
In caso di inerzia da parte delle regioni, la decisione
spetta in ultima istanza al Consiglio dei ministri, il quale
peraltro delibera con la partecipazione del Presidente della
regione interessata. Quest'ultima disposizione costituisce
attuazione del potere sostitutivo di cui all'articolo 120
della Costituzione.
L'articolo 11 introduce nella legge n. 241 del 1990 un
nuovo articolo, il 14-quinquies, con il quale viene
prevista la partecipazione, senza diritto di voto, alla
conferenza di servizi indetta per l'approvazione del progetto
definitivo nei casi di cui agli artt. 37-bis e seguenti
della legge 11 febbraio 1994, n. 109, anche dei soggetti
aggiudicatari di concessione individuati all'esito della
procedura di cui all'articolo 37-quater della legge n.
109 del 1994, ovvero delle società di progetto di cui
all'articolo 37-quinquies della medesima legge.
L'articolo in esame dispone quindi una estensione dei
partecipanti alla conferenza di servizi. In particolare, oltre
ai soggetti che rappresentano i vari interessi pubblici
coinvolti, si consente la partecipazione dei soggetti
aggiudicatari di concessione ai sensi dell'articolo
37-quater della legge n. 109 del 1994 o delle società di
progetto costituite ai sensi del successivo articolo
37-quinquies, cioè di quei soggetti privati che
intervengono in una operazione di project financing.
La disposizione specifica, tuttavia, che tale
partecipazione esclude il diritto di voto.
L'articolo 13 del disegno di legge prevede l'inserimento
di un nuovo capo - il IV-bis- nella legge n. 241 del
1990.
Si tratta di un capo relativo all'efficacia ed invalidità
del provvedimento e della
revoca e del recesso dai contratti da parte della pubblica
amministrazione.
Il nuovo articolo 21-bis della legge n. 241 del 1990
interviene in materia di efficacia degli atti amministrativi
disciplinando il profilo della comunicazione dei
provvedimenti.
Viene prevista la regola secondo la quale gli atti con
effetti limitativi della sfera giuridica dei destinatari
acquistano efficacia nei confronti di ciascun destinatario con
la comunicazione allo stesso. Al fine di tutelare il principio
della certezza dell'azione amministrativa, durante l'esame in
Commissione, si è previsto comunque che la comunicazione possa
essere effettuata anche nelle forme per la notifica agli
irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile
e che qualora per il numero dei destinatari la comunicazione
personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa,
l'amministrazione possa provvedere mediante forme di
pubblicità idonee di volta in volta stabilite
dall'amministrazione medesima. Il provvedimento non avente
carattere sanzionatorio può contenere una motivata clausola di
immediata efficacia. I provvedimenti cautelari ed urgenti sono
immediatamente efficaci.
La disposizione non incide sulla disciplina dei termini
procedimentali che resta quella stabilita dalle leggi e dai
regolamenti di settore.
Si prevede inoltre che per tutti i provvedimenti non
aventi carattere sanzionatorio si possa apporre una clausola
motivata d'immediata efficacia e che i provvedimenti cautelari
ed urgenti siano immediatamente efficaci.
La disposizione in commento rappresenta un importante
rafforzamento del profilo della trasparenza dell'azione
amministrativa e degli istituti di difesa del cittadino
destinatario di un provvedimento limitativo della sua sfera
giuridica.
Il nuovo articolo 21-ter della legge n. 241 del
1990, introducendo per la prima volta nel nostro ordinamento
una disciplina generale della cosiddetta esecutorietà del
provvedimento amministrativo, prevede che le pubbliche
amministrazioni possano imporre coattivamente l'adempimento
degli obblighi nei loro confronti "nei casi e con le modalità
stabiliti dalla legge: si intende, così, ricondurre
l'esecutorietà del provvedimento amministrativo al principio
di legalità.
L'esecutorietà del provvedimento amministrativo si
sostanzia nel potere dell'Amministrazione di portare ad
esecuzione, anche coattivamente e contro la volontà del
soggetto passivo, se necessario, i propri provvedimenti senza
dover ricorrere al giudice. Si tratta di una manifestazione
dell'autotutela dell'amministrazione pubblica, strumentale
all'imperatività dello stesso provvedimento amministrativo
Al comma 1 si specifica - dopo aver sancito in via
generale il principio di legalità in tema di esecutorietà -
che il provvedimento amministrativo recante obblighi può
essere eseguito coattivamente nelle ipotesi e secondo le
modalità prevista dalla legge, in presenza di tali condizioni:
inottemperanza da parte del soggetto interessato all'obbligo
previsto dal provvedimento amministrativo, che deve indicare
il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto
interessato e previa diffida ad adempiere.
Il nuovo articolo 21-quater della legge n. 241 del
1990 disciplina, al comma 1, l'esecutività del provvedimento
amministrativo, prevedendo che i provvedimenti amministrativi
efficaci sono immediatamente eseguiti salvo che sia
diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento
medesimo.
Al comma 2 è disciplinato l'istituto della sospensione,
che riveste carattere eccezionale rispetto alla regola
generale dell'immediata esecuzione del provvedimento
amministrativo. Si prevede, infatti, la possibilità di
sospendere l'efficacia e, quindi, l'esecuzione del
provvedimento amministrativo da parte dell'organo che lo ha
emanato o di altro organo previsto dalla legge per gravi
ragioni e per il tempo strettamente necessario.
Il termine della sospensione deve essere espressamente
indicato nell'atto che la dispone e può essere prorogato o
differito per una sola volta ovvero ridotto per sopravvenute
esigenze.
L'articolo 21-quinquies reca la disciplina generale
dell'istituto della revoca.
La revoca è il provvedimento che produce la cessazione
definitiva e irreversibile
dell'efficacia durevole di un altro provvedimento, fermi
restando gli effetti da questo già prodotti: essa opera,
pertanto, con efficacia ex nunc.
Le ragioni di interesse pubblico che sottostanno
all'adozione del provvedimento di revoca attengono ad una
valutazione di incompatibilità dell'ulteriore efficacia del
provvedimento con determinati interessi valutati preminenti
dall'Amministrazione.
Sulla scorta di una consolidata giurisprudenza in materia
la disposizione prevede la possibilità di revocare un
provvedimento amministrativo ad efficacia durevole, da parte
dell'organo che lo ha emanato ovvero di altro organo previsto
dalla legge, in presenza di una delle seguenti situazioni:
sopravvenuti motivi di interesse pubblico; mutamento della
situazione di fatto; nuova valutazione dell'interesse pubblico
originario. La revoca determina l'inidoneità del provvedimento
revocato a produrre ulteriori effetti: si sancisce, così,
l'efficacia ex nunc del provvedimento amministrativo di
revoca.
Nel caso in cui l'adozione del provvedimento di revoca
comporti pregiudizi in danno dei soggetti direttamente
interessati, la pubblica amministrazione ha l'obbligo di
provvedere all'indennizzo degli stessi. Le controversie in
ordine alla determinazione e alla corresponsione
dell'indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo.
Il nuovo articolo 21-sexies (già contenuto, seppur
con formulazione diversa, nell'articolo 1 del provvedimento in
esame nel testo approvato dal Senato) prevede che il recesso
unilaterale dai contratti da parte della pubblica
amministrazione sia ammesso nei soli casi previsti dalla legge
o dallo stesso contratto. Rispetto alla formulazione approvata
dal Senato si è soppresso il riferimento alle ragioni di
interesse pubblico sul presupposto che le stesse debbano
essere da un lato insite nella ragione che ha portato la legge
a prevedere in capo all'amministrazione un tale potere e
dall'altro che sarà la clausola contrattuale a prevedere, se
del caso, questo presupposto la cui applicazione in concreto
sarà poi eventualmente oggetto di sindacato
giurisdizionale.
La disposizione è volta ad estendere all'attività
negoziale dell'amministrazione il principio della stabilità
degli obblighi contrattuali, per salvaguardare l'affidamento
dei terzi che stipulano contratti con la pubblica
amministrazione e assicurare, in tal modo, l'affidabilità del
contraente pubblico.
Sulla delicata questione riferita all'obbligo
dell'indennizzo per i casi di recesso unilaterale da parte
della pubblica amministrazione, il Governo si è riservato di
continuare la riflessione con la Commissione in fase di esame
in Assemblea.
L'articolo 21-septies reca la disciplina della
nullità del provvedimento amministrativo.
L'istituto della nullità non risulta attualmente sancito
in via generale da alcuna norma di diritto positivo. L'unica
norma di carattere generale espressamente diretta a definire
il regime dell'invalidità amministrativa (articolo 26, testo
unico delle norme sul Consiglio di Stato, articolo 3 legge
istitutiva dei TAR) configura solo un regime di annullabilità
e non di nullità.
La disposizione, introducendo per la prima volta
nell'ordinamento la disciplina generale della nullità,
prevede, sulla base degli orientamenti prevalenti emersi in
sede giurisprudenziale, tale forma di invalidità nei seguenti
casi: mancanza degli elementi essenziali del provvedimento
amministrativo; difetto assoluto di attribuzione; violazione o
elusione del giudicato; espressa previsione della legge.
Si precisa inoltre che sono deferite alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo le questioni inerenti la
nullità dei provvedimenti amministrativi per violazione o
elusione del giudicato.
L'articolo 21-octies, al comma 1, reca la disciplina
dell'annullabilità del provvedimento amministrativo. Su tale
disposizione, in particolare, si è svolto un approfondito
dibattito durante l'esame in Commissione che ha portato ad
approvare alcune sostanziali modifiche rispetto al testo
approvato dal Senato.
Come già accennato, l'unica norma di carattere generale
(articolo 26, testo unico delle norme sul Consiglio di Stato,
articolo 3 legge istitutiva dei TAR) diretta a definire
il regime di invalidità degli atti amministrativi riguarda
l'annullabilità. Ai sensi di tale disciplina il provvedimento
amministrativo è annullabile per incompetenza, violazione di
legge ed eccesso di potere.
L'incompetenza come vizio di annullabilità è la cosiddetta
incompetenza relativa, che si verifica nei casi in cui lo
sconfinamento riguardi attribuzioni appartenenti ad un organo
facente parte dello stesso settore dell'amministrazione.
Restano, pertanto, fuori le ipotesi di incompetenza assoluta o
straripamento, con invasione quindi delle potestà pertinenti
ad altro ordine di poteri o rami del tutto diversi
dell'Amministrazione, rilevanti solo ai fini della nullità.
Il vizio di violazione di legge ricorre quando sussiste il
contrasto tra il provvedimento e la fattispecie normativa, che
non riguardi il profilo soggettivo.
L'eccesso di potere si configura come vizio tipico delle
scelte discrezionali della pubblica amministrazione ed è
pertanto estraneo all'attività amministrativa vincolata. Nato,
inizialmente, come caso di incompetenza particolarmente grave,
uno straripamento di potere (esercizio di un potere spettante
ad autorità totalmente diversa da quella che l'esercita),
l'eccesso di potere è stato successivamente interpretato dalla
giurisprudenza amministrativa come sviamento di potere, come
esercizio scorretto della discrezionalità, che si configura
laddove la pubblica amministrazione abbia esercitato un suo
potere per un fine diverso da quello tipico.
Il vizio non si esaurisce solo nella figura dello
sviamento di potere, che ha rappresentato il punto di partenza
di una complessa evoluzione giurisprudenziale che ha portato
all'elaborazione delle cosiddette figure sintomatiche
dell'eccesso di potere (contradditorietà, disparità di
trattamento, difetto di istruttoria, difetto di motivazione,
illogicità ecc.) in base ad un percorso logico di questo tipo:
se nell'iter seguito dalla Pubblica Amministrazione si
evidenziano lacune e quindi si ravvisano elementi di
illogicità, irragionevolezza, incoerenza, si può ritenere
sussistente il vizio dell'eccesso di potere.
La disposizione approvata dal Senato prevedeva
l'annullabilità del provvedimento amministrativo nei casi di
violazione di norme imperative e di eccesso di potere.
Pertanto alla vecchia tripartizione (incompetenza,
violazione di legge, eccesso di potere) si sostituiva la
bipartizione suddetta i cui elementi innovativi erano da
individuare nella eliminazione dell'incompetenza come vizio
autonomo, stante che essa sarebbe potuta continuare a rilevare
nei limiti in cui avesse integrato una fattispecie di
violazione di norme imperative e nella limitazione della
fattispecie della violazione di legge solo ai casi di
violazione di norme imperative. La previsione che di fatto
prevedeva che solo la violazione di leggi e regolamenti
attributivi della competenza degli organi amministrativi
sarebbe stata fonte di illegittimità avrebbe comportato,
inoltre, che la violazione di disposizioni generali a
carattere non regolamentari con le quali è espressamente
previsto dalla legislazione vigente (articolo 17, comma
4-bis, lettera e), della legge n. 400 del 1988)
che si possa ripartire competenze amministrative sarebbe stata
ininfluente.
I dubbi interpretativi inoltre che avrebbe portato con sé
la dizione "norme imperative" (utilizzata tra l'altro nel
codice civile per i casi di nullità e non di annullabilità dei
contratti) hanno indotto la Commissione a privilegiare la
consolidata tripartizione (che si coordina perfettamente con
le dizioni utilizzate nelle disposizioni vigenti sopracitate
in tema di giustizia amministrativa) dei vizi del
provvedimento che conducono alla annullabilità del
provvedimento. La Commissione ha poi sottolineato che la
dizione "violazione di legge" deve intendersi, conformemente a
quanto afferma la giurisprudenza, in senso lato, comprendendo
tutti gli atti di normazione (primaria, secondaria e
comunitaria).
Al comma 2 si introduce il concetto proprio di altri
ordinamenti (Spagna e Germania) in base al quale le violazioni
di norme sul procedimento o sulla forma degli atti
amministrativi non danno luogo ad annullabilità del
provvedimento qualora per la natura vincolata del
provvedimento sia palese che il suo contenuto
dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato. Si prevede inoltre, nel senso già indicato
da una parte della giurisprudenza, che il provvedimento
amministrativo non è comunque annullabile per mancata
comunicazione dell'avvio del procedimento qualora
l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato.
Si sancisce così sul piano del diritto positivo l'istituto
dell'irregolarità, relativo alla violazione di norme
procedimentali o comunque di regole di corretta redazione
degli atti, prescriventi adempimenti di carattere formale, o
comunque marginali rispetto al contenuto e alle finalità del
provvedimento finale.
Alla base di tale previsione vi è la convinzione secondo
cui l'illegittimità "formale" assume rilievo, ai fini
dell'annullamento, solo quando essa riverbera i propri
effetti, diretti o indiretti, sul contenuto del
provvedimento.
Come sopra ricordato, l'istituto dell'irregolarità non è
attualmente previsto da alcuna disposizione normativa; si
tratta di un istituto di elaborazione giurisprudenziale e
dottrinaria. La giurisprudenza e la dottrina prevalenti
ritengono, infatti, che esistano anormalità, nel senso di
difformità dello schema normativo, di minima rilevanza, tali
da non dare luogo ad invalidità dei provvedimenti
amministrativi, poiché l'interesse pubblico non ne risulta
leso.
Il nuovo articolo 21-nonies della legge n. 241 del
1990 disciplina gli istituti dell'annullamento d'ufficio e
della convalida degli provvedimenti amministrativi
annullabili.
L'annullamento d'ufficio consiste nell'eliminazione del
provvedimento amministrativo illegittimo. Nell'ordinamento
vigente non si riscontra alcuna norma che preveda un potere di
carattere generale di tal tipo: la sussistenza di tale potere
in capo ad ogni autorità amministrativa è generalmente
riconosciuta da una tradizione giurisprudenziale pacifica e
consolidata. L'annullamento non presuppone solo lo stato di
annullabilità del provvedimento oggetto del riesame, essendo
altresì necessaria una congrua e puntuale motivazione
sull'interesse pubblico concreto ed attuale all'eliminazione
del provvedimento illegittimo. Connessa alla sussistenza di
una ragione specifica di interessa pubblico è la questione del
"fattore tempo": secondo la giurisprudenza, non esistono
termini perentori che circoscrivano nel tempo il potere di
annullamento della pubblica amministrazione, essendo solo
sufficiente che quest'ultimo sia esercitato in ragionevole
collegamento logico e causale con la situazione illegittima da
rimuovere, per cui l'eccessivo decorso del tempo può
determinare l'illegittimità dell'annullamento d'ufficio.
La disposizione precisa che il provvedimento illegittimo
ai sensi del precedente articolo 21-octies può essere
annullato d'ufficio dall'organo che lo ha emanato o da altro
organo previsto dalla legge qualora sussistano le ragioni di
interesse pubblico ed entro un termine ragionevole. Nel corso
dell'esame in Commissione si è deciso di eliminare, anche alla
luce della tradizione giurisprudenziale sopra citata, il
limite dei due anni per la pubblica amministrazione per
addivenire all'annullamento.
Il comma 2 del medesimo articolo reca la disciplina della
convalida del provvedimento annullabile.
La convalida è il provvedimento amministrativo di riesame
diretto alla rimozione del vizio di cui un precedente
provvedimento - che ne costituisce oggetto - risulta affetto.
Esso ha come scopo quello di sanare i vizi dell'atto
precedente, che resta comunque l'atto di esercizio del potere
sostanziale. La convalida produce, pertanto, effetti
retroattivi: gli effetti sostanziali restano però quelli
decorrenti dall'atto convalidato. Il vizio la cui presenza dà
luogo a convalida deve essere per sua natura rimuovibile, e
perciò attinente alla competenza, alla procedura, ferma
restando la sostanza del provvedimento, il cui contenuto
dispositivo si suppone risulti conforme alla legge e
all'interesse pubblico.
La disposizione prevede la possibilità di convalida in
presenza di ragioni di interesse pubblico ed entro un termine
ragionevole.
Gli articoli 14, 15 e 16 del provvedimento in esame
modificano il Capo V della
legge. n. 241 del 1990 (artt. 22-27), nel quale sono dettati
i principi generali in materia di accesso ai documenti
amministrativi da parte dei cittadini.
L'articolo 14, sostituisce integralmente l'articolo 22
della legge n. 241 prevedendo al comma 1 secondo una tecnica
redazionale derivata dai testi normativi comunitari e divenuta
ormai abituale, la definizione dei termini principali
contenuti nel Capo V della legge n. 241. Il comma 1 si
articola in cinque lettere.
La lettera a) definisce il "diritto di accesso"
facendo riferimento al diritto, riconosciuto ai soggetti
interessati, di prendere visione dei documenti amministrativi
e di ottenerne copia. La lettera b) individua l'ambito
soggettivo attivo del diritto di accesso, designando come
titolari del diritto tutti i privati, ricomprendendo tra essi
anche i portatori di interessi pubblici o diffusi (quali le
associazioni, i comitati, ecc.), i quali comprovino di avere
un interesse diretto, concreto e attuale, che corrisponda ad
una situazione giuridicamente tutelata, la quale sia connessa
al documento al quale si richiede l'accesso.
I concetti richiamati nella disposizione in esame
richiamano quelli già precisati dalla giurisprudenza
amministrativa.
La lettera c) individua i soggetti
"controinteressati" nei soggetti terzi che hanno interesse
alla riservatezza dei documenti richiesti con la domanda di
accesso.
La lettera d) definisce l'oggetto del diritto di
accesso, indicando i supporti materiali utilizzati per
rappresentare gli atti della pubblica amministrazione
("documenti amministrativi") o comunque inerenti ad un
procedimento amministrativo.
La disposizione riprende, ampliandola, la formulazione già
contenuta nel vigente articolo 22, comma 2, della legge n.
241. In particolare, la nuova accezione del termine
ricomprende anche gli atti che non sono relativi ad un
procedimento specifico; quelli che sono comunque "detenuti", e
non solo formati, come è attualmente previsto, da una pubblica
amministrazione, e che si riferiscono ad attività di pubblico
interesse, prescindendo dalla natura pubblicistica o
privatistica della loro disciplina sostanziale. L'ampia
formulazione della norma comprende, in attuazione della più
recente giurisprudenza in materia, nella nozione di documento
amministrativo anche gli atti formati dai soggetti privati,
purché significativamente collegati con lo svolgimento
dell'attività amministrativa. La lettera e) enuclea i
soggetti nei confronti dei quali (i soggetti passivi) può
essere esercitato il diritto di accesso: oltre ai soggetti di
diritto pubblico, sono quelli che svolgano un'attività di
pubblico interesse regolamentata dalla normativa nazionale o
comunitaria.
Ai sensi del comma 2, il principio dell'accessibilità ai
documenti amministrativi è elevato, in ragione delle sue
finalità di interesse pubblico generale, a principio generale
dell'attività amministrativa ed è ricondotto tra i livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che, in base all'articolo 117, secondo comma, lettera
m), della Costituzione, spetta alla potestà legislativa
esclusiva dello Stato garantire uniformemente su tutto il
territorio nazionale.
La disposizione, che è volta ad adeguare la disciplina del
diritto di accesso alle modifiche costituzionali intervenute
con la revisione del Titolo V della Costituzione, fa comunque
salva la potestà delle regioni e degli enti locali di
garantire livelli ulteriori di tutela nell'ambito delle
rispettive competenze e dell'esercizio dei propri poteri
normativi.
L'esercizio del diritto di accesso è circoscritto, dal
comma 4, alle sole informazioni contenute in documenti
amministrativi, con espressa esclusione di quelle che non
rivestono la forma di documento.
I soggetti pubblici, secondo quanto stabilisce il comma 5,
si devono attenere al principio di leale collaborazione tra le
istituzioni quando procedono all'acquisizione di documenti in
possesso di pubbliche amministrazioni.
Viene posta comunque una eccezione a tale principio nel
caso in cui una pubblica amministrazione o un gestore di
pubblico servizio consulti direttamente gli archivi di una
amministrazione certificante, per procedere all'accertamento
d'ufficio di stati, qualità e fatti, oppure al controllo sulle
dichiarazioni sostitutive presentate dai cittadini.
Il comma 6 infine introduce un limite temporale, oltre a
quello dettato dal
comma 4, all'esercizio del diritto di accesso, stabilendo che
può essere avanzata richiesta di visione o copia degli atti
amministrativi fino al momento in cui l'amministrazione è
obbligata a conservare gli stessi.
L'articolo 15, sostituisce integralmente l'articolo 24
della legge n. 241, con cui sono dettati i casi di esclusione
del diritto di accesso. Il comma 1 del nuovo articolo 24
stabilisce una serie di limitazioni all'esercizio del diritto
di accesso in relazione ad esigenze di segreto o di
riservatezza concernenti determinati documenti amministrativi,
poste sia nell'interesse pubblico sia nell'interesse di
terzi.
Il comma 4, su cui il Governo si è riservato per l'esame
in Assemblea di proporre una formulazione più chiara,
stabilisce un ulteriore principio di carattere generale
tendente ad assicurare il massimo di accessibilità ai
documenti amministrativi: secondo tale principio, nei casi in
cui sia sufficiente, per potere salvaguardare eventualmente le
esigenze di riservatezza, differire l'accesso ai documenti,
l'amministrazione deve comunque assicurare l'esercizio del
diritto di accesso. Tale principio, già contenuto
nell'articolo 8, comma 3, del regolamento di attuazione della
legge 241, viene pertanto ad essere legificato.
Il comma 6 autorizza il Governo ad adottare un regolamento
di delegificazione per disciplinare i casi di sottrazione
all'accesso di documenti amministrativi al fine di
salvaguardare i valori, alcuni di rilievo costituzionale,
indicati dai criteri direttivi posti dal comma in esame.
La tutela della riservatezza dei dati, stabilisce il comma
7, deve comunque garantire, agli interessati che lo
richiedono, l'accesso ai documenti relativi ai procedimenti
amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per
l'esercizio del diritto di difesa o per far valere un diritto
in giudizio.
L'articolo 16 profondamente modificato nel corso
dell'esame in Commissione introduce alcune modifiche alle
norme sulla tutela giurisdizionale del diritto di accesso
sostituendo o modificando i commi 4, 5 e 6 dell'articolo 25
della legge n. 241, ed inserisce i commi 5-bis e
5-ter nello stesso articolo, provvedendo inoltre ad
alcune abrogazioni.
La lettera a) del primo comma della disposizione in
esame sostituisce il comma 4 dell'articolo 25 della legge 241.
Per effetto di tale modifica decorsi inutilmente trenta giorni
dalla richiesta di accesso, questa si intende respinta; in
caso di diniego dell'accesso, espresso o tacito, o di
differimento dello stesso ai sensi dell'articolo 24, comma 4,
il richiedente potrà presentare ricorso al tribunale
amministrativo regionale ai sensi del comma 5.
Rispetto alla normativa vigente si elimina, anche alla
luce dell'esperienza applicativa di questi anni, la
possibilità di chiedere al difensore civico competente che sia
riesaminata la suddetta determinazione. Nel testo approvato
dal Senato, tra l'altro, era stata inserita la possibilità di
richiesta di riesame anche alla Commissione per l'accesso di
cui all'articolo 27 della legge n. 241, istituita presso la
Presidenza del Consiglio.
La lettera b) modifica il primo periodo del comma 5
dell'articolo 25 della legge 241 prevedendo una norma
processuale speciale di carattere accelleratorio; si prevede
infatti che il giudice amministrativo nel decidere sulle
richieste in materia di accesso debba procedere con la
procedura abbreviata prevista dall'articolo 26, commi 4, 5 e 6
della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. La decisione in forma
semplificata, introdotta nell'ordinamento dalla legge n. 205
del 2000, ha già dato infatti soddisfacenti risultati nella
pratica processuale e ben si attaglia ad un contenzioso spesso
di facile soluzione come quello in materia di accesso.
Nel testo approvato dal Senato si prevedeva un "rito
speciale" per il contenzioso in materia di accesso solo nel
caso in cui si fosse in pendenza di un ricorso presentato ai
sensi della legge. n. 1034 del 1971 (e quindi di un eventuale
processo amministrativo in corso); il ricorso contro i
provvedimenti che negano, differiscono o limitano il diritto
di accesso ai documenti amministrativi poteva essere proposto,
secondo il testo approvato dal Senato che ripeteva quanto già
previsto nell'articolo 21 della legge n. 1034 del 1971, con
istanza presentata direttamente al presidente della sezione
cui è assegnato il
ricorso amministrativo e deciso in camera di consiglio con
ordinanza istruttoria. La Commissione, anche alla luce della
esperienza applicativa della norma sopracitata, ha preferito
mantenere l'abrogazione della disposizione contenuta
nell'articolo 21 della legge n. 1034 del 1971 nel presupposto
che le stesse finalità nella pratica processuale sono
raggiunte con una semplice richiesta istruttoria.
La lettera c), introducendo il comma 5-bis
all'articolo 25 della legge n. 241, stabilisce che, nei
giudizi in materia di accesso, le parti possono stare in
giudizio personalmente, senza l'assistenza del difensore e
l'amministrazione può essere rappresentata e difesa da una
proprio dipendente purché con qualifica di dirigente ed
autorizzato dal rappresentante legale dell'ente.
La disposizione riproduce in identico testo l'articolo 4,
comma 3, della legge n. 205 del 2000, che viene
conseguentemente abrogato ad opera del successivo comma 2
dell'articolo in esame.
Con il comma 5-ter, introdotto durante l'esame in
Commissione, si vuole prevedere un meccanismo processuale teso
ad eliminare il proliferarsi di ricorsi intentati senza che il
soggetto abbia potuto prendere visione degli atti collegati al
provvedimento che si intende impugnare; la semplice visione
degli atti connessa alla garanzia che il decorso del tempo non
lo privi della possibilità di impugnare in via generale il
provvedimento potrebbe condurre il privato a desistere dalla
intenzione di proporre il ricorso principale. Si prevede a tal
fine che il ricorso contro le determinazioni amministrative
concernenti il diritto di accesso sospende i termini per la
presentazione dei ricorsi previsti dalla legge 6 dicembre
1971, n. 1034. Il termine riprenderà a decorrere entro termini
tassativi previsti dal secondo periodo del nuovo comma che si
propone di introdurre.
La Commissione, sempre in materia di diritto di accesso,
durante l'esame in sede referente, ha soppresso un articolo
(ex articolo 14) che sostituendo l'articolo 27 della legge n.
241 del 1990 modificava le modalità di nomina, la composizione
e le funzioni della Commissione per l'accesso ai documenti
amministrativi istituita presso la Presidenza del Consiglio.
La Commissione ha infatti preferito mantenere inalterate le
disposizioni già previste in materia dall'attuale articolo 27
della legge n. 241.
Tale deliberazione è conseguente anche alla soppressione
delle disposizioni, introdotte dal Senato, in merito alle
nuove competenze della Commissione per l'accesso.
L'articolo 17 sostituisce integralmente l'articolo 29
della legge n. 241 del 1990. Il testo attuale dell'articolo 29
prevede che le regioni a statuto ordinario regolano le materie
disciplinate dalla stessa legge n. 241 del 1990 nel rispetto
dei principi desumibili dalle disposizioni in essa contenute,
che costituiscono princìpi generali dell'ordinamento giuridico
e che operano direttamente nei riguardi delle regioni fino a
quando esse non abbiano legiferato in materia.
L'articolo 17 del provvedimento in esame nel modificare
l'articolo 29 della legge n. 241 dispone l'applicazione di
tutte le disposizioni della legge ai procedimenti
amministrativi che si svolgono nell'ambito delle
amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali e che
le sole disposizioni in tema di giustizia amministrativa si
applichino a tutte le amministrazioni pubbliche.
Il comma 2 stabilisce che le regioni e gli enti locali,
nell'ambito delle rispettive competenze, regoleranno
autonomamente le materie disciplinate dalla presente legge nel
rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del
cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, così come
definite dai princìpi stabiliti dal provvedimento in esame.
A tal proposito è da condividere quanto già emerso nel
dibattito presso il Senato circa il fondamento costituzionale
da cui trae origine la disposizione in esame. La disposizione
in commento infatti riconosce un fondamento costituzionale
diretto al provvedimento, in particolare negli articoli 3 e 97
della Costituzione. Tali disposizioni costituzionali, insieme
al principio del giusto procedimento connesso a quello di buon
andamento dell'amministrazione, al principio democratico e
alle riserve di legge a tutela delle libertà personali ed
economiche "costituiscono il primo nucleo
della disciplina generale dell'attività amministrativa". Pur
non volendo escludere la più o meno indiretta connessione con
alcune materie che ai sensi dell'articolo 117, secondo comma,
della Costituzione, sono demandate alla competenza legislativa
dello Stato, appare indubbio che la natura del provvedimento
in esame, sostanzialmente attuativa dei principi
costituzionali sopracitati, oltre a legittimare in via
generale l'intervento legislativo statale in materia
rappresenta anche il fondamento per la delineazione dei
predetti vincoli imposti alle regioni ed agli enti locali.
Sempre a questo proposito, l'articolo 20 del provvedimento
in esame precisa che fino alla data di entrata in vigore della
normativa regionale prevista all'articolo 29, comma 2, della
legge n. 241 del 1990, come modificato dall'articolo 17 del
provvedimento, i procedimenti amministrativi sono regolati
dalle leggi regionali vigenti. In mancanza di una normativa
regionale vigente in materia si applicano le disposizioni
della legge n. 241 del 1990, come modificata dal provvedimento
in esame.
L'articolo 21 reca infine alcune disposizioni transitorie
riferite alla materia dell'accesso ai documenti
amministrativi.
Il comma 1 autorizza il Governo ad adottare entro tre mesi
dall'entrata in vigore del disegno di legge di riforma, un
regolamento per adeguare il vigente regolamento sul diritto
d'accesso, il decreto del Presidente della Repubblica n. 352
del 1992, alle ampie modifiche introdotte dalla presente
riforma alla disciplina del diritto d'accesso ai documenti
amministrativi. Il comma 2, introdotto durante l'esame in
Commissione, prevede, con una disposizione in parte collegata
a quella contenuta nel nuovo articolo 18 del provvedimento che
prescrive l'abrogazione dell'articolo 31 della legge n. 241
del 1990, che le nuove disposizioni in tema di diritto di
accesso avranno effetto dalla data di entrata in vigore del
regolamento previsto dal comma 1.
Il comma 3, infine, dispone che ciascuna pubblica
amministrazione, nel rispetto della propria autonomia,
provveda, se necessario, ad adeguare i propri regolamenti alle
modifiche apportate dalla presente riforma al Capo V della
legge 241 in materia di accesso ai documenti amministrativi, e
alle modifiche che verranno introdotte al regolamento
governativo sull'accesso di cui al comma 1.
Con l'articolo 19 del provvedimento, introdotto durante
l'esame in Commissione, ci si propone di inserire in tutti gli
articoli della legge n. 241 del 1990 le apposite rubriche al
fine di facilitarne la lettura ed adeguare anche sotto tale
profilo la legge del 1990 alle moderne tecniche di redazione
dei testi normativi.
L'illustrazione puntuale del contenuto del provvedimento
unitamente alle premesse di carattere generale esposte
all'inizio della presente relazione, non possono far sfuggire
l'importanza e la complessità sistematica-istituzionale insita
nell'intervento normativo che si propone all'Assemblea. E' per
questo motivo che si auspica una sollecita e condivisa
approvazione del provvedimento.
Gianclaudio BRESSA, relatore.