XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 3860




        Onorevoli Colleghi! - Com'è noto il nuovo testo dell'articolo 117 della Costituzione, assegna la materia del "governo del territorio" alla competenza concorrente tra Stato e regioni.
        L'espressione usata dal legislatore del 2001 è del tutto nuova per il contesto costituzionale e politico italiano. In passato, infatti, siano stati abituati a misurarci con temi quali l'"urbanistica", l'"assetto del territorio", l'"edilizia", tali, infatti, erano le locuzioni utilizzate al fine di eliminare le competenze legislative e amministrative regionali.
        Oggi, però, nel nostro ordinamento giuridico e istituzionale si pone una esigenza assolutamente non procrastinabile: quella di un intervento legislativo volto a chiarire il significato e la portata della nuova competenza fissata in Costituzione.
        In questo senso, l'iniziativa che qui viene proposta ha un valore, senza timore d'enfasi eccessiva, di portata storica, dal momento che intende mettere mano ad una revisione generale dei valori e degli strumenti giuridici per il governo del territorio italiano, riformando così, ad oltre sessanta anni dalla sua entrata in vigore, la legge urbanistica n. 1150 del 1942.
        Pienamente in accordo con l'evoluzione costituzionale avviata nel 2001 ed attualmente ancora in fase di attuazione e correzione, la presente proposta di legge ha l'obiettivo non solo di fissare i princìpi fondamentali della materia, ma anche di individuare il nuovo oggetto di questa competenza, definendo i soggetti, i mezzi e le procedure amministrative che guideranno le regioni nella determinazione delle norme disciplinanti l'oggetto del governo del territorio.
        Altro elemento qualificante della proposta che si sottopone all'esame parlamentare è il profondo rispetto per il nuovo ruolo costituzionalmente fissato per le regioni in questo settore. Più volte si è assistito ad una legislazione statale di "ritaglio" delle competenze regionali, finalizzata a differenziare le discipline al solo fine di mantenere allo Stato centrale un ruolo di gestione e di dettaglio, non più coerente con il sistema costituzionale ed, altresì, foriero di duplicazioni e complicazioni burocratiche sempre crescenti.
        Centrale, viceversa, dev'essere il ruolo dello Stato nel fissare i valori unificanti e gli elementi strutturali del sistema di azione e governo territoriale.
        La scelta del progetto di legge è, dunque, chiaramente quella della legislazione statale di principio, aperta all'apporto ed alla integrazione normativa delle regioni. In questa direzione, essendo consapevoli delle interferenze tra materie concorrenti - quali il governo del territorio - e materie esclusive statali - quali ad esempio la tutela ambientale e degli ecosistemi - si è scelto di concepire unitariamente la regolazione attuativa, assegnando la potestà regolamentare in materia ambientale (che lo Stato avrebbe potuto riservare a sé) alle regioni, a completamento della devoluzione normativa di governo del territorio.
        In tal senso, questa proposta di definizione dei princìpi e delle linee essenziali di assetto delle competenze legislative regionali e statali sul governo del territorio, muove da, e allo stesso tempo promuove, una rivoluzione culturale circa il rapporto tra autorità pubblica e territorio, fondato non più su visioni dirigistiche e "statocentriche" dell'azione pubblica ma su una vera e propria sussidiarietà territoriale.
        In particolare, il progetto di legge che si propone all'approvazione prevede, nei singoli articoli, quanto segue.


Articolo 1.

        La proposta di legge, in primo luogo, definisce il concetto di governo del territorio. Con l'espressione "governo del territorio", usato per la prima volta nella Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, si è voluto individuare una materia caratterizzata, come altre, da un forte grado di complessità: in essa rientra la regolamentazione dell'aspetto morfologico del territorio e la disciplina delle interazioni tra questo e gli interessi economico-sociali espressi dalla società civile.
        Si tratta, quindi, di un insieme complesso di ambiti tra cui rientrano, volendo esemplificare, tanto lo statuto della proprietà immobiliare, quanto il riordino del sistema della fiscalità territoriale, tanto l'espropriazione, quanto i vincoli ricognitivi o quelli a contenuto sostanzialmente espropriativo, tanto i rimedi alle sovrapposizioni tra pianificazione ambientale e urbanistica, quanto l'integrazione delle varie politiche riguardanti il territorio, tanto il coordinamento tra disciplina urbanistica e lavori pubblici, quanto, infine, il rapporto tra servizi pubblici e territorio di riferimento.
        Come in precedenza sottolineato, alla regione viene delegata la potestà regolamentare in materia di beni culturali e di tutela dell'ambiente.
        La ragione di tale attribuzione è, evidentemente, quella di assicurare una unitarietà normativa, sul piano attuativo, essenziale per la reale efficacia operativa, e per rendere omogenea la disciplina globale del territorio.
        Infine, l'appartenenza del nostro territorio nazionale a quello che si definisce lo "spazio comune europeo", oggetto di politiche e di azioni via via sempre più incisive da parte della Unione europea, impone di individuare un nuovo modo di governare l'assetto del territorio e l'uso del suolo, un tempo basato sulla netta ripartizione di poteri e competenze in materia di assetto del territorio - prevalentemente imputati allo Stato - e quello sull'uso del suolo - prevalentemente imputati agli enti territoriali e locali.
        Il moderno processo di urbanizzazione ha fatto divenire irrilevante questa distinzione. Il rapporto tra assetto ed uso, un tempo evidente gerarchicamente definito e come tale governabile con attribuzioni di poteri e competenze nettamente ripartite anche per quanto riguardava la pianificazione del territorio e la programmazione degli interventi, oggi lo è molto meno.
        Da qui anche le necessità di individuare una serie di politiche nelle quali appunto quella del territorio si sotanzia. Innanzitutto quella rivolta all'Unione europea per la costruzione della politica territoriale comune, ossia di un territorio federatore di Stati.
        Quindi la politica di declinazione verso il locale di tale politica, che in questo caso è rappresentato dal territorio dello Stato. Da realizzare in forma coordinata oggetto di esplicita contrattazione con gli altri soggetti istituzionali.


Articolo 2.

        La proposta di legge regola le modalità di esercizio delle funzioni amministrative di competenza statale, fissando il criterio che in materia di governo del territorio, è essenziale un'azione congiunta Stato-regioni, da attuare in sede di Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997.
        Ciò al fine di assicurare unitarietà ed efficacia all'azione amministrativa, spesso resa frammentaria ed improduttiva da contrasti istituzionali.
        Inoltre la concertazione preventiva dell'attività di amministrazione costituisce sperimentando metodo di efficacia operativa.


Articolo 3.

        La norma, regola, principalmente il rapporto tra pubblico e privato.
        All'amministrazione, in tutti i suoi livelli, compete la definizione delle scelte fondamentali, degli obiettivi e dei mezzi per conseguirli; all'operatore privato la cooperazione nelle scelte attuative, in un logica di reciproca responsabilità, avendo ambedue come riferimento il cittadino e la persona, come utente del territorio e della città, che esprime esigenze da soddisfare in termini di vivibilità.
        La pianificazione, quindi, deve delineare obiettivi da consesguire cui corrispondono progetti attuativi da confrontare in termini di bilancio socio-economico.
        Si deve inoltre cominciare a parlare di negoziazione delle politiche territoriali tra Stato e regioni: ad esempio, gli aspetti localizzativi delle grandi infrastrutture devono essere una conseguenza dell'accordo raggiunto e non la premessa sulla quale scontrarsi.
        Infine è di fondamentale importanza la previsione, del tutto innovativa, che l'attività amministrativa dovrà svolgersi, prioritariamente, secondo un modello negoziale anziché, come da secolare tradizione, secondo il consolidato schema autoritativo.


Articolo 4.

        L'articolo 4 affaccia il principio dell'unitarietà del livello di pianificazione, secondo un criterio che, per chiarezza e sia pur in modo approssimativo, può essere così esplicitato: un territorio, una autorità, un piano.
        E' di tutta evidenza l'importanza e la novità di siffatta previsione. Ovunque, ormai, sul medesimo territorio si sovrappongono piani diversi aventi frequentemente disposizioni incompatibili fra loro (piani urbanistici, piani paesistici, piani di bacino, piani dei parchi e così via). Una babele normativa che oggi genera conflittualità, incertezza applicativa, defatigante contenzioso, in una parola paralisi operativa.
        Prevedere dunque che la disciplina degli interventi sul territorio debba trovar sede in un unico piano significa introdurre un profonda modificazione nel nostro sistema normativo dalla quale derivano rilevanti conseguenze.
        Affinché, infatti, ciò sia possibile occorre procedere alla individuazione dell'ambito ottimale di pianificazione, non necessariamente coincidente con quello comunale e variabile a seconda delle caratteristiche naturali e socio-economiche dei luoghi, nonché delle esigenze di infrastrutture e servizi il più delle volte trascendenti lo stretto ambito comunale. Occorre poi individuare anche l'autorità cui attribuire il potere di effettuare tale rilevantissima scelta. Autorità alla quale, di conseguenza, competerà anche la determinazione del soggetto titolare del potere di pianificazione urbanistica. Si tratterà della figura soggettiva, fra quelle istituzionalmente presenti sul territorio (comuni, province, città metropolitane, consorzi di gestione, comunità montane ed altre forme associative) che verrà ritenuta maggiormente idonea ad assicurare l'obiettivo di tale unitarietà di pianificazione in relazione, ovviamente, ai criteri secondo i quali è stato determinato l'ambito ottimale di pianificazione stessa.
        Secondo le previsioni dell'articolo 4 spetta alle regioni individuare sia l'ambito ottimale di pianificazione sia l'ente competente alla pianificazione territoriale. In attesa delle determinazioni regionali, la proposta di legge individua nel comune tale ente. Il piano urbanistico è redatto nel rispetto delle direttive nazionali e regionali ed è comprensivo di ogni altra previsione di contenuto territoriale, ponendosi come unico strumento di pianificazione del territorio di competenza. Tale caratteristica obbedisce ad una sentitissima esigenza di semplicità e chiarezza, per superare la tradizionale stratificazione dei piani urbanistici che è sicura fonte di incertezza, di paralisi operativa se non anche di abuso. Tale onnicomprensività richiede il raccordo con tutti gli strumenti di pianificazione incidenti su un dato territorio, in specie con quelli di natura settoriale assai numerosi e vari. A tal fine la proposta di legge attribuisce al piano urbanistico il potere di ricomprendere e coordinare le previsioni settoriali introducendo le necessarie modificazioni di adeguamento affinché tale recepimento sia coerente con le scelte di pianificazione locale, ed abbia effettività unificante. E' dunque in tal modo inequivocabilmente affermata la centralità e la unitarietà del piano urbanistico, caratteristiche che sole giustificano l'eventuale sacrificio della tradizionale competenza pianificatoria dei comuni. La proposta di legge, pur lasciando ovviamente alle regioni ampio spazio dispositivo in ordine alla strutturazione del piano urbanistico, ne delinea una generalissima articolazione in un documento di scelte strategiche ed in altro regolatore degli usi del suolo. E ciò in coerenza con i più recenti ed apprezzati sviluppi dell'elaborazione scientifica in materia. A ragione di assicurare uniformità dispositiva, almeno per le aree non urbanizzate, risponde l'obbligo di una loro suddivisione fra quelle destinate all'agricoltura, quelle di pregio ambientale e quelle destinate ad utilizzazioni ulteriori rispetto a quanto previsto dal piano urbanistico in atto. Una suddivisione, di certo non esaustiva di tutte quelle possibili, ma fondamentale per garantire, in particolare, rilevanza e tutela alle aree ad utilizzazione agricola ed a quelle ritenute, a vario titolo dal piano urbanistico stesso, come meritevoli di tutela e valorizzazione ambientali.


Articolo 5.

        La disciplina delle dotazioni per servizi pubblici ha ricevuto, in anni recenti, copiosissima regolamentazione nelle varie legislazioni regionali, al punto che è parso opportuno limitare l'intervento del legislatore statale alla fissazione di essenziali princìpi, in parte già presenti in alcune disposizioni regionali e già oggetto di esperienze applicative locali.
        In primo luogo si afferma il criterio della non necessaria "realità" delle dotazioni per servizi pubblici o di interesse pubblico, potendo le stesse dotazioni trovar traduzione, oltre che nelle tradizionali forme di fruizione di aree ed edifici anche, ad esempio, in servizi resi alla collettività, in base ad atto convenzionale, o in altra forma di prestazione idonea d assicurare il soddisfacimento di un pubblico bisogno.
        Altro principio posto è quello del requisito necessario dell'accessibilità e della fruibilità delle dotazioni territoriali e, in ossequio al principio di sussidiarietà, di incentivazione dell'iniziativa dei soggetti interessati, privati e loro forme associative, affinché la individuazione di dette dotazioni nasca da un reale confronto tra soggetti pubblici e privati, questi ultimi valorizzati per gli aspetti propositivi e gestionali.
        Infine l'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza n. 179 del 1999) ha trovato traduzione nella previsione della durata quinquennale dei cosiddetti vincoli non ricognitivi.


Articolo 6.

        La regolamentazione del procedimento di formazione ed approvazione del piano urbanistico è certamente questione di pretta rilevanza regionale. Ne consegue che alla legge di principio compete unicamente la affermazione dei consueti e necessari criteri di partecipazione e di pubblicità, nonché la fissazione e disciplina dei casi di sottoposizione del piano a valutazione di compatibilità da parte di altro ente. Si tratta, quest'ultima, di disposizione che assume particolare rilevanza in quanto esclude ogni forma di approvazione del piano urbanistico da parte di ente diverso da quello cui compete l'approvazione stessa, e che inoltre circoscrive ogni successiva valutazione alla compatibilità del piano urbanistico con altri atti di pianificazione e programmazione escludendo ad esempio ogni riscontro di conformità.
        Particolare rilievo è, poi, dato agli atti di programmazione negoziata la cui utilizzazione è via via cresciuta nel tempo come strumenti idonei a collegare, con la necessaria flessibilità, le esigenze delle istituzioni pubbliche con quelle degli operatori privati. A tali atti è riconosciuto un ruolo essenziale nell'attuazione delle scelte strategiche di intervento contenute nel documento programmatico del piano urbanistico.
        All'esigenza di evitare vuoti normativi risponde, da ultimo, la previsione dell'obbligatorietà di ripianificazione, in tempi certi, a seguito del venir meno, anche per intervento giurisdizionale, di una previsione urbanistica.


Articolo 7.

        Le disposizioni sulla perequazione e compensazione costituiscono la trascrizione normativa dei princìpi fondamentali in tema di regime o statuto della proprietà.
        Da decenni si dibatte in merito al problema del contenuto minimo della proprietà in termini di diritto all'edificazione e di indennizzibilità dei vincoli e della loro attualizzazione.
        Alla base vi è la finalità di rendere omogeneo il sistema delle prescrizioni urbanistiche relative all'edificabilità privata e dall'acquisizione di aree per il soddisfacimento dei servizi ed infrastrutture funzionali agli insediamenti urbani, evitando perciò situazioni di privilegio e di penalizzazione.
        Si intende anche ridurre tendenzialmente il ricorso all'istituto dell'esproprio, fonte di contenziosi giudiziari e di aggravi finanziari per le amministrazioni.
        Per conseguire tali finalità, si invitano le regioni ad introdurre nel loro ordinamento normativo i princìpi della perequazione, da utilizzare nella fase di programmazione delle scelte urbanistiche di carattere generale, e della compensazione, cui far ricorso nella fase della gestione urbanistica.
        Ne discende che in ambiti omogenei i proprietari hanno gli stessi diritti e doveri in relazione ai diritti edificatori e agli obblighi di soddisfacimento di dotazioni urbanizzative, proprio in una logica di equa distribuzione in ossequi ai princìpi enunciati negli articoli 3 e 42 della Costituzione.
        Nel contempo i titolari di aree non ricomprese negli ambiti ed incise da vincoli esporpriativi, potranno, ove l'amministrazione non intenda far ricorso comunque all'esproprio, permutare il proprio bene con uno pubblico, trasferire i diritti edificatori su un'area edificabile ovvero realizzare, previo convenzionamento per la gestione, l'opera privata di interesse generale che soddisfi l'esigenza del servizio individuato dal piano.
        Al fine di attivare tali forme di compensazione, le amministrazioni potranno precostituirsi un patrimonio di aree da destinare alla permuta mediante acquisizione finalizzata delle stesse nell'ambito dei piani attuativi.
        Le regioni potranno altresì destinare finanziamenti a favore dei territori nei quali ricadono vincoli che limitano lo sviluppo economico, proprio in una logica di compensazione territoriale.
        Il ricorso a forme compensative sarà attivabile anche per la valorizzazione ambientale ovvero per la rilocalizzazione di funzioni urbane.
        Potranno essere altresì individuati bonus o premialità per gli interventi di riqualificazione urbana a fronte del conseguimento di maggiori utilità anche in termini di servizi aggiuntivi, di qualità urbanistica ed ambientale nonché di edilizia sociale.


Articolo 8.

        All'attribuzione della potestà di pianificazione dell'ambito di competenza dell'ente istituzionalmente preposto, è strettamente correlato l'obbligo per lo stesso di esercitare la vigilanza ed il controllo sulle trasformazioni urbanistiche ed edilizie realizzate sul proprio territorio, per poter reprimere tempestivamente le forme di illegalità, distinguendo tra abusi formali e sostanziali.
        Al fine da rendere efficace e tempestiva tale attività di repressione, le regioni dovranno codificare gli opportuni interventi sostitutivi nei confronti delle amministrazioni inadempienti al dovere di adozione dei provvedimenti cautelari e sostanziali.
        In tema di titoli abilitativi, una volta chiarito, nelle disposizioni finali, che è inderogabile la disciplina sanzionatoria penale e civile statale e che la stessa non è ricollegata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla fattispecie di intervento da realizzare ed alla sua incidenza in termini di carico urbanistico, viene totalmente rimessa alla regione la determinazione dell'obbligo o meno dell'acquisizione del titolo abilitativo, dell'alternatività tra permesso di costruire e denuncia di inizio attività, nonché della spettanza o meno del contributo di edificazione.
        Il procedimento amministrativo per il rilascio del titolo abilitativo viene connotato dalla previsione di un termine perentorio alla cui scadenza l'istanza si intende accolta. In tal modo è assicurata così la certezza dei tempi per l'inizio dei lavori, in analogia con quanto disposto per la denuncia di inizio attività che acquista piena efficacia dopo il decorso del termine per l'espletamento del controllo da una parte dell'amministrazione.


Articolo 9.

        Infine occorre risolvere la pregiudiziale fiscale che rallenta o impedisce i processi di attuazione di nuovi piani di gestione urbanistica, rendendo neutrali sotto il profilo fiscale i trasferimenti intermedi. A tal fine gli scambi di aree e fabbricati interessati all'intervento vengono detassati sia se realizzati da soggetti privati che da esercenti attività commerciale.
        In particolare, per quanto attiene le imposte sull'acquisto è previsto che i trasferimenti di immobili e diritti edificatori sono in ogni caso soggetti alle imposte di registro, ipotecarie e catastali in misura fissa a condizione che entro cinque anni dall'acquisto sia iniziata l'utilizzazione edificatoria dell'area.
        Per quanto attiene alle imposte sulle plusvalenze, in alternativa al regime ordinario è prevista l'opzione per un regime a tassazione "separato" mediante l'applicazione di una imposta sostitutiva del 4 per cento da applicare sul valore dell'immobile determinato a seguito di una perizia, così come previsto dall'articolo 7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002). In tale ambito, è previsto che nell'ipotesi in cui la plusvalenza è realizzata da persone fisiche, l'imposta sia dovuta in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, mentre qualora la stessa sia conseguita da esercenti attività di impresa, la stessa è accantonata in un apposito fondo e risulterà esigibile solo all'atto del trasferimento dell'immobile realizzato (o del diritto edificatorio così ottenuto) in attuazione del piano urbanistico.


Articolo 10.

        La disposizione di chiusura richiama gli altri princìpi generali complementari alla materia del governo del territorio e contenuti nelle leggi in materia di edilizia, con le specificazioni sopra evidenziate, espropriazione, difesa del suolo e tutela dei beni culturali ed ambientali in ossequio a quanto disposto dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione.




Frontespizio Testo articoli