XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 3497
Onorevoli Colleghi! - Le modifiche alla legge 24
novembre 1981, n. 689, che il Capo I della presente proposta
di legge mira ad introdurre, investono il catalogo delle
sanzioni sostitutive della pena detentiva "breve" e i
meccanismi della sostituzione. Come è noto, la legge n. 689
del 1981 ha rappresentato il momento culminante di un
complesso sviluppo legislativo orientato alla drastica
riduzione delle pene detentive brevi, cariche di effetti
desocializzanti.
La prassi applicativa, a più di venti anni dalla data di
entrata in vigore della legge, permette di evidenziare come la
sola pena pecuniaria sostituiva abbia avuto un discreto
successo, a differenza della semidetenzione e della libertà
controllata, caratterizzate da applicazioni poco più che
saltuarie. Di conseguenza, la rigidità della dicotomizzazione
tra pena detentiva e pena pecuniaria in fase di irrogazione
della pena si è vieppiù accentuata, tanto che la pena
detentiva carceraria rimane di fatto l'opzione sanzionatoria
privilegiata anche nei confronti di una fascia di criminalità
che ben potrebbe essere assoggettata a sanzioni sostitutive
dotate di una significativa efficacia intimidatrice e che
offrono altresì concrete chance di recupero sociale.
Si tratta, allora, di rafforzare l'impianto delle sanzioni
sostitutive, innovandone i contenuti e ampliandone l'orbita
applicativa.
In questa ottica, l'aspetto più qualificante della riforma
consiste nell'abrogazione della sanzione sostitutiva della
"semidetenzione" (di cui all'articolo 55 della legge n. 689
del 1981): i rilievi statistici consentono di descriverla come
una sanzione "agonica" quando non addirittura abortita, nel
senso che ha vissuto un rapido e inarrestabile declino. Le
cause dell'insuccesso sono probabilmente da ricercare nella
stessa struttura della sanzione. Il suo nucleo centrale è
infatti costituito dall'obbligo di trascorrere almeno dieci
ore al giorno in un istituto destinato all'esecuzione della
semilibertà, durante il quale il reo viene sottoposto alla
normativa dettata dall'ordinamento penitenziario e dal
relativo regolamento di esecuzione.
La privazione della libertà personale avviene di fatto in
carcere, non essendo mai stati apprestati circuiti
differenziati per la semidetenzione. Ne discende una non
trascurabile sconfessione della stessa principale finalità
della sanzione sostituiva, quella cioè di evitare gli effetti
desocializzanti connessi all'espiazione di pene detentive
brevi: la privazione quotidiana, sia pure pro tempore,
ma totale, della libertà personale rischia infatti di
vanificare il percorso di reinserimento sociale che il reo è
chiamato ad intraprendere quando si trova all'esterno del
carcere.
Inoltre, il sistema dei controlli e delle interdizioni che
correda la sanzione si è rivelato forse pletorico, così da
fomentare il rischio di infrazioni che, sebbene non evocative
di una insensibilità alla pena, determinano, come si sa, il
ripristino della pena sostituita.
Pertanto, preso atto del sostanziale insuccesso operativo
della detenzione domiciliare, è necessario che il Parlamento
doti la legge n. 689 del 1981 di una nuova sanzione sostituiva
in luogo della semidetenzione. Così, nell'articolo 2 della
presente proposta di legge, che modifica l'articolo 55 della
legge n. 689 del 1981, viene introdotta la sanzione sostituiva
della custodia domiciliare. Si tratta di una sanzione
detentiva non carceraria che comporta per il condannato il
divieto di allontanarsi dalla propria abitazione, analogamente
a quanto avviene per la misura cautelare degli arresti
domiciliari. La sanzione è poi affiancata da due prescrizioni
accessorie, quali il divieto di detenere armi ed esplosivi e
il ritiro del passaporto: in tale modo, si è effettuata una
riduzione del corredo di misure prescrittive che accedono alla
semidetenzione che tiene conto del carattere detentivo della
sanzione sostitutiva di nuovo conio.
Quanto all'entità della pena detentiva sostituibile, si è
stabilito che il giudice possa sostituire la detenzione in
carcere con la custodia domiciliare quando ritiene di dover
determinare la pena entro il limite di due anni (articolo 1).
Si innalza, in tale modo, il limite di sostituibilità della
pena detentiva oggi previsto per la semidetenzione, pari ad un
anno. Il raddoppio appare ampiamente giustificato in virtù del
carattere interamente detentivo della custodia domiciliare e,
dunque, della sua non trascurabile componente di afflittività.
Inoltre, il limite di due anni si adegua al trend
legislativo europeo, che conosce limiti piuttosto elevati
di sostituibilità delle sanzioni. Nell'effettuare questa
scelta, si è ovviamente tenuto conto della pluralità dei
modelli commisurativi presenti nel nostro ordinamento. Il
tradizionale modello di commisurazione della pena previsto nel
codice Rocco (articolo 133 del codice penale) è oggi
affiancato dal modello di commisurazione "negoziata" della
pena, derivante dall'adozione dei riti alternativi al
dibattimento che provocano un cospicuo decremento della
sanzione da irrogare in concreto. Di conseguenza, la pena
sostituibile fino a due anni è in grado di abbracciare una
fascia di criminalità medio-bassa, specie con riguardo ai
soggetti che non possono più fruire della sospensione
condizionale della pena e che, tuttavia, esprimono un livello
di antisocialità contrastabile con il ricorso a una misura
bensì detentiva ma non carceraria.
La custodia domiciliare viene poi costruita alla stregua
di un modello "aperto" sia verso le esigenze indefettibili del
reo, sia verso le istanze di rieducazione.
Nel nuovo articolo 55 della legge n. 689 del 1981
(articolo 2 della proposta di legge), si prevede che il
condannato alla custodia domiciliare possa richiedere di
essere ammesso al lavoro di pubblica utilità, consistente
nella prestazione di un'attività non retribuita in favore
della collettività, nella misura di due ore di lavoro
giornaliero. Se il condannato viene ammesso al lavoro di
pubblica utilità la custodia domiciliare si trasforma in una
sanzione semidetentiva, nel senso che il condannato dovrà
rimanere nella propria abitazione solo per otto ore. Si è in
presenza, dunque, di una sanzione a contenuto "complesso", la
cui irrogazione presuppone l'iniziativa del condannato, stante
l'impossibilità di applicarla senza il consenso di
quest'ultimo (gli impegni assunti in sede internazionale dal
nostro Paese vietano di ricorrere al "lavoro forzato"). La
necessaria natura "collaborativi" sottesa a questo tipo di
sanzione ha sconsigliato di configurare il lavoro di pubblica
utilità come una misura accessoria della custodia domiciliare:
in questo caso, il dissenso del condannato avrebbe sortito
l'effetto di rendere inapplicabile tout court l'intera
sanzione sostitutiva, riaprendo il campo alla pena carceraria.
Né sembra possibile, allo stato, conferire dignità di sanzione
sostitutiva autonoma al lavoro di pubblica utilità, vista la
necessità di apprestare le misure organizzative che ne
consentano il definitivo "decollo"".
Il modello disegnato dell'articolo 2, dunque, valorizza,
sul terreno della prevenzione speciale, la scelta del reo di
svolgere un lavoro di pubblica utilità, interpretata come un
chiaro segnale di resipiscenza e di risocializzazione, tale da
giustificare la trasformazione della custodia domiciliare in
sanzione semidetentiva.
L'apertura verso le indispensabili esigenze di vita del
reo ha fatto sì che nell'articolo 5, che modifica l'articolo
64 della legge n. 689 del 1981, si stabilisca che, nei casi di
condanna alla custodia domiciliare interamente detentiva, il
magistrato di sorveglianza possa comunque autorizzare il
condannato a lasciare la propria abitazione per il tempo
necessario a fronteggiare tali esigenze.
L'innalzamento del limite di sostituibilità della pena
detentiva con la custodia domiciliare, capace di ricomprendere
una criminalità medio-bassa, impone di individuare un criterio
conformativo della discrezionalità del giudice in sede di
sostituzione della pena. Così, l'articolo 3 introduce un nuovo
comma nell'articolo 58 della legge n. 689 del 1981 in cui si
stabilisce che la custodia domiciliare può essere applicata se
non risulta indispensabile la detenzione in carcere. In altre
parole, proprio perché la pena detentiva può riguardare reati
di media gravità e concernere autori "non occasionali", il
giudice è chiamato a compiere una delicata valutazione
prognostica, da svolgere alla luce dei parametri contenuti
nell'articolo 133 del codice penale. L'introduzione della
custodia domiciliare ha reso inoltre necessario un intervento
anche sulla sanzione sostituiva della libertà controllata,
oggi applicabile quando la pena detentiva non oltrepassa i sei
mesi. Visto l'innalzamento del limite di sostituibilità
operato per la custodia domiciliare (due anni rispetto alla
previsione di un anno per la semidetenzione), sembra legittimo
proporre un incremento della fruibilità di questa sanzione
sostituiva, densa di misure prescrittive: di conseguenza, si è
previsto di estendere la sostituibilità nei confronti di una
pena detentiva non superiore a un anno. Con questo intervento
di adeguamento, il rapporto tra la custodia domiciliare e la
libertà controllata sul versante della pena detentiva
sostituibile mantiene la stessa proporzione che esiste oggi
tra la semidetenzione e la libertà controllata (un anno la
prima, sei mesi la seconda).
Un'altra rilevante modifica concerne il regime delle
preclusioni soggettive di cui all'articolo 59 della legge n.
689 del 1981, sul quale interviene l'articolo 4 della presente
proposta di legge. E' opinione dei proponenti che le
condizioni soggettive dovrebbero tipizzare alcune situazioni
di particolare inadeguatezza ed incongruità rispetto ai fini
delle sanzioni sostitutive. Tale inadeguatezza può essere di
due specie: 1) in primo luogo riguarda i soggetti rispetto ai
quali le finalità di non desocializzazione e di lotta agli
effetti criminogeni delle pene carcerarie brevi non hanno
ragion d'essere. E' questo il caso dei soggetti già "segnati"
per la lunghezza e la vicinanza nel tempo da precedenti
esperienze carcerarie; 2) in secondo luogo concerne i soggetti
che hanno già dimostrato una speciale insensibilità alle
sanzioni sostitutive o a misure di analogo contenuto. Ha
infatti poco senso sostituire la pena detentiva a coloro che
si sono visti convertire una custodia domiciliare o una
libertà controllata ovvero un affidamento in prova o una
semilibertà.
Sulla scorta di queste premesse, va pertanto mantenuta la
preclusione di cui al primo comma del vigente articolo 59, sia
pure rimodulata negli elementi di gravità e di vicinanza
cronologica delle pene detentive precedentemente inflitte:
così, si è innalzata a tre anni, nel nuovo comma 1, la
quantità di reclusione inflitta con una o più sentenze di
condanna e si è fissata in quattro anni la distanza di tempo
che separa dalla precedente condanna.
Nel comma 2 del nuovo articolo 59, è stato ridotto a
cinque anni l'intervallo di tempo che deve intercorrere tra la
commissione del fatto e l'irrogazione della pena, in modo da
apprezzare maggiormente in termini di gravità le situazioni
descritte nelle lettere a) e b) che restano
sostanzialmente immutate rispetto a quelle vigenti, salve la
delimitazione ai soli delitti nella lettera a) e
l'integrazione del riferimento all'affidamento in prova
contenuta nella nuova lettera b). In questi casi, la
ripetitiva criminalità del recidivo specifico esprime
necessariamente una non trascurabile carica di antisocialità
(ancor più accentuata dal fatto che sono stati commessi
delitti), ovvero il fatto che si abbia a che fare con soggetti
insensibili alle sanzioni sostitutive o a sanzioni di analogo
contenuto.
Non è stata, invece, riprodotta l'esclusione di cui alla
vigente lettera c), che privilegia esclusivamente la
pericolosità del soggetto, prescindendo da qualsiasi
valutazione rispetto al reato commesso. E' meglio delegare al
giudice, in tali ipotesi, la valutazione sull'opportunità e la
congruità della sostituzione, anche in relazione al tipo di
reato commesso.
Il comma 3 del nuovo articolo 59 dà attuazione a quanto
disposto dalla Corte costituzionale con la sentenza 18
febbraio 1998, n. 16. La sostituibilità di pene che in
concreto possono giungere a due anni di detenzione (e quindi
destinate a coprire una fascia di criminalità anche "media")
ha poi determinato l'esigenza di porre mano alla disciplina
delle preclusioni oggettive.
In particolare, suggerisce di escludere l'operatività
della nuova pena sostitutiva (e, a fortiori, della pena
pecuniaria e della libertà controllata) con riferimento a
reati caratterizzati da una gravità considerevolmente
superiore rispetto a quella che si trova riflessa nell'attuale
elencazione di cui all'articolo 60 della legge n. 689 del
1981.
In proposito, si è ritenuto inopportuno rinviare
semplicemente al quantum astratto di pena detentiva,
essendo noto che, a causa dei successivi interventi di
stratificazione legislativa, gli editti sanzionatori
riflettono scelte operate in momenti storici a volte assai
distanti tra loro, e comunque appaiono spesso incapaci di
rispecchiare in modo affatto razionale le attuali valutazioni
di disvalore sociale dei fatti cui si riferiscono.
In omaggio ad esigenze di coerenza interna
dell'ordinamento, si è dunque preferito rinviare al giudizio
che, in termini di maggior disvalore, ha già operato il
legislatore processuale, all'articolo 407, comma 2, lettera
a), del codice di procedura penale.
Esigenze di difesa sociale hanno consigliato di integrare
il novero dei reati mediante un richiamo ai delitti in materia
di libertà sessuale e a quelli di cosiddetta "pedofilia".
Nell'elenco è infine citato il delitto di evasione (peraltro
già attualmente citato tra le preclusioni oggettive): la
previsione risponde ad intuibili ragioni, legate alla
vanificazione delle funzioni di deterrenza e retributiva della
pena in cui incorrerebbe una differente soluzione
legislativa.
Sotto altro profilo, l'afflittività delle modalità
esecutive della nuova pena sostituiva "custodia domiciliare"
suggerisce di limitare ai delitti suddetti la sua
inoperatività. In altri termini, stante la natura interamente
detentiva (anche se non carceraria) della sanzione, è parso
eccessivo escludere che essa possa essere disposta dal giudice
in sostituzione della pena principale applicabile per reati di
gravità talvolta modesta, quali sono quelli indicati
nell'attuale articolo 60 della legge n. 689 del 1981 (non si
deve infatti dimenticare che la relativa elencazione risale ad
un contesto nel quale le pene sostitutive - sia per i limiti
originariamente fissati in via legislativa, sia perché erano
ancora ignoti gli sconti premiali legati alla scelta del rito
- erano applicabili in relazione a reati di gravità senz'altro
inferiore). E' chiaro peraltro che tali preclusioni
continueranno a valere per le meno impegnative sanzioni
sostitutive della pena pecuniaria e della libertà
controllata.
Viene poi modificata la disciplina dell'inosservanza delle
prescrizioni relative alle sanzioni sostitutive (articolo 6,
che interviene sul tessuto dell'articolo 66 della legge n. 689
del 1981). La modifica si è resa in primo luogo necessaria in
forza dell'introduzione della nuova sanzione della custodia
domiciliare, il cui nucleo principale consiste non già in
prescrizioni, ma nel divieto di allontanarsi dall'abitazione.
In secondo luogo, anche il lavoro di pubblica utilità esige
una disciplina che enfatizzi le violazioni del contenuto
essenziale della misura.
Di conseguenza, il nuovo comma primo dell'articolo 66
prevede il ripristino della pena sostituita quando, senza
giusto motivo, il condannato si allontana dal luogo in cui
deve rimanere ristretto, ovvero non si reca o abbandona il
luogo dove deve svolgere il lavoro di pubblica utilità. Il
nuovo comma secondo dell'articolo 66 riproduce, invece, il
contenuto del primo comma della norma vigente, con la
significativa aggiunta che le violazioni danno luogo al
ripristino della sanzione sostituita solo se sono commesse
senza giusto motivo. Il requisito del "giusto motivo" che,
come si è visto, compare in entrambe le ipotesi disciplinate
dal nuovo articolo 66, evoca una clausola di illiceità, già
impiegata con alcune varianti lessicali nel codice penale (si
pensi alla clausole contenute negli articoli 637, 638 e 731).
La clausola è caratterizzata dal richiamo di alcune cause di
giustificazione, non già nella loro comune e predeterminata
fisionomia (quella fissata dagli articoli 51 e 54 del codice
penale), ma in un'accezione più ampia, ben potendo il "giusto
motivo" essere costituito da un qualsiasi motivo correlato a
particolari contingenze. Ne deriva che la clausola denota
un'orbita applicativa lievemente più ampia rispetto a quella
perimetrata dalle scriminanti comuni. In tale modo, la
severità del regime delineato nell'articolo 66 oggi in vigore
- giudicata eccessiva dalla totalità dei commentatori -
subisce una parziale attenuazione, che permette di escludere
la rilevanza, ai fini del ripristino delle sanzioni
sostituite, di violazioni sostanzialmente incolpevoli o
comunque giustificabili. L'ultima significativa modifica della
legge n. 689 del 1981 investe l'articolo 70, relativo
all'esecuzione delle pene concorrenti. A ben vedere,
l'intervento di riforma (articolo 8) si risolve in un
adeguamento delle soglie di sostituzione reso necessario dai
descritti ritocchi verso l'alto operati nei confronti della
custodia domiciliare e della libertà controllata. Mette però
conto di sottolineare che la pena detentiva sostituita con la
custodia domiciliare non può complessivamente oltrepassare i
due anni e sei mesi: in questo modo si è formalmente colmata
una lacuna del vigente articolo 70 che non disciplina
espressamente l'ipotesi del concorso di semidetenzioni.
Peraltro, la dottrina aveva ritenuto che, in questa evenienza,
dovesse comunque valere il limite di un anno per evitare
disparità di trattamento rispetto al concorso di libertà
controllate complessivamente superiori ad un anno. Si è
comunque preferito dirimere ogni questione interpretativa con
la descritta integrazione normativa.
Va, infine, segnalata la norma dell'articolo 67, ritoccata
per opera dell'articolo 7. Spicca, in particolare, la
previsione del primo comma che, per fugare qualsiasi dubbio
interpretativo, sancisce l'inapplicabilità alla custodia
domiciliare e alla libertà controllata delle misure
alternative alla detenzione di cui agli articoli 47,
47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n.
354.
Nel terzo comma, viene data attuazione alla sentenza della
Corte costituzionale n. 109 del 22 aprile 1997.
Tutte le restanti norme della presente proposta di legge
dedicate alle modifiche della legge n. 689 del 1981 integrano
altrettante disposizioni di coordinamento essenzialmente
legate all'introduzione della custodia domiciliare.
Capo II- Benefìci penitenziari. L'istituto
della liberazione anticipata figura tra le misure alternative
alla detenzione previste dal capo VI del titolo primo della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ordinamento penitenziario). In
particolare l'articolo 54 della legge citata consente di
operare una riduzione di pena pari, attualmente, per effetto
dell'articolo 18 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, che lo
ha modificato, a quarantacinque giorni per ogni semestre di
pena scontata. Competente ad adottare il provvedimento in
parola è il tribunale di sorveglianza che provvede ad
applicare il beneficio al condannato che abbia dato prova di
partecipazione all'opera di rieducazione. L'istituto collega
al positivo atteggiarsi della risposta del condannato alle
opportunità trattamentali un decremento della pena irrogata in
sentenza. L'erosione del giudicato penale, in punto di
definizione della pena, si giustifica tenuto conto che la
condotta successiva tenuta dal soggetto è indice
dell'inutilità della totale espiazione della pena.
L'istituto è stato, perciò, particolarmente apprezzato
dagli operatori per la sua capacità di moderare i rigori della
pena quante volte ciò si giustifichi alla luce del percorso
penitenziario del condannato. Ciò si deve anche all'assenza di
automatismi applicativi, assenza che ha consentito uno
scrutinio della posizione di ciascun detenuto ad opera di una
magistratura, quella di sorveglianza, istituzionalmente
chiamata alla valutazione della significatività delle condotte
serbate dal condannato. Una tale valutazione, peraltro, è
stata, nella prassi interpretativa, e del tutto
ragionevolmente, operata tenendo conto delle informazioni
offerte dagli operatori penitenziari preposti al trattamento.
Ciò ha consentito alla decisione del giudice di porsi, in
sostanza, quale momento valutativo del flusso delle
informazioni provenienti dalle autorità penitenziarie degli
istituti presso i quali il soggetto sia stato ristretto. Non è
possibile, poi, negare che il delicato rapporto tra le risorse
delle strutture penitenziarie ed il numero dei detenuti ha
trovato un valido momento di equilibrio accelerando, con
l'istituto di cui si discute, la fuoriuscita dal circuito
penitenziario di quei soggetti che, in virtù della loro stessa
condotta di partecipazione all'opera di rieducazione,
dimostrino la inutilità del protrarsi di una pena che, nei
loro confronti, ha già conseguito i suoi scopi.
Da tutto quanto indicato discende l'opportunità di un
ulteriore impulso che è possibile conferire all'istituto.
Un primo approccio è suggerito dalla constatazione che la
partecipazione all'opera di rieducazione è suscettibile di
essere valutata non solo in termini che riconoscano o neghino
tale partecipazione ma anche in modo da riflettere il grado di
adesione di ciascun soggetto ai modelli comportamentali
proposti dagli operatori penitenziari. Inoltre non può neppure
trascurarsi che la presa di distanza da precedenti scelte
devianti può attuarsi tanto più celermente quanto meno grave
sia il reato commesso e quindi meno radicata la scelta
delittuosa. In conseguenza di tali riflessioni si è ritenuto
di arricchire il sistema delle misure alternative di un
ulteriore strumento che consente di riconoscere una maggiore
misura di riduzione di pena (sessanta giorni) per quei
condannati che, andando anche al di là di una condotta
funzionale all'opera trattamentale, si segnalino per il
peculiare alto grado di coinvolgimento nelle opportunità di
risocializzazione loro offerte così da poter presumere che
essi abbiano conseguito un grado di rieducazione dal quale non
è prevedibile un regresso. Per altri versi, però, in
considerazione di quanto prima enunciato, si è ritenuto di
circoscrivere il nuovo beneficio escludendo dallo stesso
coloro che si siano resi responsabili dei più gravi reati tra
i quali l'associazione di tipo mafioso, il sequestro di
persona a scopo di estorsione, l'associazione finalizzata al
traffico di stupefacenti, l'omicidio, la rapina aggravata ai
sensi del terzo comma dell'articolo 628 del codice penale,
l'estorsione. Gli autori di tali reati potranno continuare a
beneficiare della liberazione anticipata prevista
dall'articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354.
Da altro punto di vista si è considerato che una
rivitalizzazione dell'istituto non può prescindere dalla
tempestività delle decisioni giudiziarie e da un efficace
flusso di adeguate informazioni che muovano dagli operatori
penitenziari all'organo giudiziario deputato alla decisione.
Si è considerata, in questa ottica, la centralità che nel
sistema ha assunto la figura del magistrato di sorveglianza
cui l'ordinamento penitenziario, a partire dal 1986, con la
citata legge n. 663 del 1986, ha già conferito determinanti
prerogative in ambiti di non minor rilievo; si considerino le
delicate valutazioni che, in materia di permessi premio,
l'ordinamento penitenziario gli conferisce. Si tratta, poi, di
un magistrato le cui funzioni, quali delineate già ora
dall'articolo 69 dell'ordinamento penitenziario, esprimono la
sua prossimità al momento di rilevazione dei fattori da cui
l'ammissione al beneficio della liberazione anticipata
dipende. Evidenti ragioni di razionalizzazione e di efficienza
del sistema suggeriscono, dunque, che sia questo magistrato
che, adottando una procedura più snella di quella ora prevista
innanzi al tribunale, decida sull'istanza di liberazione
anticipata, riservandosi, poi, al collegio il reclamo avverso
il provvedimento del magistrato. Le scelte fin qui considerate
appaiono connotate da un significativo grado di
condivisibilità prevedendo l'attribuzione della competenza
nella materia che si considera al magistrato di sorveglianza e
l'elevazione della riduzione di pena da quarantacinque a
cinquanta giorni.
Il provvedimento non trascura di prevedere le situazioni
pregresse dettando norme di carattere transitorio. Il tema
della successione di leggi penali che incidano sulla materia
delle misure alternative alla detenzione offre significative
peculiarità. Le norme che regolano la materia sfuggono ai
consolidati canoni dell'articolo 2 del codice penale giacché
esse possono introdurre norme più favorevoli al condannato pur
non incidendo sulla norma incriminatrice. L'indistinta
applicazione della norma più favorevole, nel caso in esame,
avrebbe condotto ad una espansione oltre ogni ragionevole
limite del nuovo istituto fino a farne regredire
indefinitamente l'applicazione. All'opposto se si fosse
consentito un effetto della nuova normativa limitata al futuro
vi sarebbero state evidenti ricadute sul piano dell'equità.
Invero la nuova normativa promuove condotte di maggiore
adesione alle finalità cui l'esecuzione della pena si ispira e
ad esse connette una maggiore misura di riduzione di pena. A
tali condotte, in assenza di opposte risultanze, deve
ritenersi che i soggetti si sarebbero conformati in presenza
della norma premiale. Ciò dà ragione delle scelte operate sul
piano transitorio intese a riconoscere la maggiore diminuzione
di pena, a decorrere dal gennaio 1995, a coloro la cui
condotta si sia adeguata a quella partecipazione all'opera di
rieducazione presupposto, in precedenza, per l'ottenimento
della liberazione anticipata. Peraltro si è fatto ricorso a
norma del tutto analoga a quella di cui all'articolo 30 della
legge 10 ottobre 1986, n. 663, emanata nell'occasione in cui
con l'articolo 18 della legge citata si provvide ad elevare da
venti a quarantacinque giorni la riduzione di pena. La
compatibilità di un tale intervento, con riferimento ai
princìpi espressi dagli articoli 3 e 24 della Costituzione,
può desumersi dagli stessi orientamenti giurisprudenziali
(Cassazione penale, Sez. I sent. n. 273 del 22 marzo 1995) che
hanno ritenuto la manifesta infondatezza della relativa
questione di costituzionalità. Si è, così, considerato che la
prevista limitazione di ordine temporale all'efficacia della
norma trovi plausibile giustificazione in ragioni di politica
criminale rimesse alla valutazione discrezionale del
legislatore. Per effetto dell'applicazione della disposizione
in commento è prevedibile un decremento significativo della
popolazione penitenziaria. Gli stessi limiti, legati alla
natura del commesso reato, che si frappongono all'applicazione
del nuovo istituto valgono a limitarne l'applicazione del
regime transitorio.
Lo straordinario impegno necessario a far fronte alla fase
di prima applicazione della normativa richiede la previsione
di un correlativo eccezionale impegno che, perché sortisca gli
effetti sperati in tempi ragionevoli, non può essere affidato
ai soli magistrati stabilmente preposti alle funzioni di
magistrato di sorveglianza che svolgono. Si è dovuto,
pertanto, prevedere la temporanea applicazione di altri
magistrati nell'ufficio chiamato a dare attuazione alla
riforma. L'avere enucleato i soggetti meritevoli del nuovo
beneficio sulla base della speciale loro partecipazione
all'opera di rieducazione consente, poi, di delineare il
profilo dell'utenza di circuiti penitenziari in cui sia
consentito esaltare le valenze trattamentali rivolgendole a
soggetti di cui sia già stata sperimentata la particolare
recettività agli stimoli offerti dagli operatori.
In merito all'articolato si rileva quanto segue.
L'articolo 10 della proposta di legge introduce il nuovo
istituto della liberazione anticipata che, a fronte della
riconosciuta speciale partecipazione del condannato all'opera
di rieducazione, prevede una riduzione di pena di sessanta
giorni per ogni singolo semestre di pena espiato. Il comma 2
dell'articolo in commento introduce talune ipotesi di
esclusioni legate alla oggettiva gravità del fatto per quei
medesimi reati che, ai sensi dell'articolo 4-bis
dell'ordinamento penitenziario, limitano l'accesso alle altre
misure alternative alla detenzione.
Ancora l'articolo 10 introduce l'articolo 54-ter
della legge 26 luglio 1975, n. 354. Tale disposizione
razionalizza il flusso delle informazioni tra istituti di pena
e magistrato di sorveglianza in modo che gli istituti possano
adeguatamente e celermente contribuire alla più rapida
definizione delle procedure. Si tratta di previsione destinata
ad integrarsi con quella, di speciale utilità nella fase di
prima applicazione della legge, che indica la necessità di
conferire priorità alla trattazione di quelle istanze il cui
accoglimento determina l'immediata liberazione del
condannato.
Con l'articolo 11 si modifica l'articolo 69 della legge 26
luglio 1975, n. 354, per stabilire la competenza del
magistrato di sorveglianza e non più del giudice collegiale
nella materia che si considera. Si prevede che il
provvedimento adottato acquisisca la forma del decreto che
richiede una decisione de plano suscettibile, però, come
si vedrà, di essere oggetto di reclamo innanzi al giudice
collegiale.
L'articolo 12 opera mere modifiche di coordinamento rese
necessarie dalle disposizioni prima commentate.
Con l'articolo 13, come accennato, si rende la decisione
del magistrato reclamabile, dall'interessato e dal pubblico
ministero, innanzi al tribunale di sorveglianza. Quest'ultimo
organo, in ragione della sua composizione che vede anche la
presenza di due giudici non togati, appare, in considerazione
anche delle competenze attribuite in ordine alle altre misure
alternative alla detenzione, il naturale destinatario del
reclamo. Si è previsto che il reclamo della parte pubblica
abbia effetto sospensivo dell'efficacia del provvedimento
emesso dal magistrato; e ciò in quanto un eventuale
accoglimento del reclamo della parte pubblica accolto quando,
per effetto del provvedimento impugnato, il condannato fosse
stato scarcerato, rischierebbe di essere inutile.
L'articolo 14 detta quelle norme transitorie cui si è
fatto ampio riferimento in premessa.
Con l'articolo 15 si intende mobilitare, nella prima fase
di attuazione della normativa, la disponibilità di un
sufficiente numero di magistrati la cui opera consentirà,
attraverso l'applicazione agli uffici di sorveglianza di altri
giudici del distretto, di far fronte in tempi ragionevoli alla
ridefinizione dell'ammontare della riduzione di pena anche al
fine di consentire la trattazione dei casi più urgenti, quelli
cioè suscettibili di determinare, per effetto
dell'accoglimento dell'istanza, la cessazione dello stato di
detenzione.
L'articolo 16 mira all'ottimizzazione del flusso delle
informazioni tra uffici giudiziari e istituti penitenziari,
finalizzato all'applicazione più celere del beneficio con
innovazione destinata ad andare oltre la fase di prima
attuazione della legge.
Con l'articolo 17 si prevede che i soggetti che abbiano
dato prova di speciale partecipazione all'opera di
rieducazione possano essere ammessi a fruire di speciali
programmi trattamentali che tengano conto della loro peculiare
situazione. Tali programmi sono destinati ad attuarsi in
istituti, o in parti di essi, a tale fine individuati cosicché
alle attenuate esigenze custodiali si associno situazioni
ancor più propizie per la proposizione di qualificate
iniziative risocializzanti.
Le norme da ultimo commentate relative a quest'ultimo
capo, operando solo sui meccanismi procedimentali, e
producendo l'effetto di un decremento del numero delle persone
detenute, non comportano oneri aggiuntivi rispetto ai già
previsti stanziamenti di bilancio.