XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 3395
Onorevoli Colleghi! - L'attuale situazione del mondo
penitenziario, in particolare per il sovraffollamento degli
istituti, rende sempre più difficile garantire la legalità e
il rispetto dei diritti umani in carcere e rischia di rendere
meramente nominale la funzione rieducativa della pena sancita
dalla Costituzione. Disagi e sofferenze dei detenuti e degli
stessi operatori carcerari sono stati di recente espressi in
pacifiche proteste dei detenuti, in appelli ed anche in
audizioni presso le competenti Commissioni parlamentari. Nei
giorni scorsi il Papa Giovanni Paolo II, nella sua visita al
Parlamento, ha sollecitato un segno di clemenza verso i
detenuti. La reale gravità della situazione e i diversi
segnali interpellano le nostre responsabilità di
parlamentari.
Il limite di provvedimenti eccezionali e generalizzati di
clemenza è non solo quello della loro incapacità di dare
soluzione ai problemi critici del sistema
penale-penitenziario, ma anche quello di costituire una sorta
di narcotico sulle sofferenze della giustizia, un alibi per
non affrontare le cause strutturali delle disfunzioni.
Insomma, una fuga dalle responsabilità, un incentivo alla
pigrizia del legislatore e del Governo a mettere in atto le
riforme che diano senso e dignità alla esecuzione della pena.
L'esperienza di decine di atti di clemenza (ventuno nella
storia dell'Italia repubblicana) insegna che gli effetti
deflativi sulla popolazione carceraria vengono assorbiti in un
paio di anni e che nei mesi seguenti l'entrata in vigore dei
provvedimenti il numero dei reati commessi tende a salire. Un
detenuto senza una famiglia o un ambiente che lo accoglie,
senza un lavoro o una casa, messo fuori dal carcere da un
giorno all' altro, viene a trovarsi senza le risorse che
consentono il suo reinserimento sociale. E spesso ritrova
quindi la strada del crimine. Parlare quindi di sfoltire le
carceri come motivazione per un provvedimento generalizzato di
clemenza significa certificare una sconfitta dello Stato,
incapace di gestire il sistema penitenziario rispettando la
dignità dei detenuti e favorendone la rieducazione. In alcuni
casi tuttavia una dichiarazione di resa può essere l'unica
scelta intelligente che resta da fare, specie quando si
rischia altrimenti di far pesare incapacità politiche ed
inefficienze della struttura sui diritti dei detenuti.
La vera sfida è allora riuscire a collegare le ragioni
della clemenza con quelle del recupero e del reinserimento
sociale del detenuto, per contrastare il circolo vizioso della
recidiva; coniugare clemenza con solidarietà ed allo stesso
tempo farsi carico della esigenza di sicurezza della
collettività. La presente proposta di legge va in questa
direzione. In essa l'atto di clemenza - lo sconto di pena -
non è fine a se stesso ma è collegato ad un inizio di percorso
di reinserimento, che avviene sotto il controllo e con il
sostegno delle strutture pubbliche e della società civile.
Solo all'esito positivo di questo periodo di "prova" consegue
la applicazione definitiva dell'indulto. Si è quindi costruito
un indulto condizionato che, come previsto dall'articolo 672,
comma 5, del codice di procedura penale, agisce con una
iniziale sospensione della esecuzione della pena per terminare
poi con l'applicazione definitiva del beneficio alla scadenza
del termine previsto per l'adempimento della condizione. La
condizione stabilita nella presente proposta di legge è quella
che il condannato tenga - per il periodo di pena abbuonato e
comunque non inferiore ad un anno - una condotta tale da far
ritenere positivamente avviato un percorso di recupero
sociale. Al fine di accompagnare e favorire il periodo di
prova è prevista l'applicazione di obblighi e prescrizioni di
comportamento contestualmente alla sospensione dell'esecuzione
della pena. Il meccanismo si richiama a quello, ormai
collaudato, della misura dell'affidamento in prova. Non si
tratta tanto di trovare una procedura di riferimento, quanto
di indicare un modello, una strada da percorrere con decisione
anche al di là dell'emergenza per ridare senso e dignità alla
esecuzione delle pene detentive: quella dell'applicazione più
ampia delle misure alternative alla detenzione, mediante
percorsi personalizzati di reinserimento sociale del detenuto.
Se oggi le carceri sono sovraffollate, una delle ragioni sta
nel fatto che buona parte della popolazione carceraria in
esecuzione di pena è costituita da detenuti che non dispongono
dei necessari appoggi familiari o sociali che permettano loro
di costruire un percorso di rientro in società, che possa
essere riconosciuto ai fini dell'affidamento in prova. Con la
proposta di legge si provvede anche ad investire in maniera
significativa sulle strutture sociali per sostenere ed
accompagnare sul territorio i percorsi di reinserimento
sociale e lavorativo. Non solo clemenza, quindi, ma anche
solidarietà con chi deve reintegrarsi e al tempo stesso
garanzia per tutti i cittadini per interrompere la spirale
della recidiva e prevenire concretamente il crimine.
Per i detenuti stranieri che si trovano illegalmente in
Italia non è ovviamente proponibile il reinserimento sociale.
La presente proposta di legge prevede quindi quale condizione
per l'applicazione definitiva dell'indulto l'abbandono del
territorio dello Stato.
In dettaglio, la presente proposta di legge limita
l'applicazione dell'indulto alle sole pene detentive. Non sono
previste esclusioni soggettive, ritenendosi che le ragioni
della clemenza valgano in maniera eguale per tutti e che
quelle del sostegno al recupero siano a maggior ragione valide
per coloro che hanno dato segno di recidiva. L'indulto si
applica solo dopo che è stata scontata almeno la metà della
pena detentiva inflitta: per il rispetto dovuto alla funzione
retributiva della pena, che non può essere dimenticata al
punto di annullarla del tutto; per equità tra i detenuti,
evitando di fare parti eguali tra diseguali. Non sono previste
esclusioni oggettive in relazione ai reati commessi, in
considerazione del fatto che - diversamente da un
provvedimento di amnistia - ogni generalizzazione per
categorie di reati meritevoli o meno di clemenza appare
arbitraria. Non è detto che i reati più gravi per la legge
penale siano quelli di maggiore allarme sociale, né si possono
trarre automatiche conclusioni di pericolosità dalla
commissione di determinati reati (si pensi, ad esempio, alle
diverse possibili condotte e ruoli riconducibili al delitto di
cui all'articolo 416-bis del codice penale). La strada
da seguire secondo la presente proposta di legge è invece
quella del trattamento e della disciplina personalizzati, in
ragione della situazione concreta del condannato.
Sono quindi previsti obblighi e prescrizioni che possono
essere imposti in maniera personalizzata ai detenuti al
momento della sospensione della pena e che hanno lo scopo di
favorirne il cammino di recupero, evitando al contempo nuovi
comportamenti criminosi. Si tratta di prescrizioni relative al
soggiorno in determinati comuni, alla dimora, al divieto di
frequentare determinati locali, già previste per l'affidamento
in prova. Potrà essere previsto il contatto con le strutture
di assistenza sociale sul territorio o con associazioni,
cooperative sociali e comunità che si occupano del
reinserimento sociale, nonché l'intrapresa di specifici
progetti di recupero. Si è preferito mantenere una
flessibilità su questo punto, in considerazione della
diversità delle situazioni personali e delle realtà
territoriali. Obbligatoria è in ogni caso la prescrizione di
adoperarsi - in quanto possibile - a favore della vittima del
reato e di adempiere ai doveri familiari. Ai condannati per
reati associativi, onde contrastare la ripresa dei contatti
criminali, è sempre applicata, per l'intero periodo della
sospensione, la misura dell'obbligo di dimora.
Al termine del periodo di sospensione il servizio sociale
del Ministero della giustizia riferisce sull'osservanza delle
prescrizioni e degli obblighi da parte del condannato, nonché
sui suoi progressi sulla strada del reinserimento. A
differenza dell'affidamento in prova, non sono richieste una
costante presenza del servizio sociale e una periodica
relazione all'autorità giudiziaria, in considerazione della
gran mole del lavoro altrimenti richiesto; nel caso in cui il
beneficiato abbia intrapreso un percorso di reinserimento
tramite una qualche struttura, il servizio sociale potrà
limitarsi a fare da tramite tra essa e l'autorità giudiziaria.
Le autorità di polizia possono sempre riferire all'autorità
giudiziaria ogni fatto significativo sul comportamento ed il
reinserimento sociale del beneficiato; svolgono un'attività di
vigilanza costante sull'osservanza di prescrizioni sulla
dimora e sulla presentazione periodica agli uffici di polizia
ed hanno l'obbligo di informare immediatamente l'autorità
giudiziaria di ogni violazione.
L'insieme di prescrizioni sulla condotta e di controlli
del servizio sociale del Ministero della giustizia e delle
autorità di polizia accompagnano così il primo periodo di
libertà dei soggetti che beneficiano dell'indulto, favorendone
un positivo reinserimento nella società ed allo stesso tempo
garantiscono da un comportamento recidivante.
Per quanto riguarda il procedimento di applicazione si è
seguita il più possibile la procedura ordinaria di
applicazione dell'indulto, prevista dall'articolo 672 del
codice di procedura penale. In particolare il pubblico
ministero che cura l'esecuzione della sentenza di condanna è
competente ad emettere il provvedimento di sospensione della
stessa, in applicazione della legge di indulto e ad applicare
prescrizioni ed obblighi. Lo stesso pubblico ministero,
all'esito del periodo di sospensione, raccoglie le relazioni
sul comportamento del beneficiato e trasmette gli atti al
giudice dell'esecuzione con il suo parere per l'applicazione
definitiva dell'indulto. Il giudice dell'esecuzione prenderà
la decisione nelle forme semplificate previste dall'articolo
667, comma 4, del codice di procedura penale, richiamato
dall'articolo 672, comma 1, del medesimo codice. Il giudice
dell'esecuzione inoltre è il giudice di controllo
sull'applicazione delle misure che incidono sulla libertà di
movimento del beneficiato.
La revoca dell'indulto definitivamente applicato è
prevista nei casi di successiva commissione di reati, come
previsto in precedenti atti di clemenza, ovvero nel caso di
successivo rientro nel territorio nazionale del condannato
precedentemente immigrato illegalmente.
Con gli articoli 10 e 11 si interviene investendo sulle
strutture pubbliche e sul privato sociale che si occupano del
reinserimento sociale dei detenuti scarcerati. In questo modo
si interviene, anche con misure strutturali, sul momento
essenziale della presa in carico da parte della società. Gli
strumenti scelti sono quelli di un aumento dell'organico del
personale del servizio sociale per adulti del Ministero della
giustizia e del finanziamento di progetti di formazione e di
reinserimento dei detenuti scarcerati.
L'indulto così concesso è rinunciabile prima della sua
applicazione definitiva, in ragione degli oneri anche non
indifferenti che possono derivarne per il condannato.
L'entrata in vigore della legge viene posposta rispetto al
periodo ordinario in ragione della prevedibile mole di lavoro
che coinvolgerà l'amministrazione penitenziaria, l'autorità
giudiziaria, il servizio sociale, gli uffici di polizia e le
strutture del servizio sociale sul territorio. Si intende
consentire in questo modo un'attività di programmazione e di
predisposizione organizzativa assolutamente necessaria per
evitare il fallimento del provvedimento di clemenza.