XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 2594




        Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge si propone di definire la figura del mediatore familiare contribuendo a stabilirne contorni e funzioni: una figura dalla professionalità nuova, inedita, nel panorama del nostro Paese, ma che si è sviluppata anche grazie all'opera delle associazioni che da anni operano nel settore, che hanno contribuito alla diffusione, seppur ancora limitata, di una nuova cultura della mediazione e della gestione dei conflitti. Si tratta di tracciare un nuovo percorso capace di dare vita anche ad una cultura della separazione tra le persone che ponga al centro in maniera particolare la tutela degli interessi dei minori.
        L'intento è quello di fornire alla figura del mediatore familiare una formazione specifica, che si caratterizza per il ruolo e la specificità della funzione. Ruolo già riconosciuto, peraltro, in molti Paesi occidentali come un modello privilegiato per il trattamento della conflittualità nella separazione e nelle problematiche familiari e che si situa all'interno dei cambiamenti evolutivi in atto nella nostra società.
        In linea generale, si può definire mediazione una qualsiasi attività intrapresa da un terzo neutrale il quale, nella garanzia del segreto professionale ed in rigorosa autonomia dal contesto giudiziario, si attiva al fine di ricomporre un conflitto tra le parti ristabilendo una buona comunicazione tra loro e consentendo l'elaborazione di un'intesa che regoli in modo soddisfacente la riorganizzazione dei loro rapporti. La mediazione familiare costituisce parte della più grande "famiglia" della mediazione, ma da questa si differenzia per la specificità del contesto nella quale opera, perché è individuata come elemento nevralgico nel rapporto dì coppia soprattutto in presenza di minori.
        Ruolo del mediatore familiare non è dunque quello di "ricomporre" il rapporto di coppia ma, nell'ambito di un percorso relativo ad un processo di separazione o divorzio di "permettere alla coppia di trovare le basi di un accordo reciproco e duraturo, tenendo conto dei bisogni di ciascun membro della famiglia e particolarmente dei bisogni dei minori in uno spirito di corresponsabilità genitoriale" (Droit familial - gennaio 1994). La mediazione familiare, in materia di divorzio e separazione, si presenta come un processo metodologico con delle regole precise: né terapia di coppia, né un tipo di consulenza familiare né, tantomeno, una consulenza di carattere giuridico. L'obiettivo è quello di proporre alla coppia, in fase di ostilità, una linea neutra con la presenza di una terza persona, qualificata e imparziale, che consenta alle parti di stabilire una pausa nel conflitto, di analizzare e di verificare se la decisione di separarsi sia la migliore nel contesto della storia del rapporto e dunque di elaborare le decisioni necessarie per una migliore riorganizzazione familiare. Elaborare, dunque, un accordo relativamente alla cura dei figli, alle condizioni del mantenimento economico, alle scelte riguardanti la crescita dei minori, eccetera, questi sono gli strumenti che la mediazione familiare si propone di offrire alle parti. Se la coppia, nel corso di alcuni incontri, perviene alla decisione di riprendere un cammino di vita comune, il ruolo del mediatore si interrompe, per indirizzare le parti, eventualmente, verso altri tipi di supporto, sia esso terapeutico o giuridico-legale o altro. Il ruolo del mediatore attiene, dunque, esclusivamente ad una fase precisa del conflitto di coppia che si è analizzato.
        La necessità di pervenire ad una definizione propria e conforme della mediazione, inoltre, trova riscontro, per quanto riguarda la legislazione internazionale, nell'articolo 13 della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, firmata dall'Italia il giorno stesso. Per quanto riguarda la legislazione nazionale la mediazione viene citata, con riferimento al contesto familiare, dall'articolo 155, settimo comma, del codice civile, che recita: "Nell'emanare i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli e al contributo al loro mantenimento, il giudice deve tener conto dell'accordo fra le parti (...)" Questa disposizione sottolinea la preferenza per una posizione concorde tra le parti piuttosto che imposta dall'autorità giudiziaria.
        Negli ultimi anni, peraltro, il numero di coppie che è ricorso alla separazione o al divorzio è in continuo aumento; in tale contesto sono i bambini i soggetti che generalmente risentono in maniera maggiore delle situazioni di conflitto familiare e le difficoltà di relazione alle quali sono sottoposti si tramutano spesso in situazioni di disagio che si protraggono nel tempo. A partire proprio da queste motivazioni, la mediazione familiare vuole porre al centro la tutela dei diritti del bambino primo fra tutti quello di avere due genitori e di poter relazionare con loro in maniera serena.
        La tutela dei minori è dunque il motore che spinge alla ricerca di soluzioni concordate, che escludano il protrarsi di situazioni confliggenti in un contesto, peraltro, soggetto a continue evoluzioni, sia per l'evolversi delle relazioni tra le parti nel tempo sia per le modificazioni nei rapporti genitori-figli con particolare riferimento alle fasi di crescita dei minori stessi. Lo strumento della mediazione come opportunità di gestione dei conflitti diviene dunque centrale e si accompagna con la necessità della creazione di una nuova cultura della mediazione. Una cultura sulla quale l'Italia sconta sicuramente un ritardo rispetto all'esperienza degli altri Paesi occidentali, nei quali una nuova sensibilità nella gestione dei conflitti ha trovato maggiore spazio.
        In questo quadro, sicuramente interessanti, sono state negli ultimi anni le esperienze di mediazione familiare portate avanti a livello sperimentale sia presso alcuni tribunali civili e penali (si pensi a Bari, Milano e Torino) sia da alcune associazioni che da anni operano nel settore e che hanno trovato applicazione anche in alcuni progetti presentati dagli enti locali. Certamente, però, la creazione di una nuova cultura della mediazione in campo genitoriale deve avvalersi di un supporto legislativo che ne riconosca l'importanza e ne definisca le prospettive.
        Primo obiettivo della presente proposta di legge e quello di dotare la figura del mediatore familiare di una professionalità specifica, che si differenzia dalle altre figure professionali che a vario titolo possono entrare a supportare la vita familiare. Ritenuta indispensabile una formazione di tipo universitario, si è voluto dotare la figura del mediatore familiare di una formazione specifica alla quale possano senz'altro accedere curriculum di livello superiore sicuramente diversi, ma affini in quanto a campo di intervento. Si è pensato dunque, nell'ambito dell'autonomia universitaria, conformemente al regolamento di cui al decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica n. 509 del 1999, di dotare gli atenei della possibilità di istituire corsi di specializzazione specifici volti alla formazione del mediatore familiare, avvalendosi anche laddove è possibile, delle competenze delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni che da anni operano nel settore. Corsi di formazione sono previsti anche a livello regionale e di enti locali, dove lo spazio per l'esperienza proveniente dalle citate associazioni puo trovare uno spazio maggiore. Ma la formazione specifica di personale capace di svolgere le funzioni di mediatore familiare si accompagna al riconoscimento della nuova figura professionale all'interno dei profili definiti dalla legge n. 328 del 2000. Spetta dunque ai Ministeri competenti, nella fattispecie il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'istruzione, dell'università e della ricerca, prevedere tra i profili professionali esistenti anche questa nuova figura. Di qui, dunque, la possibilità per le regioni e gli enti locali di prevedere l'attivazione di servizi preposti alla mediazione familiare, sia dal punto di vista dell'informazione ai cittadini che dell'erogazione del servizio.
        Intento della presente proposta di legge è proprio quello di affiancare il riconoscimento della figura del mediatore familiare alla effettiva possibilità dello stesso di operare. Di qui anche la necessità di prevedere che gli enti locali possano potenziare gli interventi relativi alla legge n. 285 del 1997, tramite l'istituzione di centri di mediazione familiare capaci dunque di contribuire alla creazione di una nuova cultura della mediazione familiare che sappia creare un servizio ai cittadini avvalendosi anche dell'esperienza di tutte quelle associazioni ed organizzazioni che negli anni hanno ormai acquisito conoscenze, esperienze e professionalità specifiche. Uno strumento che si propone di offrire un servizio ai cittadini non solo nel momento in cui "più acuto" si presenta il conflitto stesso, ma anche come processo "in itinere", ovvero capace di intervenire ogni qual volta sia necessario sanare situazioni confliggenti che possono sorgere nel corso delle relazioni all'interno della famiglia.
        La dottrina elaborata nel campo della mediazione familiare riferisce che la buona riuscita di un percorso di mediazione familiare dipende dall'assoluta autonomia con la quale essa si muove dal contesto giuridico.
        Assunto, dunque, tale principio, si è voluto però dotare la mediazione familiare di quel riconoscimento, anche nel campo giurisdizionale, capace di darle forza e capacità d'intervento, per dotare il giudice e le parti della possibilità di risolvere il conflitto in campo extragiudiziale, offrendo l'opportunità alla coppia di pervenire in tribunale forte di un'intesa preventivamente concordata tramite un percorso di mediazione.




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