XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 2536




        Onorevoli Colleghi! - La pena di morte è orribile se colpisce un innocente. Ma è ingiusta anche se riguarda un condannato che risulta colpevole. Questa ingiustizia si motiva di solito con una ragione politica, che è reale e ha un peso effettivo: è inutile uccidere i criminali perché è statisticamente dimostrato che ciò non serve a ridurre la criminalità. Non è, insomma, un efficace deterrente. E' vero, ma non c'è solo questo. C'è anche il fatto più semplice e più radicale che lo Stato non ha il diritto di uccidere. Spesso si afferma che la ragione giustificativa della pena di morte è la stessa che giustifica l'autodifesa in caso di aggressione. Questo argomento è un'aberrazione logica e morale insieme. In caso di aggressione, infatti, per salvare me stesso posso non avere altra alternativa che uccidere il mio aggressore: è uno stato di necessità, una situazione estrema che non ha vie di uscita. Ma quando l'assassino ha ormai compiuto il suo crimine ed è acquisito alla giustizia non si può far valere la difesa della società allo stesso modo nel quale si fa valere l'autodifesa dell'aggredito. Le parole sono le stesse, ma la situazione è profondamente diversa e la pena di morte non è un'autodifesa, è una vendetta collettiva, è un appagamento estremo del bisogno di chi ha subìto un dolore di infliggerne uno altrettanto grande per essere pago. Così giustizia non è fatta, perché si è aggiunta morte a morte in una situazione in cui c'erano altre vie d'uscita: c'era la detenzione, nel corso della quale il risveglio della coscienza, il pentimento, il dolore per il dolore inferto ad altri sono spesso una punizione più grave, più macerante, più illuminante di un'uccisione, sempre patita dal condannato come un'ingiustizia. Solo chi non sa che anche la propria vittima è una creatura come lui può uccidere senza colpa.
        In ogni esecuzione capitale non si manifesta la forza o la determinazione, si evidenzia, al contrario, la debolezza di una civiltà.
        La perseveranza che l'Italia e l'Europa stanno avendo nel denunciare l'uso delle esecuzioni come rimedio contro i crimini e la criminalità comincia a fare breccia nelle coscienze illuminate. Ogni qualvolta si annuncia un'esecuzione capitale l'opinione pubblica italiana si mobilita spontaneamente, ma spesso a nulla sono valsi i richiami del Papa, del Parlamento e le mobilitazioni di massa: è prevalsa la giustizia sommaria, il potere umano ha sconfinato.
        Il nostro Paese più volte si è trovato a dover decidere se estradare o meno un cittadino affinchè sia sottoposto da parte dello Stato richiedente ad un processo per un reato punito con la pena capitale, quantunque subordinata a garanzie o assicurazioni sufficienti in ordine alla mancata irrogazione o esecuzione di essa. La possibilità di estradizione, così come più volte confermato dalla Corte costituzionale, è in conflitto con i princìpi fondamentali della Costituzione, quale che sia la natura delle assicurazioni fornite. Viene innanzitutto in rilievo l'articolo 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, fra i quali vi è certo quello alla vita, la cui assolutezza è stata sottolineata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 54 del 1979. Nel contempo va ricordato che con specifico riferimento all'articolo 10 - ove si consente l'estradizione sub condicione- il Governo italiano ha apposto riserva alla Convenzione europea di estradizione ratificata ai sensi della legge 30 gennaio 1963, n. 300, impegnandosi a negare la concessione per i reati punibili dalla legge dello Stato richiedente con la pena capitale.
        Vi sarebbe lesione, altresì, dell'articolo 27 della Costituzione per il rischio di valutazioni soggettive difformi, in momenti storico-politici diversi, poiché la clausola denunciata affida all'apprezzamento discrezionale del Ministro della giustizia - secondo criteri non definiti - il giudizio sulle assicurazioni fornite dallo Stato richiedente, le quali non presentano quel carattere di certezza che i menzionati parametri costituzionali impongono, fondandosi la garanzia soltanto sulle capacità dell'organismo governativo che ha contratto l'impegno di esigerne il rispetto.
        L'articolo 697 del codice di procedura penale stabilisce che la consegna di una persona ad uno Stato estero può aver luogo soltanto mediante estradizione; e l'articolo 698, comma 2, prevede garanzie processuali e procedimentali per i fatti puniti con la pena di morte dalla legge dello Stato estero, subordinando la concessione del provvedimento di estradizione alla decisione del giudice ordinario circa le assicurazioni fornite dal Paese richiedente, e alla successiva valutazione del Ministro della giustizia su di esse.
        Il divieto della pena di morte ha un rilievo del tutto particolare - al pari di quello delle pene contrarie al senso di umanità - nella parte prima della Carta costituzionale. Introdotto dal quarto comma dell'articolo 27, sottende un principio "che in molti sensi può dirsi italiano" - principio che, ribadito nelle fasi e nei regimi di libertà del nostro Paese, è stato rimosso nei periodi di reazione e di violenza, configurandosi nel sistema costituzionale quale proiezione della garanzia accordata al bene fondamentale della vita, che è il primo dei diritti inviolabili dell'uomo riconosciuti dall'articolo 2.
        L'assolutezza di tale garanzia costituzionale incide sull'esercizio delle potestà attribuite a tutti i soggetti pubblici dell'ordinamento repubblicano, e nella specie su quelle potestà attraverso cui si realizza la cooperazione internazionale ai fini della mutua assistenza giudiziaria.
        La Corte costituzionale ha già affermato che il concorso, da parte dello Stato italiano, all'esecuzione di pene "che in nessuna ipotesi, e per nessun tipo di reati, potrebbero essere inflitte in Italia nel tempo di pace" è di per sé lesivo della Costituzione (sentenza n. 54 del 1979).
        Il procedimento delineato dall'articolo 698, comma 2, del codice di procedura penale, si impernia su un duplice vaglio espletato, caso per caso, dall'autorità giudiziaria e dal Ministro della giustizia circa la sufficienza delle predette garanzie. L'estradizione è dunque concessa (o negata) in seguito a valutazioni svolte dalle autorità italiane sulle singole richieste con accertamenti nei limiti indicati. Tale soluzione offre, in astratto, il vantaggio di una politica flessibile da parte dello Stato, e consente adattamenti, nel tempo, in base a considerazioni di politica criminale; ma nel nostro ordinamento, in cui il divieto della pena di morte è sancito dalla Costituzione, la formula delle "sufficienti assicurazioni" - ai fini della concessione dell'estradizione per fatti in ordine ai quali è stabilita la pena capitale dalla legge dello Stato estero - non è costituzionalmente ammissibile. Perché il divieto contenuto nell'articolo 27, quarto comma, della Costituzione, e i valori ad esso sottostanti - primo fra tutti il bene essenziale della vita - impongono una garanzia assoluta.
        Si impone dunque la riformulazione del comma 2 dell'articolo 698 del codice di procedura penale, peraltro dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale (sentenza n. 223 del 1996) per contrasto con gli articoli 2 e 27, quarto comma, della Costituzione. Solo così, con precise modifiche normative, lo Stato italiano compirebbe una scelta definitiva contro la pena di morte.
        Coerenza impone che lo Stato italiano, dopo la sua decisa, integrale scelta abolizionista, formalizzi un divieto assoluto di estradizione verso i Paesi che mantengono nei loro ordinamenti la pena capitale, ovviamente per i reati per i quali tale sanzione è prevista, impegnandosi contestualmente a giudicare gli autori di quei delitti per i quali non può essere concessa l'estradizione. E' questo un obiettivo di civiltà che può essere raggiunto con l'unica garanzia costituita dalla sola "legge scritta" e in particolare formulando una norma da inserire all'interno del nostro sistema penale e che dovrebbe essere anche recepita nella stessa Costituzione.
        Questo è il senso della presente proposta di legge di modifica del codice penale e del codice di procedura penale.




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