XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 2263




        Onorevoli Colleghi! - La legge n. 60 del 2001 in materia di difesa d'ufficio, ispirata dalla apprezzabile finalità di assicurare al cittadino privo di difensore di fiducia una concreta, valida e retribuita assistenza, si sta rivelando in sede applicativa del tutto inefficace, a causa della insuperabile difficoltà di avere la immediata disponibilità di difensori d'ufficio.
        I giudici del dibattimento ed i responsabili degli uffici giudiziari segnalano continuamente l'inconveniente citato ed i gravi disagi che affliggono lo svolgimento dell'attività giudiziaria.
        Quanto mai preziosa appare l'analisi del fenomeno fatta in un saggio, pubblicata su di una rivista giuridica, dal dottor Vincenzo Pezzella, giudice del tribunale penale di Napoli, che ha interpretato in modo compiuto i rilievi venuti da più parti. E' per questo che si ritiene opportuno riportare testualmente tale analisi, al fine di illustrare compiutamente la presente proposta di legge.
        "Dopo circa sette mesi dall'entrata in vigore della legge 6 marzo 2001, n. 60 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 21 marzo 2001 n. 67) è possibile tracciare un primo bilancio in ordine al raggiungimento o meno degli obiettivi che con essa il legislatore si era proposto.
        Poiché obiettivo dell'intervento normativo era in primo luogo quello non nascosto di una maggiore effettività del diritto di difesa, il quesito che dobbiamo porci per primo è il seguente: gli indagati o gli imputati cui nominiamo oggi un difensore d'ufficio scelto tra quelli previsti nell'apposito elenco distrettuale di cui al novellato articolo 96, comma 2, del codice procedura penale sono assistiti meglio che in passato?
        La risposta, scontata, è no: le cose non vanno meglio che in passato.
        Limiterò la mia analisi a quanto accade per il dibattimento.
        Nel sistema previgente il giudice, nel corso dell'udienza, se aveva la necessità di nominare un sostituto processuale aveva di fatto due possibilità.
        Se si trovava a trattare un processo con una pluralità d'imputati e il difensore di fiducia o di ufficio di uno di essi si assentava, il giudice solitamente a meno che non sussistessero situazioni d'incompatibilità nominava sostituto processuale ex articolo 97, comma 4, dell'assente uno dei difensori di fiducia presenti per i coimputati.
        Ciò accadeva soprattutto per quei maxi processi per fatti di criminalità organizzata o per reati contro la pubblica amministrazione, con decine e decine d'imputati, che in numerosi sedi giudiziarie quali Napoli, Palermo o Reggio Calabria continuano a celebrarsi nonostante le promesse del codice di rito del 1989 di consegnarne il ricordo al passato.
        Si tratta di processi il cui studio è complesso, che si fondano su anni d'indagini preliminari e su mezzi di prova (quali ad esempio interi volumi d'intercettazioni telefoniche o decine e decine di ore di dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia) il cui studio da parte dei difensori di fiducia è stato necessariamente diluito nel tempo, comportando non pochi mesi di lavoro.
        Nel momento in cui in udienza si assentava uno dei difensori di fiducia o di ufficio nominati per un imputato la scelta più naturale per il giudice era dunque quella di nominare sostituto processuale il difensore di quello tra i coimputati che si trovasse in una posizione processuale analoga a quella di colui che era rimasto momentaneamente privo di difesa.
        Il risultato in termini di effettività di difesa era buono, in quanto veniva nominato un difensore che già conosceva le carte processuali e che, con poco impegno, oltre che difendere il proprio assistito, difendeva anche il coimputato.
        Oggi questo non è più possibile in quanto il giudice deve nominare sostituto processuale esclusivamente un avvocato iscritto nell'elenco dei difensori di ufficio di cui al novellato articolo 97, comma 2, del codice procedura penale.
        E tra questi difficilmente ci sono difensori già impegnati nella loro qualità di difensori di fiducia nel tipo dei processi sopra indicati.
        Nell'elenco introdotto con la legge n. 60 del 2001 sono iscritti, infatti, per lo più giovani avvocati alle prime armi e che comunque, quand'anche fossero i più bravi e motivati di questo mondo, hanno obiettive difficoltà ad assumere un'effettiva difesa in processi estremamente complicati.
        Il legislatore del marzo 2001 aveva sperato che all'elenco distrettuale si iscrivessero gli avvocati più bravi e preparati, attratti finalmente dalla prospettiva che l'incarico assunto d'ufficio venisse retribuito.
        Ciò non è accaduto per due motivi.
        Il primo è che gli avvocati davvero bravi ed esperti, magari con un'attività professionale avviata e un ricco portafoglio di clienti, non hanno tempo e voglia da dedicare alle difese d'ufficio.
        Il secondo e non trascurabile motivo è che la difesa d'ufficio è solo in via teorica retribuita.
        Il difensore d'ufficio, infatti, ha tutto il diritto di chiedere al cliente di cui ha assunto la difesa di essere pagato, ma non è detto che ci riesca.
        C'è da vincere innanzi tutto l'idea consolidata tra indagati e imputati secondo cui difensore d'ufficio è sinonimo di difensore gratuito.
        Se, come spesso accade, il cliente non paga, il difensore dovrebbe sobbarcarsi il non agevole e dispendioso onere di chiedere ed ottenere un decreto ingiuntivo nei confronti del cliente, metterlo in esecuzione ed esperire nei confronti del medesimo le necessarie procedure esecutive. Nella migliore delle ipotesi, dunque, impiega qualche anno e anticipa del danaro per le spese.
        Solo all'esito di tale lunga e tortuosa fatica, se non riesce a farsi pagare dal cliente, acquisisce il diritto ad essere pagato dallo Stato. Non sempre, infatti, il cliente che non paga è nelle condizioni ab inizio di poter richiedere il patrocinio a spese dello Stato.
        Il tutto a voler trascurare che ci sono dei processi, quali quelli sopra citati di criminalità organizzata, nei quali non è facile per il difensore d'ufficio, senza mettere a repentaglio la propria incolumità personale, procedere esecutivamente contro un difeso accusato di reati di particolare allarme sociale.
        Si è detto che tra gli scopi della legge n. 60 del 2001 vi fosse quello di evitare che il pubblico ministero o il giudice "scegliessero" a proprio piacimento il difensore d'ufficio da far presenziare agli atti. Evidentemente sotteso a tale obiettivo vi era la convinzione che qualche pubblico ministero o giudice potesse indulgere alla tentazione di scegliersi un avvocato che gli desse meno problemi in termini di contraddittorio.
        La prima considerazione è che se un discorso del genere può valere per il pubblico ministero, destinato nella fase dibattimentale a divenire una parte processuale, un simile ragionamento poco si addice al giudice, a meno che non se ne voglia ipotizzare una pregiudiziale malafede.
        I più grossi problemi l'entrata in vigore della legge n. 60 del 2001 li ha posti da un punto di vista organizzativo proprio al giudice e chi ha frequentato le aule di udienza negli scorsi mesi ha potuto assistere ad ore e ore di paralisi di dibattimenti.
        Il motivo è presto detto.
        Prevede il comma 4 dell'articolo 97 del codice di procedura penale dopo la novella introdotta con la legge n. 60 del 2001 che: "Quando è richiesta la presenza del difensore e quello di fiducia o di ufficio nominato a norma dei commi 2 e 3 non è stato reperito, non è comparso o ha abbandonato la difesa, il giudice designa come sostituto un altro difensore immediatamente reperibile per il quale si applicano le disposizioni di cui all'articolo 102. Il pubblico ministero e la polizia giudiziaria, nelle medesime circostanze, richiedono un altro nominativo all'ufficio di cui al comma 2, salva, nei casi di urgenza, la designazione di un altro difensore immediatamente reperibile, previa adozione di un provvedimento motivato che indichi le ragioni dell'urgenza. Nel corso del giudizio può essere nominato sostituto solo un difensore iscritto nell'elenco di cui al comma 2".
        La norma appare chiara per quanto concerne il pubblico ministero e la polizia giudiziaria che, per il compimento di singoli atti, dovranno sempre fare riferimento al difensore d'ufficio di turno comunicato dall'ufficio centralizzato, salvo situazioni di particolare urgenza che necessiteranno di un provvedimento motivato.
        Contraddittorio sembra, invece, quanto previsto dal legislatore per il giudice.
        Laddove infatti ha indicato che "quando è richiesta la presenza del difensore e quello di fiducia o di ufficio nominato a norma dei commi 2 e 3 non è stato reperito, non è comparso o ha abbandonato la difesa, il giudice designa come sostituto un altro difensore immediatamente reperibile per il quale si applicano le disposizioni di cui all'articolo 102" il legislatore sembra avere lasciato per il giudice (giudice per le indagini preliminari o giudice del dibattimento) tutto come prima. Il giudice, in altri termini, dovrebbe poter far ricorso ad un qualunque difensore immediatamente reperibile.
        La norma novellata, tuttavia, prevede anche che "nel corso del giudizio può essere nominato sostituto solo un difensore iscritto nell'elenco di cui al comma 2".
        Orbene, l'unica interpretazione possibile della norma nella sua interezza pare quella secondo cui, al di fuori del giudizio (e quindi dell'udienza dibattimentale o dell'udienza preliminare) il giudice può continuare a comportarsi come faceva prima. Per l'udienza, invece, occorre la nomina di un difensore iscritto nell'elenco distrettuale di cui alla legge n. 60 del 2001.
        Quanto a quest'ultimo caso, secondo una prima interpretazione restrittiva, i tribunali hanno ritenuto, per le udienze dibattimentali, di dover nominare, quali sostituti processuali dei difensori di fiducia o di ufficio assenti, non solo difensori iscritti nell'elenco distrettuale di cui all'articolo 97, comma 2, ma anche necessariamente quelli di turno quel giorno.
        Nella pratica accadeva così che gli assistenti d'udienza, prima dell'inizio di quest'ultima, erano costretti a chiamare telefonicamente il numero (prima locale, in un secondo momento unico per tutto il territorio nazionale) dell'ufficio centralizzato istituito dal Consiglio dell'Ordine degli avvocati, così da poter ottenere nominativo e numero di telefono di utenza fissa e/o cellulare del difensore assegnato.
        Qui si registrava, tuttavia, il primo intoppo. Dall'ufficio centralizzato non veniva comunicato più di un nominativo per volta. Se non era possibile rintracciare telefonicamente l'interessato (il che accadeva spessissimo, risultando le utenze cellulari il più delle volte non raggiungibili) occorreva perciò richiamare telefonicamente Roma e ottenere un nuovo nominativo. E così via, con assistenti d'udienza trasformati in centralinisti che impiegavano tempo prezioso per la preparazione dell'udienza in defatiganti rincorse telefoniche di avvocati da un capo all'altro della città.
        Rintracciato finalmente l'avvocato di turno la casistica delle risposte era di vano tipo, tra cui le più frequenti: a) l'interessato comunicava di non essere neanche a conoscenza di essere di turno e di essere comunque impossibilitato a raggiungere l'udienza perché impegnato altrove, magari per proprie difese di fiducia; b) l'avvocato comunicava di essere pronto a raggiungere l'udienza, ma non prima di una determinata ora; c) l'interessato comunicava di essere stato già chiamato da uno o più altri giudici.
        Tale ultima risposta consentiva così di apprendere che il nominativo di ciascun difensore veniva comunicato a più di un giudice richiedente.
        Il motivo era presto detto e anche comprensibile.
        In un Tribunale di una città come Napoli, solo per il primo grado, tra udienze dibattimentali, udienze preliminari e udienze di riesame, ci sono ogni mattina almeno trenta collegi giudicanti o giudici monocratici al lavoro contemporaneamente. A questi vanno poi aggiunti i giudici di appello e i giudici dell'udienza preliminare.
        Ci sono poi quotidianamente udienze quali quelle dedicate a processi di criminalità organizzata con numerosi imputati in cui, per ragioni di incompatibilità nelle difese, non può essere nominato sostituto processuale un solo avvocato per tutti gli imputati i cui difensori di fiducia o di ufficio siano assenti.
        Un simile stato di cose necessiterebbe pertanto di almeno cinquanta avvocati al giorno disponibili ad assumere nel corso del giudizio la veste di sostituti processuali ex articolo 97, comma 4.
        Il sistema è andato completamente in tilt allorquando i Consigli dell'Ordine - come nel caso di Napoli - hanno sollecitato i capi degli uffici giudiziari, trovandoli disponibili, a invitare i giudici a non convocare il difensore d'ufficio di turno genericamente per l'udienza, ma ad indicare specificamente per quale processo l'intervento dello stesso si rendeva necessario.
        Ora, chi ha anche solo per un po' frequentato un tribunale, comprende quanto una siffatta direttiva sia in grado di paralizzare completamente il lavoro giudiziario.
        Il giudice, infatti, non sa mai a priori per quali e quanti processi gli occorrerà nominare un sostituto processuale ex articolo 97, comma 4, del codice di procedura penale.
        Secondo l'invito rivolto ai giudici, invece, le cose dovrebbero andare pressappoco nel modo che segue. Il giudice chiama il processo, magari con più imputati, e comincia a costituire le parti. Giunto al primo imputato il cui difensore d'ufficio o di fiducia non sia presente, sospende l'udienza, rientra in camera di consiglio, chiama telefonicamente l'utenza cellulare del difensore di turno fornitagli dall'ufficio centralizzato e nella migliore delle ipotesi (quella in cui riesce a contattarlo) gli comunica il processo per il quale necessita la sua presenza, si pone con pazienza in attesa del suo arrivo e quindi può riprendere l'udienza.
        Se si pensa che un giudice monocratico celebra in media per ogni udienza tra i dieci e i quindici processi e si moltiplica questo meccanismo ci si rende conto di come e perché si è assistito in molti casi ad una vera e propria paralisi dell'attività giudiziaria.
        Ben presto, pertanto, anche per esigenze pratiche, si è andata affermando un'interpretazione della norma - che chi scrive ritiene più aderente al dettato della stessa - secondo cui il giudice in udienza può nominare sostituto processuale un qualunque difensore, che sia o meno di turno, purché iscritto nell'elenco distrettuale di cui all'articolo 97, comma 2, del codice di procedura penale.
        Ma la situazione non è andata migliorando.
        Dopo un primo momento di iniziale entusiasmo, soprattutto da parte degli avvocati più giovani, attratti dalla prospettiva del vedere la loro attività professionale retribuita, i difensori iscritti all'albo reperibili, soprattutto nelle prime ore del pomeriggio quando accade spesso che i difensori di fiducia pur presenti al mattino si allontanano, hanno cominciato a diventare merce rara e ci sono state udienze che si sono dovute bloccare per l'impossibilità di costituire validamente le parti.
        A fronte di tale stato di cose il legislatore è oggi allora chiamato ad un correttivo immediato che, ferma restando la fondamentale e condivisibile opzione che il lavoro del difensore di ufficio deve essere retribuito, metta in condizione i giudici di portare a termine i dibattimenti.
            De iure condendo la scelta potrebbe essere quella di prevedere all'articolo 97, comma 4, del codice di procedura penale che "nel corso del giudizio va preferibilmente nominato sostituto un difensore iscritto nell'elenco di cui al comma 2, tuttavia, quando nessuno di questi sia presente in udienza, il giudice può nominare sostituto un avvocato con almeno cinque anni di anzianità di iscrizione all'albo".
        Si surrogherebbe così al principio della specializzazione (i difensori iscritti all'albo di cui all'articolo 97, comma 2, del codice di procedura penale, infatti, devono essere in possesso dell'attestazione di idoneità rilasciata dall'ordine forense di appartenenza al termine della frequentazione di corsi d'aggiornamento professionale ovvero aver dimostrato con idonea documentazione di avere esercitato la professione in sede penale per almeno due anni) con quello di una sufficiente anzianità di iscrizione all'albo".




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