XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 2113
Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge si
propone di rendere omogeneo il quadro normativo in materia di
diritto allo studio e di parità scolastica, così come
delineato dalle varie leggi emanate dalle regioni e che si
presentano particolarmente differenziate.
Le norme oggi vigenti in Italia, nel campo del diritto
allo studio, e della scuola in genere, non garantiscono ancora
un effettivo pluralismo educativo. Le famiglie e gli studenti
che scelgono scuole non statali (o anche non comunali, per
quanto riguarda la scuola materna) sono in condizioni di grave
svantaggio economico rispetto alle altre famiglie ed agli
altri studenti. Nel settore della scuola materna ad esempio,
gli enti locali hanno dato vita ad un submonopolio culturale.
I cittadini, le famiglie che preferiscono ricorrere a
strutture scolastiche ed educative non statali o non comunali
devono sostenerne in proprio i costi, dopo avere peraltro
contribuito a pagare, a beneficio altrui, i costi della scuola
statale e comunale. Le leggi approvate da alcune regioni
costituiscono finalmente un notevole passo avanti nel
riconoscimento del ruolo oggettivo di "servizio pubblico"
svolto da strutture educative private, mentre la normativa
adottata recentemente in altre rimane ancorata ad una
concezione pubblicistica e totalizzante della scuola,
muovendosi nel solco di una logica ormai superata che non si
può o non si vuole abbandonare. Pur nel riconoscimento della
piena autonomia delle regioni di normare questo importante
settore, occorre riconoscere che l'attuale situazione vede la
convivenza di sistemi scolastici aperti al privato sociale o
caratterizzati da un arroccamento sul ruolo del pubblico,
determinando così situazioni di notevole disparità fra i
cittadini di uno stesso Stato.
Pare importante sottolineare che in alcune regioni si è di
fronte non al riconoscimento di una libertà, ma al semplice,
facoltativo e discrezionale allargamento di una offerta che
resta sempre governata dal potere pubblico: governata tanto
più ferreamente quanto più il denaro delle convenzioni è
indispensabile alla sopravvivenza delle scuole "private".
Occorre, pertanto, favorire l'attuazione del dettato
costituzionale dell'articolo 33, quarto comma, che recita: "La
legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non
statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena
libertà, ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente
a quello degli alunni di scuole statali".
Equipollenza di trattamento scolastico si intende su tutti
gli aspetti della vita scolastica, compresi quelli economici,
proprio perché la Costituzione non ne esclude nessuno. Il
"senza oneri per lo Stato", di cui all'articolo 33, terzo
comma, della Costituzione, in relazione alla istituzione di
scuole da parte di "enti e privati", va letto alla luce dei
contenuti di cui al quarto comma del citato articolo 33 nei
riguardi degli alunni di scuole paritarie. "Onere", significa
che nessuno può obbligare lo Stato a erigere scuole non
statali; nel contempo Stato e regioni, possono decidere di
sostenere le scuole esistenti, o agevolare i genitori nel
compito costituzionale e civile di educare i propri figli.
Vi è, invece, l'obbligo statale di garantire almeno una
scuola dell'obbligo gratuita per tutti i cittadini in base
all'articolo 34 della Costituzione. Non vi è riscontro che la
scuola dell'obbligo debba essere assicurata solo a chi
frequenta le scuole statali. Anzi. La nostra Costituzione si
basa sul principio dell'uguaglianza di tutti i cittadini e sul
dovere dello Stato di rimuovere le cause che la impediscono.
Tocca allo Stato, quindi, garantire non solo l'insegnamento e
l'apprendimento, ma anche l'effettivo esercizio di tali
libertà a parità di condizioni.
Entrando in Europa, è venuta ulteriormente a maturare non
solo l'esigenza di riformare lo Stato, ma anche di rivedere
alcune impostazioni e concezioni che miravano a limitare la
libertà di educazione. In Europa siamo, con la Grecia, le
uniche due Nazioni a non avere compiutamente legiferato in
merito alla parità scolastica. Dobbiamo pertanto
definitivamente colmare questa carenza. In materia di
istruzione scolastica, l'articolo 138 del decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 112, ha delegato alle regioni ai sensi
dell'articolo 118, comma secondo, della Costituzione, le
seguenti funzioni amministrative:
a) la programmazione dell'offerta formativa
integrata tra istruzione e formazione professionale;
b) la programmazione sul piano regionale nei
limiti delle disponibilità di risorse umane e finanziarie,
della rete scolastica, sulla base dei piani provinciali,
assicurando il coordinamento con la programmazione di cui alla
lettera a);
c) la suddivisione, sulla base anche delle
proposte degli enti locali interessati, del territorio
regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell'offerta
formativa;
d) la determinazione del calendario scolastico;
e) i contributi alle scuole non statali;
f) le iniziative e le attività di promozione
relative all'ambito delle funzioni conferite.
Bisogna quindi tener conto del ruolo delle regioni in
merito ai contributi per la scuola non statale.
Quanto alle spese degli enti locali per il "diritto allo
studio", va rilevato che di queste non sono destinatari i
gestori delle scuole ma solo indirettamente le famiglie degli
alunni per specifici servizi (libri, trasporti, mense,
eccetera) che agevolano l'esercizio del diritto allo studio e
non coprono assolutamente gli esborsi effettivi.
La scuola non statale svolge a tutti gli effetti un
servizio "pubblico" per chiunque lo desideri, svolto sotto il
controllo degli organi dello Stato e degli enti locali.
Oggi tale scuola è in grave crisi economica; non aiutarla
comporterebbe, come insana conseguenza, far mancare il
servizio in aree geografiche in cui non esistono offerte
educative statali o comunali, ed in ogni caso una presa in
carico per l'ente locale (impossibilitato a farlo) di tutti i
costi ingentissimi attualmente ricadenti sui gestori di scuole
e sulle famiglie, con il conseguente obbligo di organizzare e
gestire una scuola che attualmente funziona bene, è aperta a
tutti, è di qualità.
La delega alle regioni delle funzioni amministrative in
materia di istruzione scolastica, ai sensi dell'articolo 138
del decreto legislativo n. 112 del 1998, ha indubbiamente
risposto ad una esigenza diffusa nel Paese.
In questa ottica, si è provveduto in passato a decentrare
alle regioni le relative competenze in materia di formazione
professionale e, più di recente, di impostazione delle
politiche attive per il lavoro finalizzate alla creazione di
occupazione.
Possiamo dire in sintesi che il ruolo dello Stato-gestore
si va trasformando sempre più nel ruolo dello
Stato-regolatore.
Il ruolo dello Stato egemone tende ad essere occupato,
nell'ambito politico, da una articolazione democratica delle
istituzioni con riconoscimento a pieno titolo di soggetti
diversi, nell'ambito dell'organizzazione economica, dalla
logica della economia di mercato; nell'ambito della società
civile, dall'ideale di una società "aperta" sempre più
permeabile al riconoscimento e alla valorizzazione dei
concetti di multiculturalità.
A sua volta il concetto di "pubblico" sinonimo in passato
di "statale", è stato inteso in senso sempre più allargato, di
esercizio di funzioni rispetto a finalità comuni, sollecitando
in ogni campo il pluralismo dei servizi ed il decentramento
dei poteri.
In particolare, il decentramento dei poteri nella sua
forma estrema di autonomia decisionale delle istituzioni
periferiche ha portato ad un mutamento nelle strutture dei
sistemi formativi, modificandone gli assetti e soprattutto
l'organizzazione dell'insegnamento.
In questa mutata prospettiva, ai fattori di crescita
prodotti dalle innovazioni dei sistemi formativi con la
modernizzazione dei processi di istruzione, si aggiungono
nuovi elementi, quali la formazione continua e l'autonomia
delle istituzioni.
E' soprattutto l'autonomia ad aprire gli spazi per una
radicale innovazione delle logiche del sistema: una autonomia
che si esplica da un lato nella elaborazione di distinti
progetti educativi e nella gestione delle singole istituzioni
scolastiche, anche in relazione a particolari esigenze delle
persone e della comunità territoriale e dall'altro persegue
finalità generali ed obiettivi comuni che la società assegna
al sistema nazionale dell'istruzione.
In questo clima culturale, superata la vecchia
contrapposizione ideologica fra scuola dello Stato laica e
scuola privata cattolica si è giunti alla definizione anche
della dialettica più complessa fra ruolo della scuola gestita
dallo Stato e ruolo di una scuola paritaria riconosciuta
insieme alla scuola statale, quale "secondo pilastro" del
sistema nazionale di istruzione nella erogazione di un
servizio educativo e formativo valido per l'intera società e
perciò anch'esso pubblico.
All'antica contrapposizione fra scuola dello Stato e
scuola dei privati, si è sostituita attualmente una diversa
visione della scuola che, per essere "pubblica" ossia scuola
di tutti ed avere perciò accesso al finanziamento dello Stato,
deve tendere, pur nell'ambito di progetti educativi diversi,
alla formazione di soggetti liberi e capaci di autonomia
critica e perciò essere fondata sulla libertà di apprendimento
e sulla libertà di insegnamento.
In quest'ottica diventa dunque necessario che gestori
statali e non statali assolvano alla medesima funzione
pubblica in un sistema fondato su una convergenza culturale e
sociale circa gli obiettivi formativi e governato da norme
comuni.
Un sistema educativo così concepito è sicuramente la
migliore garanzia alle legittime aspettative degli studenti e
delle loro famiglie di poter contare su di un quadro normativo
omogeneo con standard minimi uguali per tutti e quindi
di poter scegliere in assoluta libertà.
In questo ambito la presente proposta di legge valorizza
al massimo il ruolo delle regioni chiamate a definire le
modalità di attuazione di una effettiva libertà di scelta
delle famiglie tra scuole pubbliche e private e nel contempo
garantisce alle famiglie la tutela di un diritto
imprescindibile sancito dalla Carta costituzionale per tutti i
cittadini.
Occorre, infatti, precisare che la presente proposta di
legge non si muove nell'ottica di penalizzare o restringere le
competenze regionali che devono essere salvaguardate a tutti
gli effetti e valorizzate purché non ledano diritti
fondamentali del cittadino, quale quello della libertà di
educazione che è riconosciuto dalla normativa statale e
regionale.
E' evidente che uno Stato federale, non può non porre, in
questo come in altri settori, parametri e standard
minimi di assistenza validi in ogni parte del suo territorio,
come esplicitato fra l'altro, dalla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3, recante "Modifiche al titolo V della parte
seconda della Costituzione" che, sostituendo l'articolo 117
della Carta costituzionale, alla lettera m) del secondo
comma, nell'ambito della legislazione esclusiva dello Stato,
include fra l'altro: "determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale".
In conclusione proprio l'applicazione del principio di
sussidiarietà riconosciuto da molti statuti regionali e da
tutte le leggi fondamentali delle regioni richiede
l'introduzione delle disposizioni previste dalla presente
proposta di legge.