XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 1990




        Onorevoli Colleghi! - E' sempre più diffusa la convinzione che il miglioramento della salute di una popolazione dipenda certamente dall'organizzazione nell'erogazione di servizi sanitari e dalla loro qualità, così come nuove, spesso spettacolari scoperte biomediche segnino importanti e talora definitive vittorie su molte malattie, ma i progressi decisivi, e su questo c'è ormai un generale consenso, arriveranno, in maniera piena e certa, da azioni individuali che sono direttamente influenzate dalle attitudini, dai valori e dalle conoscenze di ciascun soggetto.
        Nella presentazione della relazione sullo stato sanitario dell'Italia del 1999 si può leggere: "La salute come benessere psicofisico, come capacità di star bene con se stessi e con gli altri, è qualcosa di molto più ampio e globale dell'assenza di malattia, come ha affermato l'Organizzazione mondiale della sanità. Lo star bene e la salute, d'altronde, da soli non bastano a realizzare quella condizione di "vitalità" necessaria al raggiungimento del proprio progetto esistenziale (...). Sicché lo stato di salute di una popolazione non si misura solo con indicatori demografici ed epidemiologici quali l'aspettativa di vita, l'indice di mortalità infantile (...), ma si valuta dalla capacità di combattere i fattori di rischio, le malattie e le morti evitabili, grazie all'adozione di stili di vita capaci di favorire la salute soprattutto nei gruppi socialmente svantaggiati e nelle fasce di età più deboli.
        La salute oggi non è più confinabile nell'ambito ristretto, per quanto specializzato, di una prestazione tecnico-professionale, ma deve abbracciare ormai la qualità di vita dell'intera comunità, con responsabilità che ci riguardano tutti, indistintamente, da semplici cittadini a persone responsabili nelle nostre famiglie e nei nostri ruoli professionali pubblici e privati".
        Si tratta di tesi ormai pacificamente condivise, queste secondo cui nel mondo occidentale la sanità si sta evolvendo, e si evolverà ancor di più, da sistema di assistenza sanitaria garantita dallo Stato a diritto alla salute assicurato da iniziative pubbliche e private.
        Secondo questa prospettiva, il passaggio da un modello che affidava la salute e la sicurezza sociale al governo della cosa pubblica ad un altro, ispirato, invece, alla liberalizzazione quasi completa del mercato, pone la duplice esigenza, anche ai fine di contenere i costi della nuova sanità, di rivalorizzare i sistemi di tutela preventiva della salute e di adottare strategie di promozione della salute, fondandole primariamente su una corretta opera di informazione ed educazione sanitaria.
        La storia dell'educazione sanitaria in Italia è stata irrimediabilmente segnata dalla circostanza di non essere stata concepita o regolamentata come attività autonoma dal sistema sanitario e dalle istituzioni che attorno ad esse gravitano: gli elevati costi di gestione del sistema sanitario e la sicura presenza di sprechi ed inefficienze hanno indotto i suoi amministratori a ricorrere a concetti esasperati di "aziendalizzazione", "managerialità", tanto da poter dire con Federico Caffè "Agli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l'assillo dei riequilibri contabili".
        In verità oggi la maggiore attività degli amministratori è incentrata sui servizi per i quali è possibile applicare la "contabilità per prestazione" e dei quali è facile quindi controllare costi e risultati; anzi la necessità di incrementare le entrate e di far tornare i conti hanno spinto le aziende, specie quelle ospedaliere, ad incentivare i servizi ad elevata tecnologia, a scapito di servizi miranti invece alla prevenzione, all'educazione sanitaria ed alla promozione della salute. Ciò è avvenuto da un lato perché i costi relativi alla prevenzione, all'educazione sanitaria ed alla promozione della salute sono poco contabilizzabili con le tecniche in uso, e dall'altro in quanto gli effetti di questi "servizi" sono assai poco visibili nel breve spazio di vita degli amministratori, e comunque altrettanto poco misurabili in termini puramente monetari. Il richiamo che nei bilanci si riservassero risorse per quelle attività strategiche, ancorché non contabilizzabili a prestazione, purtroppo, non ha trovato larga accoglienza. Dagli inizi degli anni 1990 con i decreti legislativi di riforma della legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, i decreti legislativi n. 502 del 1992, e n. 517 del 1993, fino ad arrivare al più recente decreto legislativo n. 229 del 1999, vi è stata una netta inversione di rotta per cui dell'educazione sanitaria, che con difficoltà era riuscita a trovare cittadinanza nel servizio sanitario con presenza formale in ogni unità sanitaria locale in apposite, ancorché fragili strutture, sembra permanere solo un vago e confuso ricordo. Tutto ciò è in controtendenza rispetto ai Paesi occidentali e agli USA in particolare, che proprio negli anni 1990 davano il via ad un "Piano per l'attività nazionale per l'educazione scolastica globale" con la formulazione di "standard per l'educazione alla salute delle scuole" e di una metodologia preordinata all'applicazione ed allo sviluppo di tali standard.
        Nelle dichiarazioni di principio premesse alle guide-line statunitensi sugli standard nazionali di educazione sanitaria, l'educazione sanitaria nelle scuole è fondamentale per permettere agli studenti di acquisire conoscenze e capacità per promuovere la propria salute.
        Gli studenti che possiedono conoscenze e capacità specifiche, possiedono un miglior stato di salute e contribuiscono alla competitività economica nazionale, poiché:

            lavorano più efficacemente;

            perdono meno giorni di lavoro per malattia o infortunio;

            utilizzano meno servizi sanitari grazie alla prevenzione e alla ritardata insorgenza della malattia;

            ricorrono meno all'uso di premi
assicurativi.

        La produttività aumenterebbe e i costi diminuirebbero come risultato di una "forza lavoro" i cui membri sanno come essere e rimanere in salute. Inoltre, la conoscenza e le capacità di salute applicate da individui all'interno del contesto familiare e comunitario, assicurano una migliore qualità della vita. Gli studenti raggiungono la conoscenza e le capacità di salute a scuola, sono membri attivi della società e contribuiscono a raggiungere traguardi economici di maggior successo.
        Una serie di domande sull'educazione sanitaria furono proposte ad un campione rappresentativo di genitori, amministratori scolastici ed adolescenti. I principali risultati furono:

            il 90 per cento degli adolescenti considerano l'informazione e l'educazione alla salute di importanza uguale o maggiore se confrontata con le altre materie insegnate a scuola;

            l'82 per cento dei genitori di adolescenti considerano l'educazione sanitaria più importante o importante allo stesso modo delle altre materie insegnate a scuola;

            i genitori sostengono con forza l'insegnamento di strategie per la risoluzione dei problemi, la presa di decisioni, e di altre capacità correlate al benessere nella scuola;

            gli amministratori considerano l'educazione sanitaria della stessa importanza o più importante di altre discipline che gli adolescenti imparano a scuola e credono che gli studenti abbiano bisogno di imparare di più relativamente all'educazione sanitaria.

        Queste esperienze e le riflessioni che ne sono seguite ci hanno portato alla determinazione di proporre all'esame e all'approvazione del Parlamento una nuova normativa che rende obbligatorio l'insegnamento dell'"educazione alla salute" nelle scuole italiane.
        Nella presente proposta di legge si ribadisce, agli articoli 1 e 2, l'obbligatorietà dell'insegnamento dell'"educazione alla salute" come importante momento di crescita culturale dei giovani e il suo elevato significato sociale.
        All'articolo 3 si prevede l'inserimento, in sede di definizione dei curricoli scolastici, dell'educazione alla salute tra le materie di insegnamento del sistema scolastico italiano.
        Viene inoltre individuata, come figura professionale più idonea all'insegnamento della materia, quella del medico-chirurgo e stabilito che l'incarico annuale di tipo libero-professionale non sia rinnovabile oltre un triennio. Questo al fine di evitare l'istituzionalizzazione del medico-insegnante.
        Nei programmi d'insegnamento dovranno, inoltre, essere previste ampie integrazioni con l'educazione civica e l'educazione ambientale per favorire una più generale, armonica e completa crescita culturale dei nostri giovani. L'articolo 5 prevede la ripartizione delle spese fra i Ministeri interessati e le regioni il cui ruolo nella tutela della salute dei cittadini è sempre più incisivo e determinante così come lo sarà nella educazione e formazione scolastica. E' previsto l'utilizzo di circa 15 mila medici.
        Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca nell'attivazione dei corsi e per le relative spese dovrà tener conto dei risparmi ottenuti dalla contrazione di ore di altre materie, in parte riassorbite dall'educazione alla salute. E' prevista la partecipazione finanziaria di soggetti privati.
        Il Ministro della salute e le regioni potranno destinare all'educazione alla salute parte dei fondi oggi utilizzati per campagne pubblicitarie di prevenzione finora scarsamente efficienti.
        Con l'articolo 4 si prevede l'istituzione di una commissione composta da rappresentanti del Ministero della salute, delle regioni e della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, incaricata di elaborare, nel termine di tre mesi, linee guida per l'insegnamento dell'educazione alla salute.




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