XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 1521
Onorevoli Deputati - 1. Premessa. Il 31 luglio
2001 il Consiglio regionale ha approvato a maggioranza la
presente proposta di legge costituzionale concernente
l'autorizzazione all'avvio di una procedura di adozione del
nuovo Statuto speciale per la Sardegna mediante l'istituzione
di un'Assemblea Costituente regionale.
Il testo che viene trasmesso al Parlamento ai sensi del
vigente articolo 54 dello Statuto scaturisce
dall'unificazione, avvenuta nella prima Commissione permanente
del Consiglio regionale, di quattro precedenti atti di
iniziativa sottoposti all'esame consiliare:
la proposta di legge nazionale n. 1, recante
"istituzione dell'Assemblea Costituente del popolo sardo",
presentata il 20 settembre 1999 dai consiglieri regionali
Cossa, Cassano, Demontis, Fantola, del gruppo dei Riformatori
sardi;
la proposta di legge nazionale n. 2, recante
"Istituzione dell'Assemblea Costituente regionale", presentata
il 9 marzo 2000 dalla giunta regionale su proposta
dell'assessore degli affari generali, personale e riforma
della regione, Masala;
la proposta di legge nazionale n. 5, recante "Assemblea
Costituente del popolo sardo", presentata il 19 dicembre del
2000 dai consiglieri G. Sanna e Manca, del gruppo del Partito
sardo di azione;
la proposta di legge nazionale n. 7, recante "Revisione
straordinaria dello Statuto speciale per la Sardegna.
Istituzione dell'Assemblea Costituente regionale", presentata
il 20 dicembre 2000 dai consiglieri Scano, I Dettori, e
Pacifico, del gruppo dei Democratici di sinistra.
L'argomento ha suscitato in Sardegna un ampio dibattito,
promosso dalla nascita di un Movimento per la Costituente, del
quale fanno parte esponenti del mondo politico e
istituzionale, della cultura, delle forze sociali; la proposta
volta all'istituzione dell'Assemblea Costituente regionale ha
avuto il sostegno ufficiale di organizzazioni sindacali come
la CISL regionale, di organizzazioni imprenditoriali regionali
come la Confindustria sarda e l'API sarda; oltre 150 sindaci
di comuni della Sardegna hanno sottoscritto un appello per
l'istituzione dell'Assemblea Costituente regionale.
La conclusione del confronto in Consiglio regionale, come
si è detto, non è stata unitaria: si è espressa contro la
proposta la maggior parte dei consiglieri di opposizione
aderenti ai gruppi del centro-sinistra, mossi prevalentemente
dalla preoccupazione che essa possa dilatare eccessivamente i
tempi della revisione statutaria.
La discussione assembleare tuttavia ha anche costituito la
prima importante occasione della corrente legislatura per una
riflessione ampia e puntuale sui temi delle riforme
ordinamentali regionali e nazionali, con la piena
riaffermazione, da tutti condivisa, dell'aspirazione del
popolo sardo e delle sue istituzioni a sviluppare al massimo
grado l'autogoverno, a esercitarlo con le forme specifiche
garantite dall'articolo 116 della Costituzione della
Repubblica, a contribuire all'evoluzione dell'Italia e
dell'Europa verso il federalismo, in quel contesto di
solidarietà e di corresponsabilità che dovranno connotare i
caratteri moderni dell'unità italiana ed europea.
2. Lo Statuto speciale per la Sardegna. Il dibattito
politico e giuridico sull'adeguatezza dello Statuto speciale
per la Sardegna approvato con la legge costituzionale 26
gennaio 1948, n. 3, rispetto alle aspirazioni autonomistiche
dell'Isola, ha, di fatto, origine con la nascita stessa dello
Statuto.
E' noto che nel 1947, con un atto che fu definito "di
fierezza" dall'onorevole Perassi, presidente della
sottocommissione per gli statuti regionali dell'Assemblea
Costituente nazionale, la Consulta regionale sarda rivendicò a
sé stessa la prerogativa di elaborare il progetto di Statuto
speciale, rifiutando l'estensione alla Sardegna dello Statuto
già ottenuto dalla Sicilia.
Ma è altrettanto noto che le timidezze ed una certa forma
di autocensura prevalenti nella stessa Consulta e nella
delegazione di parlamentari sardi alla Costituente influirono
sull'elaborazione statutaria non meno delle resistenze
presenti tra le forze politiche nazionali del tempo, a tale
punto da conseguire un risultato che ai più, da subito,
apparve deludente. Emilio Lussu descrisse la vicenda del
progetto di Statuto sardo come quella di "un cervo inseguito
dai cani", e definì l'autonomia che scaturiva da quella
vicenda come qualcosa "che può rientrare nella grande famiglia
del federalismo così come il gatto rientra nella stessa
famiglia del leone".
La successiva storia dell'autonomia speciale sarda, nei
suoi cinquantadue anni, ha dovuto fare i conti
contemporaneamente con i limiti originari delle competenze
attribuite alla Regione dalla sua carta costitutiva, con le
resistenze dello Stato centrale, nelle sue espressioni
legislative, esecutive e persino giurisdizionali, a dare piena
attuazione alle previsioni statutarie, con l'inadeguatezza
della stessa pratica autonomistica regionale, le cui
frustrazioni ricorrenti sul terreno esterno dei rapporti con
gli apparati centrali nazionali si sono ritorte, sul piano
interno, nella creazione di un sistema istituzionale per
troppi aspetti speculare, quanto ad accentramento e a
burocratizzazione, rispetto a quello statale.
Ne è derivata una situazione bifronte. Da un lato non si
può negare che oltre cinque decenni di vita autonomistica
abbiano radicato l'istituzione regionale e la sua stessa
connotazione di specialità come un dato politico e culturale,
come una realtà normativa ed amministrativa, come una presenza
nell'economia e nella società non prescindibili per il sentire
comune dei sardi. Dall'altro le aspirazioni ad un autogoverno
più ampio, ad un assetto istituzionale più partecipato, ad
un'amministrazione più efficiente ed imparziale, ad un
intervento più incisivo sul terreno economico e sociale, nella
sostanza ad una Regione effettivamente capace di essere
soggetto propulsivo del superamento dei ritardi e degli
handicap storici e strutturali dell'Isola sono rimaste
non esaudite.
Senza che ciò voglia comportare un giudizio storico
radicalmente negativo, la realtà attuale ci consegna
un'istituzione regionale invecchiata e per molti aspetti
impotente, un sistema politico-amministrativo ancora
improntato all'assistenzialismo e alla distribuzione
irrazionale e clientelare delle risorse, un apparato pubblico
regionale e locale che costituisce ormai uno dei principali
ostacoli per lo sviluppo della Sardegna.
Nel corso degli anni la stessa specialità ha finito per
smarrire la sua funzione: ampie forme di decentramento
approvate dal Parlamento hanno costantemente trovato immediata
applicazione nelle Regioni ordinarie, mentre il loro
recepimento nella Regione sarda ha subìto e subisce tuttora
intollerabili ritardi.
L'annoso confronto politico sulla riforma interna della
Regione non ha avuto alcun esito soddisfacente e del pari
improduttivi si sono rivelati i tentativi succedutisi nelle
ultime legislature, anche attraverso la costituzione di
apposite commissioni consiliari speciali, di assumere
un'iniziativa di riforma dello Statuto speciale.
3. Le riforme nazionali. Nel frattempo,
particolarmente in quest'ultimo decennio, il dibattito sulle
riforme costituzionali ha vissuto in Italia una profonda
accelerazione.
La tematica del federalismo, storicamente presente nella
cultura e nella politica sarda ben più di quanto lo sia stata
nelle stesse altre Regioni speciali, ha trovato nuove istanze
propulsive in aree diverse del Paese.
Le Regioni più ricche del nord hanno messo in discussione
un assetto costituzionale che le rispettive classi dirigenti
politiche, imprenditoriali e sociali da tempo vivevano come
una camicia di forza, limitativa delle loro autonome
potenzialità di inserimento competitivo nei rapporti economici
con le confinanti realtà avanzate dell'Europa e della loro
autonoma capacità di gestire i redditi prodotti nei propri
territori. L'istanza federalista è rinata prepotentemente, ma
come conseguenza dell'accentuazione del divario tra il nord ed
il mezzogiorno e le isole, con una contestazione della
politica meridionalistica e dei suoi fallimenti, col rischio
di una seria incrinatura della coesione economico-sociale del
Paese e dei princìpi di solidarietà nazionale sanciti dalla
Costituzione.
Tali pulsioni non sono rimaste prive di conseguenze. La
risposta del Parlamento nazionale ha prodotto, nonostante gli
esiti negativi dei lavori delle diverse Commissioni bicamerali
per le riforme costituzionali, alcune parziali, ma incisive
modificazioni nei rapporti Stato-Regioni e nell'ordinamento
interno delle stesse Regioni.
Un vasto processo di decentramento di funzioni a
Costituzione invariata è stato avviato con la legge 15 marzo
1997, n. 59, e si è corposamente tradotto, per le Regioni
ordinarie, nel decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, le
cui disposizioni attendono ancora di essere estese alla
Sardegna con apposite norme di attuazione statutaria.
Lo stesso regime delle entrate delle Regioni ordinarie ha
subìto importanti modificazioni: il decreto legislativo 18
febbraio 2000, n. 56, attuativo della legge n. 133 del 1999 e
significativamente recante il titolo di "Disposizioni in
materia di federalismo fiscale" ha incrementato le entrate
delle Regioni ordinarie fino al punto di fare ritenere a
diversi commentatori che le più ricche di esse si
approssimeranno entro breve tempo alla piena autosufficienza
finanziaria.
Con la legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, il
Parlamento è intervenuto direttamente sul tema dell'autonomia
statutaria delle Regioni ordinarie, sostituendo il dettato
originario degli articoli 122 e 123 della Costituzione, che
riservavano alla legge dello Stato sia la determinazione del
sistema elettorale regionale, sia l'approvazione degli
statuti: la nuova formulazione dei predetti articoli
attribuisce alla legge regionale sia l'una che l'altra
materia. L'organizzazione interna delle Regioni ordinarie, con
particolare riferimento alla scelta della forma di governo è
stata così demandata alle autonome scelte del legislatore
regionale, sia pure nell'ambito di un indicazione - peraltro
non vincolante nel nuovo testo dell'articolo 122 della
Costituzione e provvisoria nelle disposizioni transitorie in
materia elettorale - a favore dell'elezione popolare diretta
del Presidente della Giunta.
Con un'ulteriore, apposita legge costituzionale, la legge
31 gennaio 2001, n. 2, il Parlamento ha sostanzialmente esteso
i princìpi in materia di organizzazione interna e di forma di
governo, affermati per le Regioni ordinarie, alle Regioni a
Statuto speciale ed alle Province autonome. La nuova legge
costituzionale ha modificato numerosi articoli dello Statuto
speciale per la Sardegna ed in particolare l'articolo 15, il
cui nuovo testo decostituzionalizza l'intera materia
elettorale, quella relativa all'organizzazione interna della
Regione e quella concernente la scelta della forma di governo,
attribuite ora pienamente alla legge regionale.
Quello "Statuto interno di autonomia" rivendicato negli
anni trascorsi come applicazione anche alla Sardegna delle
originarie previsioni contenute nell'articolo 123 della
Costituzione, è divenuto così materia di legge ordinaria della
Regione, sia pure nell'ambito di alcune prescrizioni
procedurali (l'approvazione a maggioranza assoluta e la
sottrazione al controllo preventivo del Governo), che
caratterizzano questa legge come fonte in qualche modo
rinforzata. Anche la nuova legge costituzionale relativa alle
Regioni speciali, peraltro, esprime un'indicazione, sia pure
non vincolante, del Parlamento per l'elezione diretta del
Presidente della Regione, e, nelle more delle autonome
determinazioni del legislatore regionale, estende alla
Sardegna la disciplina attualmente vigente per le Regioni
ordinarie.
4. La specialità nella revisione del titolo V della
Costituzione. Le Camere, a conclusione della trascorsa
legislatura nazionale, hanno approvato, a maggioranza, la
legge costituzionale concernente la riforma del titolo V della
parte seconda della Costituzione, quello relativo alle
Regioni, alle Province e ai Comuni. La legge attende ora di
essere sottoposta al referendum confermativo previsto
dall'articolo 138 della Costituzione.
Il Parlamento ha rinunciato a modificare la rubrica del
titolo V in "Ordinamento federale della Repubblica", come era
nel testo originario del disegno di legge. La realizzazione
piena di un ordinamento federale, infatti, richiederebbe anche
la riforma della struttura e delle funzioni di importanti
organi costituzionali, come per esempio le Camere e la Corte
costituzionale, su cui ancora non si è trovato alcun accordo
soddisfacente.
Tuttavia la riforma che si realizzerebbe in caso di
conferma referendaria della suddetta revisione costituzionale
è di notevole portata.
La legge costituzionale in questione, infatti, ribalta
l'impostazione originaria del titolo V, che conteneva una
delimitazione puntuale delle competenze regionali attribuendo
allo Stato tutte le altre. Il nuovo testo dell'articolo 117
della Costituzione, infatti, elenca 17 materie di competenza
esclusiva dello Stato in relazione alle esigenze unitarie del
Paese, definisce in 22 materie un'area di legislazione
concorrente attribuita alle Regioni "salvo che per la
determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legge
dello Stato", prevede che alle Regioni spetti la competenza
legislativa in tutte le materie non espressamente riservate
alla legislazione dello Stato.
Importanti previsioni riguardano la partecipazione delle
Regioni e delle Province autonome alle decisioni concernenti
la formazione degli atti normativi comunitari e l'attuazione
degli accordi internazionali, nonché il potere delle Regioni
di concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali
interni ad altro Stato.
Tutte queste nuove funzioni sono attribuite anzitutto alle
Regioni ordinarie e non è difficile constatare quanto
l'ampliamento dell'autonomia di queste ultime superi di gran
lunga le forme di autonomia oggi riconosciute alle Regioni
speciali dai rispettivi Statuti e per certi versi determini un
effetto di "spiazzamento" anche rispetto alle stesse inevase
rivendicazioni di nuovi poteri storicamente avanzate da
Regioni speciali come la Sardegna.
Una radicale riscrittura ha inoltre per oggetto l'articolo
119, nel quale la previsione di interventi perequativi a
carico dello Stato per promuovere lo sviluppo economico, la
coesione e la solidarietà sociale, l'effettivo esercizio dei
diritti della persona, con particolare riferimento ai
territori con minore capacità fiscale per abitante, si
accompagna alla scomparsa dell'esplicito riferimento
costituzionale alla "valorizzazione del Mezzogiorno e delle
Isole", mentre viene affermato un concetto di autonomia
finanziaria di Regioni, Province e Comuni fondato sul gettito
fiscale riferibile al rispettivo territorio.
Cosa resta della specialità originariamente attribuita
alle cinque Regioni storiche e alle due Province autonome nel
nuovo, probabilmente imminente, testo costituzionale? Ben
poco.
Il nuovo articolo 116 mantiene la previsione per esse di
forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti
speciali adottati con leggi costituzionali. Ma il nuovo
secondo comma del medesimo articolo consente che con legge
ordinaria del Parlamento, approvata dalle Camere a maggioranza
assoluta dei componenti, sulla base di intesa tra lo Stato e
la Regione interessata, ulteriori forme e condizioni
particolari di autonomia vengano attribuite anche "ad altre
Regioni".
E' peraltro vero che l'articolo 10 della legge
costituzionale in questione prevede che "sino all'adeguamento
dei rispettivi statuti" le nuove disposizioni costituzionali
si applichino anche alle Regioni speciali e alle Province
autonome "per le parti in cui prevedono forme di autonomia più
ampie rispetto a quelle già attribuite". Tuttavia questa norma
non fa altro che rendere esplicita la situazione di istantanea
obsolescenza degli Statuti speciali originari e di pratica
ordinarizzazione del regime della specialità che verrà a
determinarsi all'indomani dell'approvazione del nuovo testo
costituzionale.
5. Nuove frontiere della revisione statutaria. Nella
presa d'atto di questo mutamento di scenario non può sfuggire
che, a fronte dell'esigenza di rilanciare un percorso di
evoluzione delle specialità storiche (pena la loro scomparsa
in un contesto di specialità diffusa e "a geometria variabile"
sui piani politico, istituzionale e soprattutto
economico-finanziario), una buona parte dei contenuti del
dibattito pluridecennale svoltosi in Sardegna sulla revisione
statutaria (imperniato prevalentemente sulla rivendicazione di
maggiori competenze legislative ed amministrative, di maggiore
autonomia nella definizione dell'ordinamento interno e di un
più o meno ampio esercizio di poteri nelle relazioni
internazionali), finisce per risultare largamente superata.
Certamente si potrà ritagliare, rispetto alle previsioni
del nuovo articolo 117 della Costituzione, un ambito di
competenze legislative esclusive maggiore di quello attribuito
alle Regioni ordinarie, ma non pare che il terreno più
significativo possa essere questo.
E' piuttosto verosimile che la ricerca intorno al nuovo
Statuto speciale dovrà orientarsi su un terreno differente,
caratterizzato per un verso da una più netta traduzione
istituzionale - statuale - della soggettività politica e
culturale dei sardi, riconosciuti come comunità: unitariamente
intesa e distinta, pur nell'ambito dell'inscindibilità della
Repubblica (le premesse di tale riconoscimento sono già poste
dalla legge 15 novembre 1999, n. 482, sulle minoranze
linguistiche); per un altro e conseguente verso dalla
rinegoziazione dei contenuti del patto tra questa soggettività
e le istituzioni della comunità nazionale.
Una rinegoziazione volta da un lato a stabilire che la
generalità delle funzioni pubbliche deve tendenzialmente
essere esercitata in Sardegna dalle istituzioni
dell'autogoverno, dall'altro a sancire la corresponsabilità
della Repubblica e della Regione nel garantire che i sardi
possano vivere ed agire nel proprio ambito interno come nei
rapporti esterni in condizioni di effettiva parità con le
componenti territoriali più avanzate del Paese e dell'Europa.
Aspirazione all'autogoverno in un orizzonte federalista e
perdurante legame con la più vasta comunità nazionale sono del
resto i dati permanenti della cultura politica sarda: la
consapevolezza di essere una comunità peculiare legittima la
richiesta della specificità istituzionale persino più del dato
materiale dell'insularità.
6. Le procedure della revisione come questione di
sostanza e non solo di forma. L'apertura di un dibattito
consapevole e l'assunzione di decisioni tempestive su questi
temi costituisce ormai un'esigenza vitale per la Sardegna.
Mai come in questa circostanza tuttavia le forme di
apertura del confronto e quelle stesse dell'adozione delle
decisioni vengono ad assumere importanza pari al contenuto:
esse anzi costituiscono parte integrante del contenuto stesso
ed insieme precondizioni decisive perché i caratteri
sostanziali che dovranno connotare il nuovo Statuto speciale
siano adeguati alla fase storica attuale e capaci di avere
solidità e stabilita per il futuro.
La presente proposta di legge costituzionale di iniziativa
regionale intende farsi carico proprio di questa dimensione
dei problemi.
Vi è da un lato la necessità che la discussione investa
l'intera comunità sarda e non sia confinata in una cerchia
ristretta di addetti ai lavori, siano essi politici o esperti
in materie specifiche.
Vi è nel contempo l'esigenza di non ridurre ad una
procedura ordinaria la fase di assunzione delle iniziative
istituzionali, ma di attribuire loro quel carattere di
straordinarietà e di impegnatività, persino di solennità, che
esse richiedono.
Sarebbe inoltre esiziale che il confronto sui temi
statutari venisse condizionato dai rapporti tra maggioranza e
opposizione nelle sedi deputate alla normale dialettica sulle
questioni del governo della Regione e pare quindi auspicabile
che esso possa avvenire in forme e sedi più libere e più
favorevoli ad accordi unitari.
Ma occorre anche che il processo formale della revisione
statutaria si svolga in modo tale da istituzionalizzare ed
anzi costituzionalizzare tutte queste esigenze:
straordinarietà della revisione, massima partecipazione al
relativo processo, affermazione concreta della soggettività
politica e istituzionale dei sardi come popolo o nazione,
nuova regolamentazione paritaria e pattizia dei rapporti
Stato-Regione, definizione della massima autonomia della
Sardegna e insieme sanzione giuridicamente impegnativa delle
permanenti corresponsabilità verso la Sardegna della
Repubblica, in una prospettiva federalista ed europea.
Queste finalità non sembrano potersi soddisfacentemente
conseguire nell'ambito del procedimento ordinario previsto
dall'articolo 54 dello Statuto, che pare disegnato piuttosto
per modificazioni parziali e limitate dello Statuto stesso,
derivanti da proposte che possono essere indifferentemente
d'iniziativa governativa, parlamentare, del Consiglio
regionale o di ventimila elettori.
La stessa previsione del potere d'iniziativa, tra gli
altri, del Consiglio regionale, non pare adeguata almeno
rispetto ad alcuni dei caratteri che si è detto dovrebbe avere
il processo di revisione: quello di una straordinaria
partecipazione dell'intera comunità regionale e quello di
potersi svolgere in una sede appositamente dedicata,
soprattutto libera dalle inevitabili interferenze politiche
derivanti dalla ordinaria dialettica tra maggioranza e
opposizione.
L'iter disegnato dall'articolo 54 dello Statuto fa
rinvio all'approvazione delle modifiche statutarie secondo le
modalità previste dall'articola 138 della Costituzione.
A tale proposito, è bene affermarlo subita con chiarezza,
non si ritiene di dover abbandonare la previsione della legge
costituzionale, approvata dal Parlamento, come atto conclusivo
dell'iter di revisione.
Prescindendo dalle obiezioni giuridiche e sistematiche di
ordine costituzionale che potrebbero fondatamente muoversi a
tale scelta di abbandono (anzitutto in termini di contrasto
con la norma fondamentale dell'articolo 116 della
Costituzione) sembra opportuno, piuttosto, richiamare ancora
una volta quell'esigenza di vincolatività reciproca, per la
Repubblica e per la Regione, del rinnovato patto statutario,
che solo una legge costituzionale ha la forza di
assicurare.
Confermata quindi l'opzione per un nuovo Statuto approvato
con legge costituzionale, non si può sottacere tuttavia che le
previsioni generali dell'articolo 138 della Costituzione
lasciano al Parlamento in tutte le sue componenti l'intera
disponibilità delle decisioni di contenuto e di merito, senza
limite alcuno.
Ciò non garantirebbe il rispetto della volontà che in
Sardegna si dovesse manifestare in ordine al contenuto del
nuovo Statuto. Niente potrebbe escludere il deludente
ripetersi dell'esperienza regionale - anch'essa avviatasi con
l'ambizione esplicita di avere caratteri "costituenti"- degli
anni '70, quando lo sforzo delle neonate Regioni ordinarie di
produrre statuti fortemente innovativi fu frustrato (vigente
la procedura di cui all'originario articolo 123 della
Costituzione, che ne prevedeva l'approvazione con legge
ordinaria delle Camere), dal sostanziale ridimensionamento, in
sede parlamentare, delle innovazioni proposte in sede
regionale, anche quando costituzionalmente compatibili.
7. L'Assemblea Costituente regionale. La presente
proposta di legge costituzionale scaturisce, come già
sottolineato in premessa, dal confronto apertosi in Sardegna
sull'istituzione di un'Assemblea Costituente regionale quale
organo deputato ad elaborare il nuovo Statuto speciale.
La proposta di legge costituzionale che il Consiglio ha
discusso e approvato risponde all'ispirazione fondamentale di
tale innovazione costituzionale, che non si ritiene possa
essere surrogata da altre ipotesi, volte a mantenere la
partecipazione delle forze sociali, culturali ed economiche
dell'isola al processo di revisione in un ambito
sostanzialmente informale, ancorché nobilmente ispirato ad
esperienze storicamente importanti come il "congresso del
popolo sardo" il cui oggetto era peraltro prevalentemente
costituito dalle rivendicazioni di tipo economico connesse al
piano di rinascita.
Non sono sembrate fondate le obiezioni circa una paventata
incompatibilità di questa proposta di legge costituzionale
rispetto al sistema costituzionale vigente, in quanto comunque
le procedure prescelte per consentire l'istituzione di tale
Assemblea sono pur sempre quelle previste dal vigente articolo
54 dello Statuto in materia di modifiche dello stesso e
dall'articolo 138 della Costituzione in tema di revisione
costituzionale.
Né sono parse decisive le obiezioni relative alla
complessità della procedura e al conseguente allungamento dei
tempi che deriverebbe dall'iniziativa volta ad istituire un
organo distinto dal Consiglio regionale.
Vi è già un importante ambito di riforme istituzionali,
quello relativo alla definizione della forma di governo ed
alla disciplina elettorale, ormai decostituzionalizzato,
oggetto di legge regionale ordinaria e non di revisione
statutaria, cui il Consiglio regionale avrà il compito di
attendere immediatamente dopo l'imminente entrata in vigore
della legge costituzionale di revisione statutaria approvata
dal Parlamento nel novembre del corrente anno. Si tratta di un
impegno urgente, anch'esso di notevole complessità politica e
prevedibilmente di non breve durata, il cui assolvimento non
contribuirà certamente ad accelerare i tempi dell'avvio, da
parte del Consiglio, dell'iniziativa per la revisione delle
restanti parti dello Statuto.
Anche per questo motivo si è ritenuto ragionevole
delineare uno scenario nel quale il concomitante lavoro di due
organi - il Consiglio nell'esercizio della competenza
legislativa ordinaria in materia elettorale e di forma di
governo, l'Assemblea Costituente nell'esercizio
dell'iniziativa legislativa di revisione della parte
"patrizia" dello Statuto - possa condurre in tempi congrui ad
una completa riforma delle istituzioni regionali.
8. I contenuti della proposta di legge costituzionale.
Il testo che viene trasmesso al Parlamento sintetizza gli
obiettivi fondamentali condivisi dai presentatori degli
originari quattro progetti di legge in materia di Assemblea
Costituente regionale.
Essi sono:
a) promuovere, sul tema dell'elaborazione del nuovo
Statuto speciale per la Sardegna, un processo politico e
culturale straordinario, caratterizzato dalla più ampia
partecipazione della comunità sarda;
b) dare rappresentanza istituzionale a tale
partecipazione attraverso l'elezione di un'Assemblea eletta a
suffragio universale e diretto: un organo specificamente
dedicato all'elaborazione del nuovo Statuto, espressione
libera ed unitaria delle forze politiche e sociali dell'isola,
operante senza i vincoli e i condizionamenti derivanti dalla
ordinaria dialettica consiliare tra maggioranza di governo e
opposizione;
c) garantire che il nuovo Statuto speciale sia
imputabile, nei suo contenuto sostanziale, alla volontà
espressa dalla Sardegna attraverso i propri rappresentanti, e
non frutto di una concessione da parte dei poteri centrali.
Il Consiglio ha tenuto presenti sia i contributi offerti
dal dibattito in Commissione, sia quelli provenienti dalla
riflessione delle forze politiche, sia quelli pervenuti dalle
organizzazioni sociali e culturali esterne al Consiglio
regionale.
Tali contributi hanno prevalentemente concentrato
l'attenzione su due questioni fondamentali:
1) l'esigenza di ricercare la formula istituzionale in
un ambito di massima compatibilità con la Costituzione
vigente, sia per confermare la volontà della Sardegna di
essere una componente della Repubblica, sia per garantire che
gli impegni assunti col nuovo Statuto abbiano una forma
giuridica vincolante tanto per la Regione quanto per lo
Stato;
2) l'esigenza di realizzare, nel processo costituente,
la più ampia sinergia con gli altri centri di imputazione dei
poteri istituzionali regionali, cioè il Consiglio regionale
inteso come organo, i singoli consiglieri regionali, la Giunta
regionale, il popolo inteso non solo come corpo elettorale ma
anche come titolare dell'iniziativa legislativa.
La proposta di legge costituzionale che si trasmette al
Parlamento recepisce tali indicazioni e prevede l'inserimento
nel vigente Statuto speciale per la Sardegna, dopo l'articolo
54, di un nuovo articolo, il 54-bis.
Con il primo comma di tale articolo il Consiglio regionale
viene autorizzato ad istituire l'Assemblea Costituente, con
propria legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti.
La funzione dell'Assemblea Costituente è quella di esercitare
l'iniziativa legislativa costituzionale ai sensi degli
articoli 71, 116 e 138 della Costituzione per l'adozione di un
nuovo Statuto speciale: in nessun altro campo l'Assemblea
interferirà con le competenze dell'organo rappresentativo e
legislativo ordinario.
Il secondo comma contiene due fondamentali norme di
principio, che hanno insieme il carattere del limite giuridico
e quello del programma istituzionale. Il nuovo Statuto non
dovrà contrastare con l'indivisibilità della Repubblica; i
rapporti tra Stato e Regione potranno essere improntati al
federalismo nell'ambito della solidarietà nazionale. Le due
norme di principio sono del tutto conformi all'indirizzo ormai
prevalente nel Paese in tema di riforme costituzionali.
Al terzo comma si prevede che l'Assemblea Costituente
regionale sarà formata da un numero compreso tra i trenta e i
sessanta componenti, eletti a suffragio universale e diretto
con il sistema proporzionale; il numero dei componenti e il
meccanismo elettorale saranno definiti dalla legge regionale
istitutiva. L'elezione popolare appare l'unica fonte adeguata
di legittimazione di un organo siffatto, deputato ad
esercitare funzioni di iniziativa e di confronto col
Parlamento in un processo di natura costituzionale (anche per
questa ragione si è ritenuto di dover definire l'Assemblea
come "costituente"); la sua composizione su base proporzionale
è coerente con l'esigenza che tale organo rappresenti tutte le
componenti della comunità regionale e con la necessità che
esso agisca liberamente dai condizionamenti politici derivanti
dalle ordinarie dinamiche di governo.
I successivi commi dell'articolo 54-bis specificano
i passaggi interni fondamentali della procedura proposta.
Anzitutto l'Assemblea Costituente regionale non opererà in
solitudine, ma in stretto rapporto con le istituzioni
regionali ordinarie (quarto comma). Il potere di iniziativa
nei suoi confronti non spetta solo ai suoi componenti, ma
anche ai consiglieri regionali, alla giunta, al popolo sardo;
il progetto di Statuto da essa elaborato è trasmesso al
Consiglio regionale, il quale può proporre le modifiche che
ritenga opportune, prima che l'Assemblea approvi
definitivamente il testo da inviare alle Camere. Le norme sul
funzionamento dell'Assemblea (quinto comma) sono tali da
prevedere un'attività intensa e rapida: la prima fase della
procedura, con l'approvazione del nuovo Statuto a maggioranza
assoluta dei componenti l'Assemblea Costituente e la
successiva trasmissione al Parlamento, dovrà concludersi entro
otto mesi dall'insediamento dell'Assemblea stessa.
In secondo luogo viene definita la modalità del confronto
con il Parlamento: l'approvazione dell'Assemblea Costituente e
quella delle Camere dovrà riguardare un identico testo
(settimo comma). Si tratta di una modalità coerente con la
concezione pattizia, contrattuale, del procedimento proposto.
Nella fase antecedente la prima deliberazione prevista
dall'articolo 138 della Costituzione si svolgerà comunque la
necessaria interlocuzione tra le Commissioni parlamentari e
l'Assemblea Costituente regionale, volta a verificare quali
modificazioni concordate potranno essere introdotte al testo
inizialmente trasmesso alle Camere (sesto comma).
L'ottavo comma stabilisce - riproducendo un principio
derogatorio dell'articolo 138 della Costituzione già contenuto
nell'articolo 54 del vigente Statuto - che la legge
costituzionale di approvazione del nuovo Statuto non sarà
sottoposta a referendum nazionale.
Il nono e ultimo comma è stato inserito, con apposito
emendamento, nel corso dell'esame in Aula della proposta di
legge costituzionale. Esso rappresenta una risposta alle
preoccupazioni da più parti manifestate in ordine alla durata
dell'iter di adozione del nuovo Statuto. Si è così
precisato che l'Assemblea Costituente durerà in carica dodici
mesi, salvo che il Consiglio non ne proroghi l'attività per
altri sei mesi, funzionalmente agli adempimenti connessi
all'interlocuzione con il Parlamento di cui al sesto comma.
Nella discussione consiliare sono emerse, come accennato
in precedenza, diverse obiezioni sui contenuti della proposta
di legge costituzionale in esame. Di tali obiezioni si ritiene
opportuno dare conto, unitamente alle argomentazioni prevalse
invece a sostegno del testo conclusivamente approvato.
La prima obiezione ha riguardato lo spostamento della
competenza dal Consiglio all'Assemblea Costituente, denunziato
da taluni come esautoramento dell'organo rappresentativo e
legislativo ordinario.
In risposta è stato fatto osservare che il testo
dell'articolo 54-bis di cui si propone l'introduzione
nello Statuto prevede che sia il Consiglio stesso a decidere,
con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi
componenti, di dare vita all'Assemblea Costituente e di
attivare il procedimento sopra descritto, in luogo di quello
previsto dal vigente articolo 54 dello Statuto. Non è un
obbligo, ma una facoltà, l'esercizio della quale dipenderà da
una valutazione politica: quella relativa all'opportunità di
rafforzare la manifestazione di soggettività del popolo sardo
ai fini dell'adozione delle fondamentali norme costituzionali
ad esso specificamente destinate.
E' stato ulteriormente obiettato che l'esercizio del
potere d'iniziativa attribuito in via esclusiva all'Assemblea
Costituente costituirebbe una limitazione rispetto al
riconoscimento di analogo potere, ai sensi dell'articolo 71
della Costituzione e dell'articolo 54 dello Statuto, in capo
al Governo, ai parlamentari, al popolo.
A tale obiezione si è anzitutto replicato rilevando che la
proposta di legge costituzionale in esame non intende
sostituire il vigente articolo 54 dello Statuto, il cui
meccanismo potrà ancora operare - fino a quando non verrà
istituita l'Assemblea Costituente - per consentire modifiche e
adeguamenti parziali dello Statuto vigente, ma appare
manifestamente inadeguato rispetto alle esigenze e ai problemi
che attengono all'adozione di uno Statuto del tutto nuovo.
Più specificamente, i sostenitori della presente proposta
di legge costituzionale hanno ribadito che il limite
fondamentale della procedura prevista dalle norme vigenti in
tema di revisione statutaria consiste proprio
nell'equiparazione tra i diversi poteri d'iniziativa. Ai sensi
degli articoli 71 della Costituzione e 54 dello Statuto, le
proposte del Governo, di qualunque singolo parlamentare e, in
ipotesi, persino le iniziative popolari assunte fuori dal
territorio della Sardegna sono poste sullo stesso piano di
quelle provenienti dal Consiglio regionale. Nei cinquantadue
anni di storia della Regione, nessuna modifica dello Statuto è
peraltro avvenuta per iniziativa del Consiglio regionale: le
modifiche sono avvenute su iniziativa governativa o
parlamentare senza, generalmente, che sia stato attivato il
coinvolgimento del Consiglio stesso.
Quello che si vorrebbe ottenere con la presente proposta
di legge costituzionale è pertanto che l'imputazione
dell'iniziativa per il nuovo Statuto sia pienamente attribuita
alle istituzioni sarde. Quello che si vorrebbe evitare è che
permanga un sistema di illimitata emendabilità della proposta
di legge costituzionale avanzata dalla Sardegna, attraverso
singole iniziative parlamentari o governative.
La soluzione prescelta vuole pertanto esaltare il rapporto
con il Parlamento nel suo complesso, ossia il rapporto tra
istituzioni rappresentative. Non vengono d'altra parte
sacrificati i diritti e i poteri dei soggetti istituzionali
regionali, compresi quelli connessi all'iniziativa popolare,
che può esercitarsi verso l'Assemblea Costituente regionale
con forza ben superiore - in quanto ravvicinata - rispetto a
quella che potrebbe dispiegare verso il Parlamento.
E' stato a tale proposito ancora obiettato che la proposta
di legge costituzionale conterrebbe una limitazione eccessiva
dei poteri delle Camere, attribuendo loro esclusivamente il
compito di approvare o respingere il testo trasmesso
dall'Assemblea Costituente, ma non il potere di
modificarlo.
In ordine a tale obiezione si è ricordato, anzitutto, che
quella che si sottopone al Parlamento in relazione al
procedimento di adozione dello Statuto è pur sempre una legge
costituzionale, attraverso la quale le limitazioni dei poteri
del Parlamento saranno quelle decise dal Parlamento stesso. Si
è inoltre ricordato che, proprio in virtù del tenore letterale
dell'originario articolo 123 della Costituzione, il quale
attribuiva (in via esclusiva) ai consigli delle Regioni
ordinarie il potere di deliberare i rispettivi Statuti, da
trasmettere all'approvazione del Parlamento, la prassi prima e
apposite norme regolamentari poi (gli articoli 104 e 105 del
Regolamento della Camera dei deputati) avevano espressamente
stabilito la non emendabilità in sede parlamentare dei testi
statutari deliberati in sede regionale.
Il testo approvato dal Consiglio, d'altra parte, non
prevede una procedura bloccata. Non solo per senso di
realismo, ma anche per la consapevolezza che le materie
oggetto dello Statuto di una Regione speciale sono ben più
ampie di quelle oggetto degli Statuti delle Regioni ordinarie
e che più delicato è il campo delle relazioni
interistituzionali implicate, è esplicitamente contemplata
un'interlocuzione tra Commissioni parlamentari e Assemblea
Costituente regionale, volta ad apportare le eventuali
integrazioni concordate al testo da sottoporre
all'approvazione finale delle Camere.
E' stata messa in campo, infine, un'obiezione sostanziale,
la principale, quella relativa ai tempi complessivamente
richiesti dall'adozione del procedimento proposto:
approvazione della presente proposta di legge costituzionale
autorizzatoria dell'istituzione dell'Assemblea Costituente,
adozione della legge regionale istitutiva, elezione
dell'Assemblea, approvazione del nuovo Statuto in sede
regionale e successiva adozione con legge costituzionale.
Si è cioè sostenuto che i tempi prevedibili sarebbero
troppo lunghi rispetto all'esigenza di avere rapidamente un
nuovo Statuto, soprattutto in considerazione
dell'accelerazione che le leggi costituzionali n. 1 del 1999 e
n. 2 del 2001 e l'eventuale conferma referendaria della
riforma del titolo V della Costituzione approvata nella
trascorsa legislatura nazionale potrebbero imprimere alle
dinamiche del restante sistema regionale.
I sostenitori dell'Assemblea Costituente hanno replicato
che nulla di quanto è oggi nei poteri delle Regioni ordinarie
è in realtà precluso alla Regione sarda, la quale può
immediatamente affrontare questa importante riforma del
proprio ordinamento senza più dover ricorrere al complesso
procedimento di revisione statutaria. Né l'istituzione
dell'Assemblea Costituente regionale costituirebbe un ostacolo
all'esercizio di tale potere attribuito al Consiglio
regionale. E' stato anzi manifestato l'avviso che l'attuazione
più tempestiva possibile di tale adempimento da parte del
Consiglio contribuirebbe non poco a semplificare e a rendere
più spedito il compito cui dovrebbe attendere l'Assemblea
Costituente.
In ordine alla più complessiva riforma del titolo V della
Costituzione, è stato ampiamente argomentato che, sia pure
nella forma non felice prevista dall'articolo 10 della legge
costituzionale oggetto di prossimo referendum
confermativo, tutte le nuove funzioni che verranno
attribuite alle regioni ordinarie saranno contestualmente
estese alle Regioni speciali, le quali, all'indomani del
referendum, non perderanno assolutamente nulla e non si
troveranno affatto in svantaggio rispetto al restante sistema
regionale. Esse si troveranno, piuttosto, impegnate, al pari
delle altre regioni e in competizione con esse, a sviluppare
le nuove condizioni di autonomia, nel contesto della
modificazione del regime statutario introdotta dalla riforma
costituzionale.
E' perciò prevalsa la convinzione che l'opera di
elaborazione del nuovo Statuto speciale per la Sardegna non
possa essere confinata nell'ambito di un mero adeguamento
compilativo alle previsioni del nuovo titolo V della
Costituzione e che occorra sviluppare la specialità sarda su
un terreno diverso da quello che ha finora ispirato il riparto
delle competenze fra Stato e Regione. Si è posto
esplicitamente, cioè, il tema del federalismo, ossia del
ruolo, all'interno della Repubblica, di una Regione che
intende assumere su di sé il massimo possibile delle funzioni
statuali, pur nel quadro di una solidarietà che impone doveri
e vincoli reciproci per tutti i soggetti dell'ordinamento
italiano.
Si tratta di un passaggio politico e culturale che
necessita di un'adeguata maturazione e che soprattutto non può
prescindere dalla previsione di una forma esplicita di
espressione della soggettività dei sardi. Questo si intende
nel proporre l'Assemblea Costituente. Una volta compreso e
accettato questo presupposto il tema dei tempi appare meno
pressante e può essere valutato con realismo: lo snodo
fondamentale è quello della conquista dell'Assemblea
Costituente. Una volta istituita, considerato che già la
presente proposta di legge costituzionale detta scadenze
precise per le sue attività, sarà la presenza stessa
dell'Assemblea a dare, anche nell'interlocuzione con il
Parlamento, impulso e sollecitudine al procedimento di
adozione del nuovo Statuto speciale.