XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 1415
Onorevoli Colleghi! - Un esame comparato dello
status giuridico delle capitali delle principali
democrazie occidentali dimostra che per quasi tutte è prevista
una normativa particolare: infatti negli Stati federali sono
equiparate agli Stati e negli Stati regionali alle regioni.
Per ciò che riguarda gli Stati federali, l'attenzione va
subito agli Stati Uniti d'America in cui, come è noto, per la
capitale (Washington) è stata prevista un'apposita struttura
organizzativa territoriale (il distretto di Columbia) in tutto
equiparata agli Stati che compongono l'Unione, tranne che per
l'elezione del Senato. Il XXIII emendamento - approvato nel
1961 - prevede anche che contribuisca all'elezione del
Presidente della Repubblica con le stesse procedure e lo
stesso numero di rappresentanti previsti per gli Stati.
Analoga soluzione è prevista, sempre in America, per il
Brasile, in cui per la capitale (Brasilia) è stato istituito
un distretto federale avente le stesse attribuzioni degli
Stati che compongono la federazione.
In Europa il più significativo Stato federale, il cui
modello è stato oggetto di approfonditi studi, è la Repubblica
federale tedesca che, anche dopo l'unificazione con la
Repubblica democratica, ha mantenuto per Berlino lo
status di Land. Un referendum svoltosi nel
1997 che si prefiggeva di far cessare questa situazione per
inglobare Berlino nel Land del Brandeburgo ha dato
esito negativo.
Del tutto analoga è la situazione dell'Austria in cui
Vienna è uno dei nove Lander che costituiscono lo
Stato federale.
In Belgio la Costituzione federale ha ancora più
accentuato l'autonomia di cui già prima godeva la capitale
(Bruxelles), così che attualmente la Costituzione prevede
quattro regioni-Stato. Le prime tre individuate,
rispettivamente, dalla prevalenza linguistica francese,
fiamminga e tedesca e la quarta costituita dalla regione-Stato
bilingue con Bruxelles capitale.
Anche uno Stato ad ordinamento regionale avanzato come la
Spagna ha previsto per Madrid le stesse attribuzioni riservate
alle regioni.
Non sono però solo gli Stati federali o con forte
accentuazione regionale a riservare uno status
particolare alle città capitali. Anche in Inghilterra la città
di Londra ha competenze amministrative e attribuzioni
giuridiche particolari.
Similmente in Francia, Stato accentrato con elevato
riconoscimento delle autonomie locali, sono riconosciute
attribuzioni particolari a Parigi.
Infine, sempre per ciò che riguarda gli Stati accentrati,
è utile osservare che anche in Grecia è prevista una autonomia
economica ed amministrativa particolare per Atene.
Si può quindi conclusivamente affermare che nei principali
Stati federali alle città capitali è riconosciuto, agli
effetti giuridici, il rango di Stati, in quelli regionali
quello di regione ed anche in quelli accentrati ad esse sono
attribuite forti autonomie.
Emerge da ciò l'anomalia italiana, Stato regionale che si
sta muovendo a grandi passi verso il federalismo, in cui per
la città capitale non sono previste attribuzioni giuridiche
particolari.
Con la proposta di legge costituzionale si vuole porre
termine a questa anomalia che penalizza sia la città di Roma
sia tutto il restante territorio della regione Lazio.
Quest'ultimo infatti è schiacciato dalla imponente presenza
della città di Roma che inevitabilmente assorbe quasi tutta
l'attenzione degli amministratori regionali e quasi tutte le
risorse della regione. I danni di questa situazione si
riflettono ovviamente sui cittadini, siano essi di Roma che
delle altre città del Lazio. I primi infatti già avrebbero
grandi difficoltà a vedere soddisfatte le loro necessità se la
regione avesse come ambito territoriale della sua competenza
questo solo comune. I secondi poi vedono fortemente ridotta la
cura che potrebbe essere loro rivolta dalle autorità regionali
ed altresì fortemente menomata la loro possibilità di fruire
di servizi e strutture dalla concorrente presenza delle immani
esigenze della capitale.
E' utile, a questo proposito, evidenziare come il rapporto
tra popolazione della provincia della città capoluogo di
regione e popolazione del resto della regione sia, a Roma, il
più elevato d'Italia, dato che oltre il 72 per cento della
popolazione della regione Lazio risiede appunto nella capitale
o nel suo hinterland. Le altre città che hanno
percentuali simili (Perugia, Campobasso, Potenza) sono
capoluoghi di regioni con un ristretto numero di abitanti, in
cui quindi la gestione amministrativa della realtà regionale
assume un carattere molto più scorrevole.
Non sembra quindi che la necessità di riconoscere al
comune di Roma ed al suo comprensorio lo status di
regione, separandolo quindi dai restanti comuni e province
della regione Lazio, possa essere posta in dubbio.
Si potrebbe da parte di alcuni obiettare che poiché ci si
muove verso il federalismo, e quindi verso un ridisegno
complessivo della struttura e dell'articolazione dello Stato,
costituirebbe un lavoro inutile prevedere per la capitale uno
status regionale. E' il solito atteggiamento di chi
vuole ad ogni costo conservare l'esistente e, non avendo
motivazioni per opporsi ad un progetto di estrema razionalità,
ipotizza futuri rivoluzionari scenari per non modificare
nulla. Si invoca cioè la necessità di un rivolgimento globale,
che ha comunque scenari lontani, per impedire qualunque
motivata necessaria innovazione che potrebbe essere realizzata
nell'immediato.
Nel caso in esame questa argomentazione rivela subito la
sua capziosità dato che abbiamo visto che il riconoscimento di
attribuzioni particolari alla capitale è previsto anche negli
Stati federali. In questi ultimi, anzi, questa necessità è
sentita in modo ancora maggiore. Quindi il lavoro che adesso
si viene ad effettuare, oltre ad avere un'oggettiva rilevanza
ed utilità in sé, verrebbe anche ad essere preparatorio di
quello futuro, qualora si adottasse per l'Italia la struttura
federale. Se si riconoscono infatti subito alla capitale le
attribuzioni che il nostro attuale ordinamento costituzionale
prevede per le regioni, sarà estremamente più facile
riconoscere successivamente alla capitale, qualora si venisse
ad adottare una Costituzione di tipo federale, le attribuzioni
che tali Stati federali prevedono per queste città.
Una volta attribuito, con modifica costituzionale, alla
città di Roma lo status di regione, resta il problema di
come organizzare il restante territorio della regione.
Astrattamente le soluzioni potrebbero essere due. La prima
consiste nel mantenere immutato l'assetto regionale residuo e
nel prevedere che della regione Lazio venga ad essere
capoluogo la città di Latina che è la più popolosa. La seconda
soluzione consiste invece nel dividere il territorio residuo
in due regioni, quello delle province di Latina e di Frosinone
che continuerebbe a chiamarsi Lazio e quello delle province di
Viterbo e di Rieti che verrebbe a chiamarsi regione
Tuscia-Sabina. Motivi storici (vi è in effetti una sostanziale
diversità, che affonda le sue radici addirittura nei tempi
preromani, nella storia delle due province a sud e delle due
province a nord di Roma), e geografici (la distanza che separa
Latina, che verrebbe ad essere il capoluogo regionale e le
province del nord è abbastanza significativa), inducono a
preferire la seconda soluzione.
Anche se la proposta innanzi formulata risponde alle
esigenze di carattere generale, di portata nazionale, di
adeguare la struttura giuridico-organizzativa della capitale
ai modelli vigenti nei principali Paesi occidentali, è
evidente che da questa modifica costituzionale sono notevoli i
vantaggi che deriverebbero sia agli abitanti della città di
Roma sia ai cittadini delle restanti province del Lazio, oggi
schiacciati dalla massiccia presenza della capitale.
Ci stiamo sempre più orientando verso uno Stato federale,
inteso come un modello organizzativo politico che sempre più
avvicini il cittadino allo Stato, che tenda cioè ad annullare
il rilevante distacco che attualmente divide gli amministrati
dagli amministratori.
Per questo motivo notevoli perplessità sorgono da alcuni
progetti di ingegneria costituzionale che sembrano prevedere
la creazione di alcune grandi entità territoriali che
ambirebbero a ruoli politici di interposizione tra il
cittadino e lo Stato italiano.
Le perplessità sono di vario genere: storico, dato che
queste entità territoriali sarebbero creazioni artificiali che
non affondano la loro origine in momenti storici ancora oggi
sentiti (tanto è vero che alcuni fisserebbero i confini di
tali entità sottostatali facendo riferimento a periodi
preromani, altri a quelli dell'alto Medioevo, altri al basso
Medioevo, altri ancora all'ottocento preunitario); politico,
dato che si darebbe vita a strutture troppo corpose per
resistere alla tentazione di entrare subito in conflitto, di
carattere emulativo, con lo Stato unitario; amministrativo ed
economico, dato che non verrebbero superate le ragioni di
malcontento che attualmente spingono il cittadino ad avere un
giudizio negativo dello Stato centrale, vale a dire la
lontananza tra gli apparati politici e burocratici che
assumono le decisioni e la generalità della popolazione che le
subisce. Con grave nocumento quindi anche di carattere
economico, dato che questo divario determina spesso
insensibilità ai problemi della cittadinanza, quanto meno
sotto forma di ritardi ed intralci burocratici.
Più che le macroregioni, i cosiddetti "piccoli Stati",
sono utili ai cittadini le realtà politico-amministrative di
limitate dimensioni in cui non si perda il contatto tra chi
detiene il potere decisionale e chi viene ad essere
destinatario delle decisioni stesse. In questo senso, del
resto, crediamo si esprima la volontà del popolo italiano
molto attaccato alle realtà degli ambienti territoriali in cui
vive.
Con una nuova riscrittura dell'articolo 117 della
Costituzione, occorrerebbe attribuire a queste realtà
territoriali omogenee i più ampi poteri.
L'attuazione dell'innanzi indicato nuovo disegno
organizzativo della regione Lazio verrebbe quindi a costituire
un fondamentale laboratorio per valutare in breve tempo la
realizzabilità del progetto generale esposto. Per questo è
necessario procedere subito nel senso indicato. L'adozione di
un nuovo modello di Stato è cosa troppo delicata per poter
correre il rischio di scelte sbagliate che non si fondino su
precise esperienze.
E' evidente il vantaggio, in termini di efficienza e di
alleggerimento delle attuali trafile burocratiche, che per gli
abitanti di Latina e di Frosinone deriverebbe dal situare a
Latina il consiglio e la giunta regionale, la corte di
appello, il tribunale amministrativo regionale, la sezione
regionale della corte dei conti, l'avvocatura distrettuale di
Stato, l'università della regione, il provveditorato regionale
alle opere pubbliche, la sezione regionale dell'osservatorio
dei lavori pubblici, la sede regionale della
RAI-Radiotelevisione italiana Spa, l'aeroporto regionale, il
compartimento regionale dell'Ente nazionale per le strade, il
compartimento regionale delle Ferrovie dello Stato Spa, la
direzione compartimentale poste e telegrafi, la direzione
regionale del lavoro, l'ufficio scolastico regionale, la
commissione tributaria regionale. Di questa modifica
dovrebbero poi tenere conto, nella loro organizzazione
territoriale, sia l'Arma dei carabinieri, sia il Corpo di
polizia, sia il Corpo della guardia di finanza.
Un'amministrazione regionale che, in questo modo, fosse
più vicina alle esigenze ed alle questioni che riguardano
questi laboriosi e produttivi territori, potrebbe realizzare
importantissime infrastrutture regionali che svilupperebbero
al massimo le grandi potenzialità di questa parte d'Italia.
Innanzitutto le vie di comunicazione, a cominciare da
quelle ferroviarie, come la metropolitana veloce di superficie
Latina-Frosinone-Sora, che permetterebbe un rapido
collegamento tra queste città che hanno un continuo
interscambio. Questo collegamento ferroviario, sviluppandosi
in senso latitudinale, costituirebbe una profonda innovazione
al sistema di trasporto per strada ferrata che, se si esclude
la pianura padana, in Italia si sviluppa solo in senso
longitudinale e verrebbe a collegarsi con la linea Roccasecca,
Sora, Avezzano, Pescara.
Per ciò che riguarda le vie di comunicazione stradale, si
verrebbe a realizzare l'autostrada Latina-Valmontone e
verrebbe ad essere completamente ridisegnata la
Frosinone-Latina con diramazione a Priverno per Terracina, a
sua volta collegata con le isole pontine. Infine la
Fondi-Ceprano che permetterebbe un'adeguata via d'accesso al
mercato ortofrutticolo, e la Formia-Cassino.
Per ciò che riguarda le vie marittime si verrebbe a dare
rilievo al porto di Gaeta che verrebbe ad essere ridisegnato e
dotato dei necessari impianti e delle adeguate infrastrutture
per diventare il porto commerciale regionale. Il porto di
Formia, infine, diventerebbe il porto turistico regionale, con
attracco di navi anche per i collegamenti con la Sardegna e la
Corsica.
Dotata di adeguate infrastrutture per ciò che riguarda le
vie di comunicazione, la istituenda regione elaborerebbe un
armonico piano territoriale di sviluppo coniugando gli
invitanti richiami che le bellezze naturali e storiche della
sua costa e del suo retroterra esercitano sul turismo con le
altrettanto copiose iniziative industriali, commerciali ed
agricole che la ben nota laboriosità della sua gente ha
sviluppato. Queste ultime saranno anzi ancora più sviluppate
con un mirato aiuto, in termini di infrastrutture e di
semplificazioni burocratico-amministrative che la regione
verrà a fornire. Si pensi per esempio all'area intermodale, al
mercato ortofrutticolo e così via.
Se si accogliesse la soluzione prospettata di istituire
anche la regione Tuscia-Sabina, le strutture istituzionali
prima indicate (consiglio regionale, giunta, corte di appello,
eccetera) verrebbero ad essere istituite anche a Viterbo. Ma
anche se ciò non fosse, ben altra sarebbe la risposta, in
termini di efficienza e di corretta e approfondita conoscenza
delle materie rimesse alla loro decisione, che gli organismi
indicati potrebbero dare anche ai cittadini di Viterbo e di
Rieti quando fosse tolta l'immane incombenza di provvedere
alle esigenze del comune di Roma.
Per ciò che riguarda l'impulso in termini di nuove
infrastrutture e di sviluppo dell'attività industriale,
commerciale ed agricola che la creazione della regione
Tuscia-Sabina o la creazione di una regione senza il distretto
di Roma determinerebbe, sono di chiara evidenza i vantaggi per
la collettività dal punto di vista sia delle condizioni
economiche che della vita sociale e di relazione.
L'articolo 132 della Costituzione prevede che "Si può con
legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre
la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove
Regioni con un minimo di un milione di abitanti, quando ne
facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino
almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta
sia approvata con referendum dalla maggioranza delle
popolazioni stesse".
E' quindi previsto un percorso articolato che prevede una
legge costituzionale in tal senso, che può essere approvata
solo se:
1) la nuova regione abbia almeno un milione di
abitanti;
2) ne faccia richiesta un numero tale di consigli
comunali che rappresenti almeno un terzo della popolazione
interessata;
3) la proposta sia approvata con apposito
referendum dalla maggioranza della popolazione
interessa;
4) vi sia un parere, peraltro non vincolante, del
preesistente consiglio regionale.
Per ciò che riguarda il requisito del milione di abitanti
è opportuno considerare che esso è ampiamente superato dal
comune di Roma e che le province di Latina e di Frosinone
hanno anche esse superato tale limite. Il problema potrebbe
riguardare le province di Viterbo e di Rieti se si volesse
istituire la regione Tuscia-Sabina. Occorre però considerare
che l'atto giuridico che può produrre questa innovazione
dell'attuale assetto regionale è una legge costituzionale che
quindi rappresenta una fonte di produzione normativa di pari
livello dello stesso articolo 132 della Costituzione. Può
quindi, avendo la stessa forza normativa del citato articolo,
integrarlo prevedendo che non si tenga conto del numero minimo
qualora la regione venga ad essere realizzata a seguito della
istituzione, in parte del precedente territorio regionale, di
una nuova regione per motivi di interesse nazionale.
A questo proposito è peraltro opportuno ricordare che,
anche se ha utilizzato l'escamotage offerto da una
disposizione finale della Costituzione e da una successiva
proroga di tale disposizione finale, la legge costituzionale
27 dicembre 1963, n. 3, ha disposto l'istituzione delle
separate regioni Abruzzi e Molise, al posto della precedente
unica regione Abruzzi-Molise nonostante il Molise avesse
allora poco più di 300 mila abitanti e gli Abruzzi poco più di
1.200.000. Il limite di un milione di abitanti quindi non solo
non è stato ritenuto essenziale al momento dell'adozione della
Carta costituzionale, ma neppure quando l'assetto regionale
previsto nella Costituzione è stato modificato separando in
due regioni la precedente regione Abruzzi-Molise.