XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 1394




        Onorevoli Colleghi! - L'articolo 48 della legge 24 aprile 1998, n. 128 (recante "Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dalla appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - legge comunitaria 1995-1997") è intervenuto sulla materia della panificazione, in particolare prevedendo che le disposizioni concernenti gli ingredienti, la composizione e l'etichettatura dei prodotti alimentari, di cui alla legge 4 luglio 1967, n. 580, sulla lavorazione e il commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari, non si applicano ai prodotti alimentari legalmente fabbricati e commercializzati negli altri Stati membri dell'Unione europea o negli altri Paesi contraenti l'Accordo sullo spazio economico europeo fatto a Oporto il 2 maggio 1992, ratificato e reso esecutivo con la legge 28 luglio 1993, n. 300, e cioè Islanda, Norvegia e Liechtenstein, qualora siano introdotti e posti in vendita nel territorio nazionale. In tale modo, cade sostanzialmente il divieto, posto dall'articolo 50, secondo comma, della legge n. 580 del 1967, di importare farine, pane e paste alimentari con requisiti diversi da quelli stabiliti dalla legge nazionale. Tuttavia, il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 novembre 1998, n. 502 ("Regolamento recante norme per la revisione della normativa in materia di lavorazione e commercio del pane, a norma dell'articolo 50 della legge 22 febbraio 1994, n. 146"), ha di fatto introdotto la possibilità di impiegare, nella produzione del pane, ingredienti aggiuntivi rispetto a quelli espressamente previsti dall'articolo 14 della legge 4 luglio 1967, n. 580, che erano pasta lievitata, acqua e lievito, con o senza aggiunta di sale. Ora è consentita l'aggiunta di altre sostanze, nonché la possibilità di utilizzare altri ingredienti alimentari, purché la denominazione di vendita sia completata con la menzione dell'alimento utilizzato e, nel caso di più ingredienti, di quello caratterizzante. Non è quindi più sufficiente il sistema legislativo delineato nella legge n. 128 del 1998, che creava un meccanismo basato su due binari paralleli: da un lato la disciplina comunitaria, che prevede requisiti minimi per la lavorazione del pane e che è applicabile ai prodotti fabbricati fuori dai confini nazionali; dall'altro, la legislazione nazionale, che impone requisiti maggiormente rispondenti alla tradizione italiana.
        Infatti, se è vero che la legge n. 580 del 1967 continuerà ad applicarsi ai prodotti alimentari fabbricati in Italia, è altrettanto vero che essa ha perso gran parte del suo contenuto.
        Del resto, c'è da dubitare della stessa legittimità dell'articolo 48 della legge n. 128 del 1998 dopo che - con la sentenza n. 443 del 1997 - la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 30 della legge 4 luglio 1967, n. 580, nella parte in cui non prevede che alle imprese aventi stabilimento in Italia è consentita, nella produzione e nella commercializzazione di paste alimentari, l'utilizzazione di ingredienti legittimamente impiegati, in base al diritto comunitario, nel territorio della Comunità europea. Seppure con riferimento specifico alla pasta, ma con motivazioni che riguardano in pieno anche i prodotti della panificazione, la Corte ha rilevato che le finalità della disciplina posta dalla legge 4 luglio 1967, n. 580, che aveva lo scopo di proteggere caratteristiche qualitative proprie della tradizione nazionale ritenute dal legislatore meritevoli di essere salvaguardate, essendo la stessa materia assoggettata alle qualificazioni del diritto comunitario, sono rimaste largamente frustrate. Il principio operante in ambito europeo è quello della libera circolazione delle merci. Pertanto, in base al diritto comunitario, lo Stato italiano non può porre ostacoli a che in uno Stato membro vengano prodotti e destinati al consumo prodotti contenenti ingredienti diversi da quelli autorizzati dalla legge nazionale, ma consentiti dal diritto comunitario. In questo contesto, è di tutta evidenza che ogni limitazione imposta dalla legislazione nazionale per quanto attiene alla fabbricazione delle paste alimentari nel territorio italiano, che non rinvenga nel trattato o, più in generale, nel diritto comunitario il proprio fondamento giustificativo, così da poter essere applicata egualitariamente nei confronti di tutta la produzione commercializzata in Italia, si risolve in uno svantaggio competitivo e, in ultima analisi, in un vera e propria discriminazione in danno delle imprese nazionali. Queste vengono ad essere per legge vincolate all'osservanza di regole finalizzate alla salvaguardia delle tradizioni alimentari italiane, laddove è consentito (o meglio, non può essere impedito) all'impresa comunitaria di destinare al mercato italiano prodotti aventi caratteristiche difformi da quelle tradizionali. Occorre quindi spostare l'attenzione della legge interna dai divieti all'informazione del consumatore. A riguardo la stessa Commissione europea ha avviato una campagna informativa relativa alla sicurezza alimentare, in base alla quale è stato redatto un decalogo rivolto ai consumatori, di cui uno dei principi fondamentali è l'attenzione all'etichettatura dei prodotti. Il decalogo avverte testualmente che "l'etichetta degli alimenti e il cartello degli ingredienti esposto negli esercizi pubblici (bar, gastronomie, ecc.) sono una preziosa guida per consumare il prodotto in maniera corretta, per conoscerne il valore nutritivo e non correre rischi alimentari". Nel caso del pane, se non sono in discussione rischi alimentari, è peraltro evidente la necessità che il consumatore sia libero di acquistare il prodotto in maniera consapevole. La protezione delle "caratteristiche qualitative proprie della tradizione nazionale", per usare le parole della Corte costituzionale, non può essere più affidata a norme restrittive, ma è affidata alle regole del mercato. Diviene quindi necessario imporre ai competitori regole di trasparenza nella fase della commercializzazione, in modo che i consumatori sappiano quando acquistano i prodotti tradizionali e che i produttori non perdano il credito derivante dalla attività fin qui svolta nel rispetto dei parametri della legge n. 580 del 1967.
        La presente proposta di legge mira, pertanto, ad introdurre nel nostro ordinamento la definizione di "pane tradizionale" al fine di tutelare questo patrimonio di tradizioni produttive artigianali legate alla cucina mediterranea, attraverso la precisa identificazione di un prodotto che, nell'impiego degli ingredienti e delle tecniche di produzione, possa rassicurare il consumatore sulla genuinità e sul rispetto di particolari tecniche artigianali.
        L'introduzione di tale definizione segue, tra l'altro, l'orientamento seguito da altri Paesi europei in materia di tutela di prodotti alimentari tipici e frutto di produzioni artigianali locali (si pensi al cosiddetto "pain maison" francese o alla birra tedesca).
        L'introduzione della definizione di "pane tradizionale" rappresenterebbe, inoltre, un valido contributo a quella tutela del consumatore tanto decantata dalle direttive europee, dal momento che, a differenza di quanto previsto dalla stessa legge sulla necessità di pubblicizzazione degli ingredienti impiegati nella produzione del pane posto in vendita, la breve denominazione "pane tradizionale" rappresenterebbe per il consumatore una garanzia sull'impiego di ingredienti base di tipo tradizionale così come previsto dall'articolo 14 della legge 4 luglio 1967, n. 580, senza nulla togliere al pane prodotto con l'impiego di altri ingredienti che, tuttavia, si ritiene debba essere posto in vendita in scaffali diversi da quelli del pane tradizionale.




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