XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 1225
Onorevoli Colleghi! - L'articolo 111 della Costituzione
prevede i princìpi del cosiddetto "giusto processo" che sono
sinteticamente evidenziabili come: esercizio effettivo della
difesa in condizioni di parità rispetto all'accusa e in
relazione al tempo e alle condizioni necessari per preparare
la difesa stessa; formazione della prova in contraddittorio e
secondo il principio di oralità; imparzialità e terzietà del
giudice; ragionevole durata del processo.
La presente proposta di legge, successiva agli interventi
legislativi della precedente legislatura che, in conformità
con l'articolo 111 della Costituzione, hanno profondamente
ridisegnato il momento della formazione della prova, intende
proseguire lo spirito della riforma iniziata e dare così piena
attuazione ai princìpi del giusto processo appunto recepiti
nel citato articolo 111 della Costituzione.
Oltre a restituire al processo penale la sua fisiologica
funzione, si persegue l'ulteriore obiettivo, di notevole
importanza, della deflazione del carico giudiziario che nel
corso degli ultimi anni ha assunto proporzioni enormi anche a
causa dell'eccessiva proliferazione dei procedimenti. Occorre,
in definitiva, ricondurre alla normalità il carico
giudiziario, anche impedendo la celebrazione di quella grande
mole di processi che appaiono ormai superflui, in quanto
concernenti reati in relazione ai quali - a cagione del lungo
tempo trascorso dalla loro ipotizzata commissione - è ormai
maturata la prescrizione. Si prevede, inoltre, l'estinzione
dei casi in cui è possibile ricorrere al patteggiamento
spostando il limite di pena detentiva dagli attuali due anni
di reclusione o di arresto a cinque anni. Peraltro, affinché
l'attuazione della disciplina da noi proposta sia davvero
effettiva e non venga svilita da prassi e interpretazioni
devianti, si rendono necessarie previsioni penalistiche di
tipo sanzionatorio, che svolgano una specifica funzione
deterrente.
2. Modifiche al codice di procedura penale.
Sul piano strettamente processuale, le modifiche che si
propongono si prefiggono due principali obiettivi: a)
restituire al codice di procedura penale l'originario spirito
accusatorio, pressoché interamente cancellato durante gli anni
dell'emergenza criminale e della crisi istituzionale; b)
adeguare il sistema processuale ai princìpi del giusto
processo, sanciti dal riformato articolo 111 della
Costituzione. Sotto quest'ultimo profilo, la riforma appare
indispensabile per uniformare l'ordinamento italiano a quelli
degli altri Stati dell'Unione europea, nei quali, da parecchio
tempo, sono applicati i princìpi del giusto processo. Del
resto l'articolo 111 della Costituzione riproduce, pressoché
interamente, le regole garantistiche già previste, al livello
internazionale, dall'articolo 6 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, fatta a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva
ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, e dall'articolo 14
del Patto internazionale relativo ai diritti civili e
politici, fatto a New York il 19 dicembre 1966, reso esecutivo
ai sensi della legge 25 ottobre 1967, n. 881.
Tenendo presente questa comune logica riformistica, la
presente proposta di legge contempla diversi settori
d'intervento, su ciascuno dei quali è opportuno soffermare
brevemente l'attenzione.
3. Estensione della partecipazione diretta del popolo
all'amministrazione della giustizia.
Al fine di rinvigorire i princìpi stabiliti dagli articoli
101 ("la giustizia è amministrata in nome del popolo") e 102,
terzo comma, della Costituzione ("la legge regola i casi e le
forme della partecipazione diretta del popolo
all'amministrazione della giustizia"), si propone
l'ampliamento della competenza della corte d'assise. Tra i
vari delitti che vengono attribuiti alla cognizione di tale
organo, sono inseriti quelli contro la pubblica
amministrazione e quelli in cui sono coinvolti, a vario
titolo, magistrati. In verità, considerate le vaste
proporzioni raggiunte, negli ultimi anni, dalla criminalità
amministrativa, e il ruolo di vittima indifesa che, spesso, in
siffatto contesto, assume il singolo cittadino, si è reso
necessario attribuire l'accertamento della lesione dei beni
giuridici, dell'imparzialità e del buon andamento della
pubblica amministrazione ad un giudice che assicuri una
decisione direttamente attribuibile al popolo. Analoghe
considerazioni valgono per l'attribuzione alla corte d'assise
dei reati commessi da magistrati, posto che la violazione
della legge da parte di un soggetto il quale,
istituzionalmente, dovrebbe essere garante della legalità,
rappresenta un fatto di eccezionale gravità e di enorme
disvalore. Quanto ai delitti coinvolgenti individui
appartenenti all'ordine giudiziario, nella veste di persone
offese o danneggiate, la competenza della "corte popolare" si
giustifica con l'esigenza di dissipare qualsiasi sospetto di
agevolazione corporativistica, che potrebbe derivare dalla
decisione emessa da un giudice nei confronti di un suo
collega. Le altre ipotesi delittuose nel nuovo articolo 5 del
codice di procedura penale si giustificano in quanto
riguardano delitti che tutelano beni giuridici, nei cui
confronti, negli ultimi anni, la sensibilità dei consociati è
notevolmente accresciuta (si pensi, ad esempio, ai reati a
sfondo sessuale). Mediante l'abrogazione del comma 2
dell'articolo 550 del codice di procedura penale, è stato,
altresì, limitato il potere del pubblico ministero di rinviare
direttamente a giudizio l'imputato, in forza del quale
quest'ultimo viene privato del proprio diritto alla
celebrazione dell'udienza preliminare, che, com'è noto,
rappresenta il primo momento in cui la difesa può
effettivamente contraddire in merito alla fondatezza
dell'imputazione.
4. Modifiche in tema di imparzialità del giudice e di
rimessione del processo.
Sempre nella prospettiva di adeguare l'attuale normativa
codicistica ai princìpi del giusto processo, si sono
ridefinite le cause di astensione e ricusazione del giudice,
nonché le modalità per rilevare le medesime, prevedendo le
situazioni concernenti il giudice procedente che rivelino la
violazione del principio di imparzialità e terzietà. Inoltre,
si introducono alcune modifiche dell'istituto della
rimessione, dalla cui operatività, talora, dipende, a ben
guardare, lo svolgimento di un effettivo giusto processo; in
tale prospettiva, si è intervenuti sulla vigente normativa
sotto un duplice profilo. Anzitutto, si è armonizzata la
disciplina codicistica con il principio n. 17, di cui al comma
1 dell'articolo 2 della legge n. 81 del 1987 recante delega
legislativa al Governo per l'emanazione del nuovo codice di
procedura penale, la quale, inspiegabilmente, era stata
disattesa dal legislatore delegato. Ed infatti, l'articolo 45
del codice di procedura penale, tra i casi di rimessione, non
contempla attualmente il "legittimo sospetto" di turbamento
dello svolgimento del processo, che, invece, era espressamente
previsto dal citato principio.
In secondo luogo, la modifica dell'articolo 45 del codice
di procedura penale intende rivitalizzare l'istituto de
quo, dal momento che, in questi dieci anni di vigenza del
codice di procedura penale, esso ha avuto un'applicazione
pressoché irrisoria. L'obiettivo perseguito, in definitiva, è
stato di adeguare la rimessione alla realtà concreta, per
evitare che, come spesso accade, vi siano processi a rischio
di un andamento distorto e poco sereno, a causa di situazioni
ambientali, la cui esistenza sia accertata o fondatamente
probabile.
5. Modifiche tese al rafforzamento del diritto di
difesa.
Il principio del giusto processo impone, tra l'altro, che
la persona accusata "disponga del tempo e delle condizioni
necessari per preparare la sua difesa", la quale,
conseguentemente, deve potersi esplicare in maniera davvero
effettiva e senza limitazioni che, più che circoscriverla, la
mortifichino. Per raggiungere tale scopo, i proponenti hanno
cercato di predisporre un articolato congegno normativo, che
eviti, in futuro, il consolidamento di prassi palesemente
lesive del diritto in parola, prassi che, come l'esperienza
insegna, negli ultimi anni si sono eccessivamente diffuse,
specialmente nei processi a forte impatto socio-politico. In
quest'ottica, tra le varie modifiche proposte, preme
evidenziare l'estensione della durata dei termini per la
difesa, il conferimento al giudice per le indagini preliminari
di nuovi poteri di garanzia e controllo sull'operato del
pubblico ministero; l'attribuzione al giudice dell'udienza
preliminare del potere di verificare l'effettiva completezza
del fascicolo contenente gli atti investigativi;
l'inutilizzabilità nel corso dell'udienza preliminare degli
atti della cosiddetta "indagine supplettiva" - cioé, di quella
indagine compiuta dopo la richiesta di rinvio a giudizio e
prima della comunicazione della data dell'udienza
preliminare.
6. Modifiche in ordine alla durata delle indagini
preliminari.
La prassi, invalsa in alcuni uffici giudiziari, di
ritardare l'iscrizione della notizia di reato nell'apposito
registro e, quindi, di allungare i termini di durata delle
indagini, non può più essere tollerata, soprattutto dopo la
modifica dell'articolo 111 della Costituzione, a norma del
quale la legge deve assicurare la "ragionevole durata" del
processo. La presente proposta di legge, pertanto, in
attuazione della citata riserva di legge, intende predisporre
alcuni rimedi e fissare alcune indefettibili regole, affinché
le lungaggini del processo non arrechino ulteriori ed
ingiustificati danni all'imputato e non ledano l'effettività
dell'accertamento penale e della stessa pena irrogata. Tra le
diverse modifiche avanzate, preme qui segnalare: a) la
fissazione del dies a quo delle indagini al momento in
cui il nome dell'indagato è pervenuto alla conoscenza del
pubblico ministero o della polizia giudiziaria e non come
avviene attualmente al momento in cui il predetto nome è
iscritto nel registro delle notizie di reato; b) la
previsione dell'inutilizzabilità di tutti gli atti di indagine
compiuti, qualora il pubblico ministero non abbia esercitato
l'azione penale o richiesto l'archiviazione nei termini di
legge; c) l'abrogazione dell'articolo 130 delle norme di
attuazione del codice di procedura penale, per porre fine alla
prassi in base alla quale il pubblico ministero iscrive, di
volta in volta, in un unico maxi-procedimento, tutte le
notizie di reato concernenti un determinato soggetto
(cosiddetto "procedimento ad personam").
7. Modifiche in tema di libertà personale.
Affinché le deroghe al principio costituzionale di non
colpevolezza dell'imputato mantengano la natura di extrema
ratio, è stato rinvigorito il principio di adeguatezza, che
dovrebbe ispirare tutta la materia della privazione in via
cautelativa della libertà personale; in tale prospettiva, è
soppresso il perverso meccanismo di automatismo
nell'applicazione della custodia cautelare, attualmente
previsto dall'articolo 275, comma 4, del codice di procedura
penale.
Inoltre, è data attuazione al principio dell'habeas
corpus, prevedendo, anche nel nostro ordinamento, un
istituto simile alla first appearance di origine
anglosassone. Si è introdotto, così, l'articolo 291-bis
del codice di procedura penale, in forza del quale, prima che
sia disposta una misura coercitiva di natura custodiale, il
giudice deve valutare, in contraddittorio con l'indiziato, gli
elementi sulla base dei quali il pubblico ministero ha
richiesto la privazione della libertà personale.
8. Modifiche in tema di patteggiamento.
Si amplia la soglia di applicazione portandola sino al
limite dei cinque anni di detenzione.
9. Modifiche in tema di variazione dell'imputazione e
contestazione suppletiva.
Con le proposte de quibus, si è inteso porre rimedio
alla prassi di non definire esattamente e chiaramente i
contorni dell'imputazione al momento dell'esercizio
dell'azione penale - come impone in codice - bensì di
rimandare la cristallizzazione dell'accusa al dibattimento (o,
nella migliore delle ipotesi, all'udienza preliminare). In
tale modo, com'è evidente, di fatto, si impedisce all'imputato
di preparare adeguamente la propria difesa, costringendolo a
difendersi su fatti che non gli sono stati contestati
tempestivamente, o vengono continuamente ridefiniti. La
presente proposta di legge, fatta salva la contestazione delle
circostanze aggravanti diverse da quelle ad effetto speciale e
da quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie
diversa da quella ordinaria del reato, vieta, pertanto, sia la
modifica dell'imputazione (ossia la contestazione del fatto
diverso), sia le cosiddette contestazioni supplettive (cioé,
le contestazioni del reato concorrente, del fatto nuovo, e
delle circostanze aggravanti a effetto speciale o di quelle
che comportano un cambiamento della pena da applicare). In
questa maniera, è assicurata - almeno per quanto concerne la
materia de qua- un'effettiva parità tra le parti
processuali, ispirandosi ai princìpi sanciti dall'articolo 111
della Costituzione.
10. Modifiche in tema di applicazione della sospensione
condizionale da parte del giudice dell'esecuzione.
Si prevede che, quando ne ricorrano le condizioni, il
giudice dell'esecuzione possa applicare la sospensione
condizionale della pena in caso di declatoria di
incostituzionalità o di abrogazione del reato.
11. Modifiche al codice penale.
Passando alle modifiche del diritto sostanziale, viene in
rilievo, anzitutto, l'introduzione nel codice penale
dell'articolo 323-ter, che stabilisce un trattamento
sanzionatorio più rigoroso dell'abuso d'ufficio commesso da un
magistrato. La maggiore pena, rispetto all'abuso d'ufficio
"ordinario", si pone in sintonia con l'indirizzo legislativo -
già manifestato con la legge n. 86 del 1990, che introdusse la
corruzione in atti giudiziari - di punire più severamente i
fatti delittuosi che offendono l'imparzialità e il buon
andamento della pubblica amministrazione, quando siano
commessi da soggetti appartenenti all'ordine giudiziario. Le
modifiche all'articolo 2 del codice penale costituiscono
un'estensione al fenomeno del reato continuato del principio
fondamentale dell'applicazione della legge più favorevole in
caso di successione di leggi penali nel tempo. Si tratta di
evitare la prassi elusiva posta in essere in questi anni,
della "frammentazione" di un'unica vicenda storica, in una
molteplicità di episodi distinti: in pratica, collocando la
"frazione" di condotta più recente oltre il termine di entrata
in vigore della legge meno favorevole si rende del tutto
inoperante la legge più favorevole (meno recente).
Di notevole importanza è la modifica dell'articolo
62-bis del codice penale, con la quale, prevedendosi,
tra l'altro, la necessaria applicazione, in determinati casi,
delle circostanze attenuanti, si è realizzato un duplice
obiettivo: da un lato, infatti, qualora dalla suddetta
obbligatoria applicazione discenda l'estinzione del reato per
prescrizione, si genera una deflazione del carico giudiziario;
dall'altro, s'impediscono le attuali disparità di trattamento,
in base alle quali, con eguali condizioni soggettive, un
imputato può beneficiare della prescrizione ed una altro no.
Proprio per quest'ultima ragione, si sono ampliate le ipotesi
di concessione obbligatoria delle circostanze attenuanti
generiche. Per meglio apprezzare il valore della presente
modifica, basta guardare il vigente articolo 226 del decreto
legislativo n. 51 del 1998, il quale, a determinate
condizioni, consente la pronunzia di una sentenza
inappellabile di non doversi procedere, quando, a seguito del
giudizio di comparazione delle circostanze, il reato risulti
estinto; sennonché, tale sentenza, essendo subordinata alla
mancata opposizione delle parti, finisce per dipendere in
buona sostanza, dalla scelta meramente discrezionale del
pubblico ministero.
Si prevede, inoltre, l'introduzione di una fattispecie
aggravata di abuso d'ufficio in atti giudiziari nell'ipotesi
in cui il reato sia stato commesso da magistrati.
Infine, si rende obbligatoria la concessione delle
sospensione condizionale della pena in caso di imputati
incensurati.