XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 795
Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge
detta una disciplina di carattere generale, applicabile alle
convenzioni concluse tra due persone conviventi maggiorenni,
al fine di regolare i rapporti reciproci nel corso della
convivenza e per il periodo successivo alla sua cessazione.
Il provvedimento non si propone di intervenire sul
controverso problema della disciplina giuridica della famiglia
di fatto in rapporto alla famiglia fondata sul matrimonio, né
si propone di dettare una normativa uniforme, applicabile a
tutte le convivenze. L'obiettivo più limitato della proposta
di legge è quello di dare a coloro che lo desiderino, o ne
abbiano necessità, uno strumento atto a regolare i propri
rapporti in dipendenza della decisione di instaurare una
convivenza: chi condivide l'esperienza della quotidianità e di
un'organizzazione domestica comune può avere l'esigenza di
regolare taluni aspetti dell'assetto di interessi che ne
deriva. Il problema può porsi in relazione all'esigenza di
tutelare situazioni soggettive attualmente sprovviste di
qualsiasi presidio, come quella del o della convivente che si
sia dedicato al lavoro domestico e di cura, dando un
contributo allo svolgimento del rapporto, contributo che
tuttavia non riceve alcun riconoscimento in caso di rottura
della convivenza. Il provvedimento in ogni caso non detta una
disciplina cogente, ma offre uno strumento convenzionale,
indicando la strada dell'accordo anche in relazione alla
tutela di tali interessi.
La scelta di fondo, dunque, è quella di affidare alla
libertà e alla responsabilità dei soggetti la cura dei propri
interessi. In tale modo il provvedimento, senza imporre alcuna
soluzione precostituita, si propone comunque di favorire una
pratica sociale che sia attenta alle esigenze di tutela del
soggetto che nel contesto di una relazione di convivenza è
economicamente più debole.
L'articolo 1 contiene innanzitutto una disposizione di
principio che riconosce alle persone maggiori di età la
facoltà di concludere accordi diretti a regolare i loro
rapporti durante la convivenza o dopo la sua cessazione.
Occorre peraltro sottolineare che - perlomeno per quanto
riguarda le clausole relative ai rapporti patrimoniali - tali
accordi devono senz'altro essere ritenuti ammissibili allo
stato della legislazione, in virtù del principio di autonomia
privata di cui all'articolo 1322 del codice civile. Come
precisa il comma 2 le clausole dell'accordo di contenuto
patrimoniale sono soggette alla disciplina generale dettata
per i contratti, e segnatamente per i contratti atipici; le
clausole destinate a regolare i rapporti personali, invece,
saranno valide esclusivamente nei limiti riconosciuti dalla
legge.
L'intervento del legislatore in questo campo ha, dunque,
un duplice scopo: da una parte confermare la validità degli
accordi, in particolare con riferimento agli aspetti
prettamente personali della relazione, con ciò promuovendone
anche la diffusione, e soprattutto disciplinarne alcuni
aspetti controversi, sui quali si registrano ancora
oscillazioni giurisprudenziali.
Il comma 3 dell'articolo 1 riguarda il profilo formale e
probatorio degli accordi di convivenza e stabilisce un
princìpio generale di libertà di forma, fatti salvi i
requisiti di cui all'articolo 1350 del codice civile. In altre
parole gli accordi possono essere conclusi anche verbalmente e
in ogni caso possono essere provati con ogni mezzo. Tuttavia,
se mediante la convenzione i conviventi regolano diritti su
beni immobili, si rende necessaria la forma scritta ai fini
della validità dell'atto di trasferimento, in conformità con i
princìpi generali dell'ordinamento. La scelta in favore del
principio di libertà di forma è stata dettata dalla esigenza
di favorire la diffusione degli accordi. Se si optasse per la
solennità del negozio, infatti, si limiterebbe eccessivamente
l'ambito dei destinatari della nuova disciplina alle fasce più
colte e abbienti della popolazione.
L'articolo 2 prevede la possibilità per i conviventi di
stabilire convenzionalmente che, per la durata del rapporto,
ciascuno è tenuto a contribuire alla vita in comune in
proporzione alle proprie sostanze e alla propria capacità di
lavoro professionale o casalingo. L'accordo può limitarsi ad
introdurre una regola di carattere generale ovvero
disciplinare più nel dettaglio entità, tempi e modi della
reciproca contribuzione.
L'articolo 3 sancisce l'irripetibilità delle attribuzioni
patrimoniali effettuate tra i conviventi in ragione della
prestazione di reciproca contribuzione, nonché di assistenza
morale e materiale, compiute in proporzione ai propri redditi,
alle proprie sostanze e alle proprie capacità di lavoro
professionale o casalingo. Si è ritenuto opportuno un
esplicito riferimento all'articolo 2034 del codice civile
innanzitutto per dare riconoscimento a un principio di diritto
fissato dalla giurisprudenza di legittimità, ormai costante
nell'affermare che le attribuzioni patrimoniali in questione
costituiscono adempimento di obbligazione naturale, il che
esclude l'azione di ripetizione. Inoltre, l'espressa
qualificazione in termini di obbligazione naturale risolve
in nuce eventuali problemi interpretativi, rendendo
senz'altro applicabili alle attribuzioni tra conviventi in
discorso tutte le conclusioni raggiunte in dottrina e in
giurisprudenza sul tema delle obbligazioni naturali (si pensi,
ad esempio, alla non necessità della forma solenne per
l'attribuzione, o alla necessità che l'attribuzione stessa sia
effettuata "spontaneamente", come richiesto - per l'appunto -
dall'articolo 2034 del codice civile). Peraltro, nel
ricondurre le attribuzioni patrimoniali tra conviventi
nell'ambito delle obbligazioni naturali, l'articolo 3 lascia
aperta la possibilità di accordarsi in maniera diversa nel
pieno rispetto del principio di libertà contrattuale.
La precisazione sul criterio di proporzionalità contenuta
nel comma 1, che pure è ricavabile implicitamente da alcune
pronunzie della Corte di cassazione, si rende necessaria per
evitare che si giunga al risultato di equiparare ogni
attribuzione tra conviventi - di qualsiasi importo -
all'obbligazione naturale, fino ad uno "svuotamento" del
patrimonio del disponente. Sotto questo profilo, il comma 2
chiarisce ulteriormente che se l'attribuzione eccede la misura
indicata dal comma 1 l'atto di disposizione costituisce a
tutti gli effetti donazione, con ciò che tale qualificazione
evidentemente comporta in termini di requisiti di forma e di
sostanza.
L'articolo 4 riguarda gli accordi con cui i conviventi
regolano l'assetto dei loro rapporti patrimoniali per il
periodo successivo alla cessazione della convivenza, con
particolare riferimento alla eventuale determinazione di un
assegno di mantenimento e all'attribuzione della casa
familiare. Naturalmente tali accordi non possono essere
conclusi in violazione del divieto di patti successori
contenuto nell'articolo 458 del codice civile.
Ai sensi del comma 1, i conviventi possono, in ogni
momento, disciplinare le conseguenze patrimoniali di
un'eventuale cessazione del loro rapporto, prevedendo la
corresponsione di un assegno di mantenimento mediante
versamenti periodici oppure in un'unica soluzione. Poiché la
fonte di tali obblighi è in ogni caso convenzionale, la
valutazione circa le condizioni economiche delle parti e le
opportunità di lavoro perdute in conseguenza delle rinunce
compiute per dedicarsi alla vita comune è effettuata dagli
stessi conviventi e non si rende dunque necessaria ai fini del
riconoscimento del diritto all'assegno.
I successivi commi dell'articolo 4 regolano la facoltà per
i conviventi di stabilire a quale dei due l'abitazione della
casa familiare sia attribuita in caso di cessazione della
convivenza. Il comma 2 comma dell'articolo 4 stabilisce che
l'accordo dei conviventi relativo alla successione nel
contratto per acquistare efficacia deve essere comunicato al
proprietario dell'immobile, o al dante causa, mediante
raccomandata con ricevuta di ritorno.
Per quanto riguarda l'ipotesi in cui la casa familiare sia
di proprietà di uno o di entrambi i partner, il comma 3
prevede che l'abitazione possa essere attribuita sia a titolo
di diritto reale ai sensi dell'articolo 1022 del codice
civile, sia a titolo di diritto personale di godimento. In
tale ultimo caso, l'ultimo comma dell'articolo 4 dispone che
ai fini dell'opponibilità ai terzi acquirenti è necessaria la
trascrizione del titolo.
L'articolo 5 è una disposizione, senz'altro innovativa
allo stato della legislazione, che potrà avere un'importante
funzione promozionale nell'ottica di un riconoscimento più
ampio del principio di autodeterminazione in materia di
salute. La norma prevede la facoltà per il paziente di
designare il proprio convivente quale persona legittimata ad
assumere decisioni circa la propria salute per il caso in cui
egli si trovi in stato di incapacità. Al fine di garantire
l'effettività del principio di autodeterminazione anche nelle
circostanze in cui la persona venga a perdere la capacità di
decidere ovvero di comunicare le proprie decisioni in ordine
all'accettazione o al rifiuto di certi interventi medici, si
rende necessario prevedere uno strumento nuovo che consenta
all'interessato/a, finché si trova nel possesso delle sue
facoltà mentali, di indicare la persona che viene delegata
all'assunzione di tali decisioni.
Questo strumento, noto alla prassi di altri ordinamenti
come "durable power attorney", non esaurisce peraltro la
gamma degli strumenti volti a dare attuazione al principio di
autodeterminazione; in particolare, restano fuori dall' ambito
del provvedimento le direttive anticipate di volontà
(cosiddetto "living will"). Si ritiene tuttavia che nel
contesto di un provvedimento destinato a regolare la materia
degli accordi di convivenza sia opportuno prefigurare almeno
la nomina del delegato, allo scopo di affrontare alcuni
delicati problemi che di fatto si presentano nella fase
terminale di malattie come il cancro o l'AIDS. In queste
situazioni, nelle quali la persona rimane spesso priva della
capacità di prendere decisioni consapevoli, si è ritenuto
opportuno prevedere la possibilità per il paziente di indicare
il partner come soggetto di fiducia che eserciti in sua
sostituzione le facoltà relative al consenso informato a
preferenza dei soggetti attualmente legittimati, che sono solo
i prossimi congiunti.
In considerazione della delicatezza dell'incarico e delle
responsabilità che ne possono derivare, si prevede che
l'accordo debba essere concluso per iscritto dai conviventi
nel pieno possesso della capacità di intendere e di volere e
con sottoscrizione autenticata. Gli effetti della designazione
si producono nel caso in cui sopravvenga uno stato di
incapacità e comprendono sia il diritto per il convivente di
conoscere i dati sanitari del partner, sia il diritto di
prestare o rifiutare il consenso in relazione ai trattamenti
sanitari.
L'articolo 6 contiene un complesso di disposizioni il cui
obiettivo consiste nell'armonizzazione del sistema di
interventi giudiziari previsti nella disciplina dei rapporti
tra genitori e figli naturali.
Il comma 1 introduce innanzitutto una modifica articolo
317-bis del codice civile; in particolare, è mantenuta
la previsione secondo cui il giudice può adottare in materia
di potestà sui figli naturali provvedimenti diversi rispetto a
quanto dispone in termini generali lo stesso articolo
317-bis, ma viene eliminata la possibilità di escludere
entrambi i genitori dall'esercizio della potestà, ferma
restando evidentemente l'applicazione degli articoli 330 e 333
del codice civile.
L'articolo 6, inoltre, introduce l'articolo 317-ter
del codice civile destinato a regolare l'intervento del
giudice nei rapporti tra figli naturali e genitori, sia nel
caso in cui questi ultimi convivano, sia nel caso in cui non
convivano più o non abbiano mai convissuto.
Il primo comma dell'articolo 317-ter prevede che
l'accordo con cui i genitori naturali regolano l'affidamento e
il mantenimento dei figli possa essere sottoposto al giudice
affinché questi ne verifichi la rispondenza all'interesse dei
figli. Con la disposizione in esame si è inteso riconoscere la
piena vincolatività degli accordi tra conviventi riguardanti i
rapporti con i figli, sia sotto il profilo patrimoniale che
personale. L'intervento del giudice potrà essere richiesto dai
genitori nel caso in cui intorno alle questioni oggetto
dell'accordo insorga tra loro una controversia, ma non solo in
questa ipotesi; in altre parole, il patto potrà essere
sottoposto al giudice - affinché ne valuti la rispondenza
all'interesse del minore - in qualsiasi momento. In tale caso,
il comma 4 dell'articolo 6 in esame prevede, sotto il profilo
procedurale, l'applicazione degli articoli 737 e seguenti del
codice di procedura civile che disciplinano, com'è noto, i
procedimenti in camera di consiglio, nonché l'applicazione
dell'articolo 710 del medesimo codice per quanto attiene alla
modificabilità dei provvedimenti assunti dal giudice.
Il secondo comma dell'articolo 317-ter del codice
civile disciplina invece l'ipotesi in cui i genitori naturali
non abbiano raggiunto alcun accordo volto a regolare i
rapporti con i figli per il periodo successivo alla cessazione
della convivenza. In questo caso, la disposizione prevede che
i genitori possano, insieme o separatamente, ricorrere al
giudice affinché disponga a quale di essi i figli vanno
affidati, stabilisca la misura in cui l'altro deve contribuire
al mantenimento, all'istruzione e all'educazione e adotti,
analogamente a quanto accade in caso di separazione dei
coniugi, ogni altro provvedimento relativo alla prole con
esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di
essa. Si è ritenuto opportuno richiamare per tale ipotesi
l'articolo 155 del codice civile in materia di separazione
giudiziale, nei limiti peraltro della compatibilità con le
disposizioni della legge.