XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 769
Onorevoli Colleghi! - Negli ultimi anni molti fatti di
cronaca, anche giudiziaria, hanno posto all'attenzione della
opinione pubblica il problema della regolarità e della
correttezza dei pubblici concorsi.
Mentre in altri settori della vita amministrativa dello
Stato vi sono state numerose iniziative che hanno fatto luce,
sia pure parzialmente, sulle aree di malaffare connesse
all'esplicazione di potestà pubblicistiche, il reclutamento
del personale tramite concorso non ha fruito di una azione di
moralizzazione nemmeno paragonabile.
La voce pubblica continua ad individuare negli esiti delle
procedure concorsuali il frutto delle pressioni e delle
intromissioni di centrali di potere palesi od occulte, più che
il risultato di selezioni mirate ad individuare le capacità e
il merito dei candidati.
Anche l'ultima normativa emanata per garantire trasparenza
ed efficienza nello svolgimento dei concorsi per il pubblico
impiego non pare avere sortito l'effetto moralizzatore
auspicato, tanto più che le nuove regole dettate sono in
moltissimi casi derogate da questa o quella lex
specialis che ne verifica lo spirito. L'alone di sospetto
che circonda tali procedure concorsuali del resto è
determinato da elementi oggettivi che non possono essere
sottaciuti.
La casistica delle problematiche relative all'espletamento
dei pubblici concorsi è quanto mai varia.
Innanzitutto la selezione del personale amministrativo
avviene nella maggior parte dei casi attraverso lo svolgimento
di prove scritte costituite da elaborati o temi, la cui
correzione e valutazione è effettuata utilizzando parametri
del tutto discrezionali, che sfuggono a qualsiasi possibilità
di controllo, con una violazione evidente dei princìpi di
parità di trattamento e di trasparenza nell'attività
amministrativa.
Inoltre non sempre la preparazione dei commissari è
congruente e di livello adeguato rispetto ai campi di materia
investiti dalle prove.
I tempi nei quali vengono indetti i pubblici concorsi,
quelli di svolgimento delle prove, della loro correzione,
della pubblicazione delle graduatorie e infine delle nomine
dei vincitori sono spesso assurdi. Si va infatti dall'estremo
di concorsi le cui prove consistono in elaborati estremamente
complessi, la cui correzione incredibilmente avviene (senza
qui usare iperboli) in pochi minuti, a concorsi che si
protraggono per anni e anni fino a quasi perdersi nel nulla, i
cui esiti addirittura vengono superati da quelli di concorsi
successivi banditi per ricoprire gli stessi posti.
Non è raro, in particolare per concorsi relativi a
carriere comportanti grande responsabilità, che risultino
vincitori i candidati eccellenti già da prima indicati
dall'opinione pubblica come sicuri destinatari del posto.
I metodi per garantire l'anonimato degli elaborati,
usualmente adottati, inoltre, appaiono del tutto inadeguati,
in quanto è sufficiente a coloro che sono impegnati nella
correzione riconoscere l'incipit o la grafia dei
candidati che intendono favorire.
Quando poi il concorso si fonda anche su di una
valutazione di titoli, la stessa formulazione del bando può
diventare il mezzo con il quale selezionare surrettiziamente,
predisponendo un punteggio adeguato, i concorrenti che si
vogliono aiutare.
L'introduzione dei cosiddetti "test bilanciati", pur
di per sé lodevole tentativo di utilizzare metodi obiettivi di
valutazione della cultura dei candidati, sta favorendo - per
le modalità con cui essi vengono predisposti - un'ulteriore
patologia nei concorsi pubblici. Tale tipo di prova, infatti,
basandosi su una apparente scientificità e sistematicità delle
domande relative al tipo di lavoro oggetto del concorso, più
che valutare la reale preparazione e capacità, sembra fondarsi
sul tentativo di far cadere in errore il concorrente, magari
su nozioni generali che potrebbero non costituire mai il campo
del proprio impegno professionale, mentre viene ignorato
quest'ultimo.
Così, tra commissioni impreparate, metodi che non
garantiscono l'imparzialità dell'esame o che non garantiscono
la selezione migliore per la pubblica amministrazione, si è
creata una vera e propria industria del concorso, che trae i
suoi profitti dalla abbondante messe costituita dai giovani e
non più giovani senza lavoro. Tale attività, perfettamente
lecita da un punto di vista generale, si interseca con i
dubbi, i sospetti, le illegittimità scoperte e intuite, le
approssimazioni metodologiche e contenutistiche che tutti
conoscono e che si è cercato di ricordare, costituendo così
una sorta di fabbrica delle illusioni per le centinaia di
migliaia di cittadini coinvolti. Lo Stato e gli enti pubblici,
con il comportamento non corretto, ingiusto, parziale dei
responsabili di tale delicato settore, alimentano un commercio
infinito di libri, testi, dispense, lezioni, che non
garantiscono mai, o quasi mai, sul grado di preparazione
richiesta. L'alea è infatti vastissima: mentre in un concorso
svolto in un ente locale per alcuni posti di livello
superiore, è stata data la possibilità di consultazione dei
testi normativi, nello stesso ente, in un concorso per
impiegati svolto una settimana dopo, tale possibilità è stata
negata.
Gli effetti che questo stato di cose produce sono
estremamente negativi.
Innanzitutto, come è evidente, viene frustrata la stessa
esigenza di efficienza e imparzialità dell'azione
amministrativa, in quanto viene travolta la stessa ratio
che sta a monte della scelta costituzionale di utilizzare il
metodo concorsuale per la scelta degli impiegati pubblici.
Ma l'inadeguatezza del personale prescelto è soltanto il
minore dei mali.
Attraverso la possibilità, reale o ritenuta tale dal
contesto sociale, di influenzare gli esiti concorsuali,
numerosi personaggi della "prima Repubblica" hanno costruito
le loro fortune elettorali.
La legislazione mirante a colpire la pratica del voto di
scambio, che sovente trae alimento proprio dalle situazioni
suesposte, risulta del tutto insufficiente per arginare questo
fenomeno, che nel passato ha contribuito ad avvilire la vita
democratica della nazione italiana, attraverso vasti fenomeni
di clientelismo e di controllo dello stesso corpo
elettorale.
Ma il problema si presenta ancora più grave e
insidioso.
Infatti, la stessa macchina amministrativa viene
sostanzialmente a perdere le caratteristiche di imparzialità
che dovrebbero connotarla. Attraverso il controllo delle
procedure concorsuali, infatti, centrali di potere possono
puntare ad asservire intere branche della pubblica
amministrazione.
Il fenomeno di "Tangentopoli" non si comprende appieno se
non si valuta quanto abbiano inciso i fenomeni descritti nella
generazione delle pratiche di corruzione.
Non a caso gli ultimi anni dei governi di pentapartito
sono stati contraddistinti dal tentativo di scollegare gli
organi politici dal controllo della macchina amministrativa,
nel nome di pretese esigenze di moralizzazione, quantomeno
sospette alla luce delle vicende emerse negli ultimi tre anni
a carico dei movimenti politici che se ne sono fatti
interpreti.
Sul piano logico questa impostazione risulterebbe
ineccepibile se effettivamente i metodi di selezione,
soprattutto con riguardo ai ruoli di maggiore importanza,
risultassero affidati trasparentemente. In caso contrario il
problema tende ad aggravarsi, come dimostra l'esperienza di
questi anni, in quanto la burocrazia viene a strutturarsi come
depositaria di un potere sostanzialmente insindacabile, che
può operare al di fuori di qualsiasi efficace forma di
controllo sociale.
In conclusione, da un lato rischia di perpetuarsi così un
vero e proprio potere occulto che controlla l'assegnazione
degli incarichi dirigenziali in settori delicatissimi che
costituiscono il cuore della vita democratica della Nazione, e
dall'altro lato si creano a tutti i livelli meccanismi
clientelari, favoritismi e ingiustizie, che rendono in
particolare le giovani generazioni sfiduciate rispetto
all'azione dello Stato e alla possibilità di conseguire un
dignitoso posto di lavoro attraverso l'impegno personale e il
merito.
Per questo si propone l'istituzione di un'apposita
Commissione parlamentare di inchiesta, affinché il Parlamento
non si tiri indietro nell'arduo compito di portare finalmente
trasparenza ed efficienza nell'azione amministrativa di
selezione dei pubblici impiegati, delicato settore in cui non
si è ancora avvertita l'opera moralizzatrice da parte della
magistratura.