XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 733




        Onorevoli Colleghi! - L'articolo 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, attribuisce la funzione di avviare il procedimento di prevenzione nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o similari:

            al Procuratore nazionale antimafia;

            al questore nella cui provincia dimora la persona interessata;

            al procuratore della Repubblica nel cui circondario dimora la persona interessata.

        Tale norma, però, nella parte in cui attribuisce al procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario dimora la persona interessata la competenza a promuovere il procedimento, anziché al procuratore della Repubblica presso il tribunale che ha sede nel capoluogo del distretto in cui dimora tale persona, benché sia stata introdotta successivamente al decreto-legge 20 novembre 1991, n. 367, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 gennaio 1992, n. 8, rivela un manifesto difetto di coordinamento con la normativa portata da questi ultimi provvedimenti legislativi e, in particolare, con l'attribuzione, da parte del comma 3-bis dell'articolo 51 del codice di procedura penale, al procuratore distrettuale della Repubblica delle funzioni di pubblico ministero in tutti i procedimenti penali per i delitti di stampo mafioso.
        Non v'è chi non veda come l'attribuzione della funzione di promuovere il procedimento di prevenzione nei confronti degli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all'articolo 416-bis del codice penale ad un pubblico ministero diverso da quello cui è attribuita la funzione di promuovere il procedimento penale per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale e per tutti i delitti di stampo mafioso sia contraria ad ogni logica organizzativa e ordinamentale e, dunque, concretamente suscettibile di compromettere l'efficacia dell'azione di prevenzione criminale degli organi del pubblico ministero e, dunque, della complessiva risposta dello Stato ai poteri criminali "forti".
        Di norma, invero, gli elementi di fatto, sulla cui base viene formulata la proposta di applicazione di misure di prevenzione, emergono nel corso delle indagini preliminari concernenti i delitti di stampo mafioso e sono, quindi, proprio nella fase in cui è più importante il ricorso al procedimento di prevenzione, nella disponibilità del procuratore distrettuale della Repubblica, il quale da nessuna norma è obbligato a comunicarli - se non nel caso, solo eventuale, disciplinato dall'articolo 23-bis, commi 1 e 2, della legge 13 settembre 1982, n. 646, in cui le indagini sfocino in un'imputazione che abbia per oggetto il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale o quello di cui all'articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, (articolo 23-bis, commi 1 e 2, della legge n. 646 del 1982) - al procuratore della Repubblica competente per il promuovimento del procedimento di prevenzione che eserciti le sue funzioni presso un tribunale con sede in un capoluogo di circondario che non sia anche capoluogo di distretto.
        Né tale discrasia può trovare adeguato bilanciamento nella attribuzione - frutto della sostituzione dell'articolo 2 della legge n. 575 del 1965 ad opera dell'articolo 22, comma 01, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 - del potere di promuovere il procedimento di prevenzione anche al Procuratore nazionale antimafia, giacché tale potere - peraltro assai spurio se si considerano la struttura di tale organo e le sue funzioni di alto coordinamento e, solo in casi eccezionali, di supplenza, organizzativa o processuale, dell'attività dei procuratori distrettuali della Repubblica - riguarda solo le misure personali e non anche le misure patrimoniali di prevenzione, come è facilmente desumibile dal fatto che, a differenza di quanto disposto dall'articolo 2 della legge n. 575 del 1965, di tale organo nessuna menzione v'è nelle norme, pur modificate o introdotte dal citato decreto-legge n. 306 del 1992, concernenti tale ultimo tipo di misure (articoli 2-bis, 2-ter e 3-quater della citata legge n. 575 del 1965).
        Sulla base di analoghe considerazioni, il tribunale di Napoli ha di recente ripetutamente rilevato la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell'articolo 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, appunto nella parte in cui attribuisce la funzione di promuovere il procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali previste dalla legislazione antimafia al procuratore della Repubblica presso il tribunale che ha sede nel capoluogo del circondario, anziché al procuratore della Repubblica presso il tribunale che ha sede nel capoluogo del distretto, in cui dimora la persona interessata, opinando il contrasto di tale norma con il principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e con quello di buon andamento della pubblica amministrazione; e le relative ordinanze, pronunziate in data 28 aprile, 5 maggio e 22 settembre 1995, sono state pubblicate, le prime due, nella Gazzetta Ufficiale n. 214 del 13 settembre 1995, e l'ultima, nella Gazzetta Ufficiale n. 285 del 6 dicembre 1995.
        La irragionevolezza di tale disciplina mi pare, però, tanto grave ed evidente da indurmi a proporre, prima ed al di là di quelle che saranno le valutazioni della Corte costituzionale, la modifica legislativa di cui all'articolo 1, che, attibuendo ai cosiddetti procuratori distrettuali antimafia il potere di proposta in materia di misure di prevenzione antimafia ora di spettanza dei procuratori della Repubblica presso i tribunali nel cui circondario dimora la persona interessata, sarebbe in grado di superare i problemi pratici e giuridici che l'attuale disciplina pone, nonché la prospettata questione di costituzionalità.
        Le modifiche proposte con l'articolo 1, così come l'eventuale accoglimento da parte della Corte costituzionale della questione di costituzionalità sopra esposta, comporterebbero, però, per effetto del rinvio alla legge 31 maggio 1965, n. 575, disposto dall'articolo 19, primo comma, della legge 22 maggio 1975, n. 152, l'attribuzione ai cosiddetti procuratori distrettuali antimafia del compito di promuovere l'applicazione delle misure di prevenzione nei confronti dei soggetti di cui ai numeri 1) e 2) dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, cioè di soggetti che spesso nulla hanno da spartire con le associazioni di tipo mafioso.
        Per evitare ciò, e per armonizzare l'ambito delle attribuzioni in materia di misure di prevenzione dei cosiddetti procuratori distrettuali antimafia con le funzioni a questi ultimi spettanti in materia penale (v. articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale) e conservare ai procuratori della Repubblica che esercitano le loro funzioni presso tribunali che non hanno sede nei capoluoghi dei distretti di corte di appello le attribuzioni in materia di misure di prevenzione nei confronti dei delinquenti comuni - fatta eccezione per quelli di cui al n. 3) dell'articolo 1 della legge n. 1423 del 1956, che già oggi possono essere proposti solo dai questori - si propongono, all'articolo 3, l'abrogazione del primo comma dell'articolo 19 della legge n. 152 del 1975, e le modifiche di cui all'articolo 2, le quali, inoltre, hanno lo scopo di circoscrivere l'applicabilità della disciplina in materia di misure di prevenzione antimafia ai soli soggetti nei cui confronti ricorrano "indici di mafiosità", che s'è ritenuto di dover ravvisare (in armonia con quanto avvenuto con l'introduzione, ad opera dell'articolo 2 del decreto-legge 20 giugno 1994, n. 399, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1994, n. 501, dell'articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356) nella sussistenza di indizi di dedizione a talune attività delittuose di norma rientranti tra quelle svolte dalle associazioni di tipo mafioso, cioè: l'estorsione; il sequestro di persona a scopo di estorsione; l'usura; l'usura impropria; la ricettazione di non lieve entità; il riciclaggio; il traffico di non lieve entità di sostanze stupefacenti; il contrabbando aggravato.
        Quanto a quest'ultimo punto va, infatti, rilevato che la vigente disciplina, ricavabile dall'articolo 14, comma 1, della legge 19 marzo 1990, n. 55, non consente l'applicazione delle misure patrimoniali di prevenzione - e, in particolare, del sequestro e della confisca previsti dall'articolo 2-ter della legge n. 575 del 1965 - nei confronti di chi sia dedito ad attività usuraie, in tal modo mettendo in luce una grave lacuna, oltre che una palese incongruità in rapporto a quanto disposto dall'articolo 12-sexies citato.
        Infine, onde superare i problemi pratici e giuridici che potrebbero derivare dal nuovo riparto di attribuzioni tra gli uffici del pubblico ministero in materia di misure di prevenzione, e che già derivavano dalla prevalente opinione giurisprudenziale secondo cui, in subiecta materia, l'incompetenza territoriale del pubblico ministero proponente sarebbe causa di nullità o di inammissibilità della proposta, con l'articolo 4 si propone di estendere al procedimento di prevenzione la disciplina in materia di contrasti tra pubblici ministeri dettata dal codice di procedura penale.
        In tal modo dovrebbe risultare chiaro che, anche in materia di misura di prevenzione, solo per il giudice si può parlare di "competenza" e che l'eventuale "incompetenza" del pubblico ministero proponente non è causa di nullità degli atti di indagine preliminari alla proposta né della medesima proposta.




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