XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 704




        Onorevoli Colleghi! - L'esplosione dell'effetto della sindrome della "vacca pazza", ovvero dell'encefalopatia spongiforme bovina (BSE), che ha colpito l'Europa in questi ultimi anni e che ha avuto il suo apice nel corso di quest'anno, dà modo di ragionare sugli attuali indirizzi produttivi dell'agricoltura e della zootecnia, proprio a partire da alcune riflessioni relative alla malattia. La vicenda nel suo insieme ha dimostrato l'estrema disinformazione dispensata alla popolazione europea, sottovalutando il problema e diffondendo tranquillità mentre si tagliavano i fondi alle ricerche che potevano smentire le voci ufficiali o mentre i ricercatori già temevano il possibile contagio per l'uomo. Nel giugno 1995 si svolgevano conferenze internazionali per spiegare che il pericolo poteva definirsi cessato, eppure erano già presenti i problemi di contagio per l'uomo, poi tragicamente manifestatisi in particolare negli ultimi due anni, con una serie allarmante di morti. L'insegnamento che discende da questa patologia è, in estrema sintesi, quello dell'elevata pericolosità di un sistema di allevamento estremamente tecnologico che non si perita di utilizzare qualsiasi mezzo pur di ottenere il maggior tornaconto possibile.
        I motivi che hanno generato tale patologia vanno infatti cercati proprio nelle trasformazioni indotte nella zootecnia, che ha legato la prosperità al concetto produttivistico imperante, ovvero alla crescita esponenziale dell'aumento della quantità delle produzioni a discapito della qualità e dei princìpi basilari del controllo igienico-sanitario. Per questa spasmodica ricerca produttiva si sono somministrate alle bovine lattifere farine proteiche derivate da animali morti. E per motivi meramente di guadagno industriale è stato concesso di diminuire da due ad uno i passaggi nei forni, a minore temperatura, eliminando l'estrazione dei grassi con solventi: l'abbassamento del livello dei trattamenti non rendeva più inattivo l'agente infettante che così ha potuto contagiare i bovini.
        La BSE sottolinea i rischi insiti in un certo mondo produttivo che sottostima tutto quello che non è in crescita quantitativa. E proprio questo principio economico è alla base dello sviluppo degli allevamenti industrializzati, necessari per rispondere alle esigenze di sempre maggior produttività a minore costo.
        La situazione della zootecnia italiana vede una presenza di circa 9 milioni di bovini e suini e svariati milioni di polli, nonché tacchini e conigli. La distribuzione è altamente irregolare ed è notevole il fatto che i dati relativi ad essa sono difficilmente rintracciabili dai vari Ministeri. La distribuzione degli animali nelle due tipologie di allevamento si può suddividere in allevamenti tradizionali, ovvero aventi una certa percentuale di terreno, ed allevamenti industrializzati, noti anche come allevamenti "senza terra".
        La situazione presente sul nostro territorio è di una grande concentrazione di animali nel bacino del Po e di una elevata prevalenza di allevamenti industrializzati o "senza terra".
        Gli allevamenti industrializzati configurano una serie di gravi conseguenze. Innanzi tutto il maltrattamento degli animali che è provocato dalla situazione intrinseca; essi sono costretti a vivere in piccoli spazi, perché così si può allevare un maggiore numero di capi con minore spesa (realtà che si ripete sia per i vitelli da latte, sia per i vitelloni, sia per i conigli, i polli e le oche; queste ultime addirittura inchiodate al terreno) spesso con luce non naturale e lettiera non idonea. Vi è una costante incuria per le esigenze sociali ed etologiche (separazione precoce dei figli della madre, impossibilità di svolgere attività di interscambio come avviene in natura tra animali che convivono, impossibilità anche di accudirsi, toelettarsi, eccetera). A tutto ciò si devono aggiungere i trattamenti cui sono sottoposti gli animali con massicce dosi di farmaci, per impedire lo svilupparsi delle malattie che le condizioni di stress possono provocare.
        Inoltre l'allevamento industriale italiano richiede l'importazione di vitelli da altri Paesi (Francia, Est europeo) con gravi disagi per gli animali che viaggiano per molte ore senza essere nutriti e abbeverati.
        Un'altra grave conseguenza è lo smaltimento delle deiezioni degli animali, in quanto i reflui che si ottengono in alcuni tipi di allevamento (vitelli a carne bianca, suini) costituiscono il liquame, miscela di acqua e feci, i cui elementi nutritivi sono troppo diluiti per poter svolgere una efficace azione fertilizzante ma rimangono altamente inquinanti ed arricchiscono il terreno di nitrati e nitriti, che possono passare nelle falde acquifere. Gli allevamenti della pianura padana producono deiezioni pari ad una popolazione umana di oltre 120 milioni di individui (che si sommano all'inquinamento prodotto dai milioni di esseri umani che qui vivono) e concorrono all'inquinamento dell'Adriatico per almeno il 14 per cento. Ed un altro 20 per cento è dovuto dall'agricoltura, gran parte della quale è al servizio del settore zootecnico. Un suino adulto è in grado di inquinare da 4 a 6 metri cubi di acqua al giorno.
        L'allevamento industriale configura inoltre un vero spreco energetico dovuto al fatto che per produrre un chilogrammo di carne un bovino consuma almeno 11 chilogrammi di mangime, 4,5 chilogrammi un suino, 4 chilogrammi un coniglio e circa 3 chilogrammi un pollo. I cereali con cui si producono i mangimi utilizzano molte risorse ambientali: acqua (l'agricoltura abbisogna del 70 per cento di quella utilizzata ed il mais richiede 1.000 tonnellate di acqua per ogni tonnellata di prodotto); concimi biologici (letame) e chimici (che hanno bisogno a loro volta di materie prime ed energia per la loro produzione), prodotti petroliferi per le macchine agricole. Ogni ettaro di mais, ad esempio, richiede 90 chilogrammi di prodotti chimici (diserbanti, pesticidi, concimi).
        Né si possono negare i rischi per i consumatori, derivanti da questo tipo di zootecnia, rischi che sono legati alle sostanze che gli animali introducono con l'alimentazione o con i trattamenti cui sono sottoposti (anabolizzanti, ormoni, antibiotici, antiparassitari). Gli anabolizzanti (ormoni e beta agonisti), se riescono a sfuggire ai sistemi di controllo, possono restare nelle carni e venire consumati dall'uomo con gravi conseguenze: si ricordano ancora gravi casi avvenuti negli anni sessanta; problemi di intossicazione dovuti ai beta agonisti, sostanze molto usate, registrati in Spagna, Francia ed anche in Italia. In Italia nell'agosto del 1996 vi è stato un caso di intossicazione collettiva per il quale ben sessantadue persone sono state costrette a ricorrere alle cure dell'ospedale, nel napoletano. Il problema dei residui di queste molecole va esaminato anche alla luce dei recenti studi sull'azospermia dei maschi umani conseguente ai residui degli ormoni della pillola che ritornano in circolo. Questa ipotesi dovrebbe preoccupare moltissimo in quanto i residui delle cure "ormonali" degli animali sono molto più abbondanti quantitativamente, perché le somministrazioni agli animali sono sicuramente più elevate.
        Tra i vari tipi di allevamento merita un cenno di particolare attenzione, per la crudeltà che prefigura nei confronti degli animali, l'allevamento del vitello a carne bianca, detto anche sanato, lattone, vitella, eccetera. Questo allevamento rappresenta un maltrattamento per gli animali, allontanati dalla madre a pochi giorni di età (3-15); i vitelli affrontano viaggi anche di quarantotto ore senza alimentazione e trascorrono sei mesi di vita in un piccolo box (60 centimetri di larghezza) alla catena, impossibilitati a muoversi; sono nutriti esclusivamente con latte ricostituito, dieta carente di ferro e antifisiologica in quanto li porta ad utilizzare uno solo dei quattro stomaci naturali: immobilità forzata e dieta lattea priva di ferro sono i mezzi necessari per fare restare le carni anemiche e quindi pallide ("bianche").
        Il vitello a carne bianca è inoltre un rischio per la salute umana in quanto la condizione di continuo stress per l'impossibilità di soddisfare i bisogni etologici e fisiologici e le carenze alimentari inducono una immuno-depressione tale da rendere indispensabile l'uso massiccio di farmaci per evitare forme patologiche; per ottenere inoltre incrementi innaturali di peso (fino a 300 chilogrammi in sei mesi contro 200 che si raggiungerebbero con altri sistemi di allevamento) i vitelli sono sottoposti a trattamenti con promotori di crescita quali ormoni e beta agonisti; i residui di questi farmaci possono restare nella carne e causare forme di intossicazione o danni a lungo termine al consumatore. Le indagini effettuate dai servizi veterinari delle aziende sanitarie locali piemontesi, dove questi controlli sono particolarmente curati, hanno evidenziato negli anni scorsi una percentuale di allevamenti con animali che avevano presenza di residui di sostanze ormonali o ormono-simili variabile dal 51 al 78 per cento del totale degli esami fatti, quando la percentuale degli allevamenti raggiunge appena il 5 per cento del totale.
        Questo allevamento rappresenta una produzione poco efficiente poiché spreca più risorse rispetto a quello che rende; infatti si macellano vitelli giovani di sei mesi che hanno un pessimo rendimento energetico (cioè il rapporto tra cibo introdotto ed accrescimento corporeo) rispetto ad un bovino adulto.
        Infine, vi è un problema sociale poiché il traffico di prodotti illegali alimenta un giro multimiliardario a vantaggio esclusivo di pochi, mentre le conseguenze in termini di costi e salute sono pagate da tutti (controlli, disinquinamenti, cure, eccetera).
        Più in generale, poi, bisogna valutare come gli enormi interessi economici relativi al comparto zootecnico suscitano gli interessi di speculatori di ogni tipo che possono utilizzare le strutture industrializzate per investire rilevanti cifre economiche anche di dubbia provenienza. Inoltre, le normative fiscali riguardanti l'imposta sul valore aggiunto, che notoriamente garantiscono un regime diverso per gli allevatori, favoriscono la realizzazione di giochi fiscali al preciso scopo di trarre illeciti guadagni.
        Questo stato di fatto è noto ed è ribadito periodicamente dai riscontri effettuati dagli organi dello Stato a ciò preposti.
        Questa situazione ha creato uno stato di concorrenzialità diseguale che favorisce gli allevamenti industrializzati a svantaggio di quelli gestiti in modo tradizionale, che oltretutto sono quelli a minor impatto ambientale.
        Per tutti questi motivi appare necessario il bisogno di regolare il sistema dell'allevamento per rispondere alle insopprimibili esigenze di garantire il benessere agli animali e, nello stesso tempo, di tutelare la salute dei consumatori, perché animali allevati in modo più rispondente alle loro esigenze etologiche e fisiologiche saranno più sani ed avranno quindi bisogno di minori cure terapeutiche. Inoltre allevamenti più a "misura di animali" saranno sicuramente anche meno inquinanti nei confronti dell'ambiente.
        Per quanto riguarda il benessere degli animali va ricordato che la legge 22 novembre 1993, n. 473, sancisce che sia soggetto a denuncia penale chi incrudelisce verso gli animali anche "detenendoli in condizioni incompatibili con la loro natura". In questo senso, molti allevamenti sembrano già aver oltrepassato il confine che separa l'allevamento dallo sfruttamento con sistemi innaturali e crudeli.
        La presente proposta di legge nasce quindi dall'esigenza di garantire agli animali d'allevamento condizioni di vita più rispondenti alle loro esigenze etologiche, fisiologiche e comportamentali, anche recependo gli insegnamenti provenienti dagli studi scientifici in materia. Tali studi riferiti agli animali domestici oggetto di allevamento pongono in risalto l'importanza della quantità e della qualità dello spazio a disposizione e il sistema di alimentazione.
        Tra le principali cause di malessere per gli animali d'allevamento, gli studi etologici hanno posto l'insufficiente spazio a disposizione e una superficie del pavimento troppo dura, condizioni che inducono uno stato di sofferenza dell'animale, dimostrato dalla maggiore permanenza in posizione eretta del soggetto; quando, al contrario, lo stato di benessere si manifesta con la persistenza nella posizione sdraiata. Per ovviare a questo tipo di malessere la legge stabilisce che gli spazi a disposizione siano dimensionati in maniera conveniente nelle diverse specie allevate e che le loro superfici siano ricoperte da idonea lettiera.
        E' stato anche dimostrato come un'altra causa di malessere per gli animali possa essere costituita da tipi di alimentazione troppo lontani dalle loro abitudini ereditate geneticamente; anche in questo caso la proposta di legge stabilisce le norme di base per una alimentazione fisiologicamente ed etologicamente corretta. Stabilisce inoltre che non vengano effettuati sugli animali interventi traumatizzanti, mutilanti o contrari alla loro natura.
        La proposta di legge non abolisce gli allevamenti intensivi ma li rende più compatibili e rispettosi delle esigenze degli animali. Misure, quelle che proponiamo, che guardano agli animali come esseri sensibili, non più macchine, in attesa di un futuro che assicuri loro pienamente quella naturalezza di vita che è oggi negata loro.




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