XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 703
Onorevoli Colleghi! - La seconda metà del XX secolo è
stata caratterizzata da un prorompente sviluppo della ricerca
scientifica e soprattutto da una sorprendente applicazione
tecnologica delle più recenti scoperte scientifiche. Dopo il
boom della chimica e della fisica nucleare, le cui
ricadute tecnologico-industriali hanno dato origine da un lato
a nuovi materiali e nuove fonti di energia, dall'altro a
problemi sanitari ed ambientali di difficile soluzione (buco
dell'ozono, inquinamento delle falde, incremento dei tumori,
intossicazioni talora mortali di lavoratori e di intere
popolazioni che abitavano nei pressi delle industrie chimiche
o delle centrali nucleari, fino ad incidenti inquietanti come
Seveso, Bhopal, Cernobyl, solo per citarne qualcuno tra i più
noti), ora sembra essere giunto il tempo della rivoluzione
biotecnologica. In realtà l'uomo utilizza le biotecnologie da
migliaia di anni; per biotecnologie si deve intendere un
"insieme di tecniche che permettono di produrre beni e servizi
mediante organismi viventi, cellule e loro costituenti" (come
afferma l'Enciclopedia della scienza e della tecnica De
Agostini) e quindi sono biotecnologie la produzione del vino,
della birra, del pane, dello yogurt, eccetera. Ma chiaramente
quando si parla di rivoluzione biotecnologica ci si riferisce
alle cosiddette biotecnologie innovative), caratterizzate
soprattutto dall'ingegneria genetica (o tecnica del DNA
ricombinante) e in genere da tecniche di manipolazione
dell'informazione genetica, presente in ogni organismo
vivente.
Grazie alle tecniche di manipolazione è oggi possibile
inserire, modificandoli se necessario, geni provenienti da una
specie nell'informazione genetica di specie completamente
diverse: geni animali in batteri o in piante, geni umani negli
animali, eccetera, producendo piante o animali "transgenici".
Questi nuovi organismi, non presenti in natura, frutto di
un'azione dell'uomo sul loro DNA (acido desossiribonucleico,
la molecola che contiene i geni), sono anche detti "organismi
geneticamente modificati" o semplicemente OGM.
Un particolare tipo di manipolazione genetica, applicata
negli ultimi anni agli animali, è la clonazione, cioè
l'inserimento di un nucleo di una cellula di una parte del
corpo non destinata alla riproduzione (cellule somatiche, come
quelle della pelle o di qualunque organo interno) in una
cellula uovo (cellule riproduttive femminili, che insieme con
gli spermatozoi costituiscono le cellule germinali) svuotata
del proprio nucleo: se tale cellula sopravvive all'intervento
e riesce ad attecchire in un utero ospite (nel caso dei
mammiferi), può dare origine ad un nuovo organismo con le
stesse caratteristiche genetiche dell'individuo a cui
apparteneva la cellula somatica, dà cioè origine ad un suo
"clone". E' il caso della famosa pecora Dolly. Una clonazione,
simile a quella che avviene casualmente nell'uomo con la
nascita di due gemelli monovulari, si può anche avere
separando le cellule che si ottengono dalle prime divisioni di
un ovulo fecondato. Va anche aggiunto che alcuni laboratori,
in passato in Inghilterra ed ora altri Paesi, tra i quali il
Giappone, stanno effettuando ricerche per riprodurre mammiferi
per via partenogenetica, cioè stimolando la segmentazione di
una cellula uovo, non fecondata dallo spermatozoo, e quindi
impiantando l'embrione in formazione nell'utero di una femmina
ospite: in tal modo nascono solo femmine che ricevono
informazione genetica esclusivamente dalla madre. Se nelle
generazioni successive si prosegue la manipolazione per via
partenogenetica si ottengono, di fatto, tutte femmine clonate.
La produzione di microorganismi, piante e animali transgenici
e di loro cloni, nonché le modifiche su cellule umane per
scopi terapeutici interessano soprattutto le industrie
chimico-farmaceutiche e agroalimentari, multinazionali che
hanno investito molto denaro in queste nuove tecnologie e per
queste ragioni richiedono di potere brevettare i loro
"prodotti".
Queste produzioni e la richiesta di brevettare tali
organismi o tali tecniche hanno provocato una diffusa
preoccupazione fino ad un notevole allarme nell'opinione
pubblica per le conseguenze a livello ambientale e sanitario
di una incontrollata diffusione di OGM, nonché per gli
interrogativi di natura etica che tali manipolazioni
suscitano.
Infatti, se da una parte può risultare chiaro il motivo
economico che spinge le multinazionali ad investire in questo
settore nella speranza di forti guadagni futuri, non
altrettanto chiaro risulta il bilancio costi-benefìci per la
collettività. L'esperienza già fatta con le industrie chimiche
e con il nucleare non può che destare forti sospetti per
tecniche che potrebbero essere ancora più sconvolgenti sugli
equilibri ambientali e sulla nostra salute. Le tecnologie
attualmente impiegate, seppure sorprendenti per i clamorosi
risultati ottenuti, sono infatti ancora molto imprecise e
manca la capacità di effettuare una valutazione delle
conseguenze e dei rischi nel tempo e nello spazio (diffusione
nell'ambiente naturale di un OGM che si riproduce per più
generazioni).
Le obiezioni, che sono state fatte da molti scienziati e
studiosi di filosofia e bioetica in questi anni alla
proliferazione di organismi manipolati, possono essere così
riassunte:
per quanto avanzata, l'ingegneria genetica non è in
grado di operare con precisione; il DNA iniettato si integra
nel genoma del nuovo organismo in posizioni casuali, senza
possibilità di prevedere le interazioni con altri geni e con
la fisiologia dell'organismo;
conseguentemente alcune piante prodotte per scopi
alimentari possono risultare tossiche o produrre allergie,
anche dopo un certo tempo dalla loro diffusione (è il caso
della soia, nella quale è stato inserito un gene proveniente
dalla noce del Brasile);
animali transgenici sono spesso deboli, malati o sterili
e anche i loro prodotti potrebbero avere effetti sanitari
indesiderati;
i nuovi organismi manipolati non hanno subìto il vaglio
della selezione naturale e contengono combinazioni genetiche
che non avrebbero mai potuto verificarsi in modo naturale: le
conseguenze di una loro diffusione in natura non sono
valutabili e si potrebbero determinare sconvolgimenti negli
attuali equilibri naturali, formatisi lentamente, generazione
dopo generazione, in milioni di anni;
l'introduzione di specie animali e vegetali transgeniche
per usi zootecnici o agricoli ridurrà ulteriormente la
diversità genetica;
è comunque necessario chiederci se e come è eticamente
lecito intervenire sul genoma di piante ed animali e nel caso
di questi ultimi porci il problema di quale vita sarà loro
destinata, tenuto conto che non si può ignorare il problema
del loro benessere.
Un discorso a parte va fatto poi per l'ipotesi di ibridi
uomo-animale. Già da anni sono stati prodotti maiali e topi
con geni umani per scopi di ricerca, ma anche per un'eventuale
produzione in serie, mediante clonazione, per avere organi di
ricambio da trapiantare. Come si stabilisce quale sia la
percentuale di geni umani eticamente accettabile da
trapiantare in altri animali? Il problema non è irrilevante se
si pensa che quasi quindici anni fa il professor Brunetto
Chiarelli propose di produrre con tecniche di procreazione
artificiale un ibrido uomo-scimmia da adibire a lavori
"sgradevoli" o come "riserva" di organi da trapiantare. Contro
l'ipotesi dello "scimpanzuomo" si levò allora un coro di no
dal mondo della cultura, della religione e della scienza
(molti teologi, "Osservatore Romano", Camon, Rita Levi
Montalcini, Tecce, Bompiani, Zichichi: solo per citare
qualcuno). Ma oggi, in modo meno clamoroso e meno appariscente
dell'ipotesi, forse neppure praticabile, dell'umanoide metà
scimmia e metà uomo, l'ibrido animale-uomo è già una realtà, e
poco conta se abbia uno, dieci o più geni umani, perché non
sappiamo fino a che punto ci si spingerà in questa corsa, che,
solo per organi da trapiantare, viene considerata molto
promettente dal punto di vista economico. E dal punto di vista
etico e sociale?
Sicuramente possiamo dire che dal punto di vista biologico
e sanitario questa ipotesi è estremamente pericolosa. Infatti
eventuali organi di animali, anche se "umanizzati", contengono
virus e porzioni di DNA che potrebbero essere letali per gli
uomini; inoltre l'introduzione di un organo animale
(xenotrapianto) porta alla diffusione di cellule animali nel
resto del corpo e quindi alla formazione di un ibrido
uomo-animale (definito "chimera post-trapianto" dallo
scopritore, T.E. Starzl, autore nel 1992 di un trapianto di
fegato di babbuino in un uomo, morto dopo 70 giorni con
infezioni diffuse in tutto il corpo).
Abbiamo finora parlato di manipolazioni su microrganismi,
su piante o su animali, ma tutto ciò che si può fare su un
animale è tecnicamente possibile farlo anche sull'uomo e
questo vale sia per l'introduzione già praticata di nuovi
caratteri nelle cellule somatiche (per curare in modo
localizzato malattie genetiche senza possibilità di
trasmettere il carattere ai figli), sia per un'eventuale
manipolazione della linea germinale, i gameti, con effetti
permanenti sulla discendenza. Quest'ultima ipotesi viene
ritenuta sia dagli esperti di bioetica che dagli scienziati
inaccettabile, ma è tecnicamente possibile!
Discorso analogo si può fare per la clonazione: se è
praticabile su altri mammiferi, tecnicamente si può fare anche
sull'uomo.
Per questa ragione è importante dire chiaramente non solo
no alla clonazione umana (come disposto dal Protocollo
addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, alla Convenzione sui
diritti dell'uomo e sulla biomedicina, resa esecutiva con
legge 28 marzo 2001, n. 145) ma anche a quella animale, perché
prima o poi in qualche laboratorio qualche cosiddetto
"scienziato" sarebbe tentato di trasformare in realtà l'incubo
descritto da Aldous Huxley nel romanzo "Il mondo nuovo".
Ma è necessario dire no alla clonazione animale anche per
altre ragioni etiche e scientifiche. La clonazione equivale ad
una forma di riproduzione asessuata ed è diffusa naturalmente
nei vegetali, le cui cellule mantengono la possibilità di
riprodurre tutta la pianta, ma tale potenzialità si è persa
nel corso dell'evoluzione che ha portato agli animali
superiori. Con la clonazione artificiale degli animali si
sconvolgono dunque le regole naturali e come la trasformazione
degli animali in "macchine produttive" negli allevamenti
intensivi, resi da erbivori carnivori, anzi cannibali, ha
portato alla BSE, il ricorso alla clonazione per ottenere una
riproduzione in serie di "animali macchine" può avere
conseguenze difficilmente prevedibili.
Forti obiezioni, infine, sono state formulate nei
confronti della brevettabilità di OGM o di tecniche basate
sulle manipolazioni genetiche, obiezioni che possono essere
così riassunte:
brevettare gli organismi viventi significa considerarli
alla stregua di un oggetto, di una macchina inventata
dall'uomo e ciò, oltre che eticamente inaccettabile, è
fondamentalmente falso;
il brevetto di forme di vita è finora stato escluso
dalle convenzioni internazionali, come la convenzione di
Monaco sul brevetto europeo del 1973;
il brevetto renderebbe gli organismi, le loro parti, i
loro geni (o anche geni umani) utilizzabili da parte
esclusivamente di un limitato numero di multinazionali,
nonostante organismi, loro parti o loro geni appartengano alla
natura e quindi un loro uso sia un bene di tutta la
collettività: così gli agricoltori che utilizzeranno semi
brevettati non saranno proprietari del loro raccolto, ma
dovranno produrre secondo le condizioni imposte dal contratto
che li lega al titolare del brevetto;
ciò comporta anzitutto una riduzione ulteriore della
biodiversità, perché le multinazionali estenderanno,
attraverso il brevetto, il monopolio sulle risorse genetiche
di interesse agricolo, ma anche un'ulteriore dipendenza
dell'economia dei Paesi poveri dai monopoli delle grandi
società dei Paesi più ricchi;
il brevetto di geni umani, attribuendo la proprietà a
chi li ha descritti e brevettati, espropria i legittimi
proprietari, cioè gli uomini che possiedono tali geni, dal
diritto di qualunque uso, compreso quello di cederli
gratuitamente per motivi umanitari;
il brevetto riduce la libertà di ricerca, imponendo
limiti all'utilizzo di geni e di organismi brevettati anche
per scopi sperimentali;
la sperimentazione per ottenere animali da brevettare e
la loro "produzione" pone il problema di un disastroso impatto
sul loro benessere.
A fronte di queste preoccupazioni e di queste obiezioni e
nonostante le moderne biotecnologie siano diffuse da qualche
decennio, molto carente è stata finora la legislazione in
materia.
In particolare possiamo ricordare due direttive
comunitarie, la 90/219/CEE e la 90/220/ CEE, che regolano, la
prima, l'impiego confinato di microrganismi modificati
geneticamente e la seconda il rilascio deliberato di OGM. Tale
ultima direttiva è stata recentemente abrogata dalla direttiva
2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12
marzo 2001, non ancora recepita in Italia. Queste due
direttive sono state recepite con due decreti legislativi del
3 marzo 1993, il n. 91 e il n. 92. Il primo decreto classifica
i microrganismi da usare in laboratori di ricerca o in
impianti industriali in base al rischio e al loro impiego (A,
su piccola scala e B, su larga scala) e indica le prescrizioni
e le notifiche necessarie per il loro utilizzo. Il secondo
decreto riguarda tutti gli organismi deliberatamente usati al
di fuori di un ambiente confinato per rilasci sperimentali e
ricerche sul campo o per l'immissione nel mercato di prodotti
contenenti o costituiti da OGM. Sono previsti l'obbligo della
notifica e la valutazione preventiva del rischio.
A livello di Unione europea è stato approvato il
regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 27 gennaio 1997, sui nuovi prodotti e i nuovi
ingredienti alimentari che prevede l'obbligo di dichiarare
nell'etichetta la presenza di OGM, ma non di loro parti nelle
quali non sia individuabile il gene o i geni modificati; in
tal modo nei prodotti contenenti olio di soia o lecitina di
soia o farina di soia non sarà indicato se la pianta è stata o
meno modificata.
Inoltre il Consiglio d'Europa ha approvato alla fine del
1996 la citata Convenzione per la protezione dei diritti
dell'uomo e della dignità dell'essere umano riguardo
all'applicazione della biologia e della medicina: Convenzione
sui diritti dell'uomo e della biomedicina, fatta a Oviedo il 4
aprile 1997, resa esecutiva con legge 28 marzo 2001, n. 145.
La Commissione prevede, tra l'altro, che non possono essere
fatti test che possano portare a discriminazioni su base
genetica e che nessun esperimento o intervento può essere
fatto sul genoma umano trasmissibile alla discendenza (divieto
di intervento sulla linea germinale). Inoltre nel capitolo VII
si esclude la possibilità di trarre profitto dall'uso di una
parte del corpo umano, e quindi anche di poterlo
brevettare.
Da ultimo, ricordiamo la citata direttiva 2001/18/CE che
ha abrogato la direttiva 90/220/CEE (che, però, essendo stata
recepita in Italia, rimane vigente per quanto concerne il
nostro Paese) e che ha disposto norme più restrittive
sull'emissione nell'ambiente di OGM.
Da quanto esposto emerge l'urgenza di nuove norme per
regolamentare la ricerca, la sperimentazione e l'utilizzo di
tecniche di manipolazione genetica.
Stabilire nuove norme non significa porre limiti alla
libertà di ricerca ma da una parte riaffermare che la ricerca
non può essere "immorale" e dall'altra che una volta
verificata dal punto di vista scientifico la possibilità di un
procedimento, la liceità di tale procedimento riguarda, tenuto
conto delle possibili conseguenze, l'insieme della società.
E' dunque il potere legislativo che deve recepire le
preoccupazioni della società, stabilendo ciò che ha senso
venga fatto e ciò che è opportuno regolamentare o, al limite,
proibire. Non tutto ciò che la scienza indica come possibile
deve necessariamente essere fatto; al contrario è necessario
garantire che le applicazioni tecnologiche delle scoperte
scientifiche non vadano a scapito del bene comune. Ciò
comporta la verifica degli eventuali effetti indesiderati, con
l'obbligo morale di non permettere quelle tecniche di cui non
si possono prevedere le reali conseguenze non solo
nell'immediato ma anche per le future generazioni.
Per garantire una corretta dialettica tra mondo
scientifico, potere legislativo e pubblica opinione è
fondamentale ribadire su una materia così delicata il diritto
all'informazione per tutti i cittadini affinché le scelte
presenti e future coinvolgano l'insieme della collettività;
ciò significa trasparenza di chi opera a livello scientifico
ma anche e soprattutto a livello produttivo, evitando il
segreto industriale e garantendo la massima informazione sui
prodotti immessi al consumo, a partire da etichette chiare e
comprensibili, che indichino se i componenti e le procedure
impiegati abbiano richiesto manipolazioni della informazione
genetica.