XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 462




        Onorevoli Colleghi! - Quello dei rapporti tra concussione e corruzione, anche dopo la riforma introdotta con la legge 26 aprile 1990, n. 86, è certamente uno dei grossi problemi che il legislatore deve affrontare in tema di delitti contro la pubblica amministrazione. E ciò soprattutto in considerazione delle recenti esperienze, che hanno confermato come la distinzione tra i due reati sia poco praticabile.
        La proposta di legge di cui si chiede l'approvazione, proprio a fronte delle avvertite carenze che l'attuale legislazione in materia presenta, mira all'unificazione in un'unica disposizione (articolo 1) delle ipotesi tradizionalmente suddivise nelle due fattispecie di concussione e di corruzione, nonché del trattamento previsto per i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio. L'unificazione delle fattispecie risponde, innanzitutto, ad esigenze di giustizia sostanziale, posto che tutte le ipotesi considerate presentano un tratto fondamentale comune, cioè la strumentalizzazione del ruolo pubblico per l'ottenimento di compensi indebiti. In alcuni casi - quelli che l'ordinamento italiano tradizionalmente qualifica come corruzione - il portatore di poteri pubblici vende un esercizio illegittimo dei suoi poteri, colpendo più gravemente la legalità istituzionale; in altri casi - quelli che l'ordinamento italiano tradizionalmente qualifica come concussione - un esercizio conforme al dovere viene fatto indebitamente pagare al privato, colpendo innanzitutto la libertà ed i diritti del cittadino.
        D'altro lato, le ben note difficoltà che, entro il sistema normativo vigente, rendono incerti i confini concreti tra la corruzione e la concussione, sono una spia significativa della labilità dei tradizionali criteri di differenziazione e della difficoltà di fondare su di essi valutazioni differenziate della gravità dei diversi fatti. La fenomenologia delle tangenti, ricostruita dagli accertamenti della magistratura, conferma che i diversi fatti hanno (di regola) radice in un contesto ambientale più ampio, la cui rilevanza ha spinto ad introdurre il concetto di "dazione ambientale", ed a considerarlo come un fenomeno unitario, le cui diverse manifestazioni sono caratterizzate da comuni premesse ed analogo disvalore, per entrambe le parti dello scambio illecito.
        L'esperienza comparata evidenzia l'assenza di fattispecie corrispondenti alla figura di concussione prevista dall'articolo 317 del codice penale: le ipotesi di concussione sembrano riconducibili a forme di corruzione caratterizzate da una richiesta della utilità da parte del pubblico amministratore, accanto a quelle in cui questi si sia limitato ad accettare o a farsi promettere dal privato il vantaggio patrimoniale.
        Le ipotesi di vera e propria costrizione saranno sussumibili entro figure criminose estranee all'ambito dei delitti contro la pubblica amministrazione, quali l'estorsione. La questione dei rapporti tra corruzione ed estorsione è presa espressamente in considerazione anche nell'esperienza statunitense, dove in vari casi la giurisprudenza ha accettato l'elemento della coercizione economica, configurando così un rapporto di reciproca esclusione tra corruzione ed estorsione e riconoscendo un ambito di impunità per chi - non più corruttore, bensì vittima dell'estorsione - abbia prestato al pubblico ufficiale il corrispettivo in quanto soggetto a costrizione. Soluzione, questa, cui apre la strada la presente proposta di legge. Starà poi alle applicazioni giurisprudenziali definire i contorni della vera e propria estorsione del pubblico amministratore; i casi, cioè, nei quali l'abuso della qualità o delle funzioni pubbliche dia vita ad una vera e propria violenza o minaccia.
        Eliminando differenziazioni normative di incerta attuazione e di opinabile significato, la soluzione proposta avvicina l'ordinamento italiano a quelli di altri Paesi dove la figura della concussione non è prevista; e risponde anche ad esigenze pratiche di semplificazione, alleggerendo la prassi da problemi probatori e di interpretazione normativa tanto complicati quanto privi di ragion d'essere.
        La descrizione della fattispecie unitaria di corruzione è stata riformulata in modo da rendere chiaro che vi sono ricomprese tutte le ipotesi di promessa o dazione indebita, comunque collegate all'esercizio di un munus publicum o della qualità di chi ne sia titolare.
        Pur nella consapevolezza che la minaccia legale di pena, di per sé sola, non è sufficiente ad assicurare una concreta efficacia deterrente, l'aumento di pena per la corruzione intende rafforzare la percezione di legittimità del sistema punitivo da parte dei cittadini, e quindi la sua concreta capacità ordinatrice. L'inasprimento sanzionatorio non è però così esagerato: mentre attualmente il massimo della pena per la corruzione è di cinque anni (limitatamente alla corruzione del pubblico ufficiale per atto contrario ai doveri d'ufficio; negli altri casi sono previste pene di minore entità), si propone di introdurre in tutti i casi la pena da tre a otto anni di reclusione (articolo 1), allineando il trattamento sanzionatorio di qualsiasi fatto di corruzione a quello previsto per la concussione, che sarà più adeguato al nuovo articolato.
        Anche per i casi di estorsione commessa dal pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio con abuso di poteri o della qualità, si è ritenuto opportuno proporre una pena più severa mediante la previsione (articolo 3) di una nuova aggravante speciale del delitto di estorsione.
        Per il privato corruttore, cui si muove un rimprovero diverso da quello dell'infedeltà al munus publicum, si propone una sanzione minore, ma comunque più severa di quella attualmente prevista: da due a sei anni di reclusione (articolo 2).
        Per i fatti di particolare tenuità soccorre la diminuzione di pena già prevista dall'articolo 323-bis del codice penale. E' parso opportuno prevedere (articolo 4) che la diminuzione possa arrivare sino alla metà, al fine di evitare che il sensibile aumento del minimo edittale possa produrre effetti di eccessivo rigore in relazione ad ipotesi "bagatellari".
        Alle risposte lato sensu sanzionatorie appartiene infine la disposizione (articolo 5) che, ribadendo quanto potrebbe ritenersi già imposto dall'articolo 240, secondo comma, numero 1, del codice penale, afferma esplicitamente l'obbligatorietà della confisca di un importo pari a quanto ricevuto dal corrotto (prezzo del reato).
        Inoltre, al fine di assicurare che dallo scambio corruttivo nessuno tragga vantaggio, si propone che in caso di condanna per il delitto di cui all'articolo 318 del codice penale sia sempre ordinato il pagamento di una somma pari a quanto erogato dal corruttore, a titolo di riparazione pecuniaria (sul modello di quanto previsto dalla legge sulla stampa in materia di diffamazione), con obbligazione solidale, oltre che dei condannati, anche del terzo (persona fisica o giuridica, non fa differenza) nell'interesse del quale sia stato commesso il reato, cioè del reale beneficiario della corruzione. Si è scelta tale soluzione, invece di quella della confisca a carico anche del corruttore e del terzo beneficiario, solo per ragioni di semplificazione processuale, pur essendo l'ampliamento dell'istituto della confisca la strada, in astratto preferibile, in linea con un indirizzo che si sta consolidando su scala internazionale, aperto al superamento del tradizionale principio societas delinquere non potest.




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