XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 437




        Onorevoli Colleghi! - L'acquisizione di una quota della Società di comunicazioni governativa serba (Telekom-Serbia) da parte della Telecom-Italia, avvenuta nel giugno del 1997, ha lasciato senza risposta numerosi interrogativi emersi in Parlamento prima e dopo l'informativa urgente del Ministro degli affari esteri Lamberto Dini, alla Camera dei deputati, nella seduta del 28 febbraio 2001.
        In quella circostanza, il Ministro Dini avrebbe dovuto fornire, sulla base della documentazione agli atti della Farnesina, ampie delucidazioni sul ruolo svolto dal Governo italiano nell'operazione e sulle implicazioni politiche ed economiche ad essa connesse.
        L'onorevole Lamberto Dini ribadì, con forza, che né lui né l'allora sottosegretario agli affari esteri con delega per i Balcani, Piero Fassino, furono informati delle trattative avviate dalla STET Spa, azienda all'epoca di proprietà pubblica poi divenuta Telecom-Italia, con i vertici dello Stato serbo e con lo stesso Presidente Milosevic. Né Dini né Fassino, stando alle loro dichiarazioni, intervennero in alcun modo per mettere in guardia, sulla base delle informazioni riservate di cui disponevano, i negoziatori italiani i quali presero le loro decisioni in piena autonomia.
        In sintesi l'Italia, guidata dalla maggioranza di centro-sinistra, negli anni fra il 1996 e il 2000 ha adottato il sistema del doppio binario: ufficialmente rispettava i patti come gli altri partner dell'Unione europea e della NATO; "sottobanco" favoriva invece il dittatore Milosevic. Una prova ulteriore ed evidente della politica filo-serba si è avuta quando il Ministro degli affari esteri, pur incombendo su di lui un preciso obbligo, conseguente a disposizioni comunitarie e nonostante le urgenti sollecitazioni delle strutture ministeriali, creò le condizioni perché non fosse approvato dal Parlamento un regime punitivo per i trasgressori delle sanzioni contro Milosevic. Non solo: in una lettera al Segretario di Stato americano Madeleine Albright, che lo sollecitava a dare attuazione a questo impegno, il Ministro Dini assicurò che "il Governo avrebbe adottato un sistema di sanzioni a carico delle persone fisiche o giuridiche, responsabili di violazione delle sanzioni contro la RFJ", confermando così "la determinazione dell'Italia nel garantire la piena attuazione delle misure concordate in seno all'Unione europea per appoggiare il processo di democratizzazione nella RFJ". Promesse non mantenute e rimaste lettera morta fino alla conclusione della legislatura.
        Questo comportamento del Governo italiano, e in particolare del Ministro Dini e del sottosegretario, Fassino, presenta molti lati oscuri, che è indispensabile approfondire per molteplici ragioni.
        Sotto l'aspetto politico:

            a) l'acquisto da parte della Telecom-Italia della quota pari al 49 per cento della Telekom-Serbia (successivamente ceduta per il 20 per cento alla Società greca di telecomunicazioni) si è perfezionato (9 giugno 1997) in un momento in cui il dittatore serbo Slobodan Milosevic attraversava gravi difficoltà interne: le casse statali erano esauste per le ingenti spese militari in Bosnia e in Kosovo, dove si stava consumando la "pulizia etnica"; le armi scarseggiavano; l'erario aveva sospeso il pagamento delle pensioni e degli stipendi ai soldati; l'opposizione aveva ripreso forza e guadagnato sempre più ampi consensi popolari;

            b) il versamento a Milosevic, direttamente e in contanti, di una somma complessiva pari a circa 1 .400 miliardi di lire, permise al dittatore di superare la crisi e di consolidare il suo regime;

            c) in una intervista a La Repubblica del 17 maggio 2001, il Governatore della Banca centrale jugoslava, Mladjan Dinkic, ha dichiarato che "politicamente l'affare Telekom ha salvato Milosevic. E' una di quelle verità talmente evidenti che non mi pare sia possibile metterla in discussione";

            d) il disinteresse per l'operazione, proclamato da Dini e Fassino, ha posto l'Italia in una situazione di grande ambiguità nei confronti dell'Unione europea e dell'Alleanza atlantica, impegnate ad impedire che Milosevic portasse fino in fondo la sua "pulizia etnica" per sbarazzarsi una volta per tutte delle minoranze in Bosnia e in Kosovo. Il nostro Paese rivelava in tale modo la sua inaffidabilità: partecipava, nelle sedi competenti, alle decisioni per contrastare Milosevic e nello stesso tempo lasciava che il dittatore si rinsaldasse grazie ai denari di un'azienda pubblica, e quindi appartenenti ai contribuenti italiani;

            e) il Governo italiano, nonostante le ripetute sollecitazioni, si allineò solo formalmente all'applicazione delle sanzioni decise in sede di Unione europea contro Milosevic, ma di fatto garantì l'impunità ad ogni potenziale trasgressore;

            f) il rafforzamento del regime dittatoriale serbo, favorito dalle disponibilità economiche garantite dal contratto con la Telecom, diede a Milosevic la possibilità di sfidare i suoi avversari interni ed esterni fino a causare, due anni dopo, l'intervento militare della NATO.

        Sotto l'aspetto economico:

            a) l'ingente somma messa dalla Telecom-Italia a disposizione di Milosevic era destinata allo sviluppo del settore delle telecomunicazioni in Serbia. Di conseguenza, la quota del 29 per cento acquisita dall'Italia si rivelava un pessimo investimento dal momento che gli stessi contraenti sapevano già in partenza che non sarebbe stata reimpiegata nella Società;
            b) il governatore della Banca centrale jugoslava, Dinkic, ha spiegato la situazione delle riserve serbe di valuta straniera nel 1997: "il picco più basso fu nel maggio del 1997, vigilia dell'affare Telekom; il picco più alto si verificò in quella stessa estate, in coincidenza con l'arrivo del denaro italiano e greco. In autunno le riserve andarono di nuovo giù perché il regime aveva bruciato tutto tra malversazioni e operazioni per comprare il consenso sociale";

            c) l'acquisizione della quota della Telekom-Serbia comportò anche il versamento, da parte di Milosevic, di consistenti tangenti, nell'ordine di 30-40 miliardi di lire o forse anche di una cifra di gran lunga più alta, finita in parte nelle banche svizzere e in parte sparita non si sa dove. Lo stesso Milosevic, in un incontro a Belgrado all'indomani della conclusione dell'affare, dichiarò, senza fare nomi, di avere dovuto passare le tangenti a "quei mafiosi di italiani".

        Da questi pochi cenni si può dedurre che l'affare Telekom-Serbia è uno dei capitoli più oscuri ed inquietanti della nostra storia recente.
        Le responsabilità, le reticenze e i silenzi del Governo italiano appaiono di estrema gravità se si considera che gli ambasciatori d'Italia a Belgrado, e in particolare l'ambasciatore Francesco Bascone, avevano ripetutamente segnalato al Ministero degli affari esteri, con telegrammi indirizzati al sottosegretario Piero Fassino e con una lettera "riservata-personale" allo stesso Fassino, i rischi politici ed economici dell'operazione condotta dalla Telecom-Italia.
        Va ricordato che la procura della Repubblica di Torino ha avviato un'indagine per corruzione, falso in bilancio e false fatturazioni a carico del presidente della Telecom-Italia all'epoca dei fatti, Tomaso Tommasi di Vignano, che partecipò direttamente alle trattative e sottoscrisse l'intesa.
        La Commissione parlamentare di inchiesta dovrà accertare, in tempi brevi, tutti i risvolti della vicenda e corrispondere alle attese dei cittadini, che reclamano a buon diritto i necessari chiarimenti.
        Al Parlamento deve essere data una esauriente informazione che è mancata, sul finire della XIII legislatura, per scelta del Governo di centro-sinistra e, in particolare, del Ministro degli affari esteri Dini, al quale va addebitato, fra l'altro, di avere trascurato i doveri d'ufficio astenendosi dall'intervenire in una situazione che coinvolgeva un'area geografica fra le più delicate e politicamente instabili del mondo e accreditando, presso gli alleati della NATO, in particolare gli Stati Uniti, e l'Unione europea, un'immagine dell'Italia come Nazione inaffidabile e restìa a rispettare gli impegni internazionali.




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