XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 429
Onorevoli Colleghi! - A) Apicoltura: situazione
internazionale e nazionale.
L'apicoltura italiana ha una tradizione antica. Nei
censimenti del 1928 e del 1933 erano 100 mila gli apicoltori,
con circa 600 mila alveari. Poco prima della guerra vi era
circa 1 milione di alveari, con una produzione stimata attorno
a 100 mila quintali di miele. La guerra dimezzò il patrimonio
apistico e la sua ricostituzione è stata estremamente
difficile a causa delle profonde trasformazioni del settore
primario. Intorno agli anni '70 è iniziata una lenta ripresa
incentivata anche dalla politica comunitaria e da un maggiore
interesse dei coltivatori.
E' difficile fare una stima precisa del numero degli
apicoltori e degli alveari e quindi della produzione annua di
miele. Quasi sempre i dati dell'Istituto nazionale di
statistica (ISTAT) contrastano con quelli forniti dalle
organizzazioni apistiche e le differenze non sono di poco
conto. Per fare un esempio, nel 1985 l'ISTAT censiva 370 mila
alveari, mentre le organizzazioni apistiche ne censivano 850
mila.
Vi è stata nel nostro Paese una espansione del settore con
crescita del numero delle aziende, degli alveari e del miele
prodotto nonostante le difficoltà del mercato, l'esplodere
della varroasi e la inadeguata politica verso il settore.
L'alveare non produce solo miele, ma anche altri prodotti,
dalla cera al polline, dal propoli alla pappa reale, dall'ape
regina agli sciami, per ottenere i quali l'apicoltore deve
raggiungere un alto grado di professionalità.
I professionisti sono quelli che hanno un numero di
alveari che vanno dalle 200-300 unità per azienda a cifre
molto più elevate, i semiprofessionisti sono quelli che
esercitano anche altre attività. Gli hobbisti hanno un numero
di alveari modesto e l'attività di apicoltura è assolutamente
complementare ad altre. Il numero complessivo di addetti al
comparto apistico può essere stimato in circa 70 mila
apicoltori di cui 7 mila produttori apitici a vocazione
economica.
Si calcola che il valore del miele prodotto in un anno si
aggiri intorno ai 40-45 miliardi di lire di fatturato e che
l'intero fatturato del settore superi i 70 miliardi di
lire.
Il valore aggiunto che l'apicoltura produce attraverso
l'attività di impollinazione si calcola che raggiunga i 3.000
miliardi di lire.
In Italia il consumo pro capite di miele è
relativamente basso se confrontato alle altre nazioni europee.
In questi ultimi anni, comunque, si è registrato un
apprezzabile aumento, determinato da una maggiore sensibilità
verso i prodotti naturali di qualità.
La produzione annua si aggira attorno alle 10-12 mila
tonnellate di fronte a un fabbisogno di circa 23 mila
tonnellate.
Emerge pertanto un deficit molto elevato e siamo
costretti ad importare miele da altri Paesi. Il prezzo del
miele da importazione è molto più basso del costo di
produzione del miele italiano.
In quasi tutti i Paesi del mondo esiste l'attività di
apicoltura; si calcola che gli apicoltori siano più di 6
milioni e circa 50 milioni siano gli alveari, con una
produzione annua di circa 1 milione e 200 mila tonnellate di
miele.
I maggiori produttori sono la Cina, la Russia, gli Stati
Uniti, e, subito dopo, l'Argentina, il Canada e il Messico.
I Paesi comunitari producono circa l'8 per cento del miele
mondiale, più di 100 mila tonnellate nel 1991, con un
incremento del 3,3 per cento rispetto al 1990. Vi è nei Paesi
della Unione europea una espansione di questo settore, le
maggiori produzioni si sono avute in Germania, in Spagna, in
Francia ed in Italia. Nei Paesi della Unione europea si ha un
consumo annuo di più di 200 mila tonnellate e nel 1990 si è
avuto un incremento dei consumi del 2,2 per cento. La Germania
è il Paese in cui si ha il maggiore consumo pro capite
annuo (chilogrammi 1,5), seguita dalla Grecia e Danimarca,
rispettivamente con 1,3 e 0,8 chilogrammi.
La Unione europea ha importato nell'anno 1990 circa 150
mila tonnellate di miele, la Germania è il Paese che assorbe
più del 50 per cento del miele importato, seguita dal Regno
Unito con il 18 per cento e, quindi, dagli altri Paesi.
Le esportazioni della Unione europea sono decisamente più
basse delle importazioni, circa 30 mila tonnellate annue; le
esportazioni sono state effettuate quasi per il 50 per cento
dalla Germania.
A livello comunitario abbiamo, quindi, una produzione di
miele non sufficiente a fare fronte al fabbisogno interno; il
grado di autoapprovvigionamento è del 47 per cento.
B) Importanza dell'apicoltura.
Il settore apistico è stato nel nostro Paese spesso
ingiustamente trascurato. Poco ci si è preoccupati di questa
attività produttiva, della trasformazione e
commercializzazione dei suoi prodotti, degli aspetti biologici
e sanitari degli alveari. Lo scarso interesse per
l'apicoltura, da parte degli enti pubblici è dovuto a varie
cause: al modesto reddito che dalle api si ottiene, al numero
di occupati nel settore, alla presenza di molti hobbisti, al
fatto che non ci si è resi conto della grande funzione che le
api svolgono per l'economia e l'ambiente.
Si è tardato molto a riconoscere, anche per assenza di
dati certi, che l'apicoltura è un settore strategico per le
produzioni agricole.
A questo riguardo ci sono studi e ricerche che dimostrano
che circa 40 mila miliardi di lire del prodotto lordo
vendibile in agricoltura risultano legate all'attività di
impollinazione delle api.
Il massiccio impiego di fitofarmaci tossici e non
selettivi, la pratica di monocolture su vaste estensioni, la
meccanizzazione, la scomparsa di cespugli e di essenze
spontanee, hanno provocato da un lato la quasi totale
scomparsa degli insetti utili, e dall'altro la comparsa di
altri organismi dannosi, che resistono anche all'uso dei
pesticidi. A questo va aggiunto il fatto che oggi vi è la
tendenza ad utilizzare in frutticoltura cultivar
autosterili e di usare sementi ibride che dipendono da
impollinazione incrociata. In questa situazione il servizio di
impollinazione delle api è essenziale. Per alcune colture
l'unica forma valida di impollinazione è quella entemofila, la
produttività e la riproduzione del soggetto vegetale sono oggi
quindi garantite dalle api.
L'azione impollinatrice delle api è indispensabile anche
per equilibri ecologici della flora spontanea.
Un calcolo per difetto ci porta a dire che l'intervento
delle api sulle piante e sugli alberi da frutto attraverso
l'impollinazione assicura all'agricoltura italiana un
incremento produttivo valutabile attorno ai 3 mila miliardi di
lire all'anno.
L'ape è quindi un fattore produttivo dell'economia.
L'agricoltore, soprattutto per le colture specializzate, non
può più limitarsi a preoccuparsi solo del clima, della
concimazione, della potatura, della lotta ai parassiti, ma
deve pensare soprattutto a come ottimizzare l'impollinazione e
quindi l'impiego delle api.
In questo quadro lo sviluppo delle produzioni di qualità
reclama anche un uso di prodotti che non distruggano gli
insetti che sono a loro servizio. Le api sono degli insetti
che si rilevano sensibili agli anticrittogamici, agli
insetticidi e quindi possono diventare strumento di controllo
della pericolosità e nocività di questi prodotti e
dell'inquinamento del territorio.
C) Produzione, commercializzazione: vincoli
strutturali.
In Italia grazie alle condizioni geografiche e climatiche
favorevoli e alla professionalità degli apicoltori, produciamo
più di 30 tipi di miele pregiato. Tuttavia l'apicoltura del
nostro Paese non si sviluppa come dovrebbe a causa di alcuni
rilevanti vincoli di carattere strutturale, ambientale,
giuridico, sanitario e politico.
In molte zone del Paese, in seguito alla meccanizzazione e
alla specializzazione colturale, si è sviluppata la
monocoltura che, modificando interi ecosistemi, ha comportato
la riduzione della disponibilità e della varietà floreali;
nelle zone di collina e di montagna si va perdendo la
copertura arborea, arbustiva ed erbacea e gli ecosistemi
boschivi si sono profondamente modificati.
La meccanizzazione, le monocolture e l'agricoltura
intensiva hanno portato all'uso massiccio di diserbanti e
pesticidi anche durante il periodo della fioritura con
conseguente morìa di api e a volte di interi apiari.
I costi di produzione del miele in Italia, per carenze
strutturali ed organizzative, sono molto superiori a quelli di
quasi tutti gli altri Paesi comunitari e non solo. Gli
apicoltori italiani riescono a produrre e a vendere i loro
prodotti perché accettano una remuneratività della manodopera
e dei capitali investiti al di sotto delle quotazioni di
mercato. La Germania attua una vera e propria concorrenza
sleale, in quanto importa miele dai Paesi extraeuropei a
prezzi bassi, lo lavora, lo confeziona e lo riesporta nei
Paesi della Unione europea, soprattutto in Italia, a prezzi
inferiori a quelli del costo di produzione dei nostri
mieli.
I bassi prezzi del miele in Italia sono dovuti anche alla
polverizzazione della offerta che riduce il potere
contrattuale degli apicoltori e al fatto che essi sono imposti
da poche aziende agroalimentari.
Vi è polverizzazione delle aziende, tutte piccole, e questo
è un pesante ostacolo allo sviluppo dell'apicoltura, perché in
questa tipologia di aziende è difficile attuare criteri di
imprenditorialità e di professionalità molto elevate.
Le aziende non sono dotate di attrezzature
tecnologicamente avanzate; non sono diffuse strutture
consortili, cooperative idonee allo stoccaggio, alla
lavorazione e al confezionamento del miele.
Esiste un problema di mercato sia per quanto attiene i
controlli sulla qualità dei prodotti, che non sono sufficienti
a mettere i produttori al riparo dalla concorrenza sleale, e
soprattutto non si è riusciti a definire un corretto ed
equilibrato rapporto fra produzione e commercializzazione.
Occorre rapidamente definire il quadro normativo per i
prodotti tipici, di origine protetta, e le specificità
alimentari ai sensi dei regolamenti (CEE) n. 2081/92 e n.
2082/92 del Consiglio, del 14 luglio 1992.
Manca una adeguata assistenza sanitaria, sono carenti le
strutture diagnostiche che potrebbero sostenere e risolvere i
problemi degli apicoltori. L'intervento sanitario è impostato
più sulla repressione che sulla prevenzione, e questo produce
ostacoli al nomadismo e non migliora le conoscenze degli
apicoltori.
La politica di ricerca e sperimentazione ha pochi mezzi e
poche risorse a disposizione e manca il coordinamento fra
diverse iniziative. La ricerca dovrebbe coprire invece il
settore della produzione, quello sanitario, la vita e
l'attività delle api, il miglioramento genetico e il rapporto
api-ambiente. La stessa formazione professionale degli addetti
dovrebbe collegarsi con questo quadro di riferimento per
conseguire innovazioni produttive e miglioramenti qualitativi
e ambientali.
Le inadempienze e le carenze registrate non hanno
consentito all'Italia di esercitare un ruolo positivo anche in
ambito comunitario in relazione alle politiche di sostegno al
settore che vede contrapporsi ai grandi Paesi produttori
(Italia, Francia, Spagna e Grecia) il fronte degli interessi
industriali espressi dai Paesi del nord Europa, in primo luogo
dalla Germania.
Tutti questi vincoli e carenze limitano la valorizzazione
del settore e il ruolo dell'apicoltura come parte decisiva di
un ciclo non fine a se stesso ma di grande aiuto allo sviluppo
della produzione agricola.
D) La proposta di legge.
La nostra proposta di legge si muove proprio nella
direzione del superamento di queste carenze e del recupero
degli annosi ritardi nella definizione di una moderna legge
quadro.
L'articolo 1 riconosce l'apicoltura come attività di
interesse nazionale nell'ambito agricolo.
L'articolo 2 considera l'apicoltura come attività
imprenditoriale agricola.
L'articolo 3 considera a tutti gli effetti prodotti
agricoli: il miele, la cera d'api, la pappa reale, il polline,
il propoli, il veleno d'api, le api e le api regine,
l'idromele e l'aceto di miele.
L'articolo 4 modifica la legge n. 753 del 1982 affidando
al Ministero delle politiche agricole e forestali, di intesa
con i Ministeri della sanità e dell'industria, del commercio e
dell'artigianato, la pubblicazione di metodiche ufficiali per
l'analisi del miele, stabilendo le caratteristiche fisiche,
chimiche, microscopiche e organolettiche dei principali
mieli.
L'articolo 5 definisce l'apicoltura ed il produttore
apistico.
L'articolo 6 disciplina l'uso dei pesticidi ai fini di
salvaguardare l'azione pronuba delle api.
L'articolo 7 stabilisce il metodo ed indica le istituzioni
e le organizzazioni per la concertazione finalizzata alla
predisposizione di un documento programmatico contenente gli
indirizzi delle attività per il settore apistico.
L'articolo 8 indica le procedure per la denuncia degli
apiari e degli alveari, ai fini dell'incremento quantitativo e
qualitativo del prodotto e della profilassi sanitaria.
L'articolo 9 indica le risorse nettarifere di valore
pubblico e le forme di incentivo per la pratica
economica-produttiva del nomadismo.
L'articolo 10 stabilisce le normedi sicurezza per la
collocazione degli apiari.
L'articolo 11 abroga le norme contenute nel regio
decreto-legge 23 ottobre 1925, n. 2079, convertito dalla legge
18 marzo 1926, n. 562.
L'articolo 12 riconosce il servizio di impollinazione a
tutti gli effetti, giuridici e fiscali, come attività
agricola.
L'articolo 13 adegua il regolamento di polizia
veterinaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica
n. 320 del 1954, e l'articolo 14 affida alle regioni e alle
province autonome di Trento e di Bolzano la determinazione
delle sanzioni amministrative, per fatti che non costituiscano
reato ma inadempienze alle disposizioni previste nella
legge.
L'articolo 15 provvede alla copertura finanziaria e
l'articolo 16 stabilisce l'entrata in vigore.