XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 60
Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge
mira in primo luogo a sottrarre all'abuso di potere negli
ambienti di lavoro un'arma pericolosamente efficace, varando
norme che corrispondano ad una visione autenticamente civile
dei rapporti gerarchici.
Negli anni, abbiamo imparato a riconoscere la specificità
delle molestie sessuali nell'ambito dei rapporti di lavoro;
ricerche, statistiche e testimonianze hanno concordemente
indicato, in Italia ed in Europa, nella molestia perpetrata
dal datore di lavoro o dal superiore gerarchico un atto
rivolto principalmente a testimoniare potere ed a negare,
nella relazione con l'altra (o con l'altro), i più elementari
diritti di libertà a chi si trova in posizione subalterna.
L'asimmetria di potere viene così trasformata in
asimmetria di diritti; del diritto al diniego, innanzi tutto,
del diritto di sovranità sul proprio corpo e sul proprio
desiderio, ma anche del diritto a vivere l'imprevedibilità ed
il gioco della reciproca seduzione alla pari, senza che la
relazione sessuale ricalchi e rinforzi rapporti di dominio.
Per questo, la proposta di legge sottolinea, all'articolo
1, la particolare rilevanza delle molestie accompagnate,
esplicitamente o implicitamente, "da minacce o ricatti da
parte del datore di lavoro o dei superiori gerarchici in
relazione alla costituzione, allo svolgimento ed alla
estinzione del rapporto di lavoro" e rende nulli, all'articolo
3, "tutti gli atti o patti che derivino da atto
discriminatorio per sesso conseguente alla molestia sessuale
e, particolarmente, da ricatti o minacce accompagnati a
molestia sessuale", così come rende nulli, all'articolo 9,
tutti i provvedimenti di ritorsione, in qualunque modo
peggiorativi della posizione soggettiva del lavoratore o della
lavoratrice che abbia denunciato comportamenti di molestia,
adottati entro un anno dal momento della denuncia,
presumendone la natura discriminatoria.
D'altra parte, l'intera nostra civiltà giuridica vuole che
le attività lavorative, come tutte le iniziative economiche,
non possano svolgersi "in modo da recare danno alla sicurezza,
alla libertà, alla dignità umana" come recita l'articolo 41
della Costituzione. Ora, i rapporti di lavoro comportano
complessi e reciproci obblighi contrattualmente stabiliti,
chiamati a coniugare, nel rispetto dei princìpi richiamati,
diritti e doveri di lavoratori e datori di lavoro; ma non è in
alcun modo ammissibile che strumenti di regolazione destinati
ad assicurare tali finalità vengano utilizzati allo scopo di
instaurare nell'ambiente di lavoro un clima intimidatorio,
ostile o umiliante, introducendo come arma di ricatto o come
merce di scambio profferte, gesti o comportamenti a
connotazione sessuale.
Del resto, il luogo di lavoro comporta la quotidiana
convivenza di persone con diversa formazione, sensibilità,
etica ed orientamento sessuale; ciò costituisce un'importante
occasione di scambio e di educazione alla socialità, ma può
anche generare, senza adeguato controllo, quel tessuto di
equivoci e pregiudizi che facilmente degenera in malcostume e
mancanza di reciproco rispetto, anche tra colleghi. La
molestia sessuale offende chi la subisce, produce disagio,
altera le normali relazioni di lavoro, crea disparità e spesso
obbliga il lavoratore o la lavoratrice a perdere opportunità o
a subire sperequazioni; inoltre, come la Commissione delle
Comunità europee ha sottolineato nel Codice di comportamento
da essa adottato per combattere le molestie sessuali, esse
spesso colpiscono le persone in maggiore difficoltà,
concentrandosi sui soggetti più vulnerabili, meno tutelati o
appartenenti a gruppi sociali minoritari "capaci di
catalizzare le peggiori inclinazioni di superiori, colleghi e
subalterni".
Tra le categorie più esposte, uno studio citato nel Codice
elenca "le donne in stato di divorzio e di separazione, le più
giovani e le nuove assunte, le donne che non sono tutelate da
un contratto regolare e fisso, le lavoratrici che svolgono
professioni non specificamente femminili, quelle affette da
menomazioni, lesbiche o appartenenti a minoranze razziali
(...) gli omosessuali e gli uomini in giovane età", persone
cioè per le quali la situazione di lavoro nella quale si
trovano ha le maggiori probabilità di essere quella
determinante per salvaguardare la loro autonomia.
Noi riteniamo che in una Repubblica che ha voluto
riconoscersi fondata sul lavoro non vi sia dubbio che tutti i
cittadini abbiano diritto ad un ambiente di lavoro sicuro e
sereno, esente da ricatti e condizionamenti, e che tra gli
obblighi del datore di lavoro rientri quello di garantire
l'integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori. In
questo senso già opera l'articolo 2087 del codice civile, più
volte richiamato in sede civile nei casi di molestia, secondo
cui "l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio
dell'impresa le misure che, secondo le particolarità del
lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare
l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di
lavoro". Abbiamo dunque inteso rafforzare questo principio,
estendendolo esplicitamente e con maggiore cogenza alla
prevenzione delle molestie sessuali.
Per questo, riveste particolare significato la scelta di
affrontare il tema delle molestie proprio nell'ambito del
diritto del lavoro, ad integrazione delle garanzie previste
dallo Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970); un nuovo
capitolo andrà così ad aggiungersi a quelle norme a tutela
della dignità e della libertà della persona nell'ambiente di
lavoro che costituiscono la materia prima di quel
provvedimento fondamentale.
Non dobbiamo dimenticare, inoltre, l'impulso determinante
impresso all'analisi sociale ed alla sanzione giuridica del
fenomeno delle molestie sessuali sui luoghi di lavoro dai
massimi organismi comunitari; all'Europa dobbiamo soprattutto
riconoscenza, per il rigore e la continuità con cui è stato
affrontato questo tema, troppo spesso sottovalutato o
trasformato in oggetto di dileggio nei singoli Paesi.
Il Parlamento europeo ha invitato fin dal 1986 le autorità
nazionali a cercare di pervenire ad una definizione giuridica
di molestia sessuale, sottolineando la necessità di specifiche
campagne di informazione sui diritti dei lavoratori, da parte
dei Governi, delle Commissioni per le pari opportunità e dei
sindacati.
Nel 1990 il Consiglio europeo, individuando tra l'altro
nella diffusione delle molestie uno specifico ostacolo
all'effettiva integrazione delle donne nel mercato del lavoro,
è tornato sul problema, proponendo una prima definizione di
molestia sessuale che ha correttamente posto al centro il suo
carattere di atto o comportamento indesiderato, a connotazione
sessuale.
La Commissione delle Comunità europee accogliendo anche la
richiesta del Comitato consultivo per l'uguaglianza delle
opportunità dell'Unione europea, ha successivamente ribadito
tale definizione, emanando su questa materia una
raccomandazione agli Stati membri (la 92/131/CEE) ed il Codice
di comportamento precedentemente citato, entrambi volti a
combattere le molestie sessuali sul luogo di lavoro.
Sia il Parlamento che la Commissione hanno poi fatto
seguire a queste importanti affermazioni di principio numerosi
atti concreti, nell'ambito delle rispettive competenze: il
Parlamento approvando nel 1994 una risoluzione a favore della
designazione nelle imprese di un consigliere, con il compito
di combattere i casi di molestie e di proteggere vittime e
testimoni; la Commissione promuovendo due consultazioni con le
parti sociali e censurando nei suoi rapporti il comportamento
degli Stati parzialmente o totalmente inadempienti nei
confronti delle indicazioni della citata raccomandazione
92/131/CEE. Quest'ultima invitava gli Stati membri a
promuovere politiche positive, nutrite di informazione,
prevenzione ed ascolto delle parti sociali, e sceglieva di
investire soprattutto sulla responsabilizzazione dei datori di
lavoro e sulla promozione dell'autotutela tra i lavoratori.
Questa scelta ha dato buoni frutti. In particolare, in
occasione della prima consultazione delle parti sociali, nel
luglio 1996, si è avuta la prima ufficiale ed internazionale
conferma dell'assoluta rilevanza del problema, poiché ben 17
delle 39 organizzazioni di datori di lavoro e sindacali
consultate hanno riconosciuto le molestie sessuali come un
fenomeno diffuso, da prevenire nel luogo di lavoro
nell'interesse sia del singolo che dell'impresa.
Ne è scaturito un forte impegno internazionale delle
organizzazioni di categoria che ha introdotto in moltissime
contrattazioni nazionali clausole espressamente dedicate alla
prevenzione ed alla repressione delle molestie sessuali.
Assai meno pronta è stata invece la risposta degli Stati e
dei Parlamenti, chiamati soprattutto ad accreditare una
nozione unitaria di molestie. Anche in Italia, malgrado la
tempestiva presentazione di varie proposte di legge, ci
troviamo a discutere oggi del problema con colpevole
ritardo.
Le diversità culturali e sociali che ancora attraversano
l'Europa hanno avuto ripercussioni negative sul grado di
consapevolezza del problema, che soprattutto i Paesi latini
hanno teso a ridurre a questione privata di poca o nessuna
importanza, senza cogliere la profonda civiltà dell'invito
europeo a condividere e diffondere buone pratiche sociali.
Pure, tutte le ricerche più autorevoli hanno evidenziato
in modo diffuso dati allarmanti. Rapporti voluti dal Consiglio
europeo o da Governi nazionali, come in Belgio, in Inghilterra
e in Olanda, hanno evidenziato nei vari Paesi una percentuale
di donne intervistate che dichiarava di avere subìto molestie
sessuali sul luogo di lavoro, che oscillava tra il 22 per
cento ed il 55 per cento. Assai più elevati i dati relativi
all'area dei Paesi latini: in Spagna, una ricerca della
Confederazione sindacale UGT concludeva che l'84 per cento
delle donne intervistate aveva subìto molestie da colleghi,
superiori o subalterni.
Anche nel nostro Paese il fenomeno delle molestie sessuali
è assai diffuso; inoltre, poiché affonda purtroppo le sue
radici in un malcostume trasversale alle classi e agli
ambienti sociali, esso non si esaurisce all'interno delle
relazioni gerarchiche più rispondenti al vecchio modello del
"padrone della filanda", ma è presente in tutti i settori e a
tutti i livelli del mondo del lavoro.
In Italia, la prima indagine sulle molestie è stata
condotta su iniziativa sindacale nel 1989 a Roma, sulle
dipendenti di tutti i luoghi di lavoro presenti nell'area di
viale Trastevere, ed ha immediatamente segnalato un 35 per
cento di donne molestate o testimoni di molestie. Poiché tutte
le ricerche successive, effettuate in quegli anni in varie
parti d'Italia ed in diversi ambiti professionali (come
fabbriche, uffici, università), non facevano che confermare la
rilevanza anche statistica del problema, anche i lavoratori
italiani e le loro organizzazioni hanno dato inizio ad una
serie strategica di interventi sulla contrattazione
nazionale.
Già nel 1990, questo impegno ha introdotto per la prima
volta la definizione di molestia sessuale nel contratto
nazionale dei metalmeccanici; sono seguiti, con formulazioni
parzialmente diverse ma univoca sostanza, i contratti dei
lavoratori dipendenti delle imprese alimentari, quelli delle
assicurazioni, dei bancari, del settore calzaturiero, della
sanità, degli enti locali, della scuola e dei Ministeri.
Al centro di ognuno di questi interventi è stata posta
proprio la rivendicazione da parte di lavoratori e lavoratrici
del dovuto rispetto per la loro persona, per il loro corpo e
per la loro intelligenza, tutti irriducibili a segno di poteri
altrui e tutti irriducibili a merce di scambio di favori.
La diffusione dei dati delle principali ricerche ha anche
indotto numerosi organi di informazione a dedicare attenzione
al fenomeno, e per qualche anno le molestie sessuali hanno
avuto l'onore e l'onere della ribalta nazionale; molti di voi
ricorderanno però, accanto alla discussione dei primi progetti
di legge ed alla profondità del confronto culturale sulle
proiezioni individuali in materia di relazioni tra i sessi, i
"frizzi e i lazzi" dei troppi commentatori improvvisati che si
rifiutavano di vedere nel fenomeno null'altro che un'occasione
per spargere a piene mani le più viete considerazioni sulla
natura del maschio latino. Non è raro purtroppo anche oggi,
ritrovare qua e là quella stessa superficiale grossolanità di
analisi dei costumi degli italiani. Soprattutto, la
sufficienza o la contraccusa di perbenismo nei confronti di
chi sostiene la necessità di un intervento, segnala la
difficoltà di molti a riconoscere, prima ancora che a
condividere, la più semplice delle ovvietà in materia di
relazioni sessuali, e cioè che il comportamento molesto è tale
quando non è accettato dalla persona alla quale è diretto.
Tutte le dimensioni di un rapporto seduttivo, gioco,
ambivalenza, allusione, sorpresa, hanno bisogno di muoversi
nello spazio di una relazione a due; ma se una delle persone
non vuole essere coinvolta, semplicemente occorre prendere
atto che lo spazio per la relazione non c'è.
Non basta desiderare per essere desiderati; e,
soprattutto, tra il desiderare qualcosa e il desiderare
qualcuno deve esserci tutto lo spazio dovuto al rispetto per
la libera scelta altrui.
Più in profondità, dietro molte delle battute su
molestatori e molestati, non era e non è difficile riconoscere
il peso di una cultura che ha lungamente ammesso e
giustificato la prevaricazione come modalità di rapporto tra i
sessi, ignorando perfino l'esistenza del desiderio
femminile.
Oggi non è più così; ma ogni volta che si produce e si
difende un'asimmetria di qualche genere in un rapporto che
abbia implicazioni sessuali, in molti scatta una sorta di
antico riflesso, che ricrea la centralità del soggetto
desiderante e sfuma la visibilità dell'altro, significativo
soltanto perché oggetto del desiderio altrui.
La definizione della molestia sessuale.
E' dunque fondamentale e segno di civiltà l'accoglimento,
nell'articolo 1 della proposta di legge, della definizione
comunitaria di molestia sessuale, qualificata come "ogni atto
o comportamento, anche verbale, a connotazione sessuale o
comunque basato sul sesso, che sia indesiderato e che, di per
sé ovvero per la sua insistenza, sia percepibile, secondo
ragionevolezza, come arrecante offesa alla dignità e libertà
della persona che lo subisce, ovvero sia suscettibile di
creare un clima di intimidazione nei suoi confronti".
Il profilo soggettivo della nozione dà innanzi tutto voce
alla valutazione della vittima; il comportamento è dunque
giudicato dalla prospettiva di chi lo subisce e non sulla base
dell'intenzione di chi lo pone in atto.
La tutela della dignità personale non può certo
prescindere dalla considerazione di ciò che il soggetto
ritiene caratteristico o lesivo della propria dignità; allo
stesso modo, solo a lui può spettare l'individuazione dei
limiti di ciò che considera bene o male accetto. Su questo
elementare rispetto dell'individuo e sulla sua mancanza si
gioca del resto proprio la sostanza dell'illecito, e su questo
il giudice dovrà basarsi in giudizio.
La stessa valutazione obiettiva delle circostanze fattuali
dovrà quindi rapportarsi non già ad un modello astratto o
medio di correttezza interpersonale, ma al rispetto delle
convinzioni, della sensibilità e delle volontà della vittima.
Solo per il caso in cui occorra bilanciare possibili
ipersensibilità individuali o instabilità personali, il
giudice dispone del correttivo della valutazione di
ragionevolezza, perché nel rispetto dei diritti dell'accusato
sia possibile accreditare o meno l'insistenza o l'obiettiva
gravità del comportamento molesto.
E' questa una irrinunciabile soluzione d'equilibrio tra i
diritti dell'accusatore e dell'accusato, che tiene nel giusto
conto sia la necessità di far valere la soggettività della
vittima, nella quale trova fondamento l'indesideratezza che
produce la nozione stessa di molestia, sia la possibilità che
l'insensatezza del rapporto tra fatto ed evento denunciato
riveli palesemente al giudice uno squilibrio del
denunciante.
Inoltre, la proposta di legge tiene conto del fatto che le
parti sociali hanno evidenziato con estrema concretezza al
legislatore che al di là dell'esigenza del ripristino del
diritto ad un corretto rapporto interpersonale, esiste ed
incide pesantemente sull'esistenza del lavoratore tutto un
insieme di atti esterni alla relazione, che costituiscono veri
e propri atti discriminatori e che trasferiscono pesantemente
nell'ambito sociale del rapporto di lavoro i ricatti e le
tensioni originati dalla dinamica interpersonale.
In definitiva, dal nostro lavoro possono dipendere in gran
parte la nostra autonomia, le persone di cui siamo
responsabili, la nostra autostima ed il nostro ruolo sociale;
può bastare poco per mandare in frantumi la nostra vita, se un
elemento estraneo e potente come un ricatto di natura sessuale
viene tradotto in decisioni che incidano pesantemente sul
nostro rapporto di lavoro.
E' questo l'ambito che qui ci interessa particolarmente,
anche sulla scorta delle raccomandazioni comunitarie, poiché
caratterizza in modo esclusivo la fattispecie della molestia
sessuale sul luogo di lavoro e non manca di suggerire tecniche
di tutela del lavoratore e della lavoratrice molestati
realmente efficaci.
La proposta di legge in esame in primo luogo raccoglie le
indicazioni del citato Codice di comportamento emanato dalla
Commissione delle Comunità europee in materia di procedure,
stabilendo l'obbligo per il datore di lavoro di garantire in
modo riservato un tempestivo ed imparziale accertamento dei
fatti denunciati e demandando ai consiglieri di parità
competenze specifiche di assistenza e consulenza dei
lavoratori e delle lavoratrici molestati.
Tutta la legislazione comunitaria, infatti, senza
rinunciare ad un'ampia definizione legale delle molestie
sessuali, inclusiva sia delle molestie ambientali sia di
quelle ricattatorie, punta strategicamente a trasferire la
regolamentazione relativa al fenomeno delle molestie sul piano
negoziale, con l'obbligo da parte del datore di lavoro di
sviluppare in azienda apposite campagne di prevenzione
concordate con i sindacati e di istituire procedure di
denuncia interna, sia informali che formali.
Se ciò a cui si punta è una maturazione della mentalità
diffusa, in grado di generare in ogni ambiente di lavoro un
clima di reciproco rispetto e considerazione, è evidente
infatti la necessità di creare il massimo consenso possibile
intorno alle modalità di intervento; occorre sottrarre in ogni
modo terreno alle omertà o alle complicità che troppo spesso
un malcostume solo culturalmente condiviso basta a generare
intorno al comportamento concreto del molestatore.
Il predetto Codice prevede inoltre la figura del
consigliere di fiducia, indicato dal lavoratore ed utile per
le parti a superare i comprensibili imbarazzi o le resistenze
ad affrontare il problema in prima persona; anche la proposta
di legge in esame dunque consente di introdurla, su
indicazione della contrattazione collettiva.
La scelta, infine, di individuare nell'ordinamento
italiano il consigliere di parità per la funzione di
assistenza anche formale ai dipendenti molestati, oltre a
garantire una più rapida operatività alla legge, sottolinea il
ruolo socialmente rilevante esercitato nella manifestazione
della molestia dagli atti di natura discriminatoria, che pur
essendo motivati dal ricatto sessuale possono non essere
sessualmente connotati. Anche il ruolo di supplenza di
necessità esercitato in questi anni dalla giurisprudenza,
italiana e non solo, nell'elaborazione dei precetti giuridici
e delle relative sanzioni in questa materia, ha evidenziato
alcuni importanti elementi da valutare con attenzione. La
curvatura interpretativa di discipline già esistenti ma
dettate per altre finalità ed obiettivi (come la lotta alla
discriminazione sessuale o ai reati a sfondo sessuale, il
risarcimento del danno biologico o morale o le sanzioni
disciplinari), se è valsa spesso a dimostrare ai soggetti
colpiti il doveroso interesse della comunità, si è spesso
infatti dimostrata insufficiente ad assicurare un'adeguata
compensazione del danno ed un intervento realmente efficace
sulla situazione specifica.
Ciò si spiega essenzialmente con la natura particolare sia
delle illiceità a sfondo sessuale sia del rapporto di lavoro,
che implica una reciprocità di rispetto e di fiducia spesso
irrimediabilmente compromessa nei casi di molestia.
Infatti, se da un lato la ricerca da parte dei giudici del
lavoro di strumenti di tutela in qualche modo applicabili a
questi casi ha evidenziato fenomeni importanti, come la
sussistenza del presupposto di giusta causa per i
provvedimenti disciplinari o i licenziamenti dei molestatori
motivati dal datore di lavoro per violazione dei doveri
fondamentali di correttezza, anche in assenza di una specifica
previsione contrattuale, dall'altro l'efficacia dei
provvedimenti di reintegro, nei casi di discriminazione o
licenziamento delle parti lese, si è dimostrata pressoché
nulla.
Tornare al proprio lavoro dopo un procedimento giudiziario
e per effetto di un provvedimento del giudice si è spesso
dimostrato nei casi di molestie intollerabile per le vittime,
soprattutto nei casi di forzata e quotidiana convivenza con i
molestatori o di scarsa solidarietà da parte dei colleghi.
Ciò induce ad estendere, all'articolo 6 della proposta di
legge, la fattispecie di dimissioni per giusta causa,
riconoscendo ai lavoratori e alle lavoratrici vittime di
molestie sessuali "il diritto di recedere dal contratto di
lavoro", oppure "di essere destinati, ove essi stessi ne
facciano richiesta, ad altro incarico". Naturalmente, ove
motivate da molestie, tali scelte obbligano il datore di
lavoro o il superiore gerarchico responsabile alla
corresponsione di un indennizzo determinato dal giudice, che
la proposta di legge prevede di importo compreso tra le sei e
le ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione
complessiva, in relazione alla gravità del comportamento
molesto.
Inoltre, la scelta di mantenere in ambito civilistico le
azioni in giudizio, prevedendo specifiche norme risarcitorie e
di tutela, risponde all'intenzione di privilegiare su tutto
l'efficacia dello strumento legislativo in relazione al
fenomeno affrontato.
Quando in giurisprudenza si è tentata la via
dell'interpretazione estensiva di fattispecie criminose più o
meno contigue al fenomeno delle molestie, dalla violenza
sessuale alla molestia o al disturbo alle persone, dagli atti
osceni alla violenza privata, dalla minaccia all'ingiuria, il
ricorso all'ambito penalistico, astrattamente forte, si è
dimostrato per lo più concretamente inadatto a garantire non
solo la tempestività necessaria a questo tipo di situazioni ma
anche l'effettiva punibilità del reo, generalmente favorito
dal regime di prescrizione, dal sistema di impugnazioni e
dalle priorità di indagine degli uffici inquirenti, con il
risultato di sottrarre ogni valore deterrente alla minaccia
della pena. Lo strumento risarcitorio in sede civile si è
dimostrato invece assai più efficace e flessibile, consentendo
al giudice una valutazione congiunta dei danni patrimoniali,
come la riduzione del livello retributivo o della capacità di
produrre reddito, dei danni non patrimoniali, come le
situazioni patologiche riconducibili alla molestia, e dei
danni biologici, nelle versioni del danno alla salute, del
danno esistenziale e del danno alla vita di relazione. Questi
ultimi hanno anzi assunto un prevalente ruolo sanzionatorio,
con funzione di strumento di coercizione indiretta, pur senza
consentire al giudice interventi specifici di natura
ripristinatoria e risarcitoria.
Ai limiti di un'azione giudiziaria fin qui condizionata
dalla latitanza del legislatore, intende dunque porre rimedio
la proposta di legge, non solo riconoscendo al giudice o al
consigliere di parità il potere di promuovere il tentativo di
conciliazione e di condannare il responsabile del
comportamento molesto al risarcimento del danno, ma anche
introducendo all'articolo 9 la nullità dei provvedimenti di
ritorsione adottati entro un anno dal momento della denuncia
in danno del lavoratore, come trasferimenti, licenziamenti e
simili, in qualunque modo peggiorativi della sua
condizione.
E' ovvio tuttavia che anche se lo Stato si impegna ad
assicurare il suo sostegno a chi desideri agire in giudizio,
il legislatore considera maggiormente efficace per la
diffusione di buone pratiche sociali la responsabilizzazione
dei datori di lavoro e dei sindacati, che possono davvero
creare insieme le condizioni dapprima per isolare e combattere
e poi per prevenire ed eliminare il fenomeno delle molestie
sessuali laddove si produce.
Alla contrattazione collettiva sono dunque rinviate
funzioni importanti, come la definizione delle sanzioni per i
comportamenti che in base alla legge costituiscono illecito
disciplinare.
A questo stesso fine, la presente proposta di legge
precisa inoltre gli obblighi del datore di lavoro, che
comprendono la definizione congiunta con le organizzazioni
sindacali di iniziative formative ed informative di
prevenzione, ammesse ai finanziamenti di cui all'articolo 2
della legge 10 aprile 1991, n. 125, e la previsione di
procedure riservate, tempestive ed imparziali di accertamento,
in caso di denuncia di molestie.
L'articolo 5, per intervenire in senso più ampio
sull'opinione pubblica nazionale, finanzia campagne di
informazione sulle molestie sessuali, predisposte annualmente
dal Comitato nazionale per l'attuazione dei princìpi di parità
di trattamento e uguaglianza di opportunità fra lavoratori e
lavoratrici e dalle commissioni regionali, autorizzando una
spesa di 5 miliardi l'anno a decorrere dall'anno 2001.
E' soprattutto a questo impegno congiunto della società
civile e dello Stato nel suo ruolo di garante di informazioni
corrette sui diritti di ognuno che la presente proposta di
legge si propone di affidare la battaglia contro le molestie
sessuali. Perché un fenomeno come questo, purtroppo radicato
in un malcostume diffuso, può essere efficacemente contrastato
soltanto dalla diffusione di buone pratiche sociali,
attraverso l'esercizio quotidiano di forme di cittadinanza
attiva.
Quasi tutti noi dividiamo un ambiente di lavoro che
periodicamente siamo chiamati a contribuire a regolare. In
quel momento, sarà nelle nostre mani la possibilità di isolare
i molestatori e di tutelare i molestati, se ve ne sono; ma
soprattutto, sarà nelle nostre mani l'occasione di esprimere
pubblicamente la nostra riprovazione per le molestie sessuali
e di accrescere la percezione sociale di quel genere di
comportamenti. I luoghi comuni sono difficili da correggere;
occorre avere la forza di crearne di nuovi, e migliori.
Obiettivo della presente proposta di legge è dunque anche
quello di contribuire a trasformare in luogo comune il diritto
dell'altro al rispetto, anche in una relazione che abbia
implicazioni sessuali, anzi soprattutto in quest'ultimo caso.
Perché è questo tipo di relazioni che costituisce il
fondamento di ogni società e che di conseguenza meglio di
tutte le altre vale ad esprimerne il livello di civiltà.
Sta soprattutto qui il valore e il senso della nostra
discussione, dalla quale ci auguriamo che avrà occasione di
uscire, con l'approvazione della presente proposta di legge,
un piccolo strumento di civiltà, utile a tutelare un diritto e
a diffonderne la consapevolezza sociale.