XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 60




        Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge mira in primo luogo a sottrarre all'abuso di potere negli ambienti di lavoro un'arma pericolosamente efficace, varando norme che corrispondano ad una visione autenticamente civile dei rapporti gerarchici.
        Negli anni, abbiamo imparato a riconoscere la specificità delle molestie sessuali nell'ambito dei rapporti di lavoro; ricerche, statistiche e testimonianze hanno concordemente indicato, in Italia ed in Europa, nella molestia perpetrata dal datore di lavoro o dal superiore gerarchico un atto rivolto principalmente a testimoniare potere ed a negare, nella relazione con l'altra (o con l'altro), i più elementari diritti di libertà a chi si trova in posizione subalterna.
        L'asimmetria di potere viene così trasformata in asimmetria di diritti; del diritto al diniego, innanzi tutto, del diritto di sovranità sul proprio corpo e sul proprio desiderio, ma anche del diritto a vivere l'imprevedibilità ed il gioco della reciproca seduzione alla pari, senza che la relazione sessuale ricalchi e rinforzi rapporti di dominio.
        Per questo, la proposta di legge sottolinea, all'articolo 1, la particolare rilevanza delle molestie accompagnate, esplicitamente o implicitamente, "da minacce o ricatti da parte del datore di lavoro o dei superiori gerarchici in relazione alla costituzione, allo svolgimento ed alla estinzione del rapporto di lavoro" e rende nulli, all'articolo 3, "tutti gli atti o patti che derivino da atto discriminatorio per sesso conseguente alla molestia sessuale e, particolarmente, da ricatti o minacce accompagnati a molestia sessuale", così come rende nulli, all'articolo 9, tutti i provvedimenti di ritorsione, in qualunque modo peggiorativi della posizione soggettiva del lavoratore o della lavoratrice che abbia denunciato comportamenti di molestia, adottati entro un anno dal momento della denuncia, presumendone la natura discriminatoria.
        D'altra parte, l'intera nostra civiltà giuridica vuole che le attività lavorative, come tutte le iniziative economiche, non possano svolgersi "in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana" come recita l'articolo 41 della Costituzione. Ora, i rapporti di lavoro comportano complessi e reciproci obblighi contrattualmente stabiliti, chiamati a coniugare, nel rispetto dei princìpi richiamati, diritti e doveri di lavoratori e datori di lavoro; ma non è in alcun modo ammissibile che strumenti di regolazione destinati ad assicurare tali finalità vengano utilizzati allo scopo di instaurare nell'ambiente di lavoro un clima intimidatorio, ostile o umiliante, introducendo come arma di ricatto o come merce di scambio profferte, gesti o comportamenti a connotazione sessuale.
        Del resto, il luogo di lavoro comporta la quotidiana convivenza di persone con diversa formazione, sensibilità, etica ed orientamento sessuale; ciò costituisce un'importante occasione di scambio e di educazione alla socialità, ma può anche generare, senza adeguato controllo, quel tessuto di equivoci e pregiudizi che facilmente degenera in malcostume e mancanza di reciproco rispetto, anche tra colleghi. La molestia sessuale offende chi la subisce, produce disagio, altera le normali relazioni di lavoro, crea disparità e spesso obbliga il lavoratore o la lavoratrice a perdere opportunità o a subire sperequazioni; inoltre, come la Commissione delle Comunità europee ha sottolineato nel Codice di comportamento da essa adottato per combattere le molestie sessuali, esse spesso colpiscono le persone in maggiore difficoltà, concentrandosi sui soggetti più vulnerabili, meno tutelati o appartenenti a gruppi sociali minoritari "capaci di catalizzare le peggiori inclinazioni di superiori, colleghi e subalterni".
        Tra le categorie più esposte, uno studio citato nel Codice elenca "le donne in stato di divorzio e di separazione, le più giovani e le nuove assunte, le donne che non sono tutelate da un contratto regolare e fisso, le lavoratrici che svolgono professioni non specificamente femminili, quelle affette da menomazioni, lesbiche o appartenenti a minoranze razziali (...) gli omosessuali e gli uomini in giovane età", persone cioè per le quali la situazione di lavoro nella quale si trovano ha le maggiori probabilità di essere quella determinante per salvaguardare la loro autonomia.
        Noi riteniamo che in una Repubblica che ha voluto riconoscersi fondata sul lavoro non vi sia dubbio che tutti i cittadini abbiano diritto ad un ambiente di lavoro sicuro e sereno, esente da ricatti e condizionamenti, e che tra gli obblighi del datore di lavoro rientri quello di garantire l'integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori. In questo senso già opera l'articolo 2087 del codice civile, più volte richiamato in sede civile nei casi di molestia, secondo cui "l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro". Abbiamo dunque inteso rafforzare questo principio, estendendolo esplicitamente e con maggiore cogenza alla prevenzione delle molestie sessuali.
        Per questo, riveste particolare significato la scelta di affrontare il tema delle molestie proprio nell'ambito del diritto del lavoro, ad integrazione delle garanzie previste dallo Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970); un nuovo capitolo andrà così ad aggiungersi a quelle norme a tutela della dignità e della libertà della persona nell'ambiente di lavoro che costituiscono la materia prima di quel provvedimento fondamentale.
        Non dobbiamo dimenticare, inoltre, l'impulso determinante impresso all'analisi sociale ed alla sanzione giuridica del fenomeno delle molestie sessuali sui luoghi di lavoro dai massimi organismi comunitari; all'Europa dobbiamo soprattutto riconoscenza, per il rigore e la continuità con cui è stato affrontato questo tema, troppo spesso sottovalutato o trasformato in oggetto di dileggio nei singoli Paesi.
        Il Parlamento europeo ha invitato fin dal 1986 le autorità nazionali a cercare di pervenire ad una definizione giuridica di molestia sessuale, sottolineando la necessità di specifiche campagne di informazione sui diritti dei lavoratori, da parte dei Governi, delle Commissioni per le pari opportunità e dei sindacati.
        Nel 1990 il Consiglio europeo, individuando tra l'altro nella diffusione delle molestie uno specifico ostacolo all'effettiva integrazione delle donne nel mercato del lavoro, è tornato sul problema, proponendo una prima definizione di molestia sessuale che ha correttamente posto al centro il suo carattere di atto o comportamento indesiderato, a connotazione sessuale.
        La Commissione delle Comunità europee accogliendo anche la richiesta del Comitato consultivo per l'uguaglianza delle opportunità dell'Unione europea, ha successivamente ribadito tale definizione, emanando su questa materia una raccomandazione agli Stati membri (la 92/131/CEE) ed il Codice di comportamento precedentemente citato, entrambi volti a combattere le molestie sessuali sul luogo di lavoro.
        Sia il Parlamento che la Commissione hanno poi fatto seguire a queste importanti affermazioni di principio numerosi atti concreti, nell'ambito delle rispettive competenze: il Parlamento approvando nel 1994 una risoluzione a favore della designazione nelle imprese di un consigliere, con il compito di combattere i casi di molestie e di proteggere vittime e testimoni; la Commissione promuovendo due consultazioni con le parti sociali e censurando nei suoi rapporti il comportamento degli Stati parzialmente o totalmente inadempienti nei confronti delle indicazioni della citata raccomandazione 92/131/CEE. Quest'ultima invitava gli Stati membri a promuovere politiche positive, nutrite di informazione, prevenzione ed ascolto delle parti sociali, e sceglieva di investire soprattutto sulla responsabilizzazione dei datori di lavoro e sulla promozione dell'autotutela tra i lavoratori.
        Questa scelta ha dato buoni frutti. In particolare, in occasione della prima consultazione delle parti sociali, nel luglio 1996, si è avuta la prima ufficiale ed internazionale conferma dell'assoluta rilevanza del problema, poiché ben 17 delle 39 organizzazioni di datori di lavoro e sindacali consultate hanno riconosciuto le molestie sessuali come un fenomeno diffuso, da prevenire nel luogo di lavoro nell'interesse sia del singolo che dell'impresa.
        Ne è scaturito un forte impegno internazionale delle organizzazioni di categoria che ha introdotto in moltissime contrattazioni nazionali clausole espressamente dedicate alla prevenzione ed alla repressione delle molestie sessuali.
        Assai meno pronta è stata invece la risposta degli Stati e dei Parlamenti, chiamati soprattutto ad accreditare una nozione unitaria di molestie. Anche in Italia, malgrado la tempestiva presentazione di varie proposte di legge, ci troviamo a discutere oggi del problema con colpevole ritardo.
        Le diversità culturali e sociali che ancora attraversano l'Europa hanno avuto ripercussioni negative sul grado di consapevolezza del problema, che soprattutto i Paesi latini hanno teso a ridurre a questione privata di poca o nessuna importanza, senza cogliere la profonda civiltà dell'invito europeo a condividere e diffondere buone pratiche sociali.
        Pure, tutte le ricerche più autorevoli hanno evidenziato in modo diffuso dati allarmanti. Rapporti voluti dal Consiglio europeo o da Governi nazionali, come in Belgio, in Inghilterra e in Olanda, hanno evidenziato nei vari Paesi una percentuale di donne intervistate che dichiarava di avere subìto molestie sessuali sul luogo di lavoro, che oscillava tra il 22 per cento ed il 55 per cento. Assai più elevati i dati relativi all'area dei Paesi latini: in Spagna, una ricerca della Confederazione sindacale UGT concludeva che l'84 per cento delle donne intervistate aveva subìto molestie da colleghi, superiori o subalterni.
        Anche nel nostro Paese il fenomeno delle molestie sessuali è assai diffuso; inoltre, poiché affonda purtroppo le sue radici in un malcostume trasversale alle classi e agli ambienti sociali, esso non si esaurisce all'interno delle relazioni gerarchiche più rispondenti al vecchio modello del "padrone della filanda", ma è presente in tutti i settori e a tutti i livelli del mondo del lavoro.
        In Italia, la prima indagine sulle molestie è stata condotta su iniziativa sindacale nel 1989 a Roma, sulle dipendenti di tutti i luoghi di lavoro presenti nell'area di viale Trastevere, ed ha immediatamente segnalato un 35 per cento di donne molestate o testimoni di molestie. Poiché tutte le ricerche successive, effettuate in quegli anni in varie parti d'Italia ed in diversi ambiti professionali (come fabbriche, uffici, università), non facevano che confermare la rilevanza anche statistica del problema, anche i lavoratori italiani e le loro organizzazioni hanno dato inizio ad una serie strategica di interventi sulla contrattazione nazionale.
        Già nel 1990, questo impegno ha introdotto per la prima volta la definizione di molestia sessuale nel contratto nazionale dei metalmeccanici; sono seguiti, con formulazioni parzialmente diverse ma univoca sostanza, i contratti dei lavoratori dipendenti delle imprese alimentari, quelli delle assicurazioni, dei bancari, del settore calzaturiero, della sanità, degli enti locali, della scuola e dei Ministeri.
        Al centro di ognuno di questi interventi è stata posta proprio la rivendicazione da parte di lavoratori e lavoratrici del dovuto rispetto per la loro persona, per il loro corpo e per la loro intelligenza, tutti irriducibili a segno di poteri altrui e tutti irriducibili a merce di scambio di favori.
        La diffusione dei dati delle principali ricerche ha anche indotto numerosi organi di informazione a dedicare attenzione al fenomeno, e per qualche anno le molestie sessuali hanno avuto l'onore e l'onere della ribalta nazionale; molti di voi ricorderanno però, accanto alla discussione dei primi progetti di legge ed alla profondità del confronto culturale sulle proiezioni individuali in materia di relazioni tra i sessi, i "frizzi e i lazzi" dei troppi commentatori improvvisati che si rifiutavano di vedere nel fenomeno null'altro che un'occasione per spargere a piene mani le più viete considerazioni sulla natura del maschio latino. Non è raro purtroppo anche oggi, ritrovare qua e là quella stessa superficiale grossolanità di analisi dei costumi degli italiani. Soprattutto, la sufficienza o la contraccusa di perbenismo nei confronti di chi sostiene la necessità di un intervento, segnala la difficoltà di molti a riconoscere, prima ancora che a condividere, la più semplice delle ovvietà in materia di relazioni sessuali, e cioè che il comportamento molesto è tale quando non è accettato dalla persona alla quale è diretto. Tutte le dimensioni di un rapporto seduttivo, gioco, ambivalenza, allusione, sorpresa, hanno bisogno di muoversi nello spazio di una relazione a due; ma se una delle persone non vuole essere coinvolta, semplicemente occorre prendere atto che lo spazio per la relazione non c'è.
        Non basta desiderare per essere desiderati; e, soprattutto, tra il desiderare qualcosa e il desiderare qualcuno deve esserci tutto lo spazio dovuto al rispetto per la libera scelta altrui.
        Più in profondità, dietro molte delle battute su molestatori e molestati, non era e non è difficile riconoscere il peso di una cultura che ha lungamente ammesso e giustificato la prevaricazione come modalità di rapporto tra i sessi, ignorando perfino l'esistenza del desiderio femminile.
        Oggi non è più così; ma ogni volta che si produce e si difende un'asimmetria di qualche genere in un rapporto che abbia implicazioni sessuali, in molti scatta una sorta di antico riflesso, che ricrea la centralità del soggetto desiderante e sfuma la visibilità dell'altro, significativo soltanto perché oggetto del desiderio altrui.


La definizione della molestia sessuale.

        E' dunque fondamentale e segno di civiltà l'accoglimento, nell'articolo 1 della proposta di legge, della definizione comunitaria di molestia sessuale, qualificata come "ogni atto o comportamento, anche verbale, a connotazione sessuale o comunque basato sul sesso, che sia indesiderato e che, di per sé ovvero per la sua insistenza, sia percepibile, secondo ragionevolezza, come arrecante offesa alla dignità e libertà della persona che lo subisce, ovvero sia suscettibile di creare un clima di intimidazione nei suoi confronti".
        Il profilo soggettivo della nozione dà innanzi tutto voce alla valutazione della vittima; il comportamento è dunque giudicato dalla prospettiva di chi lo subisce e non sulla base dell'intenzione di chi lo pone in atto.
        La tutela della dignità personale non può certo prescindere dalla considerazione di ciò che il soggetto ritiene caratteristico o lesivo della propria dignità; allo stesso modo, solo a lui può spettare l'individuazione dei limiti di ciò che considera bene o male accetto. Su questo elementare rispetto dell'individuo e sulla sua mancanza si gioca del resto proprio la sostanza dell'illecito, e su questo il giudice dovrà basarsi in giudizio.
        La stessa valutazione obiettiva delle circostanze fattuali dovrà quindi rapportarsi non già ad un modello astratto o medio di correttezza interpersonale, ma al rispetto delle convinzioni, della sensibilità e delle volontà della vittima. Solo per il caso in cui occorra bilanciare possibili ipersensibilità individuali o instabilità personali, il giudice dispone del correttivo della valutazione di ragionevolezza, perché nel rispetto dei diritti dell'accusato sia possibile accreditare o meno l'insistenza o l'obiettiva gravità del comportamento molesto.
        E' questa una irrinunciabile soluzione d'equilibrio tra i diritti dell'accusatore e dell'accusato, che tiene nel giusto conto sia la necessità di far valere la soggettività della vittima, nella quale trova fondamento l'indesideratezza che produce la nozione stessa di molestia, sia la possibilità che l'insensatezza del rapporto tra fatto ed evento denunciato riveli palesemente al giudice uno squilibrio del denunciante.
        Inoltre, la proposta di legge tiene conto del fatto che le parti sociali hanno evidenziato con estrema concretezza al legislatore che al di là dell'esigenza del ripristino del diritto ad un corretto rapporto interpersonale, esiste ed incide pesantemente sull'esistenza del lavoratore tutto un insieme di atti esterni alla relazione, che costituiscono veri e propri atti discriminatori e che trasferiscono pesantemente nell'ambito sociale del rapporto di lavoro i ricatti e le tensioni originati dalla dinamica interpersonale.
        In definitiva, dal nostro lavoro possono dipendere in gran parte la nostra autonomia, le persone di cui siamo responsabili, la nostra autostima ed il nostro ruolo sociale; può bastare poco per mandare in frantumi la nostra vita, se un elemento estraneo e potente come un ricatto di natura sessuale viene tradotto in decisioni che incidano pesantemente sul nostro rapporto di lavoro.
        E' questo l'ambito che qui ci interessa particolarmente, anche sulla scorta delle raccomandazioni comunitarie, poiché caratterizza in modo esclusivo la fattispecie della molestia sessuale sul luogo di lavoro e non manca di suggerire tecniche di tutela del lavoratore e della lavoratrice molestati realmente efficaci.
        La proposta di legge in esame in primo luogo raccoglie le indicazioni del citato Codice di comportamento emanato dalla Commissione delle Comunità europee in materia di procedure, stabilendo l'obbligo per il datore di lavoro di garantire in modo riservato un tempestivo ed imparziale accertamento dei fatti denunciati e demandando ai consiglieri di parità competenze specifiche di assistenza e consulenza dei lavoratori e delle lavoratrici molestati.
        Tutta la legislazione comunitaria, infatti, senza rinunciare ad un'ampia definizione legale delle molestie sessuali, inclusiva sia delle molestie ambientali sia di quelle ricattatorie, punta strategicamente a trasferire la regolamentazione relativa al fenomeno delle molestie sul piano negoziale, con l'obbligo da parte del datore di lavoro di sviluppare in azienda apposite campagne di prevenzione concordate con i sindacati e di istituire procedure di denuncia interna, sia informali che formali.
        Se ciò a cui si punta è una maturazione della mentalità diffusa, in grado di generare in ogni ambiente di lavoro un clima di reciproco rispetto e considerazione, è evidente infatti la necessità di creare il massimo consenso possibile intorno alle modalità di intervento; occorre sottrarre in ogni modo terreno alle omertà o alle complicità che troppo spesso un malcostume solo culturalmente condiviso basta a generare intorno al comportamento concreto del molestatore.
        Il predetto Codice prevede inoltre la figura del consigliere di fiducia, indicato dal lavoratore ed utile per le parti a superare i comprensibili imbarazzi o le resistenze ad affrontare il problema in prima persona; anche la proposta di legge in esame dunque consente di introdurla, su indicazione della contrattazione collettiva.
        La scelta, infine, di individuare nell'ordinamento italiano il consigliere di parità per la funzione di assistenza anche formale ai dipendenti molestati, oltre a garantire una più rapida operatività alla legge, sottolinea il ruolo socialmente rilevante esercitato nella manifestazione della molestia dagli atti di natura discriminatoria, che pur essendo motivati dal ricatto sessuale possono non essere sessualmente connotati. Anche il ruolo di supplenza di necessità esercitato in questi anni dalla giurisprudenza, italiana e non solo, nell'elaborazione dei precetti giuridici e delle relative sanzioni in questa materia, ha evidenziato alcuni importanti elementi da valutare con attenzione. La curvatura interpretativa di discipline già esistenti ma dettate per altre finalità ed obiettivi (come la lotta alla discriminazione sessuale o ai reati a sfondo sessuale, il risarcimento del danno biologico o morale o le sanzioni disciplinari), se è valsa spesso a dimostrare ai soggetti colpiti il doveroso interesse della comunità, si è spesso infatti dimostrata insufficiente ad assicurare un'adeguata compensazione del danno ed un intervento realmente efficace sulla situazione specifica.
        Ciò si spiega essenzialmente con la natura particolare sia delle illiceità a sfondo sessuale sia del rapporto di lavoro, che implica una reciprocità di rispetto e di fiducia spesso irrimediabilmente compromessa nei casi di molestia.
        Infatti, se da un lato la ricerca da parte dei giudici del lavoro di strumenti di tutela in qualche modo applicabili a questi casi ha evidenziato fenomeni importanti, come la sussistenza del presupposto di giusta causa per i provvedimenti disciplinari o i licenziamenti dei molestatori motivati dal datore di lavoro per violazione dei doveri fondamentali di correttezza, anche in assenza di una specifica previsione contrattuale, dall'altro l'efficacia dei provvedimenti di reintegro, nei casi di discriminazione o licenziamento delle parti lese, si è dimostrata pressoché nulla.
        Tornare al proprio lavoro dopo un procedimento giudiziario e per effetto di un provvedimento del giudice si è spesso dimostrato nei casi di molestie intollerabile per le vittime, soprattutto nei casi di forzata e quotidiana convivenza con i molestatori o di scarsa solidarietà da parte dei colleghi.
        Ciò induce ad estendere, all'articolo 6 della proposta di legge, la fattispecie di dimissioni per giusta causa, riconoscendo ai lavoratori e alle lavoratrici vittime di molestie sessuali "il diritto di recedere dal contratto di lavoro", oppure "di essere destinati, ove essi stessi ne facciano richiesta, ad altro incarico". Naturalmente, ove motivate da molestie, tali scelte obbligano il datore di lavoro o il superiore gerarchico responsabile alla corresponsione di un indennizzo determinato dal giudice, che la proposta di legge prevede di importo compreso tra le sei e le ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione complessiva, in relazione alla gravità del comportamento molesto.
        Inoltre, la scelta di mantenere in ambito civilistico le azioni in giudizio, prevedendo specifiche norme risarcitorie e di tutela, risponde all'intenzione di privilegiare su tutto l'efficacia dello strumento legislativo in relazione al fenomeno affrontato.
        Quando in giurisprudenza si è tentata la via dell'interpretazione estensiva di fattispecie criminose più o meno contigue al fenomeno delle molestie, dalla violenza sessuale alla molestia o al disturbo alle persone, dagli atti osceni alla violenza privata, dalla minaccia all'ingiuria, il ricorso all'ambito penalistico, astrattamente forte, si è dimostrato per lo più concretamente inadatto a garantire non solo la tempestività necessaria a questo tipo di situazioni ma anche l'effettiva punibilità del reo, generalmente favorito dal regime di prescrizione, dal sistema di impugnazioni e dalle priorità di indagine degli uffici inquirenti, con il risultato di sottrarre ogni valore deterrente alla minaccia della pena. Lo strumento risarcitorio in sede civile si è dimostrato invece assai più efficace e flessibile, consentendo al giudice una valutazione congiunta dei danni patrimoniali, come la riduzione del livello retributivo o della capacità di produrre reddito, dei danni non patrimoniali, come le situazioni patologiche riconducibili alla molestia, e dei danni biologici, nelle versioni del danno alla salute, del danno esistenziale e del danno alla vita di relazione. Questi ultimi hanno anzi assunto un prevalente ruolo sanzionatorio, con funzione di strumento di coercizione indiretta, pur senza consentire al giudice interventi specifici di natura ripristinatoria e risarcitoria.
        Ai limiti di un'azione giudiziaria fin qui condizionata dalla latitanza del legislatore, intende dunque porre rimedio la proposta di legge, non solo riconoscendo al giudice o al consigliere di parità il potere di promuovere il tentativo di conciliazione e di condannare il responsabile del comportamento molesto al risarcimento del danno, ma anche introducendo all'articolo 9 la nullità dei provvedimenti di ritorsione adottati entro un anno dal momento della denuncia in danno del lavoratore, come trasferimenti, licenziamenti e simili, in qualunque modo peggiorativi della sua condizione.
        E' ovvio tuttavia che anche se lo Stato si impegna ad assicurare il suo sostegno a chi desideri agire in giudizio, il legislatore considera maggiormente efficace per la diffusione di buone pratiche sociali la responsabilizzazione dei datori di lavoro e dei sindacati, che possono davvero creare insieme le condizioni dapprima per isolare e combattere e poi per prevenire ed eliminare il fenomeno delle molestie sessuali laddove si produce.
        Alla contrattazione collettiva sono dunque rinviate funzioni importanti, come la definizione delle sanzioni per i comportamenti che in base alla legge costituiscono illecito disciplinare.
        A questo stesso fine, la presente proposta di legge precisa inoltre gli obblighi del datore di lavoro, che comprendono la definizione congiunta con le organizzazioni sindacali di iniziative formative ed informative di prevenzione, ammesse ai finanziamenti di cui all'articolo 2 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e la previsione di procedure riservate, tempestive ed imparziali di accertamento, in caso di denuncia di molestie.
        L'articolo 5, per intervenire in senso più ampio sull'opinione pubblica nazionale, finanzia campagne di informazione sulle molestie sessuali, predisposte annualmente dal Comitato nazionale per l'attuazione dei princìpi di parità di trattamento e uguaglianza di opportunità fra lavoratori e lavoratrici e dalle commissioni regionali, autorizzando una spesa di 5 miliardi l'anno a decorrere dall'anno 2001.
        E' soprattutto a questo impegno congiunto della società civile e dello Stato nel suo ruolo di garante di informazioni corrette sui diritti di ognuno che la presente proposta di legge si propone di affidare la battaglia contro le molestie sessuali. Perché un fenomeno come questo, purtroppo radicato in un malcostume diffuso, può essere efficacemente contrastato soltanto dalla diffusione di buone pratiche sociali, attraverso l'esercizio quotidiano di forme di cittadinanza attiva.
        Quasi tutti noi dividiamo un ambiente di lavoro che periodicamente siamo chiamati a contribuire a regolare. In quel momento, sarà nelle nostre mani la possibilità di isolare i molestatori e di tutelare i molestati, se ve ne sono; ma soprattutto, sarà nelle nostre mani l'occasione di esprimere pubblicamente la nostra riprovazione per le molestie sessuali e di accrescere la percezione sociale di quel genere di comportamenti. I luoghi comuni sono difficili da correggere; occorre avere la forza di crearne di nuovi, e migliori. Obiettivo della presente proposta di legge è dunque anche quello di contribuire a trasformare in luogo comune il diritto dell'altro al rispetto, anche in una relazione che abbia implicazioni sessuali, anzi soprattutto in quest'ultimo caso. Perché è questo tipo di relazioni che costituisce il fondamento di ogni società e che di conseguenza meglio di tutte le altre vale ad esprimerne il livello di civiltà.
        Sta soprattutto qui il valore e il senso della nostra discussione, dalla quale ci auguriamo che avrà occasione di uscire, con l'approvazione della presente proposta di legge, un piccolo strumento di civiltà, utile a tutelare un diritto e a diffonderne la consapevolezza sociale.




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