XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 33
Onorevoli Colleghi! - Da quando esiste l'uomo esiste il
gioco, inteso nella sua accezione più ampia. Nei secoli si
sono sviluppati e imposti numerosissimi sistemi di gioco, fin
dal tempo dei greci (le Olimpiadi, durante le quali il popolo
scommetteva sui probabili vincitori delle varie discipline),
degli egiziani (che scommettevano sulle piene del Nilo) e dei
romani (notissime le scommesse, al tempo di Cesare, che
venivano fatte sulle corse delle bighe nell'arena e sulla
lotta dei gladiatori al Colosseo), per giungere ai giorni
nostri, in cui si sono diffusi notevolmente numerosi giochi a
pronostico - Totip, Totocalcio, eccetera - e di puro azzardo -
Lotto, Enalotto, Gratta e vinci, lotterie varie, eccetera -
sui quali, peraltro, lo Stato preleva una cospicua parte delle
puntate. Il gioco, quindi, fa ormai parte integrante dei
bisogni della società; ma parte importante del gioco stesso,
motivo per cui si è sviluppato un grande interesse per tutto
ciò che è alea e guadagno - lotteria o altro mezzo per
"vincere" - è proprio il monte premi, che più è alto, più
attrae nuovi giocatori.
Nel ridisegnare, qualche tempo fa, le regole del gioco
relative all'Enalotto, il Ministero delegato non ha tenuto
conto della possibilità che - considerata la scarsissima
probabilità (1 su 620 milioni) che possa verificarsi una
vincita almeno settimanale conseguente all'estrazione, nelle
6+1 ruote del Lotto interessate al gioco, dei numeri giocati e
vincenti - il monte premi non assegnato ed accumulato potesse
raggiungere una cifra ragguardevole, superiore a qualsiasi
altra cifra vinta in precedenza in altri giochi o lotterie.
Tale evenienza, invece, si è verificata varie volte - le
probabilità di uscita del 6, è bene ripeterlo, sono soltanto 1
su 620 milioni - e l'accumulo del monte premi (jackpot)
è giunto a cifre superiori ai 50 miliardi di lire, l'ultima
volta addirittura a più di 85 miliardi di lire.
Soltanto allora lo Stato ha ritenuto di intervenire,
valutando che una vincita tanto alta fosse al di fuori di ogni
morale, di ogni etica e di ogni ragionevole possibilità di
accettazione della vincita senza traumi da parte della società
e, soprattutto, da parte del vincitore. Ha pensato, lo Stato,
allora, di "bloccare" l'aumentare della vincita, limitando la
crescita del jackpot per le vincite di prima e seconda
categoria (il 6 e il 5+1) ed assegnando una parte del monte
premi - superata la cifra di 50 miliardi di lire -
precedentemente destinata appunto al 6 ed al 5+1, alle vincite
di categorie inferiori.
Un simile provvedimento ha il crisma della demagogia,
soprattutto se si considera che è proprio lo Stato il
"biscazziere" che dal gioco, organizzato da un gestore di
fiducia, incassa i proventi maggiori.
Oltretutto, nell'Enalotto e in altre occasioni legate ad
altre lotterie nazionali, lo stesso Stato ha consentito
venisse fatta una capillare pubblicità proprio per invitare il
pubblico a giocare di più, quel pubblico che, attirato appunto
dalle grosse vincite, è aumentato esponenzialmente al crescere
del monte premi.
Superata la cifra di 40 miliardi di lire del
jackpot, infatti, a ogni concorso successivo gli
scommettitori sono aumentati mediamente del 20-30 per cento,
fino all'aumento del 40-42 per cento, con oltre 250 milioni di
colonne giocate, fino a quando nell'ottobre 1999 è stata
superata la quota di 80 miliardi di lire di monte premi per la
vincita di prima categoria. Tutto ciò fa ritenere che sia
proprio la probabilità di vincere una quantità di soldi
piuttosto elevata e che aumenta ad ogni concorso che attira
gli scommettitori, non già un monte premi che si stabilizza
intorno ad una determinata cifra, per quanto anche 50 miliardi
di lire siano fin troppi.
Il Governo, però, con il suo provvedimento ha fatto
credere di "voler calmierare il gioco" in quanto pare ritenere
immorali le vincite troppo consistenti: un'assurda e mai
raggiungibile altrimenti - per la quasi totalità dei giocatori
- quantità di soldi da incassare tutta in una volta dà forse
fastidio al Governo, che nella sua ipocrisia tende a
dimenticare di avere fatto di tutto - prima - perché il gioco
dell'Enalotto prendesse quota sempre di più ed aumentassero,
di conseguenza, le entrate per l'Erario.
Ciò detto, se l'intento del provvedimento è proprio quello
di mettere un freno alle vincite astronomiche da incassare in
una sola volta che, seppure eticamente discutibili, hanno
fatto la fortuna dell'Enalotto e riempito le casse dello
Stato, allora sarebbe meglio diminuire ulteriormente la cifra
da assegnare "in una sola volta", ma mantenendo inalterato il
"sistema jackpot", che aumenta il monte premi e,
piuttosto, rateizzare la vincita nel corso degli anni.
L'impatto del giocatore con una vincita troppo alta e che
potrebbe anche portare scompensi emotivi e caratteriali oltre
ad altre negatività, verrebbe così diluito nel tempo, non
verificandosi la possibilità di fruire nell'immediato di una
cifra troppo consistente.
Con l'articolo 1 della presente proposta di legge, quindi,
si tende a diminuire notevolmente l'impatto del giocatore con
la realtà di poter fruire nell'immediato del monte premi
vinto, portando la somma da consegnare subito a 20 miliardi di
lire - una cifra di per sé già più che sufficiente a "cambiare
la vita" del vincitore - mentre la parte restante
dell'eventuale vincita, se superiore ai 20 miliardi di lire,
fermo restando il sistema di accumulo del jackpot,
verrebbe pagata al vincitore con quote annuali consecutive,
non superiore a 10 miliardi di lire, così come peraltro
avviene negli Stati Uniti dove, con un sistema simile di
rateizzazione, sono pagate le vincite superiori a un certa
cifra.
Nel contempo, naturalmente, è abrogato il decreto del
Ministro delle finanze 23 settembre 1999, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 226 del 25 settembre 1999, che
tende a limitare il monte premi delle vincite di prima e
seconda categoria (6 e 5+1), garantendo ai giocatori la
continuità del jackpot così come è stato dalla nascita
del Superenalotto, garantendo altresì ai superfortunati una
rendita anche negli anni successivi alla vincita.