XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 13
Onorevoli Deputati! - 1. Il primo comma dell'articolo
23 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, di
cui si è da non molto celebrato il cinquantesimo anno, prevede
che "ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta
dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e
alla protezione contro la disoccupazione".
Ci troviamo, invece, ormai da circa venti anni in un forte
processo di finanziarizzazione dell'economia, spiegabile non
soltanto da fenomeni di ristrutturazione e riconversione, che
sta mutando lo stesso modo di presentarsi del modello di
sviluppo capitalistico. Tali processi di globalizzazione a
connotati finanziari perseguono semplicemente la loro logica
interna tendente alla massimizzazione dei profitti
complessivi, attraverso incrementi di dividendi, interessi e
capital gain, a scapito dell'occupazione e delle
condizioni di vita di tutti i lavoratori, occupati e non.
Oggi è in atto un processo di intensa ridefinizione delle
aree di influenza delle diverse componenti del "capitalismo
reale". Comunque, qualunque sia il modello di capitalismo di
riferimento questo è basato sull'esaltazione del libero
mercato, anche se in forme differenziate, proiettato sulle
performance del capitale finanziario. Ma è proprio il
capitale finanziario, attraverso i suoi flussi e la sua
sintesi monetaria che, puntando all'ottenimento del profitto a
migliori condizioni, esporta nello stesso tempo le
contraddizioni del modello capitalistico complessivo.
Si tratta di una modalità dello sviluppo fondato su nuovi
modelli decisori liberisti che puntano su investimenti
finanziari scollegati dall'evoluzione dei processi produttivi
reali e che seguono esclusivamente una logica speculativa,
attuando percorsi contrapposti agli interessi collettivi. In
tale modo si sono determinate le condizioni di una
finanziarizzazione dell'economia che determina contrazione
degli investimenti produttivi e percorsi negativi
dell'economia reale, provocando così alta disoccupazione
strutturale ed incremento dei costi sociali in genere.
Questo è il vero significato della globalizzazione; cioè
una particolare fase di ristrutturazione e ridefinizione del
modello capitalistico internazionale che vede anche in Italia
il diffondersi di mutamenti nelle dinamiche evolutive dello
sviluppo sociale, politico ed economico.
Infatti nel nostro Paese l'attuale assetto politico e i
progetti di riforma del Welfare State, del sistema
elettorale, della forma di Stato, della Costituzione, trovano
il loro punto di riferimento sul piano della ristrutturazione
produttiva legata alle prospettive del modello di sviluppo
neo-liberista. E' in tale contesto che lo Stato sociale si
trasforma in Stato-impresa, che assume come centrale la logica
di mercato, la salvaguardia e l'incremento del profitto,
trasforma i diritti sociali in elargizioni di beneficenza. Si
realizza così il passaggio definitivo dallo Stato sociale
della cittadinanza al Profit State del consociativismo
neo-liberista! Modello, questo, basato come sempre
sull'intensificazione dei processi di accumulazione, poi sulle
riforme istituzionali in modo da piegare i nuovi bisogni
sociali alle esigenze di conservazione politica e di
compatibilità con i processi di ristrutturazione d'impresa, e
più in generale del capitale.
Il risultato più immediato è l'aumento della
disoccupazione che si va trasformando in strutturale,
incrementando la schiera dei precari, dei marginali, degli
emarginati, della "disoccupazione occulta", i disoccupati non
ufficiali, precarizzando la qualità della vita di chi con tale
sistema non riesce ad emergere ed arricchirsi, rendendo così
marginali ed emarginati non solo le soggettualità del lavoro
negato ma anche schiere sempre più folte di soggetti economici
del lavoro; si pensi ai lavoratori del pubblico impiego, agli
artigiani, ai piccoli commercianti, ai lavoratori precari, ai
sottoccupati, alle sempre più folte masse di disoccupati
palesi, o più o meno invisibili, fino a giungere alle aree
sempre più fitte di espulsione e completa emarginazione
produttiva, reddituale e sociale.
E' allora il territorio il centro verso il quale fare
convergere una parte rilevante degli interessi della
collettività, della classe, delle nuove soggettualità che
operano in "un'impresa diffusa socialmente nel sistema
territoriale", nuovi soggetti che si ricompongono ad unità su
un corpo organizzato, come una totalità di parti interagenti,
che si danno una certa caratterizzazione sociale perché
derivano da una certa caratterizzazione produttiva della
riconversione neoliberista, del modo di produrre e di proporre
socialmente la centralità dell'impresa, del profitto, del
mercato.
E' in tale chiave che vanno lette le relazioni di
coercizione comportamentale complessiva che si instaurano tra
impresa capitalistica, lavoratori come l'insieme di occupati e
disoccupati, e popolazione direttamente o indirettamente
legata alla "nuova impresa a diffusione sociale nel
territorio", determinando una specifica forzata capacità
autocontenitiva in relazione a domanda e offerta di lavoro
realizzata tramite marginalizzazione, precarizzazione ed
espulsione dei soggetti economici e produttivi non
compatibili. Si tratta nella maggior parte dei casi di
disoccupati nuovi e di ex lavoratori dipendenti di fatto
precarizzati, non più garantiti nella continuità del lavoro,
espulsi dall'impresa madre e assoggettati a una nuova forma di
lavoro a cottimo, fuori dalle garanzie normative e retribuite
del lavoro dipendente. Si tratta spesso di nuove forme di
lavoro subordinato, privo di normativa, un supersfruttamento a
cottimo, con la mancanza assoluta di garanzie retributive,
normative, sociali e assicurative.
Si è in una fase di passaggio epocale nella trasformazione
delle modalità di sviluppo nel nostro Paese; una fase in cui
si stanno velocemente affacciando sulla scena
economico-sociale nuove soggettualità, nuove povertà e quindi
"nuove figure da riaggregare in un progetto di ricomposizione
e organizzazione del dissenso sociale". E' quindi a partire
dalle nuove soggettualità del conflitto sociale che si può
riorganizzare l'unità di interessi del mondo del lavoro, la
solidarietà e la forza che negli anni '60 e '70 la classe
operaia si era data a partire dall'organizzazione in fabbrica.
Per far ciò bisogna saper coniugare un forte, rinnovato e
antagonista "sindacalismo del lavoro" ad un nuovo, e
altrettanto antagonista, sindacalismo del territorio. Al
centro dell'iniziativa politica e sociale devono ritornare le
associazioni di base, i comitati di quartiere, le forme
organizzate del dissenso nel territorio, il sindacalismo di
classe, cioè l'insieme di quelle organizzazioni del lavoro e
del lavoro negato che non scelgono il consociativismo, ma che
anzi sappiano porre "come immediato il problema del potere
attraverso la distribuzione sociale del valore e della
ricchezza complessivamente prodotta, riassumendo nel contempo
i nuovi soggetti della trasformazione sociale, le nuove
povertà, le fasce deboli della popolazione, come definizione
di una ricca risorsa dell'antagonismo sociale".
Oggi è possibile voltare pagina definitivamente nelle
scelte di politica economica e di politica industriale, perché
le innovazioni tecnologiche permettono una più alta
produttività di impresa che deriva esclusivamente
dall'incremento di produttività del lavoro. Incrementi di
produttività che sono quindi ricchezza sociale nel suo
complesso: e perciò che tali incrementi di produttività devono
essere finalizzati al miglioramento della qualità del lavoro,
della qualità della vita, a partire dalla riduzione
dell'orario di lavoro, e alla redistribuzione degli aumenti di
produttività al fattore lavoro, e quindi ai disoccupati, e non
solo ai profitti come è avvenuto in particolare in questi
ultimi venti anni.
2. Attraverso l'istituzione del reddito sociale minimo
(RSM) alla deriva neoliberista intendiamo contrapporre alcuni
limiti: il lavoratore disoccupato che si affaccia sul mercato
del lavoro non deve essere "disponibile a tutto",
assolutamente ricattabile, ma deve essere un soggetto titolare
di diritti e di una base reddituale dignitosa (costituita sia
da una attribuzione diretta di reddito che dall'accesso a
tariffe sociali per la fruizione dei servizi essenziali); la
sua mancanza di lavoro non deve costituire un elemento di
contrapposizione nei confronti di chi è occupato, in una
spirale perennemente al ribasso, e tutta a favore dei soggetti
economicamente più potenti.
La previsione di un RSM vuole contrapporsi alla
dissoluzione dello Stato sociale proponendo già da subito la
riqualificazione di tutti gli strumenti di protezione sociale
e l'aumento dei livelli delle pensioni sociali e minime,
unificando e rilanciando l'iniziativa dei nuovi soggetti del
lavoro, del non lavoro, del lavoro negato, dai disoccupati, ai
precari, ai pensionati, rafforzando nel contempo la capacità
contrattuale della forza lavoro occupata. Una prospettiva di
iniziativa complessiva, una campagna di opinione, di lotta, un
appello all'Europa sociale del lavoro per rivendicare il
diritto al RSM per i disoccupati, gli inoccupati, i lavoratori
precari, i pensionati sociali e al minimo, i sottoccupati e
sottopagati (si pensi che a fronte dei 18 milioni di
disoccupati presenti in Europa dichiarati dalle statistiche
ufficiali si contano, considerando le varie forme di
disoccupazione invisibile, oltre 30 milioni di disoccupati e
sottoccupati effettivi).
Un diritto di civiltà e un diritto alla conflittualità
contro un capitalismo sempre più selvaggio; è per questo che
su tale diritto individuato con il nome di RSM il Centro studi
trasformazioni economico sociali (CESTES) e la rivista PROTEO,
insieme all'Associazione progetto diritti, all'Unione
popolare, al Centro sociale intifada e a decine di sigle
dell'associazionismo di base che hanno dato vita al Comitato
promotore nazionale per il reddito sociale minimo, hanno
lanciato una battaglia culturale, politica e sociale, che
vuole avere dimensioni europee, a partire da una proposta di
legge di iniziativa popolare.
Tale intervento va attuato attraverso nuove scelte di
politica fiscale, che colpiscono innanzitutto le tante aree
esistenti di elusione ed evasione.
Davanti ai dati statistici che segnalano in tutta Europa
una riduzione del reddito complessivo e una compressione del
potere di acquisto salariale anche attraverso il massiccio
ricorso alla flessibilità, alla precarizzazione, alla
sottoccupazione, al lavoro nero o sottopagato e
all'annullamento totale o parziale dei diritti sindacali
acquisiti, la proposta invece della istituzione del RSM vuole
unire tutti i lavoratori, occupati e non, ridando voce e
speranza ai marginali della società, lanciando un'ipotesi di
redistribuzione della ricchezza, socializzando l'accumulazione
del capitale, dovuta prevalentemente ai processi di
finanziarizzazione, attraverso forme reali e incisive di
tassazione dei capitali.
Peraltro riteniamo che l'ingresso del nostro Paese
nell'Unione europa e nell'area della moneta unica deve
comportare l'introduzione in Italia di istituti di sicurezza
sociale già operanti in altre parti del nostro continente. E'
per questo che oggi va riproposta una "battaglia europea
dell'intera classe dei lavoratori" occupati e non occupati,
garantiti e non, come momento centrale della iniziativa legata
alla riproposizione verticale dei conflitti sociali a partire
dalla "distribuzione sociale dell'accumulazione del capitale"
determinata da forme sempre più sofisticate di sfruttamento
del lavoro, da quegli incrementi di produttività che, in
ultima analisi, altro non sono che ricchezza sociale generale
complessivamente prodotta. Si propone così una iniziativa
politica a livello europeo sulla salvaguardia e rivendicazione
di distribuzione a tutti i lavoratori, occupati e non,
dell'intero spettante "salario sociale" prodotto come classe,
tralasciando le richieste corporative basate sul salario
individuale e sulle forme di elargizione caritatevole di
"soccorso agli esclusi". La costruzione di un'Europa del
lavoro e delle socio-compatibilità solidali ha bisogno di
ridistribuire reddito e ricchezza attraverso un fisco che
aumenti la massa dei contribuenti, contraendo l'evasione e
l'elusione fiscale e contributiva, colpendo i capitali
speculativi e non, i movimenti di capitale all'estero,
tassando l'innovazione tecnologica. E' in ambito di un
programma per un'Europa del lavoro che vanno recuperati in
termini redistributivi gli immensi incrementi di produttività
che si sono realizzati in particolare in questi due ultimi
decenni, rivendicando da subito una riduzione generalizzata
dell'orario di lavoro a parità di salario reale, ponendo le
basi per creare nuova occupazione a partire da lavori a
compatibilità sociale e ambientale e di pubblica utilità con
pieni diritti e piena retribuzione, rafforzando nel contempo
il Welfare State tramite incrementi delle entrate del
bilancio pubblico determinate dalla tassazione dei capitali,
in modo da poter inserire nella spesa sociale anche un RSM
europeo da distribuire ai disoccupati, ai precari, ai
marginali.
3. L'articolato legislativo proposto prevede un importo
del RSM di lire 12 milioni annue (non soggetto a tassazione);
i requisiti per l'accesso prevedono la regolare residenza in
Italia da almeno due anni, l'iscrizione alle liste di
collocamento da almeno un anno, reddito imponibile annuo
percepito non superiore a lire 5 milioni, e l'appartenenza ad
un nucleo familiare con reddito imponibile annuo non superiore
a lire 35 milioni. L'importo sopra indicato va rivalutato
annualmente in base agli indici ISTAT: è prevista inoltre la
riduzione del 50 per cento dell'importo nell'ipotesi di
svolgimento di attività lavorative che comunque producono un
reddito inferiore all'ammontare del reddito minimo e la
decadenza dal percepimento dello stesso nell'ipotesi in cui si
ottenga un lavoro a tempo pieno: ciò permette di rivolgere
tale istituto non solo ai disoccupati ma anche a coloro che
svolgono lavoro precario, sottopagato o che hanno forme di
sottoccupazione. Il periodo di fruizione del RSM deve essere
calcolato ai fini pensionistici e si prevedono inoltre in
favore di soggetti titolari del RSM forme di reddito indiretto
e differito attraverso l'accesso gratuito ai servizi
fondamentali (trasporti urbani, servizio sanitario, studi,
eccetera) e il dimezzamento dei costi delle utenze relative
alle forniture di gas, luce, acqua, telefono, oltre a un
canone sociale per l'utilizzo degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica.
Si è calcolato che le risorse necessarie per le spese
conseguenti all'introduzione della nuova normativa
ammonteranno a circa 50 mila miliardi di lire annue che
andranno reperite esclusivamente attraverso varie forme di
tassazione sui capitali. Un terreno, infatti, immediatamente
praticabile è quello di applicare una efficace imposta
patrimoniale, di colpire le rendite finanziarie e i grandi
patrimoni, di tassare realmente e uniformemente i guadagni in
conto capitale (capital gain), di ridurre le
agevolazioni verso le imprese: si può così aumentare la spesa
pubblica in modo che questo possa rappresentare un
investimento ad alta redditività sociale basato su princìpi di
giustizia fiscale e tributaria, e quindi di giustizia sociale.
Si ricorda che attualmente è assente una qualsiasi forma di
tassazione sulle transazioni riguardanti prodotti finanziari
denominati in valuta estera, senza che siano colpiti in alcun
modo i trasferimenti internazionali di capitale, neppure
quelli a finalità speculativa.
Si tratta di reperire, quindi, le risorse finanziarie per
l'istituzione del RSM non dalla fiscalità generale, ma dalla
tassazione dei capitali, anche attraverso una Tobin Tax
finalizzata alle prestazioni sociali per la povertà, la
disoccupazione, per creare nuovi posti di lavoro a pieno
salario e pieni diritti.
Quindi una Tobin Tax, che crei risorse liberate
attraverso la tassazione dei trasferimenti di valuta
all'estero da utilizzare esclusivamente a fini sociali,
ambientali, occupazionali e per finanziare forme di RSM per
disoccupati, precari e non garantiti.
Riteniamo che la tassazione delle transazioni speculative
(si pensi che quotidianamente circa 1.500 miliardi di dollari
vengono trasferiti con tali modalità e circa il 90 per cento
di tali transazioni hanno durata che non supera i quattro,
cinque giorni) se avvenisse anche con aliquote differenziate
in funzione della durata dell'operazione, disincentivando
fortemente gli investimenti di breve periodo, realizzerebbe
diverse centinaia di miliardi di dollari l'anno che la
comunità internazionale potrebbe gestire a fini sociali,
sanitari, ambientali, di lotta alla povertà e di forte
incremento occupazionale, oltre che per finanziare l'istituto
del RSM.
Si pensi che anche nel caso in cui venisse applicata una
forma di Tobin Tax solo sulle transazioni internazionali
di capitale a carattere speculativo, ed applicando un prelievo
fiscale minimo, quasi insignificante su ogni transazione, pari
allo 0,5 per mille si realizzerebbero ogni anno circa 130
miliardi di dollari, cioè 250 mila miliardi di lire da
destinare alla lotta nel mondo contro la disoccupazione, la
povertà e le disuguaglianze di ogni genere. Si ricorda che nel
1992 con un'aliquota del 5 per mille sulle transazioni
internazionali speculative si sono stimate entrate attraverso
la Tobin Tax di circa 500 miliardi di dollari. Oggi si
stima che con una tassazione dell'1 per mille si possano
realizzare risorse disponibili dalla Tobin Tax di circa
160 miliardi di dollari, cioè circa 300 mila miliardi di
lire.
Se poi la tassazione delle transazioni speculative in
cambio considerasse una diversificazione dell'aliquota in
funzione della durata della transazione colpendo maggiormente
quelle a durata inferiore, ipotizzando, o titolo di esempio,
una tassa media del 2 per mille su ogni transazione, si
produrrebbero risorse pari a circa 800 mila miliardi di lire.
Se si ipotizza una Tobin Tax al 5 per mille, cioè la
stessa ipotesi del 1992, allora oggi si renderebbero
disponibili immediatamente nel mondo 700 miliardi di
dollari.
Se poi si pensa che tra le ipotesi formulate da Tobin
c'era anche quella di una tassa dell'1 per cento su tutte le
transazioni internazionali di capitale a carattere
speculativo, e che quindi l'ipotesi formulata nella presente
proposta di legge sul RSM non è da ritenersi illusoria né
esagerata, in quanto prevede l'applicazione di un'aliquota
sino al 3 per cento con riferimento alle operazioni aventi
durata non superiore ai 7 giorni (si ricorda che il 90 per
cento delle transazioni internazionali di capitale a carattere
speculativo non supera i 4 giorni), allora si possono
ipotizzare nuove entrate fiscali derivanti da questa forma di
tassazione dei capitali di circa 3 mila miliardi di dollari
nel mondo. Si tratta cioè di circa 6 milioni di miliardi di
lire annue liberati con la Tobin Tax. Se poi si
accettasse il punto di vista di CESTES-PROTEO relativamente
all'ipotesi di allargare la Tobin Tax ad ogni
trasferimento di capitale all'estero riguardante tutte le
transazioni internazionali di capitale finanziario a carattere
speculativo, cioè tenendo conto dell'ammontare impressionante
di migliaia di miliardi di dollari che quotidianamente si
muovono per finalità speculative in valori mobiliari sui
mercati borsistici internazionali, uniformando inoltre a
livello internazionale ogni tassazione sui capitali, compresa
quella sugli investimenti diretti esteri (IDE), colpendo anche
l'innovazione tecnologica che produce decremento di
occupazione, si libererebbero risorse di centinaia di migliaia
di miliardi in ogni Paese a capitalismo avanzato, o meglio
dell'area che promuove le logiche della globalizzazione del
capitalismo finanziario, da redistribuire ai lavoratori,
occupati e non occupati, in forme diverse e comunque a fini di
eco-socio compatibilità solidali.
4. In Italia l'obiettivo minimo, praticabile, per
riverticalizzare il conflitto capitale-lavoro è allora quello
di rafforzare la battaglia, l'iniziativa di dibattito e di
lotta, che realizzi la riduzione generalizzata dell'orario di
lavoro sull'intero arco di vita del lavoratore a parità di
salario e con controllo dei ritmi e della condensazione del
lavoro, realizzando così un milione di posti di lavoro veri a
pieno salario e pieni diritti, ripartendo anche da produzioni
non mercantili e dalla ridefinizione di uno Stato occupatore;
recuperare almeno 50 mila miliardi annui dalla tassazione dei
capitali da destinare al RSM per disoccupati e precari.
La proposta di legge non mira ad inserire elementi di
"assistenzialismo", ma si muove nell'ambito delle diverse
battaglie per il lavoro, a partire dalla constatazione che le
scelte politiche adottate negli ultimi venti anni, e tendenti
alla flessibilizzazione e alla precarizzazione dei rapporti di
lavoro, non hanno portato ad un incremento dei livelli
occupazionali, ma ad un impoverimento complessivo della classe
lavoratrice.
Una battaglia civile europea, in armonia con la previsione
della Carta sociale comunitaria, per il lavoro, per la dignità
di ogni cittadino: noi firmatari - disoccupati, studenti,
casalinghe, pensionati, precari, sottoccupati e provenienti da
diverse aree di impegno professionale, politico, culturale e
sociale - auspichiamo che attraverso l'approvazione della
legge si avvii una nuova stagione di riforme.