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COMMISSIONE II
GIUSTIZIA

Resoconto stenografico

SEDE LEGISLATIVA


Seduta di venerd́ 1° agosto 2003


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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE NINO MORMINO

La seduta comincia alle 10,50.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).

Discussione delle proposte di legge Pisapia ed altri; Fanfani ed altri: Disposizioni per la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva (approvate, in un testo unificato, dalla Camera, modificate dal Senato, nuovamente modificate dalla Camera e ulteriormente modificate dal Senato) (3323-3386-D).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle proposte di legge di iniziativa dei deputati: Pisapia ed altri; Fanfani ed altri: Disposizioni per la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva (3323-3386-D), già approvate, in un testo unificato, dalla Camera, modificate dal Senato, nuovamente modificate dalla Camera e ulteriormente modificate dal Senato.
Ricordo che l'ufficio di presidenza ha stabilito l'organizzazione dei lavori prevedendo un'ora per la discussione generale, il termine delle ore 11 per la presentazione degli emendamenti, la cui formulazione deve intendersi limitata esclusivamente agli articoli modificati dal Senato, per iniziarne l'esame a partire dalle ore 12.
Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle modifiche apportate dal Senato. Do la parola al relatore, onorevole Buemi.

ENRICO BUEMI, Relatore. Signor presidente, onorevoli colleghi, le modifiche apportate dal Senato alla proposta di legge in esame sono riferite innanzitutto all'articolo 1, comma 3, lettera a), nella parte che attiene ai reati esclusi dal beneficio previsto, ove vi è l'aggiunta del caso in cui la pena è conseguente alla condanna per i reati indicati nel libro II, titolo XII, capo III, sezione I e dagli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, che si riferiscono ai reati di pedofilia e detenzione di materiale pornografico minorile e ad iniziative turistiche con scopo di sfruttamento sessuale della prostituzione minorile.
All'articolo 3, con la modifica al primo comma, si rinvia totalmente alla legge Bossi-Fini, escludendo il diverso trattamento che avevamo previsto alla Camera nella stesura precedente; viene poi soppresso il secondo comma, che riguarda il trattamento delle detenute madri extracomunitarie.

PRESIDENTE. Chiedo al rappresentante del Governo se intenda intervenire.

GIUSEPPE VALENTINO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Rinunzio ad intervenire.

ANNA FINOCCHIARO. Nonostante la modifica che riguarda l'abolizione delle norme riguardanti le detenute madri, che


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delude francamente un'aspettativa e contraddice anche un percorso che si è fatto in questa Commissione a cominciare dalla scorsa legislatura, riteniamo che il testo che proviene dal Senato debba essere approvato. Preannuncio pertanto che il gruppo dei DS voterà a favore.

PIER PAOLO CENTO. Non condividiamo la modifica fatta dal Senato relativa al punto che reintroduce la piena applicabilità della legge Bossi-Fini ed interviene sulla norma introdotta dalla Camera sulla tutela delle detenute madri. Ovviamente, non presenteremo emendamenti per modificare questa parte, perché il nostro obiettivo politico è che si arrivi all'approvazione del cosiddetto «indultino» in giornata e questa modifica del Senato non fa che confermare il giudizio che i Verdi hanno già espresso più volte su una norma che è inadeguata, insufficiente ad affrontare l'emergenza carceraria e rischia di essere un «pannicello» caldo, che certamente è meglio di niente, ma che sappiamo che non risponde, anche con i peggioramenti fatti al Senato, a quelle che sono le esigenze della popolazione carceraria e degli operatori del sistema penitenziario del nostro paese.

GIULIANO PISAPIA. Questo provvedimento è nato nel tentativo di conciliare la volontà, la necessità e l'obbligo costituzionale di rendere le nostre carceri e la vita nelle nostre carceri meno disumane, sia per chi è detenuto, sia per chi, con sacrificio e abnegazione, opera e lavora quotidianamente negli istituti penitenziari. Nel contempo si avvertiva la necessità di prevedere tutta una serie di misure tese ad avere efficacia deterrente, che avrebbero inciso profondamente sulla diminuzione dei reati e della recidiva, garantendo quindi la sicurezza dei cittadini.
Oltretutto, una forte diminuzione della popolazione carceraria, con tutte quelle garanzie di cui si è lungamente discusso sia in Assemblea che in Commissione, avrebbe avuto due conseguenze positive: la possibilità di applicare concretamente le buone leggi penitenziarie che abbiamo (legge Gozzini, legge sulla sanità, legge sul lavoro dei detenuti, che oggi purtroppo sono inapplicate) e, cosa più importante, far risparmiare allo Stato, e quindi alla collettività, circa 20 mila miliardi all'anno (mi sembra siano dieci milioni di euro all'anno) per il mantenimento di questi detenuti che sarebbero stati utilizzabili e utilizzati, proprio per favorire il reinserimento e per rendere quindi le nostre città più sicure.
A fronte della proposta iniziale ce ne ritroviamo ora una molto parziale, essendo stata la prima, lo dico molto chiaramente ai colleghi della Lega Nord Padania e di Alleanza nazionale, «disfatta» dal nuovo articolo 3 che, di fatto, esclude dal beneficio quasi tutti gli extracomunitari in carcere, mentre la proposta iniziale approvata dalla Camera disponeva la loro espulsione, con la certezza che, qualora fossero rientrati in Italia nei cinque anni, sarebbero ritornati in carcere. In questo modo, nel momento in cui se ne rende parziale l'applicazione, l'incisività del provvedimento si è ulteriormente affievolita. Queste sono le perplessità del nostro gruppo, che sul provvedimento esprimerà un voto di astensione.

LUIGI VITALI. Forza Italia rileva che la prima delle modifiche apportate dal Senato, all'articolo 1 del provvedimento, non costituisce altro che una specificazione di quanto già nell'ultimo passaggio alla Camera dei deputati era stato formulato da parte dell'Assemblea; il Senato ha ritenuto di doverlo precisare in maniera più stringente e chiara. Si è proseguito, poi, con la soppressione di un comma che rende operativa, in tutto e per tutto, la legge Bossi-Fini.
È sicuramente un provvedimento che non risponde in pieno alle aspettative, e nemmeno al tentativo del Parlamento di affrontare la problematica, ma è sicuramente l'unico provvedimento che in questo momento il Parlamento poteva e può approvare. Si tratta di un atto trasversale di iniziativa parlamentare, quindi non implica l'azione di Governo né il programma di questo, trovando piuttosto le sue ragioni


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non in una coalizione, non in un programma governativo, ma in motivi umanitari nonché nell'esigenza di intervenire in una realtà particolare, per alleviare alcune sofferenze non soltanto di chi si trova costretto ad espiare una pena, ma soprattutto di tutto il mondo che ruota e lavora all'interno dei penitenziari, molte volte dimenticato e trascurato.
Non vi è - per quello che ci riguarda - motivo di gridare allo scandalo, perché questa norma è produttiva di effetti addirittura inferiori a quelli scaturenti da norme già a regime nel nostro ordinamento, come l'affidamento in prova al servizio sociale, che viene concesso per una pena residua di tre anni. Non abbiamo inventato niente; alle radici della scelta compiuta vi è l'esigenza di verificare se il percorso penitenziario è effettivamente servito, e possa realmente servire al reinserimento ed al recupero del condannato: niente di più e niente di meno!
Non è un indulto mascherato, non è un'introduzione nel nostro ordinamento di una norma a regime: è soltanto la risposta ad appelli lanciati da vari esponenti, istituzionali e non, della nostra società civile, non ultimo il Santo Padre, al cui richiamo sembrava che l'intero Parlamento avesse assentito.
Quindi, per quello che ci riguarda, anche se il testo non è pienamente soddisfacente - l'ho detto già a febbraio quando il provvedimento era stato approvato alla Camera in prima lettura - comunque lo voteremo, e senza emendamenti, perché si possa dare, prima della pausa estiva, quella risposta che ormai il mondo interessato a questo problema attende da due anni.

GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Non possiamo che ribadire in questa discussione generale la nostra posizione, che è sempre stata chiara, netta, limpida.
Sovente si evoca la visita del Santo Padre presso la Camera dei deputati in seduta comune con il Senato. Già allora, la nostra posizione sul tema fu molto chiara e da questo punto di vista non c'è ipocrisia né doppiogiochismo, non c'è voglia di visibilità rispetto ad alcune situazioni. La nostra posizione era chiara, e non l'abbiamo mutata. Su di essa abbiamo cercato un confronto altrettanto netto, limpido e chiaro, proponendo, sempre, lo ripetiamo, la via costituzionale di cui all'articolo 79 della Costituzione, con il quale, giustamente, i Costituenti avevano previsto la maggioranza dei due terzi perché quella è la maggioranza che a mio avviso fotografa l'essenza dei provvedimenti di clemenza collettiva, l'approvazione dei quali può consentire veramente di andare oltre gli schieramenti di maggioranza e di opposizione, consentendo ai singoli deputati di esprimersi secondo quello che è stato definito da alcuni un voto di coscienza, senza vincolo di mandato.
Quello sarebbe stato lo strumento molto chiaro che avrebbe consentito ai singoli, ma anche alle forze politiche, di manifestare, nella assoluta pienezza e trasparenza della loro posizione, l'essenza, lo ripeto, di questo atto di clemenza che si intende ora approvare. È stata scelta una via diversa, che ha aggirato questa indicazione chiara della Costituzione, e quindi si sono presentati i problemi, verificandosi questo ping pong incredibile tra Camera e Senato, che ha poi condotto anche a scontri quasi istituzionali, con l'onorevole Boato che ha attaccato frontalmente l'organizzazione dei lavori del Senato, provocando anche una reazione abbastanza ferma e netta da parte del Presidente Pera.
Si è verificata, cioè, una situazione veramente caotica, di cui questo è l'ultimo atto perchè, ripeto, come abbiamo sottolineato nel corso del nostro intervento in Assemblea, stiamo agendo in sede legislativa quando chiaramente in Aula due gruppi parlamentari si sono espressi in maniera assolutamente precisa e puntuale contro l'assegnazione in quella sede. È vero poi che si è potuto agire in tal senso sfruttando le maglie del regolamento, dunque consentendo solo a coloro i quali fossero presenti in Aula di votare, senza le verifiche del numero legale, come prevede ovviamente il regolamento medesimo; peraltro ricordo che noi abbiamo sollecitato anche una riflessione su questi punti e su


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tali articoli regolamentari. Però, il dato politico chiaro emesso con evidenza assolutamente limpida e cristallina è che due gruppi parlamentari, cioè Lega Nord Padania e Alleanza nazionale, sono non solo contro il provvedimento ma anche contro la sua assegnazione in sede legislativa.
È indiscutibile che il voto viene espresso in maniera singola e individuale, senza vincolo di mandato, ma è anche vero che i gruppi parlamentari rappresentano in maniera forte e importante il riferimento politico, esprimendo un indirizzo di carattere generale.
Dunque, verosimilmente, circa 130 deputati, ovvero il doppio del numero previsto dall'articolo 92 del regolamento, che fissa a 62 deputati il numero necessario ad impedire il passaggio alla sede legislativa di un provvedimento, si sono dichiarati contrari a tale soluzione. Questo è il dato politico.
Poi, ovviamente, ci sono gli escamotage, l'utilizzo del regolamento e, ripeto, di quegli articoli richiamati anche dai colleghi: nello spirito generale di chi ha scritto le norme regolamentari, ovviamente, non si potevano contemplare situazioni di questo tipo. L'urgenza, oppure la poca importanza delle questioni, ovviamente hanno alla base, come dato sottinteso, una grande uniformità di vedute da parte di tutto il Parlamento, uniformità che però, nel caso in esame, non c'è perché due gruppi parlamentari sono assolutamente contrari.
In sede di discussione degli emendamenti cercheremo di nuovo di far comprendere le nostre posizioni. Svolgo, infine, un'ultima considerazione di carattere non voglio dire filosofico ma sicuramente concettuale: l'idea che bisogna utilizzare i provvedimenti di clemenza collettiva per allentare la pressione «quantitativa» all'interno delle carceri non ci trova assolutamente d'accordo.
I provvedimenti di clemenza collettiva hanno una loro ragione d'essere quando lo Stato decide, in determinati momenti storici, in determinati passaggi, che ci debba essere un atto di clemenza nei confronti di chi è stato incarcerato perché ha violato le leggi dello Stato e, dunque, del vivere comune. Questa è la ratio dei provvedimenti di clemenza collettiva. Utilizzare questo tipo di provvedimenti per dare una risposta funzionalistica, sfruttando l'argomentazione del sovraffollamento delle carceri, da un punto di vista concettuale, a nostro avviso, non è condivisibile. Queste sono le considerazioni generali che ho svolto a nome del gruppo Lega nord Padania: esse, in ogni caso, sottintendono ancora una volta, nonostante le modifiche apportate dai colleghi del Senato, un voto assolutamente contrario.

VITTORIO TARDITI. Personalmente, ho un grande rispetto per coloro che soffrono e, in particolare, per coloro che soffrono perché detenuti nelle carceri. L'alto appello morale che ci è stato rivolto, congiuntamente a questo rispetto, determinerà sicuramente il mio voto favorevole, che annuncio ora. Peraltro ho sentito il dovere di intervenire durante il dibattito perché sono state fatte delle affermazioni che non mi trovano personalmente consenziente. Ho sentito dire che questo «pannicello caldo» è necessario per mantenere l'ordine nelle carceri ed ancor peggio, che lo Stato risparmierà, grazie a questo provvedimento di clemenza, qualche decina di miliardi di vecchie lire all'anno. Non accetto questo tipo di argomentazioni, perché lo Stato non può abdicare ai suoi doveri ed ai suoi diritti. Noi tutti chiediamo leggi certe e, ovviamente, la certezza della pena.
Per tali ragioni, per risolvere questo annoso problema, al di là di questo provvedimento, che come ho già detto e ribadisco, ritengo sia utile e necessario, stante l'attuale situazione, rivolgo un caldo invito al Governo affinché si ponga mano alla risoluzione di questi problemi. Certamente abbiamo delle ottime leggi per chi è carcerato, vi sono già delle condizioni particolari che, in teoria, pongono il nostro paese ai vertici della umanità e della civiltà. Tuttavia, è necessario costruire nuove carceri, è indispensabile mettere gli operatori in condizione di poterle applicare e i carcerati di vivere in condizioni più dignitose.


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È sotto questo profilo che ribadisco l'invito al Governo ad intervenire per affrontare in modo importante e decisivo, una volta per tutte, questo problema. Si tratta di un modo per porre questo Governo, che ho l'onore di sostenere, in grado di fornire un'immagine della sua volontà di rinnovamento al paese.

MARIO PEPE. A quanto detto già dal mio capogruppo, aggiungo una mia riflessione approfittando della presenza del sottosegretario Valentino. Questa legge non deve diventare un gesto di misericordia crudele nei confronti dei detenuti, perché quando si approvano dei benefici e si mettono nelle mani del tribunale di sorveglianza la cosa diventa grave. Sapete quanti sono i giudici di sorveglianza nel nostro paese? Novantanove! Questi giudici dovranno esaminare 55 mila casi. In passato il Parlamento ha prodotto diverse leggi che sono rimaste inapplicate; noi abbiamo dovuto approvare una legge per la liberazione anticipata, perché i benefici stabiliti dalla legge, che diventavano poi diritti, non venivano goduti dai detenuti perché il tribunale di sorveglianza non riusciva ad esaminare le pratiche. L'emendamento approvato al Senato restringe i beneficiari dell'atto di clemenza, perché in effetti sono rimasti inclusi soltanto i poveri diavoli, i cosiddetti cani senza collare allevati sui marciapiedi delle città. In base a quanto previsto dall'emendamento anche i pedofili non potranno beneficiare dell'indulto, per cui è arrivato il momento di provvedere a quella che rappresenta una vera e propria emergenza umanitaria.
Mi auguro che con questo provvedimento non si chiuda il capitolo carceri. Vi voglio ricordare che ci sono 10 mila detenuti malati di epatite C, malattia che uccide più del cancro. In settembre il presidente della Commissione giustizia metterà all'ordine del giorno il problema della medicina carceraria; bisogna continuare in questa direzione, perché come diceva un detenuto può capitare a tutti di finire in galera ed anche qualora ciò non accada ricordiamo che, anche se non ci entriamo tutti, le carceri sono un problema generale.

FRANCESCO MONACO. Anche noi ci riconoscevamo maggiormente nel testo varato in seconda lettura dalla Camera, ma accettiamo la logica del bicameralismo. Non è la prima volta che la Camera si fa responsabilmente carico dell'esigenza di privilegiare l'obiettivo rispetto alle sue preferenze.
Nell'esame che la Camera fece durante la seconda lettura di questo provvedimento noi ci facemmo carico dell'esigenza di preservare l'impianto del Senato purché il provvedimento andasse in porto. Tuttavia, la circostanza di queste cinque letture e le cifre che il Presidente Casini ci ha fornito in sede di Assemblea documentano quanto meno che l'istruttoria è stata più che abbondante sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi. Sappiamo che si tratta di una misura straordinaria e limitata. Questo è bene che lo ricordiamo a noi stessi all'atto di dare il nostro assenso a questa misura: il Parlamento e le forze politiche devono sapere che essa non ci esonera dal dovere più generale di farci carico della questione drammatica della condizione delle carceri. Non è questa una misura suscettibile di venire a capo del problema di ordine generale. Né il Parlamento può, dopo averla varata, immaginare di avere sciolto questi nodi: si tratta infatti di una misura limitata e straordinaria. Insieme ai firmatari della proposta abbiamo contribuito a mettere a punto una misura ragionevole e circoscritta, che concilia le esigenze della sicurezza e anche della certezza della pena con il dovere di clemenza da parte di uno Stato democratico di diritto. Essa responsabilizza chi ne beneficia, non sarà mai ripetuto abbastanza, anche se già il titolo del provvedimento indica che si tratta di una sospensione condizionata e limitata della pena, che può essere anche revocata a fronte di comportamenti che siano in contrasto con la fiducia che lo Stato e la comunità nel suo complesso accordano a che ne beneficia. Non si tratta di una


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misura indiscriminata, ci sono le eccezioni soggettive e le eccezioni oggettive, e inoltre non è gratuita.
In qualche modo è una scommessa sulla fiducia di chi beneficia di questa misura. Questo è conforme - lo dico ancora una volta ai colleghi della Lega - alla concezione della pena propria della nostra Costituzione. Infatti, è vero che lo Stato ha il preciso dovere di assicurare la certezza della pena, ma la Costituzione assegna alla stessa non è un carattere vendicativo o retributivo, ma riabilitativo e rieducativo.
Quindi, una misura di clemenza non è affatto in contrasto con lo spirito della pena così come è fissato nella Costituzione. Si tratta di una misura straordinaria, limitata, ragionevole perché, ripeto, concilia sicurezza e clemenza; tuttavia, è una misura necessaria ed urgente. Per tali motivi, era ed è un nostro preciso dovere non andare alla pausa estiva dei lavori senza aver preso una decisione su tutto ciò, perché le attese sono state lunghe e sfibranti, soprattutto per i soggetti interessati a questa misura.
Avevamo ed abbiamo il preciso dovere di dare una risposta: è un atto di responsabilità. Aggiungo, senza spirito polemico, che è anche un segnale positivo da parte di un Parlamento che ha indugiato troppo su misure che non erano destinate ai detenuti comuni. Dobbiamo concludere la nostra attività prima della pausa estiva con un atto di responsabilità, che testimonia l'attenzione del Parlamento nei confronti dei detenuti comuni: credo che questo sia un gesto di responsabilità ed una buona testimonianza per l'istituzione parlamentare.

CARLO TAORMINA. Negli interventi che mi hanno preceduto qualcuno ha parlato di un provvedimento di clemenza o di clemenza collettiva. Vorrei che fosse chiaro a tutti - anzitutto agli amici della Lega, ai quali dovrò ricordare alcuni passaggi dell'iter legislativo della normativa in esame - che non si tratta di un provvedimento di clemenza collettiva, e nemmeno di clemenza. È un intervento che ha avuto come genesi l'idea di fare qualcosa di molto di più ma, rispetto all'idea originaria, nel percorso che abbiamo fatto insieme, è diventato qualcosa di assolutamente eccentrico.
Ancora oggi la Lega ha ricordato alcuni problemi di carattere costituzionale che sarebbero stati all'origine del suo comportamento, come se, laddove si fosse percorsa la strada prevista dalla Costituzione, il suo atteggiamento sarebbe stato diverso. A parte i problemi di costituzionalità - che abbiamo già trattato e, in qualche modo, superato attraverso il tipo di normazione che è stata preparata - vorrei ricordare che, proprio su iniziativa della Lega in Commissione giustizia e in relazione alla preoccupazione di utilizzare uno strumento normativo parallelo e capace di aggirare il dettato costituzionale, si passò ad una logica di misura alternativa (come poi in effetti è accaduto), a cui mancano alcune caratteristiche. Soprattutto, manca il fatto che si tratti di una disciplina a regime perché la normativa riguarda soltanto le sentenze passate in giudicato al momento dell'entrata in vigore di questa legge e coloro che si trovano già in esecuzione di pena: di conseguenza, credo che sia assolutamente sbagliato parlare di logica di clemenza collettiva. È un provvedimento che si inserisce nel tessuto delle misure alternative alla detenzione e vuole essere un modo attraverso il quale, sia pure in maniera mediata rispetto all'obiettivo principale, pervenire ad un minimo di intervento rispetto alle esigenze del carcere. Dico questo anche perché, quando si è discusso di questo problema, soprattutto sotto l'aspetto della costituzionalità rappresentato dalla Lega, si è dato questo assetto normativo.
Vorrei ricordare che al Senato, nel passaggio dalla Commissione all'Assemblea, alle disposizioni in esame era stata data una diversa rubrica, mi pare richiamando proprio il tessuto normativo dell'ordinamento penitenziario. Oggi, addirittura, ci troviamo di fronte ad una disposizione che ha raggiunto ulteriori effetti restrittivi, ed è augurabile che questo sia un provvedimento da considerare come


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l'inizio di un percorso più ampio e più lungo attraverso il quale rivisitare i problemi carcerari e, forse, qualcosa di ancora più importante. Tuttavia, rispetto al provvedimento, a fronte delle esigenze di sottrarlo alla logica clemenziale (e l'abbiamo fatto) e a quella di una generale applicazione (e l'abbiamo fatto, al punto tale che è rimasto ben poco a cui applicarlo), nel passaggio dalla Camera al Senato interviene questa ulteriore modificazione, relativa sia agli stranieri sia ad alcune fattispecie di reato, di cui ci eravamo già fatti carico nel corso dei nostri lavori attraverso un meccanismo di interpretazione.
Raggiunto questo ulteriore obiettivo rispetto ad una normativa che non è a regime, credo che oggi - la Lega aveva rappresentato moltissime istanze, rispetto alle quali in questa sede era stato detto che, laddove ci si fosse fatti carico delle stesse, vi sarebbe stata la disponibilità a dare il suo consenso sul provvedimento - bisogna invitare il gruppo della Lega a riflettere. Infatti, il provvedimento oggi arriva in Commissione giustizia in sede legislativa soprattutto per l'intervento fortemente interdittivo esercitato dalla Lega, del quale ci siamo fatti carico.
Dico questo non soltanto perché gli amici della Lega possano prendere atto che il loro operato ha trovato forte audience all'interno degli organismi parlamentari, ma perché si tratta di provvedimento nel quale la logica clemenziale non esiste assolutamente. Si tratta, invece, di un provvedimento dal quale nascono le preoccupazioni per un ulteriore approfondimento della questione, tra l'altro nell'ambito di alcune contraddizioni che provengono proprio dal testo che stiamo definitivamente approvando.
Prima parlavo con la collega Finocchiaro a proposito dell'ambito di applicazione della legge. Il fatto che sia operante nei confronti dei condannati in stato di detenzione ovvero in attesa di esecuzione della pena alla data di entrata in vigore della legge medesima crea, tuttavia, ulteriori situazioni laceranti all'interno delle carceri. Infatti, si creano situazioni di disparità di trattamento che non hanno significato; ne avrebbero avuto nella logica clemenziale, ma non in questa logica, che è di reinserimento controllato secondo la previsione normativa.
Quindi, sono tutte situazioni delle quali dovremmo farci carico. Ad esempio, da qualche tempo abbiamo licenziato il patteggiamento allargato. Anche lì vi sono situazioni che creano forti disparità di trattamento all'interno delle carceri, per la diversità del regime sanzionatorio che segue all'applicazione sino al 29 giugno di quel provvedimento nei confronti di chi ha consumato reati e si trova nella condizione di poterne fruire e chi, invece, dal 30 giugno in poi si trova in una situazione ben diversa. Sono situazioni rispetto alle quali certamente è difficile evocare la disparità di trattamento in senso tecnico, ma sulle quali bisogna adeguatamente riflettere.
Paradossalmente, questo provvedimento provoca un'altra ragione di disparità di trattamento, a dimostrazione del fatto che, se fossimo stati meno rigorosi nell'accettazione di alcune istanze, sulle quali certamente ognuno può coltivare l'opinione che ritiene, probabilmente questo effetto non si sarebbe prodotto.
Concludo, rilevando che questo non è un provvedimento clemenziale, ma è un provvedimento dal quale scaturiscono moltissime preoccupazioni che debbono essere di sprone al Parlamento affinché si faccia carico della questione carceraria fino in fondo e senza nessuna logica emergenziale. Rivolgo quindi alla Lega e ad Alleanza nazionale un invito personale - per quello che può valere - ad una ulteriore riflessione pur nella consapevolezza che si tratta di posizioni assunte nell'ambito dei rispettivi schieramenti partitici. Ma, come l'onorevole Biondi ha detto questa mattina in aula, siamo di fronte ad un problema che riguarda soprattutto le nostre coscienze per cui il vincolo di mandato non deve assolutamente influire.
Raccomando - per quello che può valere il mio appello - una riflessione adeguata, perché credo che francamente


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più di così, dal punto di vista della esclusione del carattere di grazia e di clemenza del provvedimento, non si poteva fare.

VINCENZO SINISCALCHI. Vorrei svolgere alcune considerazioni in questo scorcio di discussione generale per ribadire con chiarezza la posizione del nostro gruppo, ma anche la interpretazione e la comunicazione che va data su questo provvedimento. Non vorremmo trovarci - come è accaduto nel corso della prima discussione - di fronte ad una diffusione di manifesti con frasi di comodo e slogan finalizzati ad una distorsione dei valori, pochi per la verità, che esprime questo provvedimento.
Questo è un provvedimento minimale e non di condono della pena o di amnistia, come è stato precisato anche dal collega Taormina. Ascoltando il garbato ma fermo intervento del collega della Lega, onorevole Rossi, e ascoltando soprattutto la dichiarazione che è stata fatta dal gruppo di Alleanza nazionale in aula, a noi corre l'obbligo, in questa discussione e in quelle che seguiranno dopo l'approvazione di questo provvedimento, di ribadire innanzitutto il profondo dissenso nei confronti delle modifiche veramente sorprendenti che ha introdotto il Senato, prevedendo una punizione particolare nei confronti delle detenute madri straniere.
Non sarà sfuggito ai colleghi che questo provvedimento, così com'è stato approvato dal Senato, ha annullato completamente la lettera b) del comma 2 dell'articolo 3, relativo ai bambini inseriti in un percorso scolastico e nella realtà sociale e territoriale. Questo rappresenta una sorta di tributo pagato non al bisogno di sicurezza, bensì a rabbie primordiali - mi permetto di dire - che si sono scatenate ancora una volta nei confronti dei più deboli, degli «arci-deboli», che nuovamente fanno le spese di alcune parole d'ordine, più che di alcuni sentimenti, che peraltro noi condividiamo: i sentimenti della certezza della pena e della tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza.
Qui ci vuole un momento di chiarimento - lo ripeto ancora una volta - anche per non trovarci di fronte agli slogan che abbiamo letto in alcuni manifesti di Alleanza nazionale nel corso della discussione di questo provvedimento, quando si è detto che esso in definitiva avrebbe alimentato anche i gravi problemi della sicurezza e della microcriminalità. Ciò non può essere detto, perché questo è un provvedimento minimale e di sospensione dell'esecuzione della pena.
Vorrei porre una domanda anche alla Lega. Abbiamo dimenticato i provvedimenti che sono stati votati per la sostanziale non punibilità di alcuni imputati in questi ultimi due anni? Abbiamo dimenticato che dal centro-destra è stato dato un voto favorevole alla legge sul patteggiamento allargato, che contempla anche la possibilità dell'applicazione di una misura sostitutiva in forma di pagamento di una pena pecuniaria? So benissimo, anche dal cenno di consenso del collega Taormina, che egli con la sua assoluta indipendenza ha preso posizione contro quella norma. Abbiamo dimenticato che gli stessi colleghi degli stessi gruppi che oggi lanciano questo messaggio, libero dal punto di vista del dissenso politico - ci mancherebbe altro - ma che non deve essere equivocato come messaggio all'opinione pubblica, non hanno obiettato nulla nei confronti di quella bizzarra norma della richiesta di patteggiamento anche da parte di chi non lo vuole fare, che consente la paralisi dei processi per quarantacinque giorni nel periodo feriale?
Nei confronti di quelle norme noi ponemmo, signor presidente e onorevoli colleghi, anche un altro problema, che vogliamo ora richiamare a proposito di questo provvedimento: il problema del rispetto delle vittime, che venivano completamente travolte. Questo provvedimento non incide sui diritti delle vittime, non ritarda i processi nei loro confronti e tiene conto, per la sospensione della pena, di alcuni coefficienti di valutazione che rispecchiano il principio della funzione educatrice della pena, che è un principio costituzionale come quello dell'indulto, per il quale è prevista la deliberazione a maggioranza dei due terzi.


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Ma questo non è un indulto camuffato. Se lo fosse, non sarebbe applicabile nei confronti di coloro che sono nella fase dell'esecuzione della pena. Sarebbe, cioè, applicabile anche a tali soggetti, ma ne beneficerebbero, come prima ha detto il collega Taormina, quelli che di solito in carcere non ci vanno mai.
Questo provvedimento, nella sua portata assai limitata - noi siamo coerenti con la posizione, in via primaria, sul problema delle vittime e su quello relativo alla certezza della pena - non incide affatto sulla certezza della pena. Sospendere la pena non significa annullarla; la revoca della sospensione della pena riguarda un istituto assolutamente diverso dal condono della pena stessa e, quindi, dal suo annullamento.

ALFREDO BIONDI. Anche il condono è revocabile!

VINCENZO SINISCALCHI. Indubbiamente. Sono autore di una proposta - a titolo personale - di indulto. Tale proposta, però, ha determinato l'insorgenza di posizioni conflittuali. Se il provvedimento al nostro esame fosse stato un indulto camuffato io, per primo, avrei rifiutato l'espediente di proporre un provvedimento in una forma diversa da quella prevista dalla nostra Costituzione.
Non possiamo assolutamente consentire che si continui a affermare che tale provvedimento spalanca indiscriminatamente le porte delle carceri. In esso vi sono, infatti, delle condizioni. Ricordo che, nel corso della discussione generale (pazientemente seguita del collega Buemi - oltre che da altri colleghi - ma credo che vada dato atto al relatore dei valori civili e legislativi che egli ha espresso nel corso del tormentato iter del provvedimento al nostro esame) si fece notare che qualcuno avrebbe anche potuto rinunziare alla sospensione della pena, dati gli obblighi e le condizioni - ne manca solo una: dover versare delle somme di denaro, poiché ciò entrerebbe in conflitto con la condizione di disperazione dei detenuti - imposti dal provvedimento.
Dunque, noi votiamo - nel rispetto dell'appello del Papa, e forse oltre lo stesso; credo che detto appello fosse un po' più alto rispetto alla misera riduzione della discussione al problema del cosiddetto indultino - questo provvedimento perché esso non incide affatto sui problemi della sicurezza e della certezza della pena, a differenza di altri provvedimenti che, come ho detto più volte, sono stati votati proprio da coloro i quali oggi conducono legittimamente - con maggiore chiarezza la Lega, ma non con altrettanta chiarezza, Alleanza nazionale - l'opposizione al provvedimento in esame.
Un'ultima osservazione. Ci troviamo di fronte alla necessità di licenziare il provvedimento, che, comunque, non riguarda lo sfollamento, dal punto di vista statistico, delle carceri. È in corso un'inchiesta da parte del più diffuso quotidiano italiano, Il Corriere della sera, che, ogni giorno, illustra la condizione delle carceri, e in particolare, quella degli extracomunitari reclusi. Mi sembra che, sul punto, si sia operata una forte discriminazione costituzionale, per cui la legge non è uguale per tutti e non lo sarà, soprattutto, per le donne extracomunitarie, condannate per immigrazione clandestina, e per i loro figli. Questa è la parte veramente più sorprendente, dal punto di vista umanitario. Leggiamo ciò che accade nelle carceri italiane. Al riguardo, mi sentirei di affermare, a parte i concetti sempre un po' ipocriti e retorici che vengono ripetuti in questa materia, che i detenuti esprimono un livello notevole di civiltà, non tanto nell'attesa dell'indultino, ma nel mantenimento di una condizione di autocontrollo. Se si trattasse di persone «potenti», e non di sostanziali emarginati in ragione dei loro reati, probabilmente esprimerebbero la loro protesta con forti atti legislativi, portati avanti ad opera di coloro i quali sollevano problemi inesistenti nei confronti di questo provvedimento, che non esito a definire opportuno, anche se minimale, e che dovrà aprire la strada ad altre discussioni sul problema del rispetto del principio costituzionale della funzione educatrice della pena.


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ENRICO BUEMI. Vorrei separare, per un istante, la mia posizione di relatore, per la quale esprimerò in seguito il mio punto di vista, da quella di rappresentante dei Socialisti democratici italiani all'interno di questa Commissione.
Noi socialisti eravamo favorevoli - mi ero fatto portatore di tale posizione - al provvedimento di sospensione condizionata della pena, fino ad un massimo di tre anni, dopo aver scontato un quarto della stessa. Tale proposta, collegata alle misure che abbiamo introdotto, fin dall'inizio, nella proposta di legge in esame, tendeva a raggiungere alcuni obiettivi tra cui quello di intervenire, con una misura di carattere straordinario di politica penitenziaria, su una situazione di emergenza relativa alle nostre carceri. Quindi, si tratta non - come lo ha definito qualcuno - di un provvedimento di clemenza collettivo, ma di un provvedimento di politica carceraria, di carattere, ripeto, straordinario.
È necessario collocare il provvedimento all'interno di tale logica. È evidente che noi siamo convinti che esso non sia assolutamente sufficiente ad affrontare, in termini di prospettiva, la situazione carceraria del nostro paese e a ristabilire i diritti dei cittadini detenuti all'interno delle carceri italiane, che devono, sì, espiare la pena, ma secondo i criteri stabiliti dalla nostra Carta fondamentale.
Detto ciò, credo che sia necessario sviluppare anche alcune osservazioni in merito alle modifiche introdotte dal Senato. L'esigenza di compromesso, che il relatore ha portato avanti accettando anche le misure introdotte dal Senato, non esime, però, l'esponente politico dal dire come egli la pensi.
La modifica degli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice di procedura penale riguarda reati per i quali, al momento attuale, nessun detenuto sta espiando pene in condizioni di condanna definitiva. Pertanto, la modifica introdotta risponde esclusivamente ad esigenze di carattere propagandistico. Ciò è bene dirlo!
La modifica introdotta riguardo alle donne madri extracomunitarie...

ALFREDO BIONDI. La cattiveria...

ENRICO BUEMI. Ringrazio l'onorevole Biondi per il suggerimento! Si tratta di pura e vera cattiveria, perché aggiunge alla condanna della madre quella del figlio, al quale non può essere addebitata alcuna responsabilità.

GIUSEPPE FANFANI. Sono ventisei donne!

ENRICO BUEMI. Come mi suggerisce il collega Fanfani, sono ventisei le donne che si trovano in tale condizione.
Dette modifiche perseguivano un obiettivo, che è bene ricordare, al di là di tutti i «giri di valzer» che, anche questa mattina, abbiamo compiuto, sia in Assemblea, sia in questa sede: impedire il varo del provvedimento in esame, un provvedimento di politica carceraria straordinaria, in una situazione inaccettabile dal punto di vista del sovraffollamento delle carceri. Questo vi vuole dire il socialista democratico italiano Buemi!

ALFREDO BIONDI. Bravo!

CARLO TAORMINA. Bravo!

ROBERTO GIACHETTI. Le considerazioni poc'anzi svolte dal collega Buemi nella sua veste di deputato dei Socialisti democratici e quelle di tutti gli altri colleghi che mi hanno preceduto, in particolare del collega Siniscalchi, mi consentono di svolgere un breve intervento.
Vorrei sottolineare un fatto: credo che oggi possiamo e dobbiamo approvare il provvedimento al nostro esame solo ed esclusivamente perché ci troviamo nella situazione data, cioè perché è l'ultimo giorno utile e non è possibile rinviarlo al Senato per la modifica cui ha fatto riferimento l'onorevole Buemi.
Credo che detta modifica sia una vera ignominia e, in quanto tale, per quello che anche culturalmente rappresenta, dovrebbe essere nostro dovere considerarla una condizione per rinviare il provvedimento al Senato. Conosciamo, però, la


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situazione in cui siamo e dobbiamo, pertanto, subire ciò che il Senato ha approvato. Ritengo che, al di là delle questioni di metodo sull'attività del Senato dobbiamo affermare con molta chiarezza che, nel merito e nella modifica di questa norma, il Senato stesso ha commesso un'ignominia. È bene che tutti ne teniamo conto. Si tratta di un tributo pagato alla Lega, lo sappiamo perfettamente.
Mentre in relazione all'altra norma probabilmente sono state operate delle specificazioni ultronee, comunque opportune dal momento che servono a chiarire definitivamente qual era l'intento, del provvedimento, la prima modifica - lo ribadisco - è una vera vergogna. È opportuno che, anche dal punto di vista della propaganda, chi si è assunto la responsabilità di tale vergogna ne risponda in qualche modo.
Vorrei rapidamente svolgere qualche ulteriore considerazione. Ritengo che il provvedimento in esame rappresenti, comunque, un passo importante. Non appartengo, signor presidente e onorevoli colleghi, alla categoria dei «benaltristi», cioè di coloro che ritengono che vi sia sempre qualcosa di meglio.
Sicuramente rimangono aperti tantissimi problemi concernenti il sistema carcerario, e non solo; però, a mio avviso, non potevamo non dare questa risposta.
Sappiamo benissimo come sia cambiato il provvedimento dalla sua ideazione; pur avendo sottoscritto la proposta di legge C. 3323, credo sia un segnale piccolo ma importante, che deve essere dato anche perché richiesto da molti; sicuramente, dal Pontefice ma anche dai detenuti. Non dimentichiamo - vi faceva riferimento poc'anzi, anche il collega Siniscalchi - che i detenuti hanno assunto un'iniziativa per sollecitare una risposta da parte del Parlamento ai tanti appelli con i quali si raccomandava un doveroso intervento teso ad alleggerire la difficoltà - ma il termine «difficoltà» è un eufemismo - nella quale si trova il sistema carcerario. Hanno assunto iniziative non violente; a differenza del passato, hanno scelto la via non violenta degli scioperi della fame, degli scioperi della televisione. Sono dimostrazioni significative, che hanno segnato - anche culturalmente, a mio avviso - un'emancipazione importante da parte dei detenuti, ai quali, a mio avviso, stiamo dando una risposta, forse parziale ma doverosa. Vorrei ricordare, però, che il provvedimento riguarda anche il personale che si trova nelle carceri: gli agenti di custodia, che spesso si trovano in condizioni peggiori dei detenuti. Quasi un anno fa ho visitato il carcere di Latina e le posso assicurare che gli agenti di custodia di quella struttura vivono, se possibile, in una condizione peggiore di quella dei detenuti. Si tratta di una situazione che sicuramente non riguarda solo quel carcere ma anche tanti altri; questo intervento non sarà sufficiente né adeguato ma costituisce, senz'altro, una prima risposta anche per questo personale, che nelle carceri opera con tante difficoltà. Però - e vorrei concludere il mio intervento con questa notazione - rimangono aperti tanti problemi all'interno delle carceri; ad esempio, quello sanitario, davvero drammatico. Si tratta di una questione enorme, compresa nel pacchetto delle richieste rivolte dai detenuti al Parlamento al fine di sollecitare il legislatore a dare una risposta forte; certo, il problema non verrà risolto con l'approvazione del provvedimento.
Vi è poi la questione della possibilità di lavoro per i detenuti; sappiamo perfettamente che, ancorché prevista dalla legge, in molte carceri e per molti detenuti tale possibilità non è praticabile. Ma vi è anche l'aspetto connesso alle condizioni ed alle strutture stesse delle carceri: ho parlato della struttura di Latina ma quante carceri, in Italia, andrebbero chiuse - e, invece, rimangono aperte - per ragioni semplicemente umane, di civiltà?
Si pone, poi, il problema delle pene alternative, signor presidente; una riflessione che per il Parlamento - a proposito dell'affollamento delle carceri, e non solo - credo sia ormai irrinunciabile, per tanti tipi di reati. Vi sono molte altre problematiche


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irrisolte alle quali ancora non abbiamo dato una risposta; ad esse, a mio avviso, dovremo, nei prossimi mesi, provvedere.
Concludo veramente, signor presidente, venendo alla questione della riforma organica della giustizia; il Governo, fino ad oggi, ha operato varando solamente una serie di provvedimenti ad hoc - non voglio dire ad personam ma sicuramente ad hoc -; provvedimenti che hanno chiaramente dato l'impressione che non si sia in grado di provvedere, piuttosto, ad una riforma organica della giustizia. Quanto dipende anche da ciò la situazione delle carceri, della lentezza della giustizia e della inadeguatezza dei processi!
Ebbene, ritengo che anche che per questo Governo e per questo ministro - che ha sia la competenza in materia di giustizia sia quella specifica del sistema carcerario - sia arrivato il momento di intervenire. Credo che la Lega, che si è fatta portatrice di questa propaganda - a mio avviso sbagliatissima, inopportuna e con aspetti che, per alcuni versi sono ignobili - debba sapere che ha un ministro che ha responsabilità sia sulle questioni giudiziarie - e, ahimé, in tale ambito l'abbiamo visto intervenire di recente - ma anche sulle questioni carcerarie. In quest'ultimo ambito l'abbiamo visto operare assai poco; anzi, per niente. Sarebbe forse utile che il ministro occupasse l'estate studiando il sistema carcerario in modo da capire che ci sono tanti altri interventi da compiere, che forse rendono un po' meno dal punto di vista della propaganda, ma molto di più dal punto di vista della civiltà di questo paese.

ALFREDO BIONDI. Sono il terzo firmatario di questo lungo elenco di colleghi che hanno aderito alla proposta di legge degli amici Pisapia e Buemi (C. 3323).
L'ho fatto come fanno gli avvocati quando, svolto l'argomento principale, dicono: «in deprecato e non creduto subordine...»
È un modo leguleio per uscire da una ipotesi che non si può o si teme di non potere realizzare e addivenire ad una più concreta. Io ho avanzato un'ipotesi di condono e quanto abbiamo sentito sinora indica una esigenza di carattere generale, che riguarda certamente il riordino della giustizia e, con esso, anche una misura che abbia la caratteristica di equiparare il passato al presente e, auspicabilmente, al futuro, in modo tale che non vi siano distinzioni, per così dire, di «slalom speciali», secondo le quali qualcuno ha sofferto una pena severa perché ha sbagliato «la porta», alcuni, a differenza di altri, possono avere avuto il beneficio dei patteggiamenti più o meno allargati, e via dicendo. Di solito - a volte demagogicamente e, certo, con una qualche approssimazione quantitativa -, si afferma che la povera gente è quella che subisce di più tali diseguaglianze; diciamocelo francamente, senza paura di essere considerati «classisti» del diritto (sarebbe un'impostazione sbagliata). Allora, a questo punto, il «deprecato subordine» ci ha portato anche a questo rush finale nel quale ci troviamo coinvolti. Sono contento di essere in Commissione giustizia; dal 1994 in poi, infatti, non vi tornavo: chi ha fatto il ministro, a mio avviso, deve avere l'eleganza di non fare, per così dire, il «contropelo» ai ministri che successivamente intervengono. Questa volta, però, nutro particolare interesse per la materia discussa, anche per i motivi già esposti in Assemblea. Motivi che riguardano il mio modo di vedere i problemi della giustizia; un modo antico, forse anche antiquato: non subire le seduzioni del tempo, che inducono la persona, quando è ministro, a cambiare l'opinione rispetto a quando era avvocato o rispetto a quando faceva il politico. Si finisce così col sostenere il contrario di quanto si era dichiarato quando si esercitava l'avvocatura e, in ipotesi, già contraddetto quando si faceva il politico. No, dico la verità: sono disposto a pagare i prezzi anche dell'impopolarità. Prezzi che ricollegano la politica alla morale; il prezzo dell'impopolarità è dire le cose che si sentono e farlo assumendosene i «carichi».
Il provvedimento in esame è una proposta di legge parziale, nel senso quantitativo


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del termine e non nel senso di una misura legislativa «di parte». Infatti non è di parte; non è una legge «politica». Si tratta, piuttosto, di un provvedimento che nasce da un'esigenza comune, avvertita da soggetti molto diversi che, in realtà, per altre questioni, sono molto distanti. Quindi, rifiuto il ragionamento seguito sia dal gruppo di Alleanza nazionale sia dal gruppo della Lega, secondo il quale si sarebbe tradito il mandato, si sarebbero violati i patti sottoscritti, e via dicendo. Io non ho sottoscritto alcun patto; ho solo accettato il programma di Governo e nel programma di Governo è giustamente scritto che le pene devono essere scontate. Ma devono essere scontate con umanità, con senso della responsabilità, propria ed altrui.
Si è fatto l'elenco dei sacrifici affrontati non solo dai detenuti nella loro situazione di vita ma anche dagli agenti di custodia, detenuti per altra e alta causa; essi, a servizio dello Stato, subiscono ogni giorno umiliazioni che col prestigio dello Stato c'entrano ben poco.
Detto ciò, bisogna osservare - lo devo dire sinceramente - che il Senato ha peggiorato la legge. Relativamente all'introduzione della modifica che si riferisce all'elencazione dei reati, può essersi trattato di una specificazione; stamani, la collega Mazzoni ha sostenuto un argomento giusto. Ha osservato che chiarire prima è meglio che interpretare poi. Però, un buon lettore della norma ne comprende anche l'intenzione, in questo caso ancora accessibile; ma relativamente alla modifica introdotta circa le madri ed i bambini extracomunitari, veramente si tratta di una statuizione che non fa onore a chi l'ha proposta. Siamo costretti, ora, ad approvare il provvedimento così come pervenuto al nostro esame ma è grave che, per ottenere una misura giusta, bisogna che i radicali finiscano «in gabbia» davanti al Senato e che non mangino - se mai, dovrei farlo io, per motivi di salute - e che vi sia sempre un punto esclamativo che, per così dire, accentui un periodo giusto, una giusta intenzione. Ciò non va bene.
Anche secondo me, gli altissimi silenzi e la profondissima quiete del Governo su questi temi costituiscono un ulteriore aspetto che proprio non va. Ora, se da un lato vi è l'abitudine di parlare male del Governo, dall'altro si ha anche quella cattiva, per coloro che lo sostengono, consistente nel dover affermare che questi ha sempre ragione: non è vero che ha sempre ragione! Questa volta, forse, una bella assunzione di responsabilità, anche di fronte al paese, sarebbe stata giusta! Solo allora, forse, il discorso sarebbe stato politico; però, lo sarebbe stato nel senso più greco del termine, cioè riguardando la collettività nel suo insieme.
Questa è la ragione per cui, in deprecato e non creduto subordine, voterò questa legge!

PRESIDENTE. Onorevole Biondi, probabilmente, alla fine, sarebbe possibile affermare che, anziché un beneficio «collettivo», si tratta di un beneficio «selettivo»!
Prendo atto che il relatore ed il rappresentante del Governo rinunciano alla replica. Nessun altro chiedendo di parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Sospendo brevemente la seduta al fine di permettere agli uffici di distribuire gli emendamenti presentati.

La seduta, sospesa alle 12,05 è ripresa alle 12,15.

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli modificati dal Senato e dei relativi emendamenti (Vedi allegato).
Passiamo all'esame dell'articolo 1 e degli emendamenti ad esso riferiti.

ANDREA GIBELLI. Il provvedimento in esame che, malgrado tutto, oggi affrontiamo in sede legislativa, va ad incidere su aspetti che, come è stato già in più di un'occasione sottolineato da altri colleghi appartenenti al mio gruppo (ed anche nella seduta d'aula di questa mattina), sono inerenti a questioni che a nostro


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modo di vedere, meritavano, anche in questa circostanza, un esame da parte dell'Assemblea.
Ciò non è avvenuto per volontà del Parlamento, a seguito della votazione di questa mattina. Tuttavia, vorrei illustrare, se ancora ce ne fosse il bisogno, le motivazioni che stanno alla base della presentazione di tali emendamenti da parte nostra, elencando altresì le questioni che ci stanno particolarmente a cuore.
Per esempio, facendo riferimento all'articolo 1, comma 3, lettera a), chiediamo che dopo le parole «del codice penale nonché» si aggiungano le seguenti «dall'articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale ovvero». Tale emendamento intende escludere l'applicazione del provvedimento ai delitti previsti dall'articolo 407 del codice di procedura penale, relativo al termine di durata massima delle indagini preliminari, dove sono elencati i reati particolarmente gravi o che richiedono indagini complesse. Infatti, al di là delle esternazione cui ho assistito in questi giorni grazie alla diffusione degli organi di stampa e agli interventi di alcuni autorevoli colleghi (come nel corso della mattinata di oggi), si continua a fare appello al cosiddetto «diritto di coscienza», cioè alla possibilità che qualcuno, libero da ogni vincolo di mandato, faccia leva su una sorta di libertà di carattere generale. Noi, invece, questa libertà di carattere generale la riconduciamo non ad una questione astratta, se pure legittima, bensì ad una questione che trova conferma rispetto alla coscienza del paese. La sensibilità istituzionale e dei colleghi appartenenti alla Commissione non può fare valutazioni che prescindano anche da un grado emozionale che, proprio nel caso in esame, coinvolge la coscienza di tutti.
Ogni giorno, ci troviamo a leggere sui quotidiani (i quali, puntualmente, ce ne propongono la cronistoria) di reati e situazioni gravi perpetrate ai danni dei cittadini del nostro paese, che a loro volta si collegano con i dibattiti legati a questo provvedimento. Cito un caso di qualche settimana fa, quando ho casualmente avuto modo di vedere la pagina di un autorevole quotidiano (Il Giorno) nella quale si riportavano notizie relative a soggetti macchiatisi di reati gravi, furti e danni nei confronti dei cittadini italiani. Nella medesima pagina, si dibatteva anche del problema riguardante la concessione o meno dell'indultino e, quindi, della possibilità di intervenire, dal punto di vista legislativo, con un provvedimento in questo senso. La lettura reale e non astratta di questo stato d'animo è alla base della presentazione di tutti questi emendamenti!
Non possiamo definire una norma che non tenga conto delle aspettative dei nostri cittadini, i quali non provano, emotivamente parlando, la volontà di vendicarsi, bensì quella di far parte di uno Stato dove si possa vivere serenamente (senza essere costretti a leggere, come nel caso del mio riferimento alla pagina del quotidiano Il Giorno di qualche settimana fa, un bollettino di guerra).
Si deve creare la possibilità di porre in relazione la sensibilità istituzionale con le aspettative di un paese che ci ha chiesto (mi rivolgo alla maggioranza) di intraprendere un percorso che, in senso generale, potrebbe anche ammettere una ipotesi come quella in discussione ma che, tuttavia, dovrebbe essere l'ultima ad essere presa in esame, dopo avere dato ai nostri cittadini ogni garanzia in termini di certezza della pena all'interno di uno Stato di diritto e di sicurezza reale. Solo alla fine, in un momento eccezionale e non prima di avere intrapreso un percorso di riforma nel senso che prima ho esposto, si dovrebbe prendere in esame la possibilità di ammettere soluzioni come quella oggi in discussione
Invece, questa è una scorciatoia che anticipa le grandi riforme e pone il paese di fronte ad una situazione di sovraffollamento delle carceri che dobbiamo risolvere, poiché rientra nella nostra responsabilità. Infatti, il sistema di norme che ha consentito tale affollamento è una nostra colpa, non del cittadino che vive la propria quotidianità in una situazione di disagio. Questo strappo, che, purtroppo, a volte non colgo negli interventi di carattere


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generale o di grande scuola politico-istituzionale, assistendo al dibattito in Assemblea, si scontra, invece, con un dato reale e cioè che questo provvedimento, così com'è stato concepito, considerato il percorso in cui è stato collocato, anticipando le grandi riforme, non è capito. Esso si traduce - non in termini giuridici ma in termini di vita quotidiana - in quella scappatoia all'italiana secondo la quale, quando non si è in grado di risolvere problemi, si anticipano le soluzioni con miseri provvedimenti che spostano di sei mesi o di un anno questioni che poi si ripresenteranno. Ed allora, che cosa faremo? Riproporremo un provvedimento di questo tipo? Lo riproporremo alle Camere con un altro taglio alle pene e con le stesse impostazioni?
Questa mattina, intervenendo in Assemblea, non ho affrontato questo problema, ovviamente, perché intervenivo per un richiamo al regolamento. Tuttavia, il rapporto con il cittadino non è un rapporto astratto. Durante la fase di discussione in Assemblea, la sede propria per provvedimenti di questo tipo (mi dispiace continuare a ripeterlo), abbiamo fatto riferimento alla democrazia forte, a una democrazia di alto spessore culturale che riesce ad ammettere anche questa possibilità. Mi dispiace che, purtroppo (non me ne voglia qualche collega), non frequentando la gente comune, si sia persa la percezione di un problema che, invece, si presenta nei termini in cui tentiamo di tradurlo negli emendamenti presentati. Questo non vuol dire essere ostaggi di una volontà emozionale, signor presidente. Vorrei sgomberare il campo anche da questo possibile equivoco. Una scelta di questo tipo, fatta in questo momento, e confermata, tra l'altro, dalla proposta del Presidente Casini il quale, durante la fase di illustrazione di interpellanze urgenti, ci sottopone un provvedimento a carattere di urgenza per il quale si presenta la necessità di una assegnazione in Commissione in sede legislativa, non ha alcun fondamento - a nostro modo di vedere - rispetto alle aspettative che il paese ripone nei nostri confronti.
Non vorrei citare altri casi ma, in questi giorni, stiamo osservando, attraverso le cronache dei giornali, come anche la nostra magistratura - non vorrei sollevare polemiche - si trovi nelle condizioni di non poter rispettare certi adempimenti di natura formale ed amministrativa, a causa di pratiche ingolfate e di situazioni prossime al collasso. La cronaca di questi giorni dimostra che, a causa di errori legati alla lettura amministrativa degli atti, alcune persone sono state rimesse in libertà (non è questo il caso, ma è importante la lettura emotiva alla base di questo provvedimento). Per un semplice errore nella trascrizione del nome, un rom di 18 anni, persona socialmente pericolosa, è stato posto in libertà, in provincia di Cremona, e ha ucciso un padre di famiglia. Mi spiega, signor presidente, dove si colloca il cosiddetto indultino nelle aspettative di giustizia, non di vendetta, di chi constata come, attraverso errori formali, simili persone sono rimesse in libertà? Non è questo il caso, ma sottolineo che al Parlamento, con il voto, era stato chiesto di porre le questioni in altri termini.
Provengo da quella provincia e mi giungono molte lettere di persone che mi chiedono: come potete procedere a queste scorciatoie quando ci sono famiglie distrutte da errori che derivano da colpe gravi, rimettendo in libertà di persone socialmente pericolose? Noi viviamo in una situazione in cui la gente ha paura. Ci sono persone anziane in difficoltà. Nella casella di posta elettronica mi è giunta una lettera di un ingenuo signore che afferma: la persona che mi ha percosso violentemente, che adesso uscirà dal carcere grazie ad uno sconto di pena, tornerà qui a vendicarsi perché, per colpa mia, è finita in galera! Questa colpa io la devo attribuire al malfunzionamento della giustizia o della politica del Parlamento, che ha individuato una scorciatoia?
Lei comprenderà, signor presidente, che il mio intervento, anche se un po' lungo, è appassionato: mi conceda questa attenuante generica, nonostante ci troviamo in una giornata di agosto ad affrontare una questione che è in questi


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termini. Questa mattina non c'è stata la possibilità di affrontarla nei termini in cui la propongo ora ed il tempo che non è stato utilizzato in Assemblea lo utilizzerò in Commissione.
Se le considerazioni che ho appena espresso valgono per l'emendamento che ho sottolineato in precedenza, anche l'emendamento Lussana 1.2, relativo all'articolo 605 del codice penale, in materia di sequestro di persona, che recita: «Chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni. La pena è della reclusione da uno a dieci anni se il fatto è commesso...».

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Gibelli.

MARIO PEPE. Signor presidente, sono dieci minuti che sta parlando!

ANDREA GIBELLI. In questa Commissione, onorevole Pepe, c'è un solo presidente!
Se mi interrompete, recupero il tempo che ho perso.

PRESIDENTE. Lasciamo concludere il collega. C'è un tempo per gli interventi e il collega ha la facoltà di utilizzarlo in termini ragionevoli.

ANDREA GIBELLI. Qual è il tempo a mia disposizione, signor presidente?

PRESIDENTE. Avevamo concordato un certo tempo. Dal momento che interverranno tutti e quattro i rappresentanti della Lega nord, avevamo concordato dai 5 ai 7 minuti ciascuno. Poiché siamo abbondantemente oltre questo limite, se lei non è in condizioni di concludere, ne dovranno tenere conto i colleghi del suo gruppo.

ANDREA GIBELLI. Concluderò, nonostante l'interruzione del simpatico collega Mario Pepe, che aspira alla presidenza della II Commissione.

PRESIDENTE. Guai a non avere aspirazioni, nella vita!

ANDREA GIBELLI. Le aspirazioni sono legittime perché solo quando si guarda ad un miglioramento della propria posizione si riesce a cadere sempre in piedi.
La ringrazio della disponibilità, signor presidente.
Anche quest'altro emendamento, come dicevo, recepisce le stesse perplessità che avevo richiamato illustrando l'emendamento Lussana 1.1.
Quindi, al di là delle parole, al di là del fatto che l'ultima risorsa che ci rimane è quella di ricorrere ad uno strumento che è definito ostruzionismo ma che, invece, è sorretto dalle ragioni che ho precedentemente descritto, noi rifiutiamo qualsiasi accusa di non voler procedere alla approvazione di questo provvedimento, perché riteniamo assolutamente necessario un confronto vero con il paese rispetto a quel percorso che avevamo indicato e che oggi è mortificato perché nemmeno l'Assemblea è investita di questo alto compito.

GIACOMO STUCCHI. Aggiungo alcune considerazioni a quelle poc'anzi illustrate dal collega Gibelli. Sicuramente stiamo discutendo un provvedimento molto importante e molto sentito dalla collettività. Quando si parla con il cittadino comune, di solito, le questioni poste sono sostanzialmente due: la sicurezza, soprattutto quella nelle proprie abitazioni e nelle proprie città, ove si tratti di grandi agglomerati urbani, oppure nei villaggi o comunità di appartenenza, e la questione delle pensioni. La seconda questione, in questo caso, non conta, ma quella della sicurezza rientra moltissimo in questo provvedimento. Infatti, i beneficiari di questa proposta di legge, che una maggioranza trasversale si appresta ad approvare, saranno persone che hanno causato, con i loro comportamenti, ripercussioni fortemente negative non solo in termini economici ma anche in termini psicologici nei confronti dei cittadini.
Non so a quanti dei colleghi sia capitato di ricevere la visita in casa di qualcuno


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con l'intento di sottrarre loro degli oggetti, magari di nessunissimo valore economico ma sicuramente di grande valore affettivo. A me un episodio del genere è capitato in occasione dello scorso Natale quando, di ritorno da Roma, ho trovato la mia casa svaligiata. Non lo sottolineo tanto per la questione economica quanto piuttosto per il valore degli oggetti rubati, legati a ricorrenze particolari, affetti o magari a persone che non ci sono più.
Tale episodio mi ha portato a riflettere molto sulle dichiarazioni di cittadini che hanno vissuto casi analoghi; in effetti nella persona che subisce un atto di questo tipo compiuto da delinquenti (nello specifico da ladri), scatta una sorta di preoccupazione, di ansia e di insicurezza; si tratta di una condizione che spinge a vivere all'interno della propria casa con preoccupazione e tensione, a chiudere continuamente le imposte e che costringe ad alzarsi ogni volta che di notte si sente un rumore e si deve verificarne l'origine per accertarsi se qualcuno sia cercando di introdursi nella propria abitazione. Ho ricordato questo esempio perché qualcuna delle persone dedite a tali attività - come ricordavo prima - beneficerà di questo provvedimento.
Ma le persone chiedono sicurezza, chiedono di poter essere tranquille. E sicuramente non compiamo un bel gesto nei confronti dei cittadini ponendo in libertà - prima della scadenza della loro pena - quei soggetti che si sono macchiati di questo o magari di un altro tipo di delitti. Al contrario, diamo dimostrazione di impotenza: è vero che la situazione delle carceri è precaria, ma non al collasso, è vero che ci sono dei problemi, ma è altrettanto vero che la situazione carceraria non si risolve con l'indulto o l'indultino ma costruendo nuove carceri. In altri paesi vi sono popolazioni carcerarie numerose in proporzione ai cittadini residenti. La questione si risolve lavorando sulla prevenzione di certi reati perché comunque mantenere un soggetto in prigione costa e non fa piacere a nessuno se una persona si trova in un carcere.
Credo però che sia un sentire comune dei cittadini la richiesta di certezza della pena; pensate a chi ha subito uno scippo; pensate soprattutto al trauma per le donne cui è stata rubata la borsa, magari durante una passeggiata sul corso; pensate a quali possano essere i pensieri di queste donne nei confronti di chi è deputato alla difesa della loro sicurezza: forze dell'ordine in primis, ma al loro fianco anche i politici che alle forze dell'ordine devono fornire gli strumenti per garantire questa sicurezza. Pensate quindi alla complessa situazione che gira intorno a questo provvedimento. Non vogliamo penalizzare ulteriormente chi già si trova in carcere, ma riteniamo che chi è condannato in via definitiva si trovi in prigione perché ha commesso degli atti contro la legge e quindi è necessario che sconti interamente la pena.
Non vogliamo nemmeno essere troppo cattivi; è opinione di alcuni cittadini che tali carcerati vadano messi a «pane ed acqua»: noi non arriviamo a ciò! Crediamo che il rispetto della persona sia da tutelare: già privare qualcuno della propria libertà è una pena pesante. Però dobbiamo riuscire a comprendere che la giusta direzione da seguire è quella di disincentivare coloro che intendono compiere illegalità facendo loro comprendere che, una volta in carcere, vi si resta fino alla fine della pena comminata. Dobbiamo entrare nell'ottica che, se chi finisce in carcere potrà pensare che ogni tanto il Parlamento approverà dei provvedimenti che dimezzeranno - o diminuiranno, come in questo caso - la pena decisa dal giudice in base al reato, non compiamo un servizio al paese.
A tal fine abbiamo presentato una serie di proposte emendative che tentano di correggere questo testo rendendolo più «digeribile» per i cittadini.
Siamo consci che tali proposte emendative verranno quasi sicuramente bocciate e riteniamo che, una volta giunti all'approvazione definitiva di questo provvedimento senza il nostro consenso, chi voterà a favore si assumerà una grossa


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responsabilità di fronte ai cittadini e dovrà giustificare le scelte adottate in questa sede.

PRESIDENTE. La ringrazio, anche per il rispetto del tempo a sua disposizione.

SERGIO ROSSI. Signor presidente, intervengo sul complesso degli emendamenti perché intendo convincere i colleghi deputati dell'errore che si commetterebbe qualora si approvasse questo provvedimento. Tale proposta è stata presentata originariamente alla Camera dei deputati su iniziativa di esponenti del centrosinistra (primo firmatario era l'onorevole Pisapia); nel tempo esponenti di diversa appartenenza hanno aggiunto la loro firma dimostrando come tale iniziativa sia diventata trasversale.
Si vuole giustificare questo provvedimento affermando che è l'unica soluzione possibile alla drammatica situazione delle carceri italiane. Tuttavia si tratta, a nostro avviso, di un intervento destinato a rivelarsi temporaneo, assolutamente non in grado di risolvere strutturalmente il problema del sovraffollamento delle carceri, che si trascina ormai da almeno dieci anni e che quindi era emerso anche nella precedente legislatura e sotto i diversi Governi di centro-sinistra. Inoltre tale soluzione è dannosa perché intacca irrimediabilmente il principio della certezza della pena in spregio al programma elettorale firmato da tutti i candidati della Casa delle libertà.
Anziché scegliere di sospendere l'esecuzione della pena avremmo preferito che si intraprendessero altre strade; una poteva essere quella proposta dalla collega Lussana nel testo alternativo presentato qui alla Camera, dove si ipotizzava di far svolgere a quei detenuti che si trovano in determinate condizioni un lavoro di tipo civico non retribuito, che avrebbe prodotto un effetto deflattivo per gli istituti carcerari coniugandolo con l'obiettivo fondamentale della rieducazione del condannato e senza per questo far venir meno il principio di effettività della pena.
Abbiamo invece di fronte un testo che non possiamo condividere, anche in segno di rispetto nei confronti dei cittadini onesti.
Non condividiamo la previsione di sospendere l'esecuzione della pena per tutti i detenuti che devono scontare gli ultimi due anni di carcere e che hanno scontato almeno metà della condanna complessiva. Non condividiamo che questo beneficio si applichi automaticamente a tutti detenuti, senza che si svolga una valutazione da parte della magistratura di sorveglianza e senza neanche richiedere la prova di un completo recupero sociale del detenuto e, quindi, di qualche meritevolezza da parte del soggetto. Non condividiamo inoltre la scelta di non attribuire la competenza ad un organo collegiale che sia in grado di svolgere una valutazione più approfondita e, a questo punto, meno rapida per la concessione del beneficio.
Sotto questo punto di vista, sarebbe stato sicuramente necessario prevedere, anziché l'assoluta mancanza di formalità procedurali, l'acquisizione di tutti i documenti e le informazioni occorrenti per stabilire se il condannato possa effettivamente beneficiare della misura ed escludere che commetta altri reati, una volta scarcerato.
Si è più volte detto che le ragioni che giustificano un simile intervento risiedono nella difficile condizione carceraria del nostro paese, dove l'insostenibile situazione di sovraffollamento porterebbe il Parlamento ad adottare un simile provvedimento iniquo, che si aggiunge però a tutte le misure che già oggi esistono nel nostro ordinamento. Infatti, non dobbiamo dimenticare che vigono analoghi strumenti di liberazione anticipata di cui possono già usufruire in abbondanza i detenuti. Ci sono sicuramente altri modi per risolvere il sovraffollamento delle carceri, come, ad esempio, la possibilità di stipulare accordi con i paesi di origine dei detenuti extracomunitari che rappresentano - lo rammento - circa il 32 per cento della popolazione carceraria.
Il ministro Castelli, in questi mesi, ha dato dimostrazione di essere fermamente convinto della necessità di stipulare questi accordi, (come era già stato fatto con


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l'Albania, perché si riprenda gli albanesi detenuti in Italia) e sta cercando di firmarne altri simili, con il Marocco, la Tunisia e l'Algeria.
Il problema del sovraffollamento carcerario non si risolve con questo provvedimento, ma si potrebbe risolvere anche attraverso la costruzione di nuove carceri, perché se è vero che bisogna migliorare le condizioni di vivibilità all'interno delle stesse, è altrettanto vero che non si può risolvere il problema scarcerando migliaia di detenuti. Anche su questo fronte, il ministro Castelli si sta attivando per costruire nuove carceri e per migliorare e rendere più vivibili quelle già esistenti. Siamo consapevoli che le carceri devono essere rese più umane e che devono svolgere in modo efficace la funzione di contribuire alla rieducazione del condannato.
Allora, perché, invece di introdurre questo beneficio, non si è scelto di potenziare le occasioni di svolgimento di un lavoro all'esterno del carcere che, oltre a rendere più umana la pena, contribuirebbero alla riabilitazione e alla reintegrazione sociale del detenuto? Dare un occasione di lavoro al detenuto rappresenterebbe infatti un formidabile strumento di prevenzione di nuovi episodi di criminalità, una forma essenziale ed una possibilità concreta di riscatto morale e umano per il soggetto costretto in carcere. Quindi, perché non attendere almeno uno o due anni per verificare gli effetti della politica del nostro ministro della giustizia?
Il testo che approverete, senza i nostri voti, a nostro avviso cela anche un'ipotesi di indulto, come risulta da tutta una serie di elementi che portano a considerare questo istituto assimilabile ai provvedimenti di clemenza, il quale non potrebbe che conseguire il risultato di un momentaneo effetto deflattivo della popolazione.
Lo strumento della clemenza, o meglio quello dell'amnistia, prevede, per Costituzione, un certo quorum, che verrebbe azzerato invece con l'adozione di questo provvedimento. Nel 1992, con legge costituzionale n. 91, il quorum per la concessione dell'amnistia e dell'indulto era stato innalzato a due terzi e, durante gli anni novanta si è periodicamente riaffacciata la possibilità di un provvedimento di indulto per i terroristi, che però veniva puntualmente stroncato da episodi di eversione armata. Una campagna per la concessione di un provvedimento generale di indulto e di amnistia è ripartita nel 2000, in occasione del giubileo dei detenuti del 9 luglio 2000 e anche dalla visita del Papa a Regina Coeli. Ma il Governo di sinistra non riuscì a trovare il necessario consenso per appoggiare la richiesta di clemenza lanciata dal Papa e probabilmente mancava anche il coraggio, perché ci si trovava alla vigilia delle elezioni e non si è voluto approvare una misura così altamente impopolare. All'inizio di quest'anno si è tornati a discutere sui temi dell'amnistia e dell'indulto, come possibile soluzione al problema del sovraffollamento delle carceri e le parole pronunciate anche dal Presidente Ciampi, prima di quelle del Papa, hanno contribuito a riaccendere il dibattito politico. Va ricordato che è in corso di discussione in Parlamento una proposta di legge sulla riforma costituzionale dell'articolo 79, che renderebbe possibile concedere l'indulto e l'amnistia con legge deliberata a maggioranza semplice, cancellando il quorum dei due terzi. Su questa modifica della Costituzione, così come sul testo che stiamo esaminando, la Lega è contraria, dato che dieci anni fa si è introdotta la regola di una maggioranza particolarmente qualificata, proprio per evitare la vecchia piaga delle clemenze a pioggia degli anni precedenti e che una maggioranza parlamentare possa essere arbitra di garantire l'impunità a chiunque.
Si sappia che, con questo provvedimento, si rimetteranno in libertà un alto numero di detenuti accusati di reati minori, come il furto e le aggressioni, che sono i più puniti e che rappresentano la ragione principale di insicurezza per i cittadini.
Invito, quindi, tutti i colleghi a votare a favore dei nostri emendamenti.

ALESSANDRO CÈ. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.


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ALESSANDRO CÈ. Signor presidente, le consegno la richiesta, contenente il numero di firme sufficiente, di rimessione, a norma dell'articolo 92, comma 4, del regolamento, della proposta di legge in esame all'Assemblea.

PRESIDENTE. Prendiamo atto della richiesta del collega Cè e del documento che ci viene consegnato. Al fine di controllare il meccanismo attraverso il quale si possa ritornare sulla decisione adottata dall'Assemblea, ritengo opportuno, anche per consultarsi con gli uffici e con il Presidente della Camera, sospendere brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 12,50, riprende alle 13,50.

PRESIDENTE. Vorrei fare presente agli onorevoli colleghi la particolarità della situazione di fronte alla quale ci troviamo, e la mia esigenza di un approfondimento sulle regole e il metodo di conduzione dei lavori, di fronte ad una circostanza a mio avviso assolutamente straordinaria. Escludo, infatti, che un evento del genere si sia presentato altre volte. Ho chiesto di verificare se si fossero verificati dei precedenti in Commissione, ma dai riscontri effettuati sembra non si sia mai presentato un problema simile.
Apprezzate le circostanze, ho quindi ritenuto opportuno sospendere la seduta, in primo luogo per conforto personale e per mia determinazione consapevole, e poi anche per valutare i presupposti nonché gli effetti procedurali della richiesta avanzata. Nel frattempo - lo comunico soprattutto ai colleghi della Lega Nord Padania, in particolare all'onorevole Cè che ha prodotto questi documenti (uso volutamente i termini formali tipici dei tribunali) - sono pervenute alla segreteria della Commissione le dichiarazioni di alcuni deputati del gruppo di Alleanza nazionale, attestanti il loro recesso dalla posizione dissenziente precedentemente espressa a proposito dell'assegnazione in sede legislativa del provvedimento.
Sono pervenute 12 dichiarazioni, integrate da una dichiarazione orale - giunta alla presidenza - dell'onorevole Raisi, il quale ha comunicato la propria intenzione di ritirare il dissenso precedentemente manifestato. Le suddette dichiarazioni sono state sottoscritte dagli onorevoli Raisi, Gamba, Landi di Chiavenna, Conte, Cannella, Alboni, Foti, Armani, Airaghi, Saglia, Castellani e Coronella. Il numero delle revoche dal dissenso manifestato nei confronti dell'assegnazione in sede legislativa è pari a 12, che sottratto il numero complessivo delle firme prodotte dall'onorevole Cè, determina il venire meno del quorum richiesto dall'articolo 62 del regolamento. In base al calcolo eseguito (da 66 firme si passa a 54 firme) si ottiene un quorum insufficiente ad impedire l'assegnazione in sede legislativa, precedentemente deliberata dall'Assemblea.
Alla luce di questa situazione, devo dunque dare atto dell'una e dall'altra produzione documentale, e quindi del risultato aritmetico oggettivo che ciò comporta, e di conseguenza concludere che la richiesta avanzata dalla Lega Nord Padania, attraverso l'onorevole Cè, non possa ritenersi ammissibile.

ALESSANDRO CÈ. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Preciso che, ovviamente, ho svolto i necessari controlli, come era mio dovere per la responsabilità che in questo momento assumo.
Ha facoltà di parlare, onorevole Cè.

ALESSANDRO CÈ. Le dico schiettamente, signor presidente, che anche gli esponenti dell'opposizione, e più in genere tutti i parlamentari, dovrebbero prestare particolare attenzione a quanto sto dicendo, data la gravità di quanto avvenuto in questa circostanza. Lei ha detto che non ci sono precedenti. Certo, ci mancherebbe ve ne fossero, signor presidente! Lei, a nostro parere, non doveva fare altro che attestare un atto di per sé compiuto, ovvero la presentazione di un numero di firme tale da consentire la revoca dell'assegnazione in sede legislativa.


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Quando lei ha deciso di sospendere la seduta, sarei voluto intervenire, ma ho assecondato la sua intenzione per verificare quale sarebbe stato il risultato. Ci aveva comunicato che i lavori sarebbero stati sospesi per circa dieci minuti, al fine di consultare il Presidente della Camera. Mi permetta di pensare che in quest'ora di sospensione sia stata fatta un'operazione diversa (non so se da lei o da altri per lei). La coincidenza del suo annuncio che, in questa ora di sospensione dei lavori, erano pervenute presso la segreteria della Commissione dichiarazioni di revoca del dissenso (che noi verificheremo) da parte di alcuni deputati è abbastanza strana.
Credo che questa sia una brutta pagina, non solo per questa Commissione, ma per l'intero Parlamento. Ritengo che il ruolo dei presidenti, sia di Commissione che di Assemblea, sia quello di essere super partes, applicando rigorosamente il regolamento. Il regolamento, al riguardo, non stabilisce che la seduta venga sospesa. Non stabilisce nulla, afferma soltanto che va preso atto di una determinata situazione.
Nel documento vi erano un certo numero di firme; ritengo che non fosse legittimo sospettare che quelle firme fossero false, perché, se si parte da questo presupposto, gli uffici della Camera dovrebbero impegnarsi, ogniqualvolta venisse presentata una iniziativa legislativa, a verificare se le firme siano originali. Eventualmente, potrebbe valere il presupposto inverso: dovrebbe essere chi ha firmato a far valere le proprie ragioni. La coincidenza che in questo lasso di tempo siano pervenute dodici firme, consentendo la revoca della sede legislativa in Commissione, mi sembra rappresenti un precedente grave per tutti i gruppi presenti in Parlamento, perché la persuasione morale che può intervenire nell'intervallo di una sospensione (che oggi è di un'ora, ma domani potrebbe essere di cinque o sei ore), porterebbe ad uno stravolgimento completo dello spirito del regolamento e delle prerogative dei gruppi e dei singoli parlamentari.
Ho avuto occasione di parlare anche con il Presidente Casini, che mi ha dato una risposta simile alla sua. Non ritengo corretto il modo con cui la vicenda è stata gestita; non è possibile non accordare fiducia ad una lista originale sottoscritta da deputati con firme autografe. Il gruppo della Lega nord Padania prende atto di quanto accaduto e farà le proprie valutazioni politiche; tuttavia, a ciò si associa una mia forte critica al suo operato e a quello del Presidente della Camera. Spero che anche qualche deputato degli altri gruppi si renda conto della gravità di questo atteggiamento.

PRESIDENTE. Essendo stato chiamato in causa personalmente, intendo risponderle e fornirle un ulteriore chiarimento sulla posizione della presidenza della Commissione.
Questa mattina vi è stata una deliberazione dell'Assemblea, in occasione della quale non è emersa alcuna posizione di dissenso che potesse bloccare l'iniziativa del Presidente della Camera di inserire all'ordine del giorno la decisione circa l'assegnazione in sede legislativa della proposta di legge in esame. Si è trattato di un passaggio formale, che ha consentito alla Commissione giustizia di iniziare i suoi lavori subito dopo tale deliberazione, conducendo questa seduta secondo le regole relative alla deliberazione dell'Assemblea conseguente alla decisione del Presidente della Camera.
Quando, quasi al termine della discussione generale, mi sono trovato di fronte ad un documento, che ho apprezzato nella sua materialità e che tuttavia andava valutato sul piano degli effetti giuridici che comportava, rispetto alla decisione già adottata dall'Assemblea, non ho certamente messo in dubbio l'originalità del documento, anzi ho preso atto del documento stesso e degli effetti che avrebbe potuto avere. Secondo me, il documento è autentico fino a prova contraria, e io agisco in base al presupposto che il documento sia autentico.

ALESSANDRO CÈ. È tutto scritto nel regolamento della Camera!


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PRESIDENTE. Giusto, però non lo ha citato riguardo all'effetto preclusivo della prosecuzione dei lavori in sede legislativa nel momento in cui l'Assemblea aveva già deliberato l'assegnazione della proposta di legge in tale sede.

ALESSANDRO CÈ. Come non l'ho citato!

PRESIDENTE. Su questo punto avevo necessità di compiere una riflessione; tutto ciò che è avvenuto nel frattempo a me non importa affatto. Io sono solo il notaio della situazione; sto prendendo atto che è pervenuta questa documentazione, che determina una modifica sostanziale dell'effetto del documento che avete prodotto. Volendo, si potrebbe interpellare anche l'Ufficio di Presidenza. Consultando gli uffici della Camera, sono poi pervenuto a questa determinazione.
Sono sempre disponibile a ricevere critiche; non credo che vi sia qualcuno di noi che possa dichiararsi pregiudizialmente infallibile. Vi può essere stato un errore; tuttavia, chiedo che non sia messa in discussione la mia buona fede ed il mio comportamento, dettato dalla consapevolezza della responsabilità che io ho assunto rispetto ad un problema che stiamo affrontando in maniera travagliata.
Ciò che verrà dopo potrà formare oggetto di tutte le valutazioni e le azioni del caso da parte di ciascuno di voi; si potrà anche invalidare la mia decisione, che allo stato delle cose ritengo sia corretta, perché, così come ho accettato senza alcuna perplessità il documento che mi è stato presentato, ho dovuto - e non potevo fare altro - accettare gli altri documenti che mi sono pervenuti.

CARLO TAORMINA. Ci sono provvedimenti conseguenti ai fatti che ci ha riportato?

PRESIDENTE. Certo. Il provvedimento adottato dispone che prosegua la discussione in Commissione.

CARLO TAORMINA. Chi ha preso il provvedimento?

PRESIDENTE. Io! La discussione prosegue, non credo vi siano opzioni diverse allo stato delle cose, a meno che non si adducano circostanze ulteriori. Per completezza, potrei dare la parola ad un deputato a favore e ad uno contro sulla decisione che ho assunto.

GIUSEPPE FANFANI. È un provvedimento ordinatorio, sul quale non si può tornare indietro.

PRESIDENTE. Certamente, ma non vorrei dare la sensazione che il provvedimento, invece che ordinatorio, fosse dittatorio!

ALESSANDRO CÈ. Ella ha davanti, signor presidente, la mia richiesta e noterà che all'inizio c'è scritto «a norma dell'articolo 92 del regolamento». Non ho scritto «comma 4» perché davo per scontato che lei, eventualmente assieme agli uffici, conoscesse benissimo tale articolo. Allora, non deve dirmi che non le ho indicato puntualmente la norma del regolamento secondo la quale io e tutti i sottoscrittori di questo elenco avevamo diritto ad ottenere la rimessione all'aula del provvedimento.
Il comma 4 dice precisamente questo e al presidente non dà alcuna discrezionalità di rivalutazione e di sospensione; al massimo, poteva esserci la necessità di una brevissima consultazione con il Presidente della Camera, ma questo è un atto compiuto.
Tale comma reca che un progetto di legge è rimesso (non c'è scritto: « può essere rimesso») all'Assemblea se il Governo o un decimo dei deputati o un quinto della Commissione lo richiedono: in questo caso c'era un decimo dei deputati. Allora, deve spiegarci perché ha passato un'ora di tempo nel suo studio, ricevendo nel frattempo dieci o dodici fax o scritture autografe, dato che in aula non ho visto nessuno di quei presentatori e dubito che gli stessi siano a Roma: a questo dovrebbe rispondermi, presidente!

PRESIDENTE. Le ho spiegato le ragioni della mia determinazione e credo che


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siano sufficientemente chiare. La necessità di un approfondimento del tema era, comunque, opportuna: l'ho compiuta e, nel frattempo, si è verificato quello che si è verificato. Credo che sul punto possa chiudersi la questione.

SERGIO ROSSI. No, presidente!

PRESIDENTE. Ha parlato l'onorevole Cè e ha detto quello che ha ritenuto opportuno dire in tutti i termini: a questo punto ritengo che si debba proseguire nella discussione.

ALESSANDRO CÈ. Presidente, lei ha cambiato il regolamento e ha messo il contingentamento!

PRESIDENTE. Non ho messo alcun contingentamento! C'è stato un gentleman's agreement con il suo collega, abbiamo iscritto a parlare tutti e nessuno è stato interrotto. Nessuno contesterà ed impedirà l'uso delle regole che vengono applicate in aula, per cui il prossimo intervento potrà avere la durata prevista per quelli in aula in una simile materia.
Per il resto, credo di non aver tolto la parola a nessuno e di non essere intervenuto a limitarla. Qualcuno dei suoi colleghi ha parlato in tempi più limitati perché sul punto c'era stato un discorso tra gentiluomini e, comunque, informale.

SERGIO ROSSI. Signor presidente, chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Prego, onorevole Sergio Rossi.

SERGIO ROSSI. Esistono tanti modi di interpretare il regolamento. Dopo aver rilevato che il deposito delle firme bloccherebbe automaticamente la legislativa rimandandola in aula, l'interruzione - che doveva essere di circa dieci minuti e invece si è protratta per un'ora - doveva eventualmente servire a verificare la correttezza della raccolta delle firme; invece, durante l'ora si è manifestato il dissenso di dodici firmatari. A questo punto le faccio presente che tale manifestazione di dissenso fa maturare una nuova condizione, cioè il ritorno in legislativa precedentemente decaduta con la presentazione delle firme: quindi, alla luce dei dodici dissensi, è necessario un nuovo passaggio in Assemblea plenaria.
Infatti, come lei ha avuto la possibilità di verificare in un'ora la volontà dei sessantasei firmatari e riscontrarne dodici che hanno deciso di ritirarla, ovviamente deve esserci la contro possibilità di verificare che i dodici dissensi si siano manifestati con regolarità. Allora, solamente con un nuovo passaggio in aula noi e tutti gli altri cinquantaquattro colleghi saremo in grado di verificare la loro volontà: lei ha avuto il tempo di verificarlo e a noi ci viene tolta questa possibilità.
Alla luce di questa interpretazione, le chiedo di dichiarare decaduta la legislativa all'atto della presentazione delle firme, riconoscere che la raccolta era stata regolare e ritornare in aula per eventualmente decidere una nuova legislativa alla luce della manifestazione di una nuova condizione.

PRESIDENTE. Forse non sono stato chiaro. Quando avete presentato il documento, non ho chiesto o, perlomeno, non ho deciso una sospensione per verificare la regolarità o l'autenticità delle firme o l'efficacia del documento. Per me è un documento assolutamente autentico, con il valore giuridico che gli attribuisce il regolamento della Camera. Il mio problema era quello di stabilire quale effetto determinante potesse avere tutto ciò. L'onorevole Cè mi addebita di non avere letto completamente o compiutamente il quarto comma dell'articolo 92 del regolamento. Può anche essere una mia omissione - difatti ho chiesto una sospensione di dieci minuti e non di un'ora -, ma il problema è che non ho controllato l'autenticità delle firme ma abbiamo studiato il problema e, nel frattempo, sono pervenute queste firme.

ALFREDO BIONDI. Sono arrivate delle altre firme di revoca.


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PRESIDENTE. Tutto ciò ha posto un altro problema che ha comportato una ricerca di precedenti e ne abbiamo trovato uno specifico avvenuto nella seduta del 28 febbraio del 1998, in cui si è verificata esattamente la medesima situazione. Il presidente ha sospeso la seduta ed ha interpellato il Presidente della Camera e, nel frattempo, anche quella volta sono arrivate delle revoche. La sospensione è durata addirittura due giorni, dopodiché si è preso atto della revoca delle firme e si è proseguito oltre.
Sul fatto che gli interessati o il gruppo interessato che ha presentato le revoche - il collega Cè sa che era presente il responsabile del gruppo -, si sia determinato in questo modo non posso farci nulla ma prendo atto di una situazione che è consolidata.
A questo punto, la mia determinazione rimane e sono serenamente convinto di aver agito nel modo migliore.

FEDERICO BRICOLO. Presidente, intervengo sull'ordine dei lavori perché vorrei chiarire una questione da lei sollevata. Quando è entrato in aula ha dichiarato che si trattava di una situazione anomala, che non si era mai verificata e che non c'erano precedenti.

PRESIDENTE. Ho detto chiaramente che, al momento in cui si è presentata questa situazione, non avevamo precedenti in questa Commissione. Il precedente da me citato di cinque anni fa appartiene ad un'altra Commissione e comprenderà che non potevo averlo presente nel momento in cui ho deciso che bisognava verificare la situazione.

FEDERICO BRICOLO. Adesso lei mi dice che si è riunito per capire cosa doveva fare. Chiaramente, non c'era niente da capire su quanto si doveva fare, perché le firme rappresentavano l'immediata volontà dei parlamentari sottoscrittori che il provvedimento tornasse in Assemblea. Io non capisco, presidente, cosa dovesse verificare rispetto ad una volontà esplicita e a firme che lei stesso ha detto che non ha mai dubitato fossero state raccolte.
Mi chiedo invece se, dal momento che è stata fatta una verifica, si sia verificato che i parlamentari che hanno manifestato la volontà di ritirare la loro firma fossero effettivamente a Roma.
Presidente, dobbiamo parlarci chiaramente. È chiaro che, in questa ora e mezza, lei si è confrontato con il Presidente della Camera, il quale ritengo sia colui che tira le fila di questa vicenda. Penso che, anche agli occhi dell'opinione pubblica, si stia verificando un caso unico di delegittimazione dell'attività parlamentare in Commissione. Siamo di fronte ad una volontà precisa di singoli parlamentari, che hanno la facoltà di sottoscrivere qualsiasi documento ritengano opportuno. Gli uffici, invece, hanno deciso diversamente, ritenendo che si dovessero sospendere i lavori per capire il da farsi, mentre ciò era chiaro: si doveva prendere atto che le firme erano legittime e rinviare immediatamente il provvedimento in Assemblea. In due giorni ciò può essere credibile, ma in un'ora e mezza no, presidente.
Dobbiamo spiegare tutto questo all'opinione pubblica e ciascuno si deve assumere le proprie responsabilità. I parlamentari se le sono assunte quando hanno firmato e noi quando abbiamo consegnato le firme. Si è voluto invece chiaramente andare contro uno strumento parlamentare. Il regolamento parla chiaro e stabilisce che al momento della presentazione delle firme, si deve prendere atto della revoca dell'assegnazione in sede legislativa e rinviare il provvedimento in Assemblea.
Ritengo che questa sia un'ingerenza senza precedenti, viste tutte le incongruenze che ci sono state. C'è stata una forzatura enorme, che deve essere sanata. Dunque, le chiedo di rivedere la sua decisione, presidente.
L'atto si è compiuto con la presentazione delle firme, tant'è vero che lei ha sospeso la seduta per verificare la legittimità delle firme, e non per vedere se c'era la volontà di revocarle. Si doveva verificare solo se le firme erano autentiche: e lo sono. Dunque, di fatto il provvedimento deve tornare in Assemblea e si deve sospendere l'esame in sede legislativa.


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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per un richiamo al regolamento l'onorevole Biondi. Ne ha facoltà.

ALFREDO BIONDI. Signor presidente, lei dimostra un grande senso della democrazia e della dialettica procedimentale e io sono ben contento di avere conferma delle sue doti, che conosco in altri campi, per molti motivi e per antica frequentazione.
Devo dire, presidente, che lei ha fatto ciò che si doveva fare. È arrivato un documento nel corso di una seduta e lei non ha fatto altro che interrogare se stesso su ciò che era utile fare di fronte a questa novità.

PRESIDENTE. Diciamo che mi sono ritirato in camera di consiglio!

ALFREDO BIONDI. Se ci si chiede chi ha firmato e quando, anche noi ci chiediamo a che titolo quelli che hanno firmato abbiano espresso questa volontà e perché chi era titolare di tale volontà non l'abbia fatta valere all'inizio della seduta. Se ciò è stato fatto quando lo si è ritenuto più opportuno per motivi tattici o strategici, mi permetto di affermare che lei ha adottato un provvedimento in tutta coscienza.
Non sta scritto da nessuna parte che il presidente, prima di decidere di sospendere la seduta, debba sapere esattamente per quanto tempo. Se sono occorsi più di dieci minuti, vuol dire che ciò era necessario. Tanto è vero che, ora, è arrivato un documento che il presidente non conosceva - e tanto meno io, che non so nulla di nulla -, secondo il quale altre Commissioni si erano già espresse in analoghe circostanze nello stesso modo. Tutte le ordinanze, si sa, sono revocabili; lei, però, ha preso un'altra mezz'ora di tempo e ha motivato questa decisione.
In base al regolamento, la invito a dare corso ai lavori, perché rispetto tutte le strategie e le tattiche, ma quando si invoca il regolamento bisogna tenere conto che il presidente ha la responsabilità istituzionale di fare la sintesi di ciò che il regolamento e la sua coscienza gli dettano. Questa è la regola. In questo momento noi stiamo lavorando in una Commissione, ma è come se lei, presidente, rappresentasse la Camera, come indegnamente tento a volte di fare io.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Biondi.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Taormina. Ne ha facoltà.

CARLO TAORMINA. Prima ho cercato di interloquire per capire chi avesse adottato il provvedimento. Quanto è stato detto poc'anzi da un collega della Lega (ossia che, in conseguenza della presentazione della richiesta di rimessione in Assemblea, corredata dalle 63 firme, occorresse un provvedimento che non poteva che essere quello della rimessione in Assemblea) non è vero.
Il quarto comma dell'articolo 92 del regolamento stabilisce che un progetto di legge è rimesso all'Assemblea se lo richiedono un decimo dei deputati o un quinto della Commissione. Sulla richiesta di rimessione in Assemblea decide il Presidente della Camera, ma il Presidente della Camera - a quanto ci risulta - non ha assunto alcun provvedimento. Questo significa che la rimessione in Assemblea non è avvenuta ad opera dell'unico organo che è legittimato a decidere in tal senso. Pertanto, dobbiamo solamente andare avanti nei lavori, perché non c'è alcun provvedimento che li blocchi.

PRESIDENTE. Voglio soltanto precisare che così come non ho compiuto alcun controllo sull'autenticità delle firme apposte sulla richiesta di rimessione, perché non era mio compito, non l'ho compiuto neppure sulle firme volte a revocare tale richiesta. Questo documento mi è pervenuto da un gruppo parlamentare e non ho motivo di dubitare della sua autenticità.
Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Cè. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO CÈ. Vorrei rispondere all'onorevole Taormina.


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È chiaro che ci sono due schieramenti ben diversi, però bisogna stare attenti a non calpestare le regole perché una volta calpestate, possono danneggiare tutti. Oggi può andare bene a lei, onorevole Taormina, stravolgere il regolamento, ma un domani potrebbe pentirsene amaramente.
Durante la sospensione ho avuto modo di parlare con il Presidente Casini. Lei, presidente, ha testè affermato che non ha effettuato alcuna verifica sulle firme, ma il Presidente Casini, per telefono, mi ha riferito che bisognava fare una verifica su di esse. Allora, non riesco più a capire quale gioco si stia facendo, presidente. Il Presidente della Camera afferma che la sospensione serviva per verificare le firme, mentre lei dice che non ha fatto nulla di questo; però, ha sospeso la seduta per più di un'ora.
A questo punto, non si capisce quale sia il senso della sospensione da lei decisa, se non quello di persuadere, magari insieme a qualcun altro, alcuni deputati a cambiare idea. Un'altra stravaganza è data dal fatto che, pur essendo lungi dal pensare che ci siano delle firme non rispondenti ai firmatari, nessuno di questi deputati era a Roma, e credo che alcuni siano già a casa loro. Avremo interesse, più avanti, a verificare questa situazione. Non vi sono dei fax inviati a lei, presidente, ma delle comunicazioni firmate - non so se in originale, ma non credo - in data 1o agosto 2003. Credo sia molto improbabile che, nell'arco di un'ora, siano arrivate dodici comunicazioni firmate, e tutte sullo stesso modello.
Non credo che tutti abbiano lo stesso modo di scrivere, usino lo stesso stampato, eccetera. Sarebbero dovuti arrivare tramite fax, credo, se fossero arrivati a lei direttamente. Invece, sono arrivati come dice giustamente Gibelli, con il «piccione viaggiatore» che, probabilmente, è partito dalle case di ogni deputato ed è arrivato a Roma, con dei moduli tutti uguali.
Stiamo cadendo nel ridicolo! Lo dico chiaramente, signor presidente: la democrazia ha regole certe e serie e né lei né il Presidente Casini le avete rispettate.

FEDERICO BRICOLO. Signor presidente, continuiamo la nostra discussione sul complesso degli emendamenti, ma è giusto anche ribadire - lo diciamo con estrema amarezza - che qui, in qualche modo, si sta delegittimando proprio l'attività parlamentare, le sue regole ed anche le istituzioni che noi, in questa sede, dobbiamo rappresentare.
Mi limito ad entrare nel merito del provvedimento. Non è ostruzionismo; i nostri interventi sono volti a cercare, come abbiamo fatto finora, di far ravvedere i colleghi presenti in quest'aula e di bloccare questo provvedimento che, ne siamo convinti, si ripercuoterà in modo drammatico, anche con effetti sociali negativi, nei confronti dei nostri cittadini.
Con esso si scarcerano, lo sappiamo tutti, migliaia di persone. Siamo consapevoli che all'interno delle carceri vi sono problemi, ciò è innegabile. Come movimento, abbiamo anche presentato soluzioni adeguate per risolverlo. Lungi da noi pensare che uno Stato si possa arrendere a tali problemi di inefficacia amministrativa, scarcerando chi, in questo momento, giustamente è in carcere, poiché ha commesso un reato, è stato giudicato e sta espiando la pena che gli è stata comminata.
Invece interveniamo in questo modo per motivi politici sicuramente demagogici: lo dimostra il fatto che oggi, su un provvedimento così importante, ci troviamo in poche persone a discuterne, dopo che, inizialmente, si era voluta dare una notevole importanza alla discussione di tale provvedimento, tant'è che nei passaggi alla Camera il tempo di esame non è mai stato contingentato.
Ciò a dimostrazione che si era scelto di far intervenire tutti i gruppi, per approfondire tutti gli aspetti negativi o, comunque, pericolosi che nel provvedimento potevano celarsi.
Ora, invece, ci troviamo con la «mannaia» delle vacanze estive dei parlamentari, che sulla stampa sono in prima fila in difesa di tale proposta di legge sull'indultino


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e che, adesso, si trovano già al mare, magari privi di fax, incapaci anche di rimandare le firme di ritorno.
I gruppi non avevano la capacità tecnica di costringere i loro parlamentari, decisi nel difendere la legge, di trattenerli qui a Roma ed hanno dovuto per forza inventarsi questo escamotage, operando questa forzatura e ci hanno portato ad essere nell'aula della Commissione giustizia della Camera, il 1o agosto, in venti persone a dover dare via libera ad una legge che, quantomeno, è contrastata, nell'opinione pubblica.
Tutti i sondaggi che sono stati pubblicati dai giornali indicano che la stragrande maggioranza dei cittadini italiani è contro tale provvedimento perché - l'ho detto anche oggi, in aula - purtroppo le statistiche dicono che il 60 per cento delle persone che entra in carcere, vi ritorna.

ALFREDO BIONDI. È la presunzione di colpevolezza, più che d'innocenza, questa!

FEDERICO BRICOLO. Vi rientra perché commette un reato. Non sempre, come insegna l'avvocato Biondi, si riesce ad arrestarli la prima volta che commettono un reato. Se ne possono commettere 10, 20 o 30.
Con questo provvedimento, lo dice la statistica, permetteremmo che migliaia di reati si compiano nel nostro paese: quanti spacciatori vi saranno che, fuori dalle scuole, daranno la droga ai nostri giovani? Quanti anziani, quante famiglie, che, con anni di lavoro, sono riusciti a comprarsi qualcosa e se lo tengono stretto in casa, si vedranno rubati i beni da chi entrerà nelle loro case dalla finestra? Quante signore saranno scippate? Quante rapine saranno compiute? La responsabilità di ciò ricadrà su chi decide di scarcerare queste persone perché, all'interno delle carceri, stanno scomode.
Penso che ciò sia una forzatura inaudita. Il popolo non vuole questo provvedimento. Pochi parlamentari, riuniti il 1o agosto in quest'aula, decidono invece di vararlo.
È vero che vi è stata, in merito, una lunga discussione, ma essa non è riuscita a convincere l'opinione pubblica. Vi sono stati anche appelli importanti, tra cui quello del Santo Padre, il quale chiedeva l'approvazione del provvedimento. Tali appelli sono stati invocati da tutti, in aula: da Rifondazione comunista, dai Democratici di sinistra, dai Verdi, eccetera. Con un'incoerenza inaudita, ieri, dopo la notizia che è stato approvato in Vaticano il documento che contrasta, giustamente, la possibilità di riconoscere le coppie di fatto, soprattutto quelle gay, di nuovo questa sinistra demagogica, è scesa in piazza ed ha attaccato il Vaticano e la volontà del Santo Padre, che chiede regole certe per dare sicurezza alle nostre famiglie ed ai nostri giovani. La sinistra ha la faccia tosta - forse è un termine riduttivo - e l'assoluta incapacità di difendere certi provvedimenti ed allo stesso tempo riesce ad attaccare il Santo Padre, che aveva incensato fino a poco prima perché dichiaratosi favorevole all'indultino.
Vi sono stati anche parlamentari del centrosinistra che, addirittura, hanno fatto capire che, se tale provvedimento non fosse passato in quest'aula, le carceri sarebbero esplose. Proteste, più o meno organizzate, sarebbero scoppiate in tutte le carceri del nostro paese. Ciò a dimostrazione, forse, che il Parlamento è sotto ricatto da parte di poche persone che nelle carceri stanno scomode e vogliono uscire. Noi pensiamo che la certezza della pena sia l'unico dogma che riesce a risolvere il problema della criminalità: io Stato, se ti prendo, ti arresto e ti metto in galera e sconti, fino all'ultimo giorno, la pena che ti è inflitta dal giudice.
È l'unico deterrente nei confronti di quelle persone che vogliono entrare nel mondo della criminalità. Sappiamo che molti vi entrano anche perché sanno che provvedimenti come questo o, comunque, una legislazione come la nostra, permette loro di non scontare effettivamente la pena inflitta in tribunale, e di passare poco tempo in carcere.
Abbiamo voluto sottolineare questo aspetto nel programma elettorale firmato


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anche dai colleghi della Casa delle libertà, i quali ben si sono guardati dal rinnegare il programma stesso in campagna elettorale, perché sapevano che sul territorio era forte la voglia di sicurezza, di vedere, finalmente, uno Stato in grado di tenere un atteggiamento duro, giusto, maturo nei confronti della criminalità e di chi commette reati.
Pensiamo che sia giusto tutelare la nostra gente, le persone che ci domandano sicurezza. In questo modo, invece, facciamo l'opposto: scarceriamo le persone, permettendo loro di commettere nuovi reati, perché stanno scomode in carcere.
È emersa, nel corso dell'iter di questo provvedimento, l'ennesima incongruenza della sinistra, che, quando abbiamo proposto in aula l'accordo bilaterale con l'Albania, che permetteva al nostro paese di far scontare la pena direttamente nello Stato di provenienza, facendo uscire dalle carceri italiane un notevole numero di delinquenti, si è opposta.
Ciò sarebbe servito anche a migliorare, in qualche modo, la qualità della vita nelle carceri perché, comunque, il sovraffollamento sarebbe stato ridotto; ebbene, la sinistra, di fronte a tale provvedimento, invece, ha deciso di votare contro la sua approvazione. Quindi, si capisce chiaramente che non è nella volontà della sinistra far sì che, comunque, nelle carceri migliori la qualità della vita; evidentemente, la sinistra cerca di fare un'opposizione solo distruttiva e ha puntato molto anche sul provvedimento in discussione, essendo riuscita a trovare una maggioranza trasversale. Una maggioranza che, in qualche modo, rompe anche gli equilibri all'interno della Casa delle libertà in quanto la Lega è contraria mentre Alleanza nazionale, oggi, di fatto, invece, ha dimostrato che è assolutamente favorevole. Infatti, con il ritiro delle firme raccolte per la rimessione del provvedimento all'esame dell'Assemblea, evidentemente, ha deciso di concorrere all'approvazione del provvedimento. Provvedimento che ora stiamo discutendo e che, fra poche ore, sarà approvato.
Alleanza nazionale ha ritirato le firme e, quindi, ha concorso in modo determinante alla sua approvazione. Ma, comunque, il rappresentante di Alleanza nazionale, in quest'aula, sosterrà che loro sono contrari; non so come e fino a quando, sul territorio, riusciranno - attraverso giornali, media e opinione pubblica - a «vendere» la loro azione parlamentare. Credo che ne usciranno abbastanza male; ma, comunque, è un problema di coerenza che si pone per loro, non certo per noi.
Noi siamo coerenti: in campagna elettorale, senza fare discorsi aleatori, abbiamo promesso che avremmo fatto rispettare il programma elettorale. Adesso, purtroppo, siamo impegnati nel cercare di farlo rispettare perché, evidentemente, qualcuno non lo ha più a cuore o ha cambiato idea o ha deciso di cambiare atteggiamento e via dicendo.
La sinistra viene in soccorso per approvare il provvedimento e si creano tali problemi; problemi ancor più amplificati dalla scelta, dalla volontà di arrivare comunque alla sede legislativa senza aderire ad una raccolta di firme che avrebbe permesso il ritorno in Assemblea. Quel ritorno in Assemblea che, giustamente doveroso, avrebbe permesso a tutti i parlamentari, atteso che una larga maggioranza di deputati era favorevole, di poter dare il proprio contributo all'approvazione della legge. Se uno è convinto che si tratti di una buona legge, viene in Assemblea, la difende e rende la sua dichiarazione di voto, appoggiandola direttamente. Invece, in questo modo, è emersa chiaramente la volontà demagogica della sinistra - e, anche, di parte del centrodestra - di strumentalizzare questo provvedimento semplicemente perché, per loro fini politici, era opportuno venisse approvato prima della pausa estiva. La pausa estiva sta arrivando e questi carcerati usciranno dalle galere; penso che un po' tutti, in quest'aula, dovremmo soffermarci di più su quanto succederà dopo che questi carcerati saranno usciti.
Fino ad adesso, solo noi abbiamo evidenziato tale pericolo; nessuno si mette dalla parte dei cittadini: quei lavoratori,


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quei pensionati, quei giovani che saranno in balia di queste persone. Non è stato fatto nulla per riuscire, in qualche modo, a gestire il problema del post scarcerazione e anche ciò, chiaramente, rende vano ogni tentativo di giustificare l'approvazione del provvedimento. Noi, come Lega, avevamo proposto anche una legge interessante per consentire a chi è carcerato di potere lavorare; persone responsabili di reati minori avrebbero potuto espiare la loro pena mettendosi al servizio dei cittadini. L'unica misura che adottiamo è, invece, quella che li lascia liberi di fare il bello e il cattivo tempo, secondo la loro coscienza.
Come sappiamo, la coscienza di chi ha vissuto il carcere evidentemente non coincide con il rispetto delle leggi; purtroppo, lo sperimenteremo leggendo i giornali e penso che un po' tutti si dovranno sentire responsabili di quanto accadrà.
Siamo nella sede della Commissione giustizia e, quindi, nell'aula che dovrebbe ospitare le persone che più di tutte, in questo ramo del Parlamento, si occupano del settore giustizia, dei problemi del diritto e via dicendo. Perciò, al di là delle critiche a mio avviso doverose - che era opportuno fare -, è giusto anche inquadrare a livello costituzionale le problematiche. Problematiche che dovrebbero far insorgere qualsiasi costituzionalista circa l'approvazione del provvedimento che è in palese contrasto con la Costituzione. Un indultino che, alla fine, produrrà gli stessi effetti di un vero e proprio indulto; anche in tal caso, vediamo una grande forzatura fatta sin dall'inizio. Infatti, il quorum dei due terzi - la maggioranza qualificata che doveva ottenersi per l'approvazione dell'indulto - è stato aggirato con questo provvedimento che è legge ordinaria, approvata a maggioranza semplice. Dunque, di fatto, andiamo contro la volontà ed i paletti che la Costituzione pone per un provvedimento del genere. È una posizione che hanno deciso di prendere, anche in tal caso in modo autonomo, tutti i gruppi che votano a favore di questo provvedimento. Gruppi che sono i più forti difensori della Costituzione e dell'unità nazionale e di tantissimi altri principi contenuti nella nostra Carta; però, quando essa contrasta con i loro fini politici, evidentemente, si disinteressano, non la difendono e, anzi, compiono dei veri attentati alla Costituzione.
È chiaro che se la Costituzione prevede una maggioranza qualificata per l'indulto e noi variamo una legge ordinaria che di fatto è un indulto, delegittimiamo il Parlamento che ha compiuto questa modifica tacita della Carta e soprattutto la stessa Carta cui tutti, ripeto, fanno spesso riferimento; evidentemente, solo quando è loro comodo. Mi viene in mente l'applicazione del regolamento della Camera dei deputati: molti colleghi, in aula, intervengono spesso, richiamandosi al regolamento, soprattutto al rispetto, per così dire, ortodosso del regolamento. Regolamento che, spesso, anch'esso, evidentemente sussistendone la volontà politica, attraverso l'uso dei precedenti viene modificato. Ebbene, in questo caso, credo che la forzatura sia stata all'ennesima potenza, atteso che un decimo dei parlamentari di questo ramo del Parlamento hanno firmato per far sì che questo provvedimento venisse discusso in Assemblea, attesa la sua importanza, la sua delicatezza e anche la voglia di approfondirlo. Con un escamotage - che sicuramente darà ai giornalisti ed ai giornali motivo di scrivere e di commentare - si delegittimerà ancora una volta il Parlamento. Forse è anche giusto sia così, considerato che con la demagogia non si va da nessuna parte; forse, i cittadini italiani capiranno che in questo Parlamento vi sono persone che parlano in un certo modo e si comportano in modo opposto. Anche tale circostanza costituirà un momento di riflessione per l'opinione pubblica; spero, anzi, che ciò si verifichi perché, evidentemente, i cittadini italiani che votano con fiducia i propri parlamentari si aspettano che gli stessi poi rispettino le promesse che hanno fatto in campagna elettorale.
Questo provvedimento va contro, almeno per quanto riguarda i parlamentari della Casa delle libertà, quanto era stato


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sottoscritto col programma. I cittadini si aspettano un rispetto della Costituzione e, comunque, delle istituzioni; poi, invece, vedono che, per fini politici, quando si può, ben volentieri si delegittimano le istituzioni e si va addirittura contro la Carta costituzionale. Ben venga tutto ciò perché forse è opportuno che nel paese la gente capisca esattamente quanto prevalgano i fini politici. (Commenti del deputato Mario Pepe). Pepe, posso parlare, è inutile che fai così col telefono; puoi anche andarti a mangiare un po' di spaghetti all'amatriciana e poi tornare: non c'è problema: io parlo fino alla fine del mio tempo. Se fai così, mi dai solo fastidio. Capito, Pepe? Mi dai solo fastidio.

PRESIDENTE. Onorevole Mario Pepe, il collega non ha ancora esaurito il tempo a disposizione per il suo intervento, che scadrà tra circa due minuti.

FEDERICO BRICOLO. Presidente, vedermi uno «mezzo svaccato» così sulla sedia, che sembra sul divano di casa, già questo mi dà fastidio. Poi, mi fa anche i gestacci il collega Pepe.
Perdo il filo del discorso, signor presidente. Ricomincio da capo (Commenti); torno all'articolo 79 della Costituzione. Si era sostenuto che, prima di approvare il provvedimento, sarebbe stato preferibile modificare nuovamente la Costituzione, atteso che, ormai da tempo immemorabile, viene inserito, nella programmazione dei lavori della Camera, il progetto di modifica dell'articolo 79 della Carta. Progetto il cui esame continuiamo a rimandare ma che viene sempre calendarizzato; al riguardo, penso alla proposta di legge presentata dall'onorevole Boato; ma anche in tal caso, chiaramente, non si è voluto andare in questa direzione, che era la più legittima. Non si è voluto, cioè, tornare alla legislazione precedente, modificando nuovamente la Costituzione e permettendo, dunque, l'approvazione di forme di indulto senza raggiungere una maggioranza qualificata nella votazione del provvedimento. Non lo si è fatto semplicemente perché all'interno dell'Assemblea non vi era la volontà di modificare l'articolo 79 della Costituzione; di nuovo, ci scontriamo con un atteggiamento ipocrita.
Manca la volontà di modificare la Costituzione e, dunque, di codificare nuovamente le procedure per l'approvazione dell'indulto. Ciò, perché in Parlamento, evidentemente, non vi sono i numeri; o, comunque, alcuni partiti non possono rendere troppo palese il loro passo indietro sul provvedimento e non vogliono manifestare la loro incongruenza.
Dunque, non si arriva all'approvazione di questo provvedimento che sarebbe l'unico legittimato a produrre certi effetti e, invece, si è voluto continuare con una legge che palesemente contrasta con la Costituzione.

PRESIDENTE. Sono esauriti gli interventi previsti. Tuttavia, darò ora la parola per un intervento a titolo personale, visto che usiamo i criteri dell'aula in quanto siamo in sede legislativa, all'onorevole Guido Giuseppe Rossi per un minuto.

GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor presidente, sono cinque i minuti a mia disposizione.

FEDERICO BRICOLO. Presidente, può parlare sul complesso degli emendamenti.

GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Volevo sottolineare un aspetto di questa vicenda che è prettamente politico, oltre che regolamentare. In precedenza, abbiamo discusso in maniera molto approfondita e lasciando ancora alcune zone d'ombra e anche di dubbio sull'interpretazione della norma sulle firme e sul relativo ritiro dei «12 apostoli» che hanno cambiato in corso d'opera la loro volontà. C'è una questione politica chiara e l'abbiamo sottolineata anche in aula quando si è votato il passaggio in sede legislativa. Il vicepresidente del gruppo di Alleanza nazionale, l'onorevole Cristaldi, in quel momento ha espresso una volontà politica molto chiara, che tra l'altro è anche sottolineata dal fatto che tra i colleghi di Alleanza nazionale sonno state ritirate solamente 12


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firme. C'è un numero di deputati sufficiente ad impedire che ci sia di nuovo il passaggio in aula e che la Commissione giustizia sia spogliata della sua funzione legislativa. È evidente che c'è stata una presa di posizione politica del gruppo e dei deputati di Alleanza nazionale chiarissima, netta, espressa alla luce del sole e a cui va la nostra solidarietà politica. Noi siamo vicini ai parlamentari di Alleanza nazionale che hanno firmato, in assoluta buona fede politica, convintamente, la richiesta di impedire il passaggio in sede legislativa e che si sono ritrovati spogliati di questo diritto. In questo senso, si è parlato della centralità del Parlamento, della sovranità del singolo deputato, del deputato che è senza vincolo di mandato, del voto di coscienza del deputato. Ebbene, in questo caso, sicuramente, non è stata fatta un'opera di giustizia nei confronti dei principi che sono stati enunciati prima.
Dunque, il dato politico è questo. In aula due gruppi parlamentari, per un totale di oltre 130 deputati, avevano espresso la loro contrarietà. In Commissione - di nuovo - si è data un'interpretazione del regolamento che, lo capisco, lascia zone d'ombra: i precedenti sono pochi e quello da lei citato, tra l'altro, ci lascia un po' perplessi, perché per due giorni è stata lasciata aperta una finestra sul ritiro eventuale delle firme. Allora, possiamo dire che in quei due giorni qualcuno poteva anche aggiungere la firma, il che avrebbe dato anche dei risultati abbastanza paradossali. Paradossalmente, anche nell'ora che è stata concessa alla presidenza della Commissione, se si fosse saputo che ben 12 parlamentari ritiravano la loro firma - e che dunque facevano mancare il numero minimo per chiedere rimessione in Assemblea del provvedimento, i proponenti avrebbero potuto darsi da fare per trovare 12 degni sostituti che avessero appoggiato questa richiesta.
Tuttavia, al di là delle questioni regolamentari, di cui abbiamo già parlato prima, il tema politico è assolutamente valido e vede, sostanzialmente, due gruppi politici, due partiti, due movimenti, che tra l'altro fanno parte anche della maggioranza, schierati contro questo provvedimento, ovviamente, con modalità differenti: schierato nella propria totalità, dalla base ai vertici, la Lega Nord; con alcuni scollegamenti tra la base e i vertici, Alleanza nazionale. Questo è il dato politico.
A mio avviso, con questa operazione oggi non stiamo facendo giustizia della centralità del Parlamento. Ripeto, le questioni che ci hanno visti chiaramente oppositori di questo provvedimento e che abbiamo espresso con molta forza sono di merito, di costituzionalità e di opportunità. Infatti, come qualche collega faceva notare precedentemente, questo è un provvedimento una tantum. Quindi, se la logica è quella di svuotare gli istituti di pena italiani, dovrà essere giocoforza ripresentato tra qualche mese, perché sicuramente tra 6 mesi o tra un anno rispetto al problema denunciato del sovraffollamento delle carceri, della cui reale consistenza si è discusso molto, la situazione sarà assolutamente la stessa; se sarà così, si dovranno riproporre provvedimenti simili.
Quello che inviamo alla popolazione, ai cittadini e alla comunità nazionale è un messaggio che non riteniamo positivo, che parla ancora una volta di una resa dello Stato, che sicuramente non sarà recepito con favore da coloro i quali si trovano tutti i giorni alle prese con la delinquenza e con la possibilità di essere oggetto di violenza per quanto riguarda i beni e la persona. Dunque, ripetiamo la nostra contrarietà assoluta a questo provvedimento. L'abbiamo manifestata in maniera molto chiara in tutte le sedi e lo abbiamo fatto appellandoci, anzitutto alla visibilità e alla centralità del Parlamento e, in secondo luogo, soprattutto, a una certa correttezza, anche di interpretazione del regolamento, che a mio avviso, oggi, è probabilmente mancata per la situazione che si è venuta a creare, e non tanto per la volontà dei soggetti che erano stati protagonisti di questa vicenda. Si tratta di una «navetta» parlamentare agitata e convulsa, che ha visto il Senato - dopo un accordo, a mio avviso, abbastanza raffazzonato - legiferare in maniera molto veloce e trasmettere


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in maniera altrettanto veloce il provvedimento alla Camera dei deputati. Dunque, probabilmente, non si è fatto un buon servizio a quella che viene definita la democrazia parlamentare, ossia quell'insieme di regole e di norme che consentono ai gruppi parlamentari e alle forze politiche di confrontarsi sui provvedimenti, sui temi, sugli argomenti politici e sulle questioni importanti come questa dell'indultino in assoluta serenità. Mi consenta queste considerazioni, presidente: ci rivolgiamo a lei in questo momento come rappresentante delle istituzioni.
Noi non pensiamo che la democrazia parlamentare non sia stata rispettata; riteniamo che abbia subito strattonamenti e stravolgimenti che non consentono serenità assoluta in merito al provvedimento in esame. Abbiamo contestato con forza le pressioni esterne esercitate sul Parlamento rispetto a tale tema; di volta in volta, sono state utilizzate le parole del Santo Padre o quanto meno la sua visione del mondo e della società. Abbiamo però riscontrato che la visione del mondo del Pontefice è stata presa a la carte. Talvolta viene citata; in altri casi, come ha affermato il collega Bricolo, con riferimento alle questioni della vita familiare o alla moralità della società, altre forze politiche non sono così pronte a seguire le indicazioni del Pontefice.
Queste pressioni esterne, talvolta, come si è riscontrato in alcuni passaggi in Commissione, si sono presentate sotto forma di minaccia di attribuzione di responsabilità per quello che sarebbe accaduto nelle carceri se non fosse stato approvato un provvedimento come l'indulto, l'indultino o provvedimenti simili. Purtroppo, sono echeggiate parole in tal senso (ne sono stato testimone perché ero presente in Commissione); abbiamo sempre detto che queste pressioni sono assolutamente indebite nei confronti dei gruppi parlamentari e, soprattutto, dei singoli deputati che devono poter legiferare, ovviamente ascoltando le istanze dei cittadini, dei corpi sociali e delle varie categorie, senza però essere messi sotto pressione rispetto alle situazioni prima ricordate.
Per tale motivo il gruppo della Lega nord vuole che rimanga agli atti (che verranno consultati nei prossimi anni) che il nostro movimento è assolutamente contrario ad un provvedimento di questo tipo.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Rossi. Credo che si possa dichiarare chiusa la discussione sulle linee generali del provvedimento in esame.

CAROLINA LUSSANA. Presidente...!

PRESIDENTE. L'onorevole Lussana ha chiesto adesso di intervenire. Prego, onorevole Lussana.

CAROLINA LUSSANA. Signor presidente, come capogruppo in questa Commissione vorrei che rimanesse agli atti il mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Lussana, lei ha sottoscritto tutti gli emendamenti presentati al provvedimento in esame e, pertanto, il suo intervento sul complesso degli emendamenti le impedirà di intervenire sulle singole proposte emendative. Non voglio con questo impedirle di intervenire, ma solo essere chiaro al riguardo.

CAROLINA LUSSANA. Signor presidente, in tal caso interverrò sui singoli emendamenti.

ANDREA GIBELLI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREA GIBELLI. Signor presidente, poiché si sta avvicinando il momento della votazione sugli emendamenti presentati, vorrei capire come si procederà nella votazione dei medesimi e sapere se c'è una sua proposta in merito.

PRESIDENTE. Allo stato delle cose, non credo vi siano particolarità tali da indurmi a non applicare le regole ordinarie per quanto riguarda l'esame degli emendamenti.


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ANDREA GIBELLI. Se ho capito bene, ogni emendamento verrà votato singolarmente.

PRESIDENTE. Allo stato delle cose, vorrei anticiparvi che forse si porrà un problema: sono stati presentati una serie di emendamenti che presentano un carattere omogeneo sul piano dell'economia del lavoro parlamentare. Se tale problema si porrà, esamineremo la possibilità prospettata...

ANDREA GIBELLI. La può esplicitare?

PRESIDENTE... di una votazione sui principi. Chiederò comunque il parere al relatore e al Governo, per poi procedere con l'esame degli emendamenti; successivamente, vedremo come si svolgeranno i lavori della Commissione. Mi pare che questa risposta possa essere esauriente.

ALESSANDRO CÈ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Sullo stesso tema?

ALESSANDRO CÈ. Sì, signor presidente, anche se lei è stato «parzialmente esauriente» (non si dovrebbe usare questa espressione). La sua risposta è stata in parte soddisfacente.
Lei capisce che la domanda era diretta anche a orientare l'atteggiamento del nostro gruppo in Commissione. Pertanto, l'abbiamo posta in questo momento proprio per sapere come lei intenderà procedere; anche in rapporto a ciò manifesteremo la nostra opinione in un modo (continuando ad intervenire sul complesso degli emendamenti) o in un altro.
Poiché lei dovrà esprimersi al riguardo al massimo fra 20 minuti, riteniamo opportuno che lei chiarisca subito come intende procedere nella votazione; ci è giunta voce che l'intenzione potrebbe essere quella di procedere ad una votazione per principi o in un altro modo, senza consentirci di esprimere la nostra opinione sui singoli emendamenti che, tra l'altro, glielo anticipo, a nostro parere non sono accorpabili perché riguardano ipotesi completamente diverse l'una dall'altra.
L'ipotesi di accorpamento non può derivare dal fatto che si tratta di emendamenti aggiuntivi o altro, perché riguardano - lo ripeto - fattispecie diverse l'una dall'altra.

FRANCESCO BONITO. Chiedo di parlare sull'ordine lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BONITO. Anche se può essere assunta d'ufficio la decisione di procedere a votazione per principi, attese le circostanze e la natura del confronto politico, mi pare evidente presumere che la presidenza si orienterà in questa direzione soltanto se lo richiederà un deputato o un gruppo della Commissione. Personalmente, potrei avanzare una richiesta di questo genere una volta valutato l'atteggiamento politico del gruppo della Lega che, in questo momento, sta svolgendo il suo ruolo parlamentare attraverso lo strumento dell'ostruzionismo.
Se vi sarà una forma di ostruzionismo esasperata, è chiaro che, personalmente, avanzerò tale richiesta. Viceversa, se il confronto in Commissione avverrà secondo regole di maggiore ordinarietà, mi asterrò dall'avanzare tale richiesta. In assenza di ciò ovvero di una decisione presidenziale in questa direzione, non vedo per quale ragione si debba in questo momento anticipare una discussione sul punto.

PRESIDENTE. Mi pare di essere stato chiaro al riguardo. Condivido le osservazioni del collega Bonito. Avevo preannunciato che, allo stato delle cose, i lavori proseguiranno secondo i criteri normali. Il problema (che è stato posto probabilmente nelle discussioni informali, naturali in una situazione come questa), potrà anche porsi e se si porrà lo affronteremo e lo risolveremo quando vi saranno le condizioni per farlo. Non intendo porlo d'ufficio adesso.


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Quindi, allo stato, ritengo che si debba procedere nei lavori acquisendo il parere del relatore e, successivamente, quello del Governo sugli emendamenti.
Chiedo dunque al relatore di esprimere il parere, ricordando che gli emendamenti saranno posti in votazione in linea di principio.

ENRICO BUEMI, Relatore. Signor presidente, il parere è contrario su tutti gli emendamenti riferiti all'articolo 1.

PRESIDENTE. Il Governo?

GIUSEPPE VALENTINO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Il Governo si rimette alla Commissione.

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'emendamento Lussana 1.26. Ricordo che può intervenire un deputato per ciascun gruppo per cinque minuti su ciascun emendamento.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Lussana. Ne ha facoltà.

CAROLINA LUSSANA. Signor presidente, onorevoli colleghi, questo è il primo di una serie di emendamenti che il gruppo della Lega nord Padania ha presentato, per cercare di creare ulteriori spunti di riflessione nella speranza che qualcuno in questa sede, pur ristretta, si ravveda sulla via di Damasco!
Questi emendamenti ci riportano all'equivoco di fondo, che ha contraddistinto il provvedimento sull'indultino: la sospensione condizionata della pena. Qualcuno in questa sede, nonostante vi siano stati quattro passaggi parlamentari, come ricordava la collega Mazzoni, parlava di sospensione condizionale dell'esecuzione della pena. Questa era la versione originaria: adesso si parla di sospensione condizionata dell'esecuzione della pena. Tuttavia, questo provvedimento nasce da un equivoco di fondo, quello per cui si è delineata già, a partire dall'estate scorsa, l'esigenza di arrivare ad ogni costo, senza che mai nessuno ne abbia spiegato né in Assemblea né in Commissione le reali motivazioni, ad un atto di clemenza nei confronti della popolazione carceraria. Dagli scorsi mesi estivi la situazione delle nostre carceri e il problema del sovraffollamento sono stati oltremodo enfatizzati.
Considerate anche le vicende politiche di questi ultimi giorni, in cui si parlava di una volontà di creare un ulteriore fronte di scontro con questo Governo utilizzando la popolazione detenuta nei nostri penitenziari, forse questo sospetto poteva essere legittimo. Probabilmente, enfatizzando il problema del sovraffollamento si intendeva aprire un fronte di scontro con il Governo e con il ministro. Quest'ultimo, fin dal suo insediamento, ha prestato una fortissima attenzione al problema dei nostri penitenziari: ricordo ancora la prima audizione in questa Commissione, in cui egli ha ricordato che avrebbe prestato grande attenzione alla situazione delle nostre carceri, costruendo nuovi penitenziari. È stato irriso come ministro «ingegnere», che pensava all'edilizia e non agli altri problemi della giustizia.
Il problema del sovraffollamento, invece, impegna da un anno il Parlamento su una strada che viene indicata, da parte delle forze politiche della maggioranza e dell'opposizione, come l'unica soluzione, quella di un atto di clemenza. Si è voluto scegliere unicamente questa strada, ma lungo il percorso ci si è accorti che l'atto di clemenza, se non si vuole calpestare quella Costituzione di cui sempre vi fate difensori e paladini, poteva essere adottato unicamente attraverso l'iter che prevede una deliberazione a maggioranza qualificata. Non si può arrivare ad un indulto se non c'è la volontà in tal senso dei due terzi dei componenti dei due rami del Parlamento.
Dal momento che questa maggioranza qualificata non era raggiungibile, si è dovuto aggirare il problema; si è quindi inventato l'indultino, la sospensione condizionale della pena, adesso diventata sospensione condizionata. Un vero e proprio balletto dei numeri: prima la sospensione condizionata di tre anni, poi di due, poi di uno.


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Una misura che doveva entrare in vigore esclusivamente per i detenuti che si fossero trovati nelle carceri al momento dell'entrata in vigore della legge, che poi il Senato ha portato a regime. Una misura che inizialmente non aveva esclusioni oggettive o soggettive, che poi progressivamente sono state aggiunte, arrivando sicuramente ad un miglioramento del testo, che comunque non ci soddisfa. Se scorriamo l'elenco delle esclusioni oggettive, sono sicuramente stati esclusi reati importanti, di impatto sociale notevole, ad esempio i reati contro i minori, la pedofilia, la pornografia. Reati che sarebbero rimasti esclusi solo nella forma associativa, se ci fossimo fermati ancora all'ennesima forzatura del Presidente della Camera Casini, che aveva accettato un semplice coordinamento formale, come se il coordinamento formale fosse sufficiente a escludere l'applicazione dell'indultino a chi si era macchiato di questi reati.
Il Senato ha corretto prevedendo questi reati, tuttavia ne ha lasciati fuori altri. Per questo, l'elenco dei reati oggettivi che ci viene richiesto di approvare è assolutamente insufficiente.

PRESIDENTE. Ricordo ancora una volta che è possibile l'intervento di un solo rappresentante per ciascun gruppo, per cinque minuti. Applicando le norme regolamentari sull'esame in Assemblea posso consentire un intervento a titolo personale, per un minuto, soltanto ai componenti della Commissione. Nella discussione sul complesso degli emendamenti è ammesso l'intervento di colleghi che non facciano parte della Commissione, ma non sui singoli emendamenti.

ANDREA GIBELLI. Signor presidente, chiedo di parlare per un richiamo al regolamento.

PRESIDENTE. In questa fase il richiamo al regolamento, onorevole Gibelli, facciamolo svolgere ai componenti della Commissione.

ANDREA GIBELLI. Signor presidente, in base a quale norma regolamentare può essere limitata la possibilità dei parlamentari durante l'esame in sede legislativa, di intervenire sul complesso degli emendamenti?

PRESIDENTE. Le rispondo subito, onorevole Gibelli. Poiché siamo in fase di dichiarazione di voto sui singoli emendamenti, la stessa dichiarazione di voto è consentita soltanto a chi avrà titolo ad esprimere il voto.
Ha chiesto di intervenire a titolo personale, per un minuto, l'onorevole Guido Giuseppe Rossi.

GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Signor presidente, le considerazioni che sono state svolte dalla collega Lussana, rappresentante del nostro gruppo in Commissione giustizia, non possono che essere condivisibili e condivise. Sono condivise perché, oltre alle perplessità di carattere generale che abbiamo esternato in questi mesi di dura battaglia parlamentare, vi sono anche perplessità di carattere tecnico-legislativo.
Questo incredibile ping-pong, questa navetta parlamentare tra i due rami del Parlamento ha portato, come è stato già detto, a situazioni anche piuttosto confuse dal punto di vista normativo.

PRESIDENTE. Collega Rossi, ha esaurito il tempo a sua disposizione. Passiamo ai voti.
Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.26.
(È respinto).

Passiamo alla votazione dell'emendamento Lussana 1.25.

CAROLINA LUSSANA. Rifacendomi al discorso cominciato poc'anzi, esprimo la completa insoddisfazione nel nostro gruppo circa l'elencazione delle fattispecie che verrebbero escluse dall'applicazione dell'istituto.
Infatti, stando all'attuale elencazione, avrebbero la possibilità - ed il mio emendamento è volto a negarla - di accedere a questo tipo di misura soggetti che si sono macchiati di un reato che non rientra


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affatto in quelli commessi dai «poveracci» (i sostenitori dell'indultino, invece, hanno affermato tante volte, nelle loro dichiarazioni, che il provvedimento riguarderebbe soltanto questo tipo di reati). Più specificamente, questo emendamento esclude che possa accedere all'istituto chi si è macchiato non di un reato dalla bassa offensività sociale, bensì di un reato realmente grave ed efferato, quale il sequestro di persona.
Forse, però, nei vari passaggi parlamentari ai quali prima ho fatto riferimento, ciò è sfuggito agli attenti colleghi deputati che, anche in Assemblea, si sono prodigati, ora per accorciare, ora per estendere l'elenco, ora ancora per verificare a quali fattispecie si applicasse la normativa (solo a quelle individuali ovvero anche a quelle in forma associata). Eppure, il nostro paese di sequestri di persona ne ha visti tantissimi, anche perché il fenomeno ha coinvolto, da svariati anni, molte regioni.
Ma ritorniamo al discorso iniziale, perché non sono soltanto le esclusioni soggettive e la totale insoddisfazione per il predetto elenco che ci inducono a confermare la nostra contrarietà a questo provvedimento.
In precedenza, mi sono resa conto dell'imbarazzo non solo mio, ma anche dei colleghi, quando si tratta di dare una definizione dell'indultino (o sospensione condizionata della pena). Di cosa si tratta? È un indulto? È un vero istituto? È una misura? Ne abbiamo discusso più volte ed anche ampiamente, in Assemblea. Qualcuno, creando una nuova figura giuridica, ha parlato di misura alternativa alla detenzione con efficacia limitata nel tempo, non a regime, quindi, nel nostro ordinamento, ma limitata unicamente a quei detenuti che si troveranno nelle condizioni richieste per fruire della sospensione condizionata della pena al momento dell'entrata in vigore della legge.
Volevamo adottare un provvedimento che alleviasse lo stato di sofferenza dei detenuti, ma ci siamo contraddistinti per una forte indeterminatezza, che produrrà molte incongruenze e molte situazioni di disparità all'interno delle nostre carceri. Dovete dirmi perché mai questo istituto potrà applicarsi a coloro che avranno scontato almeno la metà della pena al momento dell'entrata in vigore della legge, mentre non si potrà applicare a quelli che matureranno tale requisito il giorno dopo! Ciò crea una forte incongruenza e, forse, anche una profonda ingiustizia. Questo provvedimento è stato presentato come un atto doveroso di clemenza nei confronti della popolazione carceraria. Invece, ritengo che avremo fortemente deluso le aspettative dei detenuti, i quali sicuramente chiedono migliori condizioni di vivibilità all'interno dei penitenziari, ma non meritano di essere presi in giro in questo modo.
Inoltre, non abbiamo la benché minima certezza sul numero dei detenuti che potranno beneficiare dell'istituto. È presente il rappresentante del Governo, ma l'esecutivo non si è mai espresso al riguardo. I numeri che ci sono stati forniti ci riportano al solito balletto delle cifre: saranno settemila, ottomila, seimila; gli ultimi dati indicano il dato di 5900 detenuti che si trovano nella condizione di dover scontare ancora da uno a due anni di pena. Ebbene, da questi 5900 detenuti dovremo scomputare quelli che hanno scontato almeno metà della pena, le esclusioni oggettive e le esclusioni soggettive. Ebbene, a quanti detenuti si applicherà effettivamente il beneficio? Nessuno ha mai dato una risposta chiara. Il relatore Buemi, su questo, tace.

PIER PAOLO CENTO. In realtà, tace il ministro Castelli, il quale non ci fornisce i dati!

CAROLINA LUSSANA. Eppure, si dice che questa misura era necessaria per il periodo estivo.

GUIDO GIUSEPPE ROSSI. Ancora una volta, non posso che concordare con la collega Lussana.
Siamo di fronte ad una vera e propria smania di dare una risposta, a nostro avviso sbagliata, ad un'esigenza di cui pure


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si può discutere, perché la situazione dell'universo carcerario ha bisogno di attenzione. Del resto, altri paesi assolutamente all'avanguardia all'interno dell'Unione europea, ad esempio la Francia, hanno problemi simili ai nostri, di vita molto dura all'interno delle carceri e di sovraffollamento.
Tuttavia, la volontà di fare in fretta, indotta anche dalle pressioni esterne, che prima ho sottolineato, ha portato ad un prodotto normativo su cui sono sicuramente molti i dubbi da esprimere. Questi emendamenti, ed in particolare l'emendamento Lussana 1.25, che concerne la questione dei sequestri di persona, ci danno il senso di un'elencazione delle esclusioni oggettive che deve essere integrata. Pertanto, invito i colleghi ad esprimere su questo emendamento un voto favorevole.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.25, contrario il relatore e sul quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Passiamo alla votazione dell'emendamento Lussana 1.29.

CAROLINA LUSSANA. Signor presidente, intervengo per dichiarazione di voto sul mio emendamento 1.29 e, prima di addentrarmi nella sua specifica illustrazione, desidero concludere il discorso avviato in precedenza.
Come dicevo poco fa, in merito ai dati, nessuno ci ha mai fornito alcun elemento di garanzia o di chiarezza circa il numero dei detenuti che potrebbero - potranno - beneficiare di questa misura.
Lo ripeto: il balletto delle cifre continua, senza che nessuno sia in grado di darci delle risposte!
Ritorniamo, quindi, ad esaminare i dati generali del sovraffollamento carcerario. Sappiamo che oggi nelle nostre carceri vi è una popolazione di circa 55 mila detenuti, a fronte di una capacità media standard delle stesse che farebbe invece propendere per un numero non superiore a 41 mila.
Quindi, ci sono circa quindicimila detenuti che sovraffollano le nostre carceri, una percentuale (circa il 30 per cento) consistente, che però ha origini lontane (questo è un dato che è bene ricordare).
Infatti, questa percentuale di detenuti in sovrappiù nelle nostre carceri è tale, ormai, da molto tempo, ma non si tratta di una responsabilità del Governo della Casa delle libertà. È invece una situazione che è stata ereditata (lo abbiamo ricordato più volte), corrispondendo, peraltro, esattamente alla cifra di detenuti extracomunitari che sovraffollano i nostri penitenziari.
Ebbene, i precedenti Governi di centrosinistra hanno sicuramente contribuito all'aumento di questa percentuale e i dati oggettivi che sono in nostro possesso lo dimostrano.
Si è visto come la popolazione nei nostri penitenziari abbia subìto un'impennata, soprattutto sul finire degli anni '80 (a partire dal 1985 in poi), periodo in cui il nostro paese è stato oggetto di un forte fenomeno migratorio da parte degli Stati dell'area balcanica e di quella maghrebina.
A tale forte fenomeno migratorio, i Governi di centrosinistra non sono mai stati in grado di far fronte. Pertanto, è allora che si è veramente creato il problema emergenziale all'interno dei nostri penitenziari!
Quindi, se alcuni affermano che il problema del sovraffollamento possa addirittura considerarsi connaturato all'istituzione stessa del carcere, vi ricordo che l'impennata si è avuta a seguito di politiche migratorie che non sono state mai in grado di porre un freno al fenomeno dell'immigrazione clandestina, che sappiamo essere la fonte principale della microcriminalità, che sappiamo corrispondere esattamente alla percentuale di sovraffollamento ricordata.
Su tutto ciò, nessuno mai ha voluto dare risposte. I Governi di centrosinistra non se ne sono mai occupati, non hanno mai introdotto misure che realmente intendessero risolvere il problema del sovraffollamento carcerario!


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Adesso, sostenete la necessità di un provvedimento di clemenza ma, mi domando, a cosa servirà un tale provvedimento di clemenza: forse a diminuire di duemila o tremila detenuti i nostri penitenziari? In realtà, il sovraffollamento ci sarà ancora e in percentuale rilevante! Non si può pensare di ridurlo con l'indultino! Questa è una mera operazione di immagine!
Bisogna portare avanti politiche più ampie, pluriennali (quelle politiche che il ministro della giustizia - caro onorevole Cento - sta portando avanti), come la costruzione di nuovi penitenziari (ci sono stati investimenti in tal senso), prevedendo possibilità di aprirsi anche ai privati, magari attraverso la costruzione di carceri in leasing. In tal senso, vanno anche gli accordi con quei paesi, come l'Albania, che presto - spero - si potranno estendere anche ad altri Stati dell'area maghrebina, al fine di far scontare ai detenuti la pena a casa propria. Perché vi siete opposti all'adozione di queste misure?
Eppure, qualche mese fa, l'Assemblea aveva approvato una mozione che forniva indicazioni al Governo per andare proprio nella direzione che ho detto! Tuttavia, avete tirato in ballo il problema del consenso: il consenso del detenuto extracomunitario affinché si possa effettuare il trasferimento nel carcere del paese di appartenenza. Ebbene, vi preoccupate del consenso del detenuto, ma non di quello della vittima del reato!

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.29, contrario il relatore e sul quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Passiamo all'emendamento Lussana 1.30.

CAROLINA LUSSANA. Signor presidente, l'emendamento in questione prevede la possibilità di escludere la misura dell'indultino per chi abbia commesso il reato di corruzione di minorenne.
Abbiamo presentato questo emendamento sulla base di un esame (che, purtroppo, è stato comunque frettoloso) del testo che ci è pervenuto dal Senato e che, a seguito del dibattito che si era svolto presso la Camera dei deputati, ha previsto l'esclusione della possibilità di accedere all'indultino per quei reati più gravi e di notevole impatto sociale ed offensività nei confronti della persona e della libertà individuale.
Ebbene, nell'esclusione di questi reati, mi sembra che comunque non fosse stata prevista la fattispecie di corruzione di minorenne, nonostante siano arrivate (non solo alla sottoscritta ma, penso, anche agli altri colleghi deputati) numerose sollecitazioni per l'inserimento di tale fattispecie di reato nella elencazione delle esclusioni oggettive da parte di numerose associazioni rappresentative delle vittime di reato e di altre che, da anni, si battono per la tutela dei minori (fra le quali, l'UNICEF).
In pratica, si ritorna all'iter di questo provvedimento laddove, per cercare di aggirare la norma costituzionale, alla fine, abbiamo creato un vero e proprio ibrido giuridico che, a tutt'oggi, nonostante i vari passaggi parlamentari, non corrisponde forse alla stessa volontà del legislatore.
Mi sembra, infatti, che nel corso dell'esame presso il Senato, ci sia stata un'ampia riflessione che non ha coinvolto solamente quelle forze che, per prime, avevano paventato il rischio che potessero uscire dai nostri penitenziari i pedofili, coloro che compiono turismo sessuale ai fini di sfruttamento dei minori o altri reati gravi quali la pedopornografia o, infine, coloro che si macchiano di iniziative che attengono alla tratta di persone (penso alla prostituzione minorile).
Queste nostre preoccupazioni, nel corso del dibattito al Senato, sono state condivise non solo da chi le aveva sollevate alla Camera (quindi dalla Lega nord e dal gruppo di Alleanza nazionale) ma anche da quelle forze (penso all'UDC) che, con il loro consenso, hanno sostenuto fin dall'inizio questo provvedimento.
Ebbene, probabilmente però, anche al Senato i lavori sono stati concitati e,


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quindi, in questo «tira e molla» che contraddistingue l'iter del provvedimento dalla sua origine, ci si è dimenticati del reato di corruzione di minorenne.
Mi piacerebbe sapere come mai al Senato un tale reato, così grave, non è stato previsto nella elencazione delle esclusioni oggettive ed ecco perché chiediamo con forza ai colleghi di correggere questa ennesima inesattezza.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.30, contrario il relatore e sul quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Passiamo all'esame dell'emendamento Lussana 1.31.

CARLO TAORMINA. Signor presidente, intervengo sull'ordine dei lavori, per rilevare che ci troviamo ad esaminare una serie di emendamenti che si sostanziano, per la gran parte, anzi, relativamente a quelli che stiamo esaminando, per la totalità, nella previsione di ulteriori fattispecie di reato - se ne aggiunge una alla volta - che conducono ad una analisi pressoché inutile, dal punto di vista dei contenuti, delle singole fattispecie che si vorrebbero aggiungere. Esiste un problema di carattere più generale e, cioè, quello di stabilire se, rispetto al testo normativo che proviene dal Senato, ci sia o meno la volontà della Commissione (quindi, vi è la necessità di accertarlo) circa la praticabilità o meno di una sua integrazione, comunque, con l'aggiunta di altre fattispecie di reato che dovrebbero essere oggetto di esclusione dalla applicazione del beneficio.
A questo punto, le chiedo se, dal punto di vista regolamentare, non sia possibile raggruppare tutti questi emendamenti, ciascuno dei quali costituito dalla evocazione di una singola fattispecie prevista dal codice penale o da altre leggi penali, e procedere ad una votazione per principi, stabilendo se si intenda o meno procedere nella direzione dell'integrazione del testo originario. Infatti, è evidente che, se questa volontà non ci dovesse essere, inutilmente continueremmo ad approfondire, di volta in volta, ragioni certamente apprezzabili ma che, comunque, sarebbero interdette da una diversa volontà della Commissione.
Quindi, chiedo che il presidente o, eventualmente, l'Ufficio di presidenza, ove sia necessario, esaminino la possibilità di procedere alla votazione per principi.

PRESIDENTE. Il collega Taormina ha posto una questione sulla quale desidererei che qualche altro collega esprimesse la propria opinione per potere adottare, poi, una decisione in merito. Perciò, innanzitutto, mi rimetto al contributo dei colleghi, prima di decidere quale decisione adottare.

ENRICO BUEMI. Sono d'accordo con la proposta dell'onorevole Taormina; ritengo infatti che le argomentazioni che ha illustrato siano condivisibili.

FRANCESCO MONACO. Anche noi siamo favorevoli a questa proposta.

PRESIDENTE. È stata posta una questione che ha carattere di concretezza. Dal momento che già era stata, in qualche modo, preannunciata o, almeno, prospettata, noi abbiamo cercato di acquisire anche alcuni precedenti e disponiamo di una indicazione generalmente favorevole l'adozione di una decisione di accorpamento per principi, come è stato affermato in numerose altre occasioni. D'altra parte, l'ultimo comma dell'articolo 85 del regolamento della Camera dei deputati prevede una serie di ipotesi nelle quali una decisione di questo genere potrebbe essere adottata. Ovviamente, la decisione è compito della presidenza. Tuttavia, l'articolo 85 citato mi dà facoltà di interpellare sul punto la Commissione per ricavare un orientamento che, vi dico francamente, rispetterò nella misura in cui sarà sufficientemente indicativo della volontà dei commissari di scegliere nell'uno o nell'altro senso.

ANDREA GIBELLI. Signor presidente, chiedo di intervenire per un richiamo al regolamento.


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PRESIDENTE. Onorevole Gibelli, non vorrei essere fiscale: se lei interviene a nome del gruppo cui appartiene, per questa volta possiamo superare il problema della appartenenza alla Commissione. Altrimenti, dovrei sollevare un problema.

ANDREA GIBELLI. Intervengo per un richiamo al regolamento, signor presidente. Io concordo sul fatto che lei abbia limitato gli interventi per dichiarazione di voto soltanto a coloro che, poi, esprimeranno effettivamente il voto e, infatti, come ha potuto constatare, non ho contestato. Tuttavia, siccome la presente questione è legata al procedimento, le ho chiesto di intervenire su una questione di carattere generale che, in base a quanto da lei ha affermato, riguarda l'applicazione dell'ultimo comma dell'articolo 85 del regolamento della Camera dei deputati in alternativa alla procedura ordinaria di esame e votazione degli emendamenti. Perciò, è in questi termini che chiedo di intervenire.

PRESIDENTE. Per essere precisi, onorevole Gibelli, la questione doveva essere integrata da una postilla e cioè che, che nel caso si addivenisse alla decisione di votare per principi, chi ha proposto gli emendamenti ha facoltà di sceglierne un certo numero. Quindi, in questo caso, tre emendamenti potrebbero essere segnalati per la trattazione specifica.

ANDREA GIBELLI. Signor presidente, se lei si riferisce all'articolo 85-bis del regolamento della Camera, vale a dire alle procedure di segnalazione, da parte dei gruppi, di un certo numero di emendamenti in ragione della loro composizione numerica, non si discute. Rimane il fatto che lei dovrebbe spiegarci che cosa si intenda per votazione per principi quando gli emendamenti che abbiamo presentato aggiungono fattispecie di reato, sono diversissimi tra loro e non possono essere riassunti in una definizione di carattere generale in cui si faccia riferimento ad una volontà della Commissione di esprimersi o meno sul recepimento delle proposte emendative. Infatti, il singolo voto ha un significato di carattere normativo sufficientemente chiaro, nel senso che si lascia ai commissari la libertà di individuare criteri che adottino i contenuti di un emendamento rispetto ad altri. Se si cambia il procedimento e si procede ad una valutazione di carattere sommario, si perde questa peculiarità che, a maggior ragione in sede legislativa, dovrebbe essere garantita. Perciò, noi rifiutiamo questa possibilità proprio per il motivo che non siamo nella situazione prevista dall'ultimo comma dell'articolo 85 del regolamento, che fa riferimento proprio alla possibilità che siano indicati emendamenti che presentino differenze scalari di cifre, dati o espressioni altrimenti graduate. In questo caso, facendosi espresso riferimento a fattispecie di reato, non si rientra nelle ipotesi di variazioni scalari, né di cifre, di dati o di espressioni altrimenti graduate.
Signor presidente, dopo la sua decisione, assunta in funzione di limitare la possibilità di rimettere all'Assemblea la questione posta in precedenza, non ho chiesto di intervenire sull'ordine dei lavori. Rimane il fatto che, se ci si muove ulteriormente nella direzione di forzare la possibilità della Commissione in sé, e, quindi, del nostro gruppo, di potersi esprimere, si aggiunge - a mio modesto giudizio - una forzatura ad un'altra. Quindi, la inviterei a procedere secondo le indicazioni di carattere generale che avevamo evidenziato precedentemente.
Aggiungo una conclusione affinché rimanga agli atti. In precedenza, lei ha fatto riferimento alla questione dei due giorni per la valutazione delle firme. Non sono intervenuto ma, se quel principio vale come precedente, c'è la possibilità di disporre di 24 o 48 ore per integrare le firme mancanti. Siccome questa possibilità rappresenta il risvolto del diritto di recedere dalla propria firma, ma non può impedire a chi ha sottoscritto l'iniziativa di rivendicare la possibilità di sostenere nuovamente la questione, non vorrei che oggi si creasse un gravissimo precedente in funzione di questo...


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PRESIDENTE. La questione è ormai superata.

ANDREA GIBELLI ... in quanto si comprimerebbe nuovamente la possibilità, per il mio gruppo, di potersi esprimere compiutamente su tutti gli emendamenti.

PRESIDENTE. Noi abbiamo esaminato la questione proprio perché era probabile che si ponesse.
Desidero precisarle che il riferimento non va fatto soltanto ai principi contenuti nella prima parte del comma 8 dell'articolo 85 del regolamento della Camera e cioè soltanto al problema delle votazioni a scalare. La questione - che è stata affrontata e risolta nei termini da me indicati in considerazione dei precedenti - fa riferimento al principio dell'ultima parte dell'ultimo periodo dell'articolo 85 del regolamento della Camera, dove ci si richiama all'economia ed alla chiarezza delle votazione. Il principio dell'economia è quello prevalentemente invocato ed è stato applicato in situazioni assai disparate rispetto al contenuto di proposte emendative che andassero contro un indirizzo univoco assunto rispetto al provvedimento.
Nei quattro passaggi parlamentari è già stato affrontato il problema dell'esclusione oggettiva delle tipologie di reati; sono state proposte delle esclusioni che fino all'ultimo passaggio alla Camera dei deputati sono state ampiamente superate. Il provvedimento è tornato dal Senato soltanto per essere integrato con una ipotesi di esclusione, a nostro avviso già contenuta nel provvedimento esitato dalla Camera, ma che comunque è servita ai fini di una maggior chiarezza. Emerge pertanto in entrambi i rami del Parlamento la volontà del legislatore di procedere - seguendo il principio dell'economia - ad una esclusione perfettamente delimitata sotto il profilo della gravità e della natura dei reati esclusi; rispetto a questo, tutti i reati che si tenta oggi di inserire nell'ambito dell'esclusione oggettiva appaiono estranei al contenuto ed al valore stabiliti in precedenza.
Di fatto questa situazione, in aggiunta alla natura stessa degli emendamenti (per questo ho investito la Commissione di una decisione al riguardo), fanno pensare che la vera volontà sia quella di limitare le esclusioni a quelle già specificate nei quattro passaggi parlamentari.
Al riguardo, pertanto, anche avvalendomi dei numerosissimi precedenti in tal senso che gli uffici della Camera ci hanno trasmesso, credo che la questione possa essere ragionevolmente e concretamente posta in questi termini; la decisione verrà da me adottata avvalendomi comunque dell'opinione della Commissione.
Proprio per verificare la volontà dei commissari, do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire.

LUIGI VITALI. Signor presidente, credo che la proposta e l'impostazione stabilita dalla presidenza siano attinenti e condivisibili. In questo momento ci troviamo indubbiamente in una fase nella quale una parte politica ha inteso ricorrere a tutti gli strumenti previsti dal regolamento della Camera per porre in essere un atteggiamento ostruzionistico. È evidente che il comma 8 dell'articolo 85 del regolamento della Camera pone un rimedio alla presentazione degli emendamenti per finalità prettamente ostruzionistiche.
Evidenzio anche (lo dico senza volerla mettere in discussione) che vi è stata un'interpretazione estensiva anche sull'ammissibilità di alcuni emendamenti che, proprio in base alle ultime osservazioni del presidente, risultavano ampiamente superati in quanto attenevano ad aspetti già discussi in entrambi i rami del Parlamento.
Questi temi non sono nuovamente in discussione e non vi si sarebbe più potuto intervenire: oggi noi discutiamo il provvedimento in quinta lettura perché il Senato lo ha modificato in due sue parti essenziali, ma gli emendamenti presentati aggirano l'ostacolo rappresentato dal principio di pertinenza e si propongono finalità ostruzionistiche.
Pertanto, presidente, annuncio che il gruppo di Forza Italia è favorevole alla decisione di ricorrere a votazioni per principio così come proposto dalla presidenza.


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ANNA FINOCCHIARO. Signor presidente, il collega Bonito in precedenza ha già annunciato che il nostro gruppo è favorevole a questa ipotesi. Ribadisco tale posizione.

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di intervenire ed essendo, pertanto, la maggioranza della Commissione orientata ad accogliere la proposta di ricorrere a votazioni per principio, ricordo ai colleghi del gruppo della Lega nord Padania che devono indicare gli emendamenti da porre comunque in votazione che, lo ribadisco, sono complessivamente 6 e potranno essere concentrati su un unico articolo o venire ripartiti fra l'articolo 1 e l'articolo 3.

ALESSANDRO CÈ. Signor presidente, al fine di poter decidere la posizione da assumere, chiediamo che la seduta sia sospesa.

PRESIDENTE. Sta bene. La seduta è sospesa per cinque minuti.

La seduta, sospesa alle 15,55, è ripresa alle 16.

PRESIDENTE. La seduta è ripresa.

ALESSANDRO CÈ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO CÈ. Signor presidente, abbiamo analizzato la situazione e riteniamo che non ci siano più le condizioni per confermare la nostra presenza in quest'aula. Molti degli interventi che mi hanno preceduto sono entrati nel merito e abbiamo ribadito, per l'ennesima volta, che questo è un pessimo provvedimento che trova una soluzione sbagliata ad un problema che, forse, una soluzione la deve pur trovare, ma utilizzando strumenti corretti e misure alternative, accelerando sul fronte della creazione di nuove carceri, cosa che, in parte, questo Governo sta già facendo.
Ribadisco, dopo tutto quello che è avvenuto, che non ci sono più le condizioni perché la Lega partecipi a questo dibattito. Mi consenta, quindi, di prendere un po' di tempo per spiegare le nostre argomentazioni.
Questa brutta pagina di storia parlamentare è iniziata ieri. Il Presidente della Camera, pur essendo assolutamente conscio che il provvedimento cosiddetto «indultino», sarebbe stato approvato al Senato verso le 18,30 - momento nel quale l'aula della Camera era piena di deputati - come tutti noi eravamo al corrente che questo sarebbe avvenuto e che, subito dopo, sarebbe stato inviato alla Camera, non ha ritenuto però opportuno informare i deputati... Mi scusi, signor presidente, siccome è tutto il giorno che vedo l'onorevole Bocchino seduto accanto al sottosegretario, vorrei capire se si tratta di un altro sottosegretario di Alleanza nazionale.

ITALO BOCCHINO. Onorevole Cè, la smetta di fare questioni su ogni cosa! Non avete rispetto di nulla!

ALESSANDRO CÈ. Onorevole Bocchino, è tutto il giorno che è seduto là! È in questo modo che avrebbe così rispetto per le istituzioni? Si sieda qui, come deputato, questo è il rispetto per le istituzioni!
Dicevo che il Presidente non ha ritenuto opportuno informare i deputati e credo che questo sia un grave schiaffo nei confronti di tutti i deputati, perché tutti, chi a favore, chi contro, avrebbero avuto il diritto di essere informati delle intenzioni che il Presidente della Camera aveva sul provvedimento in questione.
Il Presidente della Camera ha poi indetto la votazione finale sul documento di programmazione economico-finanziaria, che è avvenuta ben dopo il momento in cui aveva la certezza - e la avevamo anche noi - che il provvedimento sarebbe stato inviato alla Camera.
Dopo di che ha sospeso la seduta, che è ripresa con lo svolgimento di interpellanze ed interrogazioni e si è esaurita dopo circa 40-45 minuti. Solo a quel


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punto, in un'aula nella quale c'erano sì e no 20 deputati - mentre tutti gli altri avevano già preso le auto per Fiumicino o per qualche altra destinazione - il Presidente ha ritenuto opportuno comunicare all'Assemblea che era sua intenzione, senza aver consultato i gruppi (neanche, informalmente perlomeno il gruppo della Lega Nord non è stato consultato) mettere all'ordine del giorno del 1o agosto, in Commissione in sede legislativa, il provvedimento in questione, senza i criteri che giustamente il mio collega Gibelli ha più volte sottolineato in aula, quali la scarsa rilevanza del provvedimento o l'urgenza.
Si tratta infatti di un provvedimento che, invece, non ha tutta questa urgenza, perché vorrei ricordare anche ai colleghi dell'Ulivo che la situazione carceraria nel 2001 era addirittura peggiore di quella attuale, per cui, se ci fosse stata tutta questa urgenza, forse, il Governo D'Alema, quello Amato o quello Prodi avrebbero potuto trovare una soluzione prima. Sicuramente, inoltre, non era un provvedimento di scarsa rilevanza.
Ho definito tutto quanto avvenuto ieri un blitz ed oggi lo ribadisco. Si è trattato di un blitz, di una forma molto vicina, come giustamente è stato detto in aula, alla clandestinità. Questo non fa assolutamente bene alla democrazia... Signor presidente, capisco che lei scherza, ma la inviterei a non fare battute come quella che ha appena fatto con me prima, perché sono battute che non mi piacciono e non mi fanno ridere. Come si dice: stia accorto...

PRESIDENTE. Ne prendo atto.

ALESSANDRO CÈ. Giudicandola come presidente della Commissione, vorrei dirle cosa penso per il modo in cui ha gestito la seduta. Lei avrebbe dovuto prendere atto, solo e unicamente tramite consultazione del Presidente della Camera, dell'esistenza dei presupposti per rimettere all'Assemblea il provvedimento, visto che l'atto che le abbiamo presentato era compiuto in tutto e per tutto, c'erano le firme e non aveva nessun motivo di pensare che fossero false. Invece, ha sospeso la seduta e, nel giro di un'ora, sono avvenute cose che non erano avvenute durante tutta la serata di ieri, nonostante l'onorevole La Russa avesse annunciato - impropriamente secondo me, perché la sottoscrizione della sede legislativa appartiene al singolo deputato non al capogruppo - che l'intenzione e la volontà di Alleanza Nazionale sarebbero state quelle di revocare le firme.
Guarda caso, però, né ieri sera, né questa notte, né questa mattina, né a lei, né al Presidente della Camera e nemmeno al sottoscritto, che bene o male era colui che si era fatto artefice della raccolta delle firme, era arrivata alcuna richiesta di revoca delle stesse, neanche tramite le persone direttamente interessate. La revoca della firma - per chi non avesse ancora compreso fino in fondo - deve essere fatta dal diretto interessato e non dal capo o dal vice capo di un gruppo politico.
Credo che il rispetto della singola volontà del parlamentare debba essere all'attenzione di tutti noi. Guarda caso, invece, nell'ora di sospensione che lei ha voluto imporre a questa Commissione, sono giunte dodici revoche. Ho già parlato della forma in cui sono pervenute, benché non sia veramente quello il problema. È stata comunque una strana coincidenza, presidente.
I precedenti che lei ha citato e che io andrò a verificare non sono sicuramente una buona scusa per utilizzare lo strumento della presidenza al fine di ottenere scopi che dovrebbero esulare da una vita realmente democratica di questo Parlamento.
Signor presidente, avevo contezza piena di come si sarebbero svolte le cose e avrei potuto tranquillamente chiederle di non sospendere la seduta e aprire questa conflittualità, questo dibattito forte, dal primo minuto, dal primo momento in cui lei ha annunciato tale volontà, proprio perché, essendo l'atto compiuto, lei avrebbe dovuto subito decidere la questione, eventualmente consultando per via telefonica il Presidente senza però procedere alla sospensione dei lavori, a partire dalla quale


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sono avvenuti fatti a nostro parere non legittimi. Io non l'ho fatto perché intendevo verificare seriamente tutto quello che avevo previsto e che sarebbe poi avvenuto. Così è stato.
Stiamo svolgendo un dibattito dal valore prevalentemente politico; è chiaro che non intendo contestare molte altre cose, seppure, forse, in termini di veridicità, potrei farlo. Le contesto invece una scelta fondamentalmente politica. Quello che avevamo previsto è avvenuto; le firme di Alleanza nazionale sono arrivate, tutto secondo copione. Le regole democratiche, dunque, non sono state rispettate e purtroppo anche quest'ultima alla quale abbiamo assistito è un'ennesima forzatura; capisco le interpretazioni degli eminenti colleghi avvocati, però la politica è un'altra cosa, la politica ci porta a presenziare in questa sede per rappresentare gente comune, realizzare determinati obiettivi, essere trasparenti e coerenti, anche rispetto a quanto promesso agli elettori. Ed è giusto che tutti ci contrapponiamo all'interno di regole che debbono essere certe e questo lo dico in particolare all'opposizione la quale, in questo momento, può ritenere vantaggioso utilizzare un'interpretazione come quella che il presidente sta adottando e che però sicuramente ricadrebbe in modo pesante proprio a conculcare i diritti di espressione dell'opposizione stessa qualora passasse come precedente.
Onorevole Taormina - lo dico anche agli altri colleghi, al presidente, nonché all'onorevole Vitali per le considerazioni da loro svolte -, il passaggio che stiamo facendo è successivo. Le opinioni delle persone ma anche la composizione assembleare in Commissione, che in sede legislativa è molto diversa rispetto a quella dell'Aula, portano a conclusioni diverse. Il fatto di affrontare un provvedimento che non è lo stesso di quello che avevamo esaminato alla Camera precedentemente, potrebbe portare a determinazioni diverse. E allora tutte quelle fattispecie che voi oggi vorreste eliminare perché in qualche modo sono già state affrontate nel dibattito precedente, ammesso che sia così - dovrei andarlo a verificare -, oggi potrebbero assumere una rilevanza diversa!
In sostanza, il principio enunciato dall'onorevole Taormina, e che lei, presidente, mi sembra abbia assunto, è quello teso a verificare l'esistenza di una volontà parlamentare volta a non apportare ulteriori modifiche, ciò che costituisce un principio assolutamente lato e indefinibile, rispetto alla volontà che invece i nostri emendamenti volevano esprimere. Per cui si crea un precedente molto strano in virtù del quale la maggioranza può conculcare la libertà di chi non la pensa nello stesso modo, la libertà di rappresentare idee diverse, di discuterle, di motivarle e poi di andare a votare. Questa è una forzatura molto negativa del regolamento.
Sulla base di tutte queste considerazioni, diciamo a voi tutti che gli scopi prefissi nella battaglia sull'indultino sono stati da noi pressoché interamente raggiunti. Gli obiettivi erano quelli di prendere le distanze da un modo di fare politica che riteniamo sbagliato, sconsiderato e poco rispettoso della volontà dei cittadini. Si va in campagna elettorale ad affermare determinati principi, a parlare di certezza della pena, di sicurezza dei cittadini e poi non si rispetta il patto elettorale!
La sinistra, giustamente, ha cavalcato questa situazione, magari con convinzioni anche radicate, se pure ci desta le perplessità precedentemente espresse il fatto che essa non abbia risolto minimamente quei problemi quando era al Governo, per cui, oggi, il dubbio che tale atteggiamento sia fortemente strumentale mi sembra assolutamente fondato.
L'obiettivo era quello, lo è stato in questi mesi, di scindere nettamente le nostre responsabilità da quelle di tutti coloro che, invece, questa legge hanno sostenuto. Abbiamo motivato in ore ed ore di discussioni le nostre posizioni, illustrando quali fossero le strade alternative: ve ne erano tantissime. L'obiettivo che ci sta più a cuore, tra quelli ancora non realizzati, è forse di «stanare» Alleanza nazionale. E questa occasione è stata ottimale per ottenere tale risultato. Alleanza


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nazionale che si mostra sul territorio, si reca nel nord del paese, in Padania, a dire che è il partito dell'ordine, della tolleranza zero, della sicurezza, della certezza della pena, a Roma, durante l'iter di questo provvedimento non ha fatto alcunché per ostacolarne l'approvazione.
Un gruppo parlamentare grande più del triplo di quello della Lega Nord è intervenuto in sede parlamentare - come testimoniano i resoconti stenografici dell'Assemblea - un centesimo di volte rispetto al nostro. Sarà un altro modo di fare politica, però è emblematico di una chiara ambivalenza, rispetto al volto che si vuole presentare agli elettori. Sul territorio si pongono come «duri e puri», in materia di sicurezza e difesa dei deboli, ma alla Camera, al Senato, sono autori di pochissimi interventi senza presentare mai una posizione realmente dura, e senza ricorrere minimamente agli strumenti regolamentari per bloccare questo provvedimento. Il ritiro delle firme, anche questo, era un film già visto, un libro scritto. È avvenuto - non so da quali uffici sia partita l'iniziativa, permettetemi di aggiungere -, secondo copione. E lo sapevamo già. L'onorevole La Russa, ieri, aveva redarguito alcuni suoi deputati che, guarda caso, però avevano omesso di contattare me, colui che raccoglieva le firme, né avevano inviato dei fax di smentita della loro posizione. Alcuni parlamentari ancora oggi ritengo siano arrabbiati, e ha fatto bene l'onorevole Cristaldi a ribadire la propria posizione.
Però, il gruppo dirigente di Alleanza nazionale, che sul territorio sostiene di essere il difensore della sicurezza dei cittadini, ha deciso di non dare a tutto il Parlamento l'opportunità di bloccare una disciplina che, a parole, ritiene profondamente ingiusta.
Concludo il mio intervento ribadendo che gli obiettivi sono stati tutti raggiunti. Abbiamo smascherato anche Alleanza nazionale, e ci dispiace di ciò perché credevamo di avere qualcuno alleato in queste nostre battaglie. È chiaro che al nord faremo grande propaganda di tale doppiezza di Alleanza nazionale, ed era giusto che ci fosse anche l'opportunità per togliere la maschera a questo gruppo politico: quella che si è presentata ha costituito la giusta occasione. Per cui, presidente, come tutte le dispute, anche questa ad un certo punto si conclude. Noi ce l'abbiamo messa tutta; voi - con modi forse tutti leciti ma molti dei quali consideriamo sicuramente illegittimi - avete conculcato in parte la nostra possibilità di combattere sino in fondo questa battaglia. Noi, però, ci sentiamo la coscienza a posto e non parteciperemo più ai lavori.

PRESIDENTE. Non posso che dispiacermi del fatto che la Lega nord Padania abbandoni i lavori della Commissione. Devo fare presente, però, che gli è stato concesso tutto lo spazio necessario a sostenere le proprie ragioni, anche se gli sviluppi e le decisioni, di cui ciascuno si assume le proprie responsabilità, hanno potuto suscitare accesi contrasti.

(I deputati del gruppo Lega Nord Padania si allontanano dall'aula della Commissione).

PRESIDENTE. A questo punto, faccio presente che tutti gli emendamenti ancora da votare portano la firma della collega Lussana. Non essendo essa più presente in aula, gli emendamenti si intendono decaduti, a meno che qualche altro collega non li faccia propri.

ITALO BOCCHINO. Il gruppo di Alleanza nazionale fa propri tutti gli emendamenti. Il nostro gruppo non intende illustrarli, quindi possiamo votarli tutti insieme.

ANNA FINOCCHIARO. Avendo l'onorevole Bocchino dichiarato di fare propri tutti gli emendamenti, credo che, a questo punto, votare tutti gli emendamenti sia non solo un gesto di cortesia nei confronti dell'onorevole Bocchino, ma anche una decisione che non appesantisce i nostri lavori. Pertanto, sono dell'opinione di votarli tutti.

PRESIDENTE. Poiché rilevo che l'opinione della Commissione è cambiata, procediamo alla votazione per singolo emendamento.


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Passiamo ai voti.
Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.31, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.28, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.27, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.24, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.9, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.10, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.11, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.12, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.13, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.14, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.15, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.16, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.17, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.18, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.19, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).


Pag. 49

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.20, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.21, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.22, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.23, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.2, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.3, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.4, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.5, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.6, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.7, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.8, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 1.1, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'articolo 1.
(È approvato).

Passiamo all'esame dell'articolo 3 e delle proposte emendative ad esso presentate.

ENRICO BUEMI, Relatore. Esprimo parere contrario su tutti gli emendamenti presentati all'articolo 3.

GIUSEPPE VALENTINO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Il Governo si rimette alla Commissione.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Pongo in votazione l'emendamento Lussana 3.6, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).


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Pongo in votazione l'emendamento Lussana 3.4, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 3.3, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 3.2, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Pongo in votazione l'emendamento Lussana 3.1, fatto proprio dall'onorevole Bocchino, non accettato dal relatore e per il quale il Governo si è rimesso alla Commissione.
(È respinto).

Passiamo alla votazione sull'articolo 3.

GIULIANO PISAPIA. Presidente, intervengo per dichiarare formalmente il voto contrario all'articolo 3, in base ai motivi già esposti nella dichiarazione iniziale.

PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 3.
(È approvato).

L'articolo aggiuntivo 3.01 è inammissibile, perché non è pertinente alle modifiche apportate dal Senato.
Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.

ITALO BOCCHINO. Il gruppo di Alleanza nazionale intende esprimere la propria contrarietà a questo provvedimento, così come ha già fatto in occasione della prima lettura alla Camera dei deputati ed al Senato. Ribadiamo la nostra tesi: siamo convinti che questo provvedimento non risolve il problema delle difficoltà che vive la popolazione carceraria, mentre attenta alla sicurezza dei cittadini.
Pur portando grande rispetto nei confronti di chi soffre all'interno delle carceri, riteniamo che la garanzia della certezza della pena, da una parte, e la sicurezza dei cittadini, dall'altra, siano prioritarie per quanto riguarda l'atteggiamento che il legislatore deve avere.
Alleanza nazionale sin dall'inizio ha detto che altri dovevano essere i provvedimenti. Ad esempio, un importante piano di edilizia carceraria, per migliorare le nostre carceri ed aumentare il numero dei posti e solo dopo l'approvazione di un piano, in attesa della realizzazione, pensare ad un provvedimento in grado di svuotare le carceri. La nostra preoccupazione è che con questo provvedimento si risolve il problema per pochi mesi, al massimo per un anno, per ritornare poi con le carceri intasate, intaccando la sicurezza dei cittadini. Noi diciamo no, a differenza di alcuni colleghi della nostra maggioranza, senza fare la faccia feroce. Il motivo è duplice. Il primo è perché portiamo rispetto ad una maggioranza che si è costituita trasversalmente in Parlamento per approvare questo provvedimento. Portiamo rispetto anche alle forze della nostra coalizione che la pensano diversamente da noi su questo tema. Per questa ragione non abbiamo inteso fare delle inutili barricate.
Diciamo no con serenità, anche per rispettare l'appello autorevole e importante che il Santo Padre ha voluto fare ai membri del Parlamento in occasione della sua visita nell'aula di Montecitorio. Non possiamo non rispettare quell'appello, pur non condividendolo. Per questa ragione non riteniamo opportuno portare avanti un ostruzionismo solo di facciata, come è stato quello dei colleghi della Lega. Se la Lega avesse voluto veramente bloccare questo provvedimento, avrebbe potuto


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farlo al Senato, laddove, invece, ha favorito, di fatto, l'approvazione di questa norma.
Voglio anche chiarire, per correttezza del nostro gruppo nei confronti dei colleghi presenti, le questioni relative alle firme per bloccare la legislativa. Il gruppo di Alleanza nazionale ieri, prima dell'approvazione da parte del Senato del provvedimento in esame, non sapendo ancora se lo stesso avrebbe apportato le modifiche che auspicavamo e che secondo noi sono migliorative, aveva in via precauzionale, visto l'imminente partenza dei colleghi per le ferie e la chiusura dell'aula, raccolto le firme necessarie per, eventualmente, se il provvedimento non avesse convinto, presentare oggi quelle firme.
Quelle firme, che sono state raccolte su un foglio del gruppo di Alleanza nazionale, sono entrate casualmente in possesso di una collega di un altro gruppo. Non intendo fare nomi ma non credo che la correttezza parlamentare potesse autorizzare, nonostante la nostra richiesta di ieri sera di «riavere indietro» le firme, la presentazione senza l'autorizzazione del nostro gruppo.
Nessuno ha voluto coartare la volontà dei nostri colleghi, ma abbiamo solo inteso fare una raccolta precauzionale di firme e, poi, visto il provvedimento licenziato dal Senato, non eravamo intenzionati a presentarle. Le revoche sono di tutti i parlamentari di Alleanza nazionale: sono solo, quindi, le dodici firme prese questa mattina, perché erano solo dodici i parlamentari rimasti a Roma.
Dico questo per far comprendere la correttezza del nostro gruppo rispetto a questo argomento che è sicuramente delicato. Qualcuno ha detto che in questo modo si è smascherata Alleanza nazionale. Faccio notare che Alleanza nazionale è l'unico partito che è rimasto nell'aula di questa Commissione in sede legislativa a votare gli emendamenti che volevano bloccare o migliorare il provvedimento, a dichiarare a viso aperto la propria contrarietà e a votare, come farò da qui a poco, il proprio no al provvedimento, non condividendolo ma rispettando la maggioranza che si è costituita.

PIER PAOLO CENTO. Intervengo brevemente per annunciare il mio voto di astensione sul provvedimento in esame, peraltro, in coerenza con quanto già fatto nelle precedenti letture. Si tratta di un provvedimento importante ma inadeguato ed insufficiente ad affrontare e a risolvere il tema delle carceri, a dare una risposta alla domanda di clemenza che da più parti, anche molto autorevoli, era stata avanzata in questa sede; inoltre, rappresenta una strettoia rispetto alla necessità di un atto di clemenza più generale che continuiamo ad individuare nella forma prevista dalla Costituzione cioè nell'indulto e nell'amnistia.
Non c'è dubbio che vi è stato uno scontro politico nel Parlamento. L'indultino rappresenta una risposta parziale ma che, in qualche modo, segnala - da qui la motivazione dell'astensione anziché del voto contrario che, dal punto di vista della lettura del testo, avremmo potuto esprimere - finalmente un'attenzione del Parlamento e della stragrande maggioranza delle forze politiche ad affrontare e a risolvere il tema delle carceri italiane. Ci auguriamo che il voto di oggi sia l'inizio di un percorso e non l'alibi per chiudere definitivamente la discussione sulla situazione nelle carceri del nostro paese e, magari, affrontarla nuovamente fra qualche anno.

LUIGI VITALI. Forza Italia, nella sua maggioranza non nella sua unanimità, era addirittura favorevole ad un provvedimento di amnistia e di indulto. Oggi questi provvedimenti avrebbero affrontato e risolto seriamente gli innumerevoli carichi giudiziari che consentono a molti reati di cadere in prescrizione, per giudicare reati che poi non creano alcun allarme sociale, e avrebbe dato una dimostrazione, dopo l'ultima amnistia del 1989, di verifica del grado educativo e rieducativo della pena.
Così non è stato, così non poteva essere, perché vi erano e vi sono dei limiti di


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maggioranze previsti dalla nostra Costituzione. Questo è un tampone che il Parlamento, con la maggioranza trasversale che si è costituita, ha ritenuto necessario di dover adottare per lenire le aspettative che lo stesso Parlamento in questa e nell'altra legislatura aveva creato. Non è un obbligo per il Parlamento decidere su questo argomento; non era un obbligo del Parlamento emanare l'amnistia e l'indulto e neanche la sospensione condizionale della pena: tuttavia, non era nemmeno scritto da nessuna parte che vari esponenti politici creassero trasversalmente, in virtù della loro posizione politica, delle aspettative. Questo non era giusto e il mondo carcerario, non soltanto quello dei detenuti ma soprattutto quello degli operatori di giustizia, delle guardie penitenziarie, degli educatori e degli assistenti sociali, aveva il diritto ad una risposta chiara del Parlamento.
La risposta è questo provvedimento, che non è un tradimento al programma di Governo, non è un abbassamento della guardia verso i problemi della sicurezza, che rimangono al centro delle nostre attenzioni, ma è, invece, la verifica di un procedimento rieducativo. Vi sono delle esclusioni soggettive ed oggettive: è necessario aver scontato metà della pena, il provvedimento riguarda gli ultimi due anni residuali ed è sottoposto a una serie di condizioni di verifica costanti e continuative da parte di coloro che ne dovranno beneficiare. Quindi, è un provvedimento che non può essere letto, se non in chiave strumentale e polemica, come un provvedimento di abbassamento della guardia nei confronti della sicurezza e della certezza della pena.
In conclusione, si tratta di un voto favorevole e convinto, anche se con il dispiacere e con l'amarezza che questo non è il provvedimento che può risolvere i problemi per i quali è nata questa iniziativa parlamentare.

FRANCESCO BONITO. I democratici di sinistra-l'Ulivo voteranno il provvedimento al nostro esame, pur nella coscienza e nella consapevolezza che poteva farsi di più e di meglio. Ciò nondimeno, nell'ambito delle logiche della vita politica, crediamo e pensiamo che con il testo che è stato licenziato dal Senato sia stata raggiunta la massima sintesi possibile oggi nel nostro paese tra le forze politiche. Certamente, è una sintesi che non può soddisfarci e, difatti, non ci soddisfa giacché, ad esempio, pensiamo e troviamo particolarmente odiosa la modifica introdotta dal Senato, laddove è stata mutata la disciplina che la Camera aveva votato con l'articolo 3 del provvedimento in materia di stranieri e della loro espulsione.
Pensiamo che quella norma sia particolarmente grave, contrastante con la tradizione giuridica del nostro paese ma anche con la sua cultura e la sua storia. Ciò nondimeno, crediamo che le nostre forti perplessità sull'articolo 3 non possano motivare un voto contrario. Si poteva fare di più e si poteva fare di meglio, ma dobbiamo accontentarci di quello che siamo riusciti a fare.

GUSTAVO SELVA. Ringrazio il presidente di avermi dato la parola in via eccezionale in questa fase.
In senso strettamente tecnico e regolamentare, credo che la mia non possa essere una dichiarazione di voto in quanto non faccio parte di questa Commissione. Forse sarò eccessivamente pragmatico, ma cerco di trovare il significato del provvedimento che, per me, ha una motivazione ideale, cioè rispondere in senso concreto all'appello che il Santo Padre ha fatto in questa Casa. Infatti, si può essere d'accordo, come è stato dichiarato da altri colleghi, e poi non partecipare al voto o, addirittura, partecipare in modo opposto all'auspicio del Santo Padre.
In secondo luogo, la mia opinione è che questo sia un provvedimento umanitario, teso essenzialmente a superare o a cercare di lenire la pesante situazione delle carceri. Mi rendo assolutamente conto che occorrono ben altri provvedimenti ma, dato che in Italia, fino a questo momento, le carceri non sono sicuramente rispondenti al valore che si attribuisce alla pena, cioè un valore che non sia afflittivo ma


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rieducativo - e tutto si può dire delle carceri italiane salvo che siano rieducative -, allora, se avessi potuto, avrei espresso un voto favorevole, per lenire con un provvedimento eccezionale la difficile situazione che coinvolge perfino il personale delle carceri.

ERMINIA MAZZONI. Vorrei rappresentare la posizione dell'UDC, che voterà a favore di questo provvedimento, e ribadire che il mio gruppo, a più riprese, ha manifestato la propria disponibilità in epoche precedenti ad andare sulla strada di un indulto, quello costituzionalmente riconosciuto.
Mancando la possibilità parlamentare concreta di realizzare quell'obiettivo, abbiamo ritenuto doveroso abbandonare quell'ipotesi, per evitare che su una questione così delicata, che incide sulla condizione dei detenuti, si aprisse un dibattito dilaniante. Questo testo, elaborato anche da me e personalmente sottoscritto nella formulazione iniziale, è stato da noi condiviso pur nella convinzione che lo stesso abbia delle finalità completamente diverse dall'atto di clemenza puro.
Il testo così come sarà approvato oggi non è la formulazione che riteniamo migliore. Sicuramente condividiamo di più la prima stesura e la prima formulazione approvata dalla Camera dei deputati. In ogni caso, credo che sia doveroso chiarire che per noi non costituisce un mezzo per risolvere i problemi della giustizia e il problema penitenziario, ma un utile strumento per cominciare nuovamente a parlare delle questioni penitenziarie, di funzione rieducativa della pena e di recupero del detenuto.
Noi abbiamo una posizione completamente diversa da quella rappresentata dai colleghi della Lega. Non riteniamo che il problema penitenziario si risolva aumentando la capienza delle strutture penitenziarie ed il numero delle stesse, perché la funzione della pena detentiva non è quella afflittiva, di una detenzione fine a se stessa. Non crediamo che mettere all'ammasso le persone senza dargli una prospettiva sia la vera funzione di uno Stato democratico; crediamo invece che la pena debba avere una funzione rieducativa.
Con il testo che stiamo per approvare spingiamo il detenuto e colui che ha sbagliato ad indirizzare i propri comportamenti verso il recupero. È un primo approccio e non il tentativo di mettere per strada dei delinquenti, mentre, al contrario, è la certezza di liberare quelle persone che hanno realmente interpretato la reale funzione della pena, cioè il recupero, il soggiorno nelle così dette patrie galere per recuperare la capacità di vivere il rapporto sociale secondo le regole che la nostra società detta. Questa è la nostra intenzione e lo spirito con il quale votiamo a favore di questo provvedimento.
Con questo voto speriamo di dare uno stimolo in più al Governo, e per esso al ministro della giustizia, ad accelerare i tempi delle riforme, perché - anche in questo caso rispondo agli interventi dei colleghi della Lega - questa Commissione ha lavorato per questi due anni di legislatura con ritmi incessanti su tutti i provvedimenti che il Governo ci ha proposto. Se il Governo avesse proposto altri provvedimenti più incisivi in questa materia, sicuramente non sarebbero rimasti lettera morta. Attendiamo, a questo punto ancora più fiduciosi, che il Governo presenti questi provvedimenti perché su questi noi voteremo.
Da ultimo, dato che non sono intervenuta sulle questioni procedurali che sono state sollevate, vorrei lasciare agli atti una piccola traccia di una riflessione, visto che il dibattito si è abbastanza avvilito rispetto alle improprie denunce che sono state formulate in questa Commissione e che sono state rivolte al presidente. Le dichiarazioni rilasciate ieri dai rappresentanti della Lega ai giornali sull'avvenuto ritiro da parte di Alleanza nazionale delle sottoscrizioni che erano state raccolte ieri - lo dicono i giornali di oggi (La Repubblica, Il Corriere della sera) - hanno un loro peso soprattutto rispetto alle ulteriori dichiarazioni rese oggi dai rappresentanti della Lega e rivolte al presidente. Sapevano già da ieri, evidentemente, che i colleghi di Alleanza nazionale non avevano


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più intenzione di sottoscrivere quel documento, che è arrivato in Commissione in maniera molto impropria.
Ribadisco il voto favorevole dell'UDC e ritenevo doverosa questa precisazione.

GIUSEPPE FANFANI. Vorrei rivolgere un ringraziamento al relatore e al collega Pisapia, che insieme a me hanno presentato il progetto di legge, al Governo e a tutti i colleghi.
Stiamo approvando un provvedimento serio in relazione al quale l'intuizione originaria è stata avvalorata da un confronto parlamentare che ha dimostrato che, con una maggioranza così frazionata e soprattutto con le tensioni evidenti che c'erano all'interno della maggioranza, nessun altro provvedimento sarebbe stato attuabile.
È inutile pensare a provvedimenti diversi, che avrebbero presupposto una coesione e una maggioranza ben più consistenti. Abbiamo avuto la prova che questo era l'unico risultato possibile, pure in una situazione di compromesso, di fatica e di soluzioni che non sempre hanno soddisfatto, anzi, talvolta hanno lasciato l'amaro in bocca, come la modifica apportata dal Senato all'articolo 3, che oggettivamente grida vendetta.
Tutto sommato, oggi si conclude un iter in relazione al quale vi può essere soddisfazione da parte di tutti gli uomini di buona volontà e di tutti coloro che, comprendendo la drammatica situazione carceraria, hanno voluto dimostrare un minimo di disponibilità umana e un'intuizione politica, che non è assolutamente trascurabile.

GIULIANO PISAPIA. Anch'io vorrei ringraziare il presidente e tutti i componenti della Commissione per la serenità, nonostante momenti di tensione, e soprattutto con il pieno rispetto delle regole con cui è stata portata avanti la discussione di oggi.
In generale, vorrei dire che Rifondazione comunista, fin dalla scorsa legislatura e anche in questa, era ed è tuttora favorevole ad una amnistia per i reati minori e ad un indulto che avrebbe risolto - in tal senso vi sono proposte di legge che erano state inizialmente esaminate dalla Commissione - il problema della situazione carceraria e avrebbe dato una svolta definitiva al problema dei lunghi tempi della nostra giustizia penale, togliendola da quello stato comatoso che una Commissione come la nostra e il Parlamento hanno il dovere di risolvere, rendendo la nostra giustizia degna di un paese civile.
Questo provvedimento in ogni caso - è opportuno ribadirlo proprio in sede di discussione finale - è una misura alternativa che nulla ha a che vedere con l'indulto. Esso cerca di conciliare le esigenze di sicurezza della collettività con una modifica sostanziale della situazione carceraria, ormai disumana sia per i detenuti sia per chi opera con abnegazione all'interno delle carceri.
Purtroppo, devo dire che si poteva e si doveva fare di più. Credo che l'attuale articolo 3 contrasti completamente con il principio base dello Stato di diritto, cioè l'uguaglianza di tutti davanti alla legge, e soprattutto con la tradizione di un paese come il nostro, che è stato da più parti denominato la culla del diritto. Vorrei solo ricordare, in conclusione, una frase di un illustre personaggio che molti di noi hanno conosciuto: l'Italia talvolta è così culla del diritto, che il diritto si è addormentato e la giustizia con lui.
Ritengo che questo provvedimento dopo tanti anni, seppur limitato, porterà ad un'inversione di tendenza. È stato molto utile il dibattito in aula perché ci siamo confrontati in maniera costruttiva, però la permanenza di quell'articolo 3, non degno di un paese civile, non può che impormi il voto di astensione.

ENRICO BUEMI, Relatore. Cercherò di essere brevissimo. Sicurezza e clemenza sono stati i cardini cui ci siamo ispirati in questa proposta di legge che, con il collega Pisapia, e, poi, con il contributo ulteriore del collega Fanfani, abbiamo presentato al Parlamento.
Avremmo desiderato un provvedimento di maggiore portata, lo ho detto già nel mio intervento di questa mattina; ritenevamo giusta la proposta dei tre anni, con


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un quarto della pena già espiata. Ciononostante, il nostro atteggiamento riformista e pragmatico ci fa, lo stesso, condividere il provvedimento, nonostante le misure e le modifiche introdotte dal Senato, che riteniamo ingiuste mutilazioni ad un provvedimento che era già stato frutto di un compromesso.
A settembre riprenderemo il discorso sulla giustizia. Tra l'altro, oggi leggiamo che ci viene annunciata, da parte del Presidente del Consiglio, una grande campagna in riferimento alla giustizia. Saremo pronti a raccogliere la sua sfida e batterci affinché i diritti costituzionali non siano applicati soltanto nella società, ma anche nelle carceri.
Ai colleghi della Commissione va un ringraziamento particolare per la collaborazione, anche nei confronti di coloro che, pur rimanendo contrari, hanno voluto garantire un'agibilità democratica a questa Commissione.
Voglio rivolgere ulteriormente un ringraziamento sincero ai funzionari della Commissione per l'assistenza fornita in un lavoro che, per quanto mi riguarda, è di assoluta inesperienza, dal punto di vista sia parlamentare sia giuridico.
Voglio rivolgere un appello finale alla magistratura di sorveglianza, affinché renda meno lunga l'attesa di quanti avranno il diritto di beneficiare del provvedimento. Grazie.

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale. La proposta di legge sarà subito votata per appello nominale.

Sostituzioni.

PRESIDENTE. Avverto che, ai sensi dell'articolo 19, comma 3, del regolamento, i deputati Annunziata, Bertolini, Cardiello, Ghedini, Mantini, Paniz, Papini, Pecorella, Perlini, Russo Antonio e Ruta, sono sostituiti, rispettivamente, dai deputati Monaco, Leone Antonio, Bocchino, Saponara, Banti, Schmidt, Bianco Gerardo, Taormina, Sanza, Perrotta e Volpini.

Votazione nominale.

PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale, sulla proposta di legge di cui si è testé concluso l'esame.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
Proposta di legge: «Disposizioni per la sospensione dell'esecuzione della pena detentiva» (approvata in un testo unificato dal Senato) (3323-3386/D):
Presenti 30
Votanti 28
Astenuti 2
Maggioranza 15
Hanno votato 27
Hanno votato no 1

(La Commissione approva).

Hanno votato sì: Banti, Bianco Gerardo, Bonito, Buemi, Carboni, Falanga, Fanfani, Finocchiaro, Leone Antonio, Lucidi, Magnolfi, Mazzoni, Monaco, Mormino, Mussi, Pepe Mario, Perrotta, Pittelli, Sanza, Saponara, Schmidt, Tanzilli, Taormina, Tarditi, Ventura Giacomo Angelo Rosario, Vitali e Volpini.

Ha votato no: Bocchino.

Si sono astenuti: Cento e Pisapia.

La seduta termina alle 16,50.

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