XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 4893




        Onorevoli Colleghi! - In Italia, come in moltissimi Paesi europei, è pressante la richiesta di sicurezza da parte dei cittadini. Anche in presenza di dati circa i fenomeni criminali che non si possono definire allarmanti, quello di sicurezza continua ad essere un bisogno fortemente percepito da parte dell'opinione pubblica. Questo deve spingere ad adoperarsi per rispondere nel migliore dei modi a tale richiesta. Richiesta che troppo spesso si scontra con la penuria di mezzi e di risorse che opprime le Forze dell'ordine nazionali.
        La sicurezza di un Paese parte dal basso, cioè dal rispetto delle più banali, ma non meno importanti, regole del vivere comune. I regolamenti urbani, commerciali, edilizi, stradali, e via dicendo, sono il corollario di una più larga disciplina che arriva poi fino alla disciplina penale dell'ordine pubblico.
        L'Italia ha a sua disposizione una forza di oltre 60.000 uomini, di estrema professionalità e che può vantare un rapporto privilegiato con il tessuto sociale delle nostre città e con le singole realtà locali, fino alle più piccole. Si tratta della polizia municipale. Tuttavia questa forza non sempre è a dovere impiegata nel migliore dei modi per rispondere al bisogno di sicurezza dei cittadini, anche per la mancanza di uno strumento legislativo adeguato, fermo ancora ad una legge quadro datata 1986 (legge 7 marzo 1986, n. 65) e ampiamente superato nei fatti e nelle consuetudini oltre che nelle sentenze giurisprudenziali.
        Inoltre, la necessità di unire gli sforzi delle varie Forze dell'ordine nel territorio in un sinergico impegno nel controllo dello stesso, rende sempre più necessario, non solo culturalmente ma anche tecnologicamente, un ampio utilizzo di forme di coordinamento fra i vari soggetti con la necessità di un dialogo comune che deve quindi mettere tutti nelle condizioni di avere ruoli definiti e chiari.
        Il processo di devoluzione e di riforma costituzionale avviato all'attuale Governo poiché ricade direttamente, tra le altre cose, sui sistemi di sicurezza, non può prescindere dall'individuare i pilastri su cui fondare la riorganizzazione delle polizie municipali e dei relativi servizi regionali.
        E' necessario dunque, nel rispetto delle leggi regionali e delle competenze provinciali e comunali, definire un quadro normativo all'interno del quale le regioni stesse possano legiferare nella loro autonomia ma in presenza di condizioni omogenee sull'intero territorio nazionale.
        La presente proposta di legge quadro intende, in questo senso, fornire le polizie municipali e le amministrazioni locali dello Stato di uno strumento normativo che sappia adattarsi alle necessità imposte dal processo di devoluzione in atto e alle modifiche da esso apportate alla Costituzione.
        La legislazione vigente, incentrata su una legge quadro obsoleta, vincola gli oltre 60.000 agenti delle polizie municipali italiane ad una definizione insufficiente e inadeguata della loro professione e del loro ruolo.
        In particolare si trovano ad operare in condizioni professionali che variano completamente da comune a comune, sia in termini di formazione che di equipaggiamenti e dotazioni, rendendo spesso difficile il coordinamento con le altre Forze dell'ordine. Ma in particolare gli operatori delle polizie locali hanno in diverse occasioni espresso il bisogno di una chiara e moderna definizione del loro ruolo, che veda una molteplice serie di specializzazioni, che rende di conseguenza necessaria una contrattazione separata dal contratto nazionale degli enti locali, dai quali la tipologia professionale (turnazioni, servizi festivi e notturni, indennità di rischio e di disagio, solo per fare alcuni esempi) nettamente si distingue. E' assurdo infatti che attualmente, sia in sede di contrattazione nazionale, sia in sede locale, le rappresentante sindacali unitarie elette per l'80 - 90 per cento da dipendenti pubblici diversi dagli agenti, siano poi le stesse che dovrebbero tutelare gli interessi di lavoratori completamente estranei alle loro tipologie di servizio. Cosa c'entra, cioè, un dipendente operante presso l'anagrafe, il commercio, i lavori pubblici e così via con un agente di polizia municipale ?
        In quest'ottica occorre altresì definire la funzione di polizia giudiziaria svolta ai sensi dell'articolo 55, comma 3, del codice di procedura penale, dagli ufficiali e agenti della polizia municipale. Il codice tuttavia qualifica gli operatori della polizia municipale come ufficiali o agenti di polizia giudiziaria a competenza limitata (nel territorio del comune di appartenenza e durante lo svolgimento del servizio), e nei limiti dei compiti cui la polizia municipale è demandata (polizia locale, urbana e rurale, annonaria, edilizia, sanitaria, stradale, eccetera). La prassi, tuttavia, ha di fatto superato i limiti imposti fin qui dal codice. In particolare non è inusuale che procuratori della Repubblica nominino diversi addetti al servizio di polizia municipale come pubblici ministeri d'udienza anche per processi non concernenti le materie investite dalla citata legge quadro n. 65 del 1986. Nella prassi quotidiana, inoltre, tutte le procure d'Italia convalidano atti posti in essere da personale della polizia municipale che a stretto rigore di norma sarebbero riservati agli ufficiali di polizia giudiziaria (intercettazioni telefoniche, obbligo di firma presso i comandi per i pregiudicati, fotosegnalamenti dattiloscopici, eccetera).
        Dal punto di vista delle competenze la riforma Bassanini, e i vari processi di devoluzione in atto, hanno caricato i comuni e le altre amministrazioni locali di nuovi oneri, e i comuni in particolare hanno fatto ricadere la gestione di queste competenze proprio sulle polizie municipali, ma neppure la riforma stessa ha voluto con più coraggio e rispetto procedere ad una chiara definizione dei compiti delle stesse.
        Occorre dare avvio ad una nuova fase culturale: con la sua elezione diretta, e grazie al suo rapporto privilegiato con il tessuto sociale delle città e delle comunità, il sindaco è ormai percepito come il primo referente nelle istituzioni, ed è a lui che i cittadini rivolgono i loro bisogni primari. Di pari passo è necessario che le polizie locali siano percepite e possano operare come le prime referenti per il bisogno di sicurezza nelle città. A questo riguardo diverse polizie municipali sono state le prime, per altro su richiesta del Ministero dell'interno, a sperimentare la polizia di prossimità, il cosiddetto "vigile di quartiere".
        La presente proposta di legge quadro, dunque, risponde ad una serie di necessità impellenti, dalla definizione dei compiti degli operatori delle polizie locali ad una risposta efficiente alle esigenze dei cittadini. In quest'ottica risulta fondamentale individuare canoni e parametri comuni che permettano di uniformare alcuni aspetti fondamentali quali i criteri di selezione, la formazione, l'addestramento, gli equipaggiamenti e le dotazioni vari.
        L'uniformare alcuni aspetti della vita operativa delle polizie locali non significa tuttavia voler cancellare il loro profondo legame con il territorio, che va anzi salvaguardato. Per questo alcune di queste funzioni andranno (selezione, formazione e addestramento) assegnate alle regioni, attraverso le scuole regionali, di cui ogni regione dovrà dotarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore dalla legge, e dovrà quindi essere salvaguardata la loro autonomia organizzativa.
        La presente proposta di legge, infine, tiene a salvaguardare profondamente il carattere municipale che queste polizie rivestono, soprattutto per quanto concerne il comando e il controllo delle stesse.




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