XIV LEGISLATURA

PROGETTO DI LEGGE - N. 4204




        Onorevoli Colleghi! - Dati recenti dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) evidenziano che ogni anno circa due milioni di bambine e di donne vengono sottoposte a mutilazioni genitali in almeno 28 Paesi dei continenti asiatico e africano. In Italia, negli ultimi trent'anni, favorito dai ricongiungimenti familiari, si è avuto un accrescimento del numero di immigrati provenienti da aree geografiche con tradizioni e cultura profondamente diverse dalla nostra; essi tendenzialmente tendono a mantenere gli usi e i costumi della società di origine, in modo particolare per quello che riguarda l'educazione dei figli e la figura della donna nel contesto familiare e sociale. Ciò ha trasformato il nostro Paese in una società multietnica, multiculturale e multirazziale in cui sono sorte nuove problematiche di varia natura: sociale e culturale, medica, etica e giuridica.
        Si calcola che queste pratiche, frequenti soprattutto in Africa, abbiano colpito circa 137 milioni di donne. Dalle ultime statistiche circa la popolazione femminile immigrata ufficialmente presente in Italia risulta che altre 45.000 donne (Ministero dell'interno, dati relativi all'anno 2000) provengono da territori a tradizione escissoria (Somalia, Nigeria, Ghana, Etiopia, Emirati Arabi, Costa d'Avorio, Yemen, Oman, Malaisia e Pakistan) e tra queste circa 4000 sono bambine già infibulate o a rischio di mutilazione.
        Tra queste pratiche quella che principalmente fa inorridire è l'infibulazione, la più crudele delle tre tipologie che caratterizzano le mutilazioni genitali femminili. Essa di solito è effettuata in età precoce, tra i 4 e i 10 anni, a volte però anche nell'adolescenza o addirittura persino al momento del matrimonio. Va sottolineato inoltre che la mutilazione dei genitali è di solito effettuata in condizioni non igieniche, con strumenti affilati, di uso comune (lamette da barba, forbici, coltelli da cucina) e, per lo più, non vengono adottate tecniche antisettiche né l'anestesia, per cui la mutilazione provoca, oltre al dolore intenso durante l'operazione, anche conseguenze severe come la frattura della clavicola, del femore o dell'omero, dell'anca causate dalla pressione con cui si tenta di tenere ferma la bambina o la donna, frequenti emorragie e talora il sopraggiungere della setticemia che spesso porta la bambina alla morte. Frequenti poi sono gravi alterazioni dello stato psicologico, infertilità e complicanze di ordine ostetrico in caso di gravidanza con severe ripercussioni durante il parto.
        E' noto che gli effetti fisici e psicologici di questa pratica sono spesso molto estesi, e che colpiscono in particolare la sfera sessuale e riproduttiva, la salute mentale e il benessere integrale delle donne. Inoltre, la mutilazione genitale femminile rafforza le iniquità sofferte da queste donne nelle comunità che la praticano. Nonostante il riconoscimento dell'importanza di questo problema così delicato e la consapevolezza che esso debba essere risolto se si vuole andare incontro alle esigenze sanitarie, sociali ed economiche della donna, la conoscenza del problema presenta ancora grandi lacune riguardo alla sua diffusione e ai tipi di interventi politico-sanitari che possano garantire la sua eradicazione.
        Bisogna comunque tenere presente che le mutilazioni genitali femminili sono praticate in popolazioni e da donne che vi credono fortemente e non vengono percepite nel senso di perdita di una parte del corpo, ma, al contrario, si configurano come un atto eseguito nell'interesse della donna, la cui non esecuzione comporterebbe una condanna sociale all'interno della stessa comunità. La mutilazione genitale femminile viene comunemente praticata quando le bambine sono abbastanza piccole; per molte di esse la mutilazione genitale è una enorme esperienza di paura e di sottomissione. Questa esperienza diventa un vivido punto di riferimento nel loro sviluppo mentale, il cui triste ricordo persiste per tutta la vita.
        Quindi è necessario agire in modo da superare questa pratica attraverso una corretta mediazione culturale che deve essere estremamente dolce, non costrittiva; bisogna far comprendere come tali pratiche siano dannose a livello sanitario, psicologico, etico e sociale. Questi gruppi di popolazione devono essere aiutati a sublimare queste pratiche ed a trasformarle simbolicamente.
        L'Italia dovrebbe essere consapevole che la mutilazione genitale femminile potrebbe essere praticata nelle comunità di immigrati e che le donne immigrate che sono state sottoposte a questa procedura nei loro Paesi di origine possano avere bisogno di una particolare assistenza medica e psicologica. Le preoccupazioni principali riguardano le possibili conseguenze psicosociali per le donne e le bambine che si sono trasferite da un Paese in cui la mutilazione genitale femminile viene accettata a livello familiare e sociale ad un altro in cui essa è una pratica illegale e viene aborrita dalla comunità. Lo Stato dovrebbe stanziare risorse per l'educazione di gruppi di immigrati, per dissuaderli dal praticare la mutilazione e per le ricerche sulle necessità socio-sanitarie delle donne e delle bambine immigrate. Un approccio è quello di formare apposite figure professionali come i mediatori culturali con il compito di creare un legame tra le comunità locali e le istituzioni socio-sanitarie per trovare i migliori modi possibili di sviluppare un sistema sensibile per la prevenzione, la dissuasione e la protezione delle bambine a rischio di mutilazione genitale e la riabilitazione delle donne e delle bambine che vi sono già state sottoposte. Vanno intraprese ricerche e studi per monitorare l'ampiezza del fenomeno. Sviluppare un migliore accesso al Servizio sanitario nazionale attraverso una politica dell'accoglienza verso le bambine per prevenire il rischio di mutilazione genitale femminile. L'approccio dovrebbe basarsi sul supporto alle famiglie attraverso attività di mediazione culturale e familiare.
        Le Nazioni Unite, l'UNICEF, e l'OMS considerano la mutilazione genitale femminile una violazione dei diritti umani e raccomandano l'eradicazione di questa pratica. Inoltre, molte organizzazioni non governative stanno cercando di fare aumentare la consapevolezza della necessità di eliminare questa pratica. Non è più differibile l'adozione di norme tese alla prevenzione e al divieto di tali mutilazioni e, in particolar modo, dell'infibulazione.
        Nel nostro Paese tale pratica, se denunciata dal medico a cui viene richiesto di praticarla, è considerata come lesione personale gravissima (articoli 582 e 583 del codice penale) e quindi perseguibile.
        Spesso però viene praticata da persone senza scrupoli a cui le famiglie delle minori si rivolgono dopo aver ricevuto il rifiuto a tale pratica da parte delle strutture sanitarie che non hanno, al momento, esperienza adeguata per prestare assistenza alle bambine e alle donne che hanno subìto questa grave mutilazione genitale e sono chiamate ad intervenire solo in caso di comparsa di complicanze.
        La mutilazione genitale femminile è un problema con cui i medici occidentali non hanno familiarità. Oltre ad una mancanza di conoscenze cliniche delle procedure della mutilazione genitale femminile e delle sue complicanze, mancano anche le conoscenze sulle credenze e tradizioni socio-culturali che la sottendono. Ad esempio, in molte comunità dove la mutilazione genitale femminile è una pratica tradizionale, le donne sono riluttanti a discutere di questioni sessuali con il personale sanitario e la timidezza impedisce loro di parlare di rapporti sessuali dolorosi o dell'incapacità di consumare il matrimonio. Gli aspetti psicologici, psicosessuali e culturali della mutilazione genitale femminile dovrebbero essere inclusi nella formazione degli operatori sanitari che lavorano nelle comunità che praticano la mutilazione genitale femminile.
        Il Comitato nazionale per la bioetica afferma che la pratica escissoria benché "profondamente radicata culturalmente, richiesta ed esigita anche dalle adolescenti non può essere ritenuta eticamente accettabile sotto ogni profilo e deve essere quindi combattuta e proscritta anche con l'introduzione di nuove norme di carattere penale".
        Anche il Parlamento europeo nel settembre 2001, ha riaffermato che "le mutilazioni genitali femminili costituiscono una gravissima lesione della salute fisica, mentale e riproduttiva delle donne e delle bambine, che nessuna motivazione, culturale o religiosa, può giustificare; costituiscono inoltre una violazione dei diritti umani dei bambini e delle donne sanciti da varie Convenzioni internazionali e che sono fra i princìpi base dell'Unione europea in quanto spazio di sicurezza, di libertà e di giustizia" invitando gli Stati membri a considerare le mutilazioni genitali femminili come reato all'integrità della persona.
        L'articolo 50 del nostro codice di deontologia medica, che recita "E' vietato al medico di praticare qualsiasi forma di mutilazione sessuale femminile", vieta, senza alcun dubbio, tali interventi.
        Obiettivo primario della proposta di legge è prevedere norme di carattere culturale e igienico-sanitario tese ad evitare e a proibire queste pratiche con una azione preventiva attuata in modo capillare nel nostro Paese.




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