XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 3689
Onorevoli Colleghi! - Il sistema radiotelevisivo
italiano è ormai di fronte all'esigenza di una profonda
modificazione del suo assetto.
Molte e rilevanti sono le motivazioni che spingono a
questo. E' sufficiente citarne alcune:
la necessità di inquadrare nel sistema la disponibilità
nella trasmissione della tecnica digitale, che migliora la
qualità delle immagini, ma soprattutto amplia di molto la
possibilità di offerta di programmi eliminando così uno dei
limiti che oggi impediscono una adeguata molteplicità di
presenze, favorendo di conseguenza la concorrenza ed il
pluralismo;
la debolezza del fatturato del nostro sistema
radiotelevisivo (nel 2000 esso sfiorava i 6 miliardi di euro,
circa la metà di quello inglese - 12,5 miliardi - o di quello
tedesco - 11,9 miliardi - più basso anche di quello francese -
7,2 miliardi; così come il fatturato dei nostri operatori
maggiori - RAI e Mediaset - è circa la metà dei più forti in
Gran Bretagna, Francia, Repubblica federale tedesca) e quindi
la necessità del suo sviluppo;
la troppo lenta evoluzione delle nostre principali
imprese radiotelevisive, poco diversificate, poco rilevanti
sui mercati esteri e quindi a rischio di debolezza nel
confronto con forti soggetti internazionali e rispetto alla
sopravvenienza di questi nel nostro sistema;
l'involuzione della complessiva offerta di programmi
caratterizzati in misura rilevante dalla degenerazione della
cosiddetta "reality Tv" e dall'intrattenimento in
funzione della promozione commerciale: questi programmi
risultano complessivamente poco adatti a corrispondere ad una
richiesta di buona qualità diffusa ed alla comunicazione di
valori socialmente condivisi;
il permanere di forti ingerenze politiche di parte, in
specie nella attività di servizio pubblico, che ne minano la
funzione legata all'interesse generale e nel caso della
società RAI-Radiotelevisione italiana ne feriscono anche la
condizione aziendale;
il protrarsi da lungo tempo della forte prevalenza di
due soli soggetti, che hanno dominato il sistema,
ostacolandone la struttura pluralistica e frenandone
l'evoluzione tecnica, economica e dell'offerta di
programmi.
Non è inopportuno segnalare che l'evoluzione tecnica
incidente sul sistema radiotelevisivo non si limita alla
disponibilità della tecnica digitale nella trasmissione
mediante onde hertziane, ma investe la capacità di
trasmissione in fibra ottica e anche in tecnica DSL nella
normale rete telefonica, che potranno fornire, in un futuro
non lontano, immagini in movimento di buona qualità destinate
al terminale televisivo.
Se si considera inoltre il fatto che servizi e prodotti
forniti fino ad ora con tecniche diverse potranno convergere
verso la stessa tecnica trasmissiva ed accrescere l'incidenza
su identici mercati, compreso quello pubblicitario, la
conseguenza sarà una rilevante modificazione di questi ultimi
e l'inserirsi nel sistema di nuovi soggetti. In quest'ultimo
caso può trattarsi di imprenditori di telecomunicazioni, di
editori, ma anche di nuovi imprenditori che possono fornire,
sul terminale televisivo, programmi e nuovi servizi anche
interattivi. In un futuro non lontano, si concreterà anche la
possibilità di accedere ad INTERNET mediante un televisore
modicamente più attrezzato. Per quest'ultimo aspetto basta
solo accennare che influenza avrebbe sulla trasmissione di
nozioni la grande diffusione del terminale televisivo rispetto
al computer.
Tutto questo, come accennavamo, induce la necessità che la
normazione del sistema radiotelevisivo sia rapidamente
rinnovata e messa in grado di accogliere le nuove tecniche, le
complesse modificazioni dei soggetti che vi operano, o che
sopravvengono, e le variazioni di mercato.
Gli obiettivi principali del riassetto possono essere lo
sviluppo del sistema, un'offerta di programmi coerente con
l'interesse generale ad obiettivi di evoluzione civile e
democratica, un nuovo servizio pubblico tutelato rigorosamente
da ingerenze politiche di parte.
Il nostro settore radiotelevisivo è, come si è accennato,
troppo contratto e lascia perciò poco spazio economico ad una
adeguata molteplicità di soggetti e ad una loro aperta
concorrenza. Lo sviluppo economico del settore è quindi una
delle premesse importanti, anche se non esaustiva, per un
aumento della offerta di programmi ed una sua conseguente
molteplicità di contenuti e di fonti, ma anche per un aumento
complessivo del fatturato del sistema che consenta appunto la
equilibrata presenza di soggetti più numerosi e sia fattore di
crescita economica generale. Questo sviluppo, peraltro
ovviamente legato ad alcuni aspetti di fondo del nostro
sistema economico, molto si può giovare della evoluzione
tecnica che la ricerca scientifica e tecnologica mettono a
disposizione. Per questo motivo l'imprenditorialità privata,
l'impegno finanziario pubblico e l'iniziativa politica devono
mirare alla promozione della tecnica digitale nella
trasmissione per onde hertziane ed alla evoluzione della
trasmissione per rete. E però, condizioni di particolare
limitazione delle risorse complessive, non solo trasmissive,
pongono l'esigenza di precise norme contro le posizioni
dominanti anche in relazione alla delicatezza dei prodotti
della comunicazione ed al loro stretto rapporto con la
condizione civile e democratica. Occorre definire mercati in
grado di garantire aperta concorrenza fra soggetti molteplici
per numero e caratteristiche, garantendo alla base del sistema
il disposto costituzionale della libertà di impresa, ben
consapevoli però che la concorrenza non garantisce
necessariamente il pluralismo politico, sociale, culturale,
religioso. Da questo consegue che l'attenzione al pluralismo
dovrà essere cura più particolare, rispetto al sistema in sé,
delle attività di servizio pubblico e queste devono essere
oggetto di rigorosa tutela rispetto alle ingerenze politiche
di parte.
L'offerta complessiva di programmi è oggi molto
influenzata da due importanti tendenze. La prima è la
promozione pubblicitaria che ha bisogno di raggiungere
quantità e qualità di pubblico adatta alla commercializzazione
dei prodotti e quindi di programmi funzionali a questo fine e
che, perciò, non possono certo essere prioritariamente
informati all'obiettivo di comunicare valori largamente
condivisi.
L'altra è una tendenza con aspetti, diciamo così,
intimisti, molto studiata nella società moderna, che tende a
misurare la società in termini psicologici, come se contassero
quasi solo le circostanze immediate della vita. Il rischio
correlato a questi programmi è che i valori sociali siano
intesi come prodotti dei sentimenti individuali e che ne
derivi una grande difficoltà a diffondere valori
collettivi.
Questa situazione rende necessari programmi che,
nell'interesse generale, inseriscano nella offerta complessiva
un flusso consistente di contenuti ispirati a valori sociali
largamente condivisi: anche da questo deriva la
indispensabilità della attività di servizio pubblico. Questo
flusso di programmi deve fare riferimento ad indirizzi
generali, non condizionati dalla contingenza politica e della
semplice maggioranza parlamentare, ma relativi ai tratti
fondamentali della identità del nostro Paese ed a valori ed
obiettivi largamente condivisi. Questi indirizzi devono essere
emessi da un organo inequivocabilmente abilitato ad
interpretare i princìpi generali disposti in legge, la
Commissione per l'indirizzo generale e la vigilanza dei
servizi radiotelevisivi, di seguito denominata "Commissione
parlamentare di vigilanza", ed essere formulati in modo da non
interferire sulla responsabilità professionale della società
concessionaria rispetto alla loro attuazione.
E' evidente che per esercitare questa funzione di
riequilibrio complessivo dei programmi l'attività di servizio
pubblico non può essere destinata ad una audience
ristretta o per tipologia dei programmi o per tempo di
trasmissione. E' altrettanto evidente che la riproposizione di
grandi obiettivi di servizio pubblico pretende che questo sia
salvaguardato da ingerenze politiche di parte. Ci siamo perciò
posti di raggiungere almeno questi obiettivi:
1) ricondurre nell'alveo parlamentare, con esercizio
della maggioranza qualificata, la responsabilità della nomina
degli organi responsabili del servizio pubblico
radiotelevisivo e dell'indirizzo e controllo dei suoi
programmi;
2) eliminare interferenze nello stesso da parte
dell'Esecutivo;
3) coinvolgere (e garantire) tutte le forze parlamentari
nella responsabilità dell'indirizzo e del controllo, come sarà
meglio chiarito in seguito;
4) assicurare la corretta gestione del servizio
pubblico, del suo finanziamento con conseguente certezza delle
entrate. Abbiamo ritenuto che una Fondazione, titolare delle
azioni, e separata dalla gestione, corrisponda meglio di altre
soluzioni ad una funzione di duplice garanzia: nei confronti
della Commissione parlamentare di vigilanza, per la
correttezza gestionale del servizio pubblico, e nei confronti
della società RAI per l'eliminazione di indebite influenze
politiche di parte o dell'Esecutivo.
Come si dirà meglio in seguito pensiamo sia utile affidare
al dibattito parlamentare la considerazione che la soluzione
del problema che abbiamo inteso affrontare con la istituzione
della Fondazione ammette di essere valutata anche alla luce
del nuovo diritto societario (modifica del codice civile
introdotta con il decreto legislativo n. 6 del 2003) che
istituisce una nuova figura giuridica di società per azioni
(spa) con un sistema dualistico di amministrazione e
controllo. Siamo anche ben consapevoli che questa soluzione
potrebbe riportare il meccanismo entro i binari del diritto
comune e però, pur considerando aperta la soluzione, ci sembra
che la Fondazione risolva meglio il problema.
Conclusivamente non riteniamo velleitaria l'ipotesi di un
equilibrio virtuoso, usufruendo anche della inevitabilità di
importanti modificazioni di assetto del sistema
radiotelevisivo, che contestualmente avvalori pluralismo,
sviluppo, concorrenza, indipendenza della società
concessionaria dall'ingerenza politica di parte e rispetto
dell'autonomia professionale.
Il Governo del servizio pubblico radiotelevisivo.
La proposta di legge intende fissare (articolo 1), in
primo luogo, i princìpi generali che informano il sistema
radiotelevisivo ed il suo inserimento nel delicato campo della
libertà di trasmissione del pensiero e dell'informazione,
nella consapevolezza dello straordinario rilievo che essa ha
assunto nella formazione delle idee, del consenso, e, in
definitiva, nella stessa forma di democrazia presente negli
ordinamenti più evoluti della tradizione occidentale.
Si indicano i principali, ma non esaustivi, profili di
questi princìpi che si applicano indifferentemente al servizio
pubblico come agli esercenti privati: alla libertà d'impresa e
di garanzia di concorrenza come momenti importanti ma non
esaustivi della libertà di espressione e di opinione, si
accompagna quindi l'obbligo (che in sostanza è un vincolo)
della apertura alle diversità politiche, sociali e culturali
che caratterizzano in modo inscindibile la moderna società
democratica. Al comma 2 si prevedono ulteriori finalità e
vincoli allo strumento radiotelevisivo che attengono ai
contenuti (pari opportunità nella comunicazione elettorale e
politica, tutela dei minori, rispetto delle minoranze), alla
modalità di azione degli operatori (correttezza professionale,
completezza dell'informazione), alla rappresentazione dei
fatti (veridicità). Conseguenza dell'allargamento non
anarchico dell'attività radiotelevisiva è la progressiva
riduzione della sfera d'imperio preventiva dello Stato
(articolo 2): dalla attuale concessione per la diffusione in
tecnica analogica si prevede il passaggio alla più semplice
licenza per la tecnica digitale in considerazione della
sostanziale libertà dell'uso di questa tecnica, garante di per
sé di concorrenza ed ostacolo a facili monopoli od oligopoli,
il cui rilascio è affidato all'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni.
Nel nuovo quadro di assetto del sistema, e, più in
generale, della loro posizione nella organizzazione
costituzionale, anche le regioni devono essere chiamate ad
assumere responsabilità di indirizzo politico: ci è sembrato
necessario affidare, con l'articolo 3, alle loro decisioni, la
disciplina dell'attività radiotelevisiva locale, nell'ambito
ovviamente delle leggi di principio statali. L'attività
regionale deve rispondere a particolari caratteristiche: in
primo luogo, deve costituire il luogo privilegiato della
valorizzazione delle culture regionali e locali. Si è previsto
di mantenere nell'ambito nazionale la procedura di
assegnazione delle radiofrequenze da destinare a ciascuna
regione o provincia autonoma e di prevedere il parere della
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le province autonome di Trento e di Bolzano, tramite un
apposito Comitato per il coordinamento, sulla proposta di
concessioni, licenze ed autorizzazioni da parte dell'Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni. Integrano il quadro della
partecipazione regionale le disposizioni dell' articolo 9,
comma 8, che pone l'obbligo al contratto di servizio stipulato
con la RAI per la gestione del servizio pubblico
radiotelevisivo dell'individuazione di spazi della
programmazione nazionale dedicati alla valorizzazione della
identità nelle regioni e nelle province autonome, il cui
indirizzo è demandato alle determinazioni della Conferenza dei
presidenti d'assemblea, dei consigli regionali e delle
province autonome, che delibera a maggioranza dei due
terzi.
Gli articoli 7, 8 e 9 rivisitano profondamente il sistema
di governance dell'intero servizio pubblico
radiotelevisivo.
Il primo nodo da sciogliere riguarda la opportunità che il
capitale azionario della società RAI rimanga nella esclusiva
disponibilità dello Stato, per il tramite del Ministero
dell'economia e delle finanze. Se si prescinde dai profili
squisitamente (quanto virtualmente) patrimoniali di questa
titolarità, rimane il fatto che per quanto il Ministero non
eserciti poteri sostanziali nei confronti della società di cui
è proprietario quasi esclusivo, la titolarità astratta in capo
al Governo si pone in contraddizione con il principio
affermato da oltre venticinque anni dalla Corte costituzionale
della netta prevalenza del Parlamento nella funzione di
indirizzo e controllo nei confronti dell'esercente il servizio
pubblico; e costituisce, indirettamente, una lata
giustificazione di imprevedibili, ma concreti, poteri o
influenze di altri organi dell'Esecutivo che si aggiungono,
aumentandone la confusione, ai vari organi che in base ad una
normativa non sempre coordinata, sono titolari di segmenti di
potere. E' apparsa soluzione più adeguata eliminare questa
sorta di cordone ombelicale, costituendo una Fondazione alla
quale affidare l'intero pacchetto azionario statale,
assicurando il suo finanziamento per il tramite del versamento
di una minima quota (pari all'uno per cento) dei proventi del
canone di abbonamento, la cui riscossione rimane affidata alla
società concessionaria.
A questa Fondazione sono attribuiti significativi poteri
sulla organizzazione societaria della società RAI, che rimane
titolare della concessione di gestione del servizio pubblico
radiotelevisivo: la nomina dell'amministratore unico della RAI
e del relativo collegio sindacale, l'approvazione del
bilancio, la garanzia degli equilibri di bilancio. L'organo di
direzione della Fondazione, denominato "comitato direttivo", è
formato da cinque membri, tutti nominati dalla Commissione
parlamentare di vigilanza, quattro dei quali con un sistema di
voto limitato che assicura la rappresentanza della opposizione
mentre il presidente è nominato con la maggioranza di due
terzi, in modo da costituire un punto di assoluta garanzia per
tutte le componenti politico-parlamentari.
Alla Fondazione sono attribuiti, poi, ulteriori quanto
fondamentali poteri, dalla revoca dell'amministratore unico,
obbligata in casi di particolare gravità, alla autorizzazione
della costituzione di società, con partecipazione azionaria
anche di privati, per la gestione di singole attività di
produzione e di commercializzazione. In sostanza, la
Fondazione acquisisce una funzione di duplice garanzia: nei
confronti della Commissione parlamentare di vigilanza, per la
correttezza gestionale del servizio pubblico, e nei confronti
della società RAI e del suo amministratore unico per
l'eliminazione di indebite influenze politiche di parte o
dell'Esecutivo. Come si è già accennato, pensiamo però sia
utile affidare al dibattito parlamentare la considerazione che
la soluzione del problema, che abbiamo inteso affrontare con
la istituzione della Fondazione, ammette di essere valutata
anche alla luce del nuovo diritto societario (modifica del
codice civile introdotta con il decreto legislativo n. 6 del
2003) che istituisce una nuova figura giuridica di spa. In
essa si prevedono un consiglio di sorveglianza che detta la
strategia e un consiglio di gestione, nominato dal consiglio
di sorveglianza, che amministra e gestisce operativamente la
società. Al consiglio di sorveglianza sono attribuite sia
funzioni di vigilanza e la responsabilità del collegio
sindacale, sia larga parte delle funzioni della assemblea
ordinaria (nomina e revoca del consiglio di gestione,
approvazione del bilancio, promozione della azione sociale di
responsabilità) sottraendole alla proprietà, e nel nostro caso
specifico escludendo l'influenza dell'organo
politico-istituzionale, titolare delle azioni della società
RAI, sulla gestione. Il consiglio di sorveglianza potrebbe
essere espressione della Commissione parlamentare di
vigilanza, secondo le modalità indicate, attribuendo ad esso
specifici e codificati poteri di controllo e di supervisione
escludendo diretti poteri di gestione. Il sistema dualistico
di amministrazione e controllo, che è largamente ispirato agli
ordinamenti tedesco e francese e, soprattutto, allo Statuto
della Società europea stabilito dal regolamento (CE) n.
2157/2001 del Consiglio, dell'8 ottobre 2001, attua un modello
di "governance" in cui le più importanti funzioni
dell'assemblea ordinaria, che nel modello tradizionale
spettavano ai soci e, quindi, alla proprietà, sono attribuite
ad un organo quale è il consiglio di sorveglianza. Si tratta
pertanto di un sistema in cui la proprietà non nomina gli
amministratori e non approva il bilancio. Il ricorso a tale
figura societaria riporterebbe il meccanismo entro i binari
del diritto comune ed entro questi è un modello di
amministrazione che tende a realizzare la dissociazione fra
proprietà e potere degli organi sociali: ma avrebbe bisogno di
essere rivisitato per adeguarlo compiutamente alle esigenze
del servizio pubblico radiotelevisivo.
Innovazioni altrettanto profonde sono apportate alle
funzioni ed alla organizzazione della società RAI. Fulcro
della nuova scelta sono state:
1) la considerazione che il futuro avvento della tecnica
digitale dovrebbe consentire di uscire da un sistema di
duopolio consensuale, i cui frutti, in termini di qualità
della programmazione, specie in questo recentissimo periodo,
non sono esaltanti, con un netto ampliamento della
concorrenza, o almeno della concorribilità nel mercato
televisivo;
2) la necessità di recepire le numerose sollecitazioni
dell'Unione europea ad impostare una contabilità separata tra
le risorse di origine pubblica (sostanzialmente canone di
abbonamento) e quelle provenienti dal mercato (pubblicità);
3) la trasparente e conoscibile indicazione dei diritti
e dei doveri del gestore del servizio pubblico, con
l'affermazione del ruolo centrale del Parlamento nella stipula
del contratto di servizio tra Stato e società di gestione;
4) la rivitalizzazione della centralità del Parlamento
nell'indirizzo e controllo sul servizio pubblico.
In questo quadro generale vanno lette le numerose
disposizioni recate dagli articoli 5, 6, 7, 8 e 9 della
proposta di legge in materia.
Lo schema organizzativo dell'azienda (articolo 8) dovrà
garantire unitarietà strategica e operativa, assicurata dalla
politica editoriale di reti e di testate autonome e
culturalmente aperte ad apporti equilibratamente pluralisti.
Questa esigenza sarà perseguita attraverso una forte
responsabilizzazione gestionale dell'amministratore unico che
si avvarrà dei direttori di reti e di testate per il
raggiungimento degli obiettivi informativi, educativi,
culturali e di intrattenimento formulati dalla Commissione
parlamentare di vigilanza per le attività di servizio pubblico
e di una adeguata qualità dei programmi per quelle rivolte al
mercato.
Obiettivi di servizio pubblico e attività rivolte al
mercato dovranno essere distinti, nell'operatività della RAI,
tanto dal punto di vista della loro efficacia quanto dal punto
di vista del loro finanziamento. E' una esigenza questa che
risponde in primo luogo alla domanda dei cittadini di
conoscere i fini e le modalità con cui vengono spesi i soldi
da essi versati attraverso il pagamento del canone: ma è anche
una scelta gestionale che viene incontro alle prescrizioni
che, sulla materia, ispira la normativa comunitaria orientata
alla netta separazione contabile tra risorse pubbliche e
risorse provenienti dal mercato.
Separazione contabile delle risorse, unitarietà aziendale
ed editoriale, garanzie di compatibilità e di efficienza
gestionale saranno garantite dalla creazione, all'interno
della RAI, di distinte divisioni cui faranno capo,
separatamente, le risorse finanziarie, umane e produttive
destinate alle attività di servizio pubblico e a quelle di
carattere commerciale. Sulla base dei piani editoriali
presentati dalle reti e dalle testate e approvati
dall'amministratore unico dopo le verifiche di compatibilità
complessiva, le divisioni erogheranno e renderanno disponibili
alle reti e alle testate le risorse necessarie per la
realizzazione dei loro piani di produzione e di acquisto,
verificando, nell'attuazione dei progetti approvati, che le
compatibilità singole e complessive vengano rispettate.
L'offerta della RAI, articolata per reti e testate
singolarmente ed unitariamente responsabili della politica
editoriale, risulterà così articolata - anche all'interno
delle singole strutture di programmazione - in aree di
servizio pubblico e aree di programmazione di carattere
commerciale: queste ultime saranno regolate dalle norme
generali sulla materia, ma potranno garantire un forte
rapporto con le attività di servizio pubblico in modo da
favorire anche il perseguimento degli obiettivi specifici di
questo. Gli obiettivi, infatti, non saranno esclusivamente
misurati sulla base della coerenza dei contenuti, della
quantità delle ore e delle risorse destinate: ma anche dalla
efficacia delle politiche comunicative adottate, di cui i
risultati di ascolto sono un elemento non irrilevante.
Un punto qualificante riguarda il ruolo della Commissione
parlamentare di vigilanza che viene razionalizzato e
rivitalizzato da un sistema che, eliminate le confusioni
preesistenti tra poteri e responsabilità di organi non
omogenei, incentra tutti i poteri di indirizzo e controllo nel
Parlamento e per esso, secondo prassi cinquantennale, in
questa Commissione bicamerale. Centralità questa che se trova
legittimazione nel particolare rilievo nel nostro sistema
democratico di una forte presenza pubblica nel settore della
informazione radiotelevisiva, impone la ricerca del più ampio
consenso nelle decisioni assunte in sede parlamentare. Di
conseguenza l'esercizio dei più qualificanti poteri non è mai
rimesso alla volontà della maggioranza (anche se occasionale)
ma impone un consenso molto ampio, in genere elevato ai due
terzi dei membri dell'organo.
Ciò premesso, si è ritenuto necessario prevedere la
partecipazione della Commissione ai principali snodi della
vita e della gestione del servizio pubblico, quali:
1) nella vita della Fondazione, la Commissione, come già
rilevato, ha il compito di eleggere i membri e il presidente
del comitato direttivo, con le particolari maggioranze
indicate dall'articolo 7, comma 2, e di provvedere alla loro
sostituzione;
2) nell'attività della società RAI, la Commissione è
l'unica titolare del potere di indirizzo, tramite
l'approvazione di indirizzi generali, adottati sulla base di
un'ampia istruttoria che preveda anche la predisposizione
periodica (triennale) di un libro bianco sullo stato del
sistema delle comunicazioni finalizzato alla verifica degli
orientamenti e delle aspettative dell'opinione pubblica
nazionale. Provvede, inoltre, all'approvazione del contratto
di servizio predisposto dal Governo, ne controlla la corretta
attuazione e riceve i rapporti annuali sul sistema delle
comunicazioni predisposti dall'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, nonché i referti sull'uso delle risorse
pubbliche deliberati dalla Corte dei conti;
3) nei collegamenti con la Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni.
La disciplina del periodo transitorio e norme
antitrust.
La disciplina del periodo transitorio deve essere tenuta
in considerazione anche per un corretto ed equilibrato
sviluppo del nascente mercato della televisione via etere in
tecnica digitale. A tal fine è necessario elaborare regole
certe e precise sia per la fase di transizione dall'analogico
al digitale sia per la fase successiva in cui sarà completato
il trasferimento da una tecnologia all'altra.
In particolare, il periodo transitorio è qualificato dalle
seguenti previsioni normative:
a) viene mantenuto nella misura del 20 per cento
dei programmi irradiati il limite alle concentrazioni nella
televisione in chiaro in tecnica analogica, prevedendo che
alla restituzione dei titoli abilitativi da parte dei soggetti
che superino quei limiti segua una procedura di assegnazione
delle frequenze che dovrà assicurare una pluralità di
operatori; con riferimento alle diffusioni in tecnica digitale
il limite alle concentrazioni viene fissato nel 15 per cento
del totale dei programmi televisivi irradiati via etere
terrestre in tecnica digitale;
b) viene mantenuto il tetto alla raccolta di
risorse fissato dalla legge 31 luglio 1997, n. 249, con
riferimento ai singoli mercati come individuati nella stessa
legge;
c) non viene indicata una data precisa per il
completo trasferimento da una tecnologia ad un'altra; si
confida però che il sistema di incentivi (diretti e indiretti)
previsto sino al 31 dicembre 2006 consenta una conclusione
rapida del processo. Si prevedono in particolare incentivi di
natura economica (contributi statali alla sostituzione degli
apparati ricevitori-decodificatori) e amministrativa
(l'applicazione delle procedure di cui al decreto legislativo
n. 198 del 2002), e si consente inoltre un mercato secondario
per l'uso delle frequenze più ampio rispetto a quello
attualmente ammesso dall'articolo 2-bis, comma 2, del
decreto-legge n. 5 del 2001, convertito, con modificazioni,
dalla legge n. 66 del 2001, consentendo anche agli operatori
nazionali di vendere tali diritti d'uso ad altri operatori
nazionali a condizione che le frequenze vengano utilizzate
esclusivamente per la diffusione sperimentale in tecnica
digitale;
d) si consente, sin dalla fase di sperimentazione,
l'ingresso di nuovi operatori, attribuendo anche a questi
ultimi la facoltà di richiedere la relativa abilitazione
nonché di acquistare sul mercato i diritti d'uso delle
frequenze necessarie (mediante un ulteriore allargamento
soggettivo dell'istituto del trading delle frequenze
disciplinate del citato decreto-legge n. 5 del 2001). Si
realizzano così i presupposti per una piena apertura del
mercato delle reti DTT che dia spazio a nuovi potenziali
investitori;
e) si stabilisce il principio che le frequenze
radioelettriche terrestri utilizzate in tecnica analogica, in
quanto risorsa scarsa, non possano essere destinate ad una
offerta televisiva a pagamento. Quale conseguenza di tale
divieto si prevede la restituzione dei titoli abilitativi per
le pay tv analogiche terrestri e una procedura di
assegnazione delle frequenze così restituite che dovrà
assicurare una pluralità di operatori;
f) per il periodo transitorio si è ritenuto
opportuno mantenere il rispetto dei contenuti fondamentali del
regolamento di cui alla deliberazione dell'Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni n. 435/01/CONS del 15 novembre
2001, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta
Ufficiale n. 284 del 6 dicembre 2001, con obblighi (quali
la riserva di blocchi di diffusione per gli operatori
indipendenti da parte dei soggetti titolari di più di una
concessione o di una concessione e una autorizzazione e per
gli operatori locali) che garantiscono, anche nella fase
sperimentale, la crescita di un mercato concorrenziale almeno
nel settore dei contenuti e dei servizi;
g) sempre con riferimento alla fase di
sperimentazione, quanto specificamente agli operatori di rete,
si fissano dei limiti alle risorse che possono far capo ad uno
stesso soggetto, sia stabilendo che ciascun operatore non può
acquistare sul mercato frequenze per più di un multiplex
a diffusione nazionale, sia fissando un limite al numero di
multiplex nazionali che comunque possono far capo allo
stesso soggetto;
h) nella fase transitoria non sono previsti
obblighi di simulcast, per evitare che gli operatori
siano costretti a riproporre i canali analogici, riducendo
l'appeal della nuova tecnologia e le possibilità di
fornire servizi nuovi caratterizzati anche da un maggior grado
di interattività;
i) la riserva da parte degli operatori di rete di
una quota della capacità trasmissiva (40 per cento) in favore
dei fornitori di contenuto indipendenti viene prevista anche
con riferimento alla fase "a regime" e graverà sugli operatori
di rete che siano titolari di più di una licenza per l'uso
delle frequenze per le diffusioni in tecnica digitale;
l) sempre nella fase a regime del digitale, in
assenza di una effettiva concorrenza nel mercato delle reti
televisive digitali (avendo riguardo anche alle reti via cavo
e via satellite) si impongono incisivi obblighi a tutela dei
fornitori di contenuto che vincolano la remunerazione ai soli
costi incrementali di lungo periodo per la realizzazione delle
strutture;
m) in materia pubblicitaria, vengono agevolate le
emittenti locali mediante la possibilità di avvalersi - nei
limiti concentrativi previsti - di una concessionaria di
pubblicità nazionale, e viene mantenuto (ma reso asimmetrico)
il divieto di incroci tra la proprietà o il controllo di
emittenti televisive e di quotidiani;
n) ispirandosi al principio della neutralità
tecnologica, si stabiliscono meccanismi di incentivazione allo
sviluppo della televisione digitale (specie con riferimento ai
set top boxes) che non operino discriminazioni tra le
varie tecnologie in grado di distribuire i programmi
televisivi. Promuovendo una maggiore concorrenza tra
piattaforme tecnologiche in ultima istanza si persegue
l'obiettivo di un più elevato grado di pluralismo esterno,
grazie all'aumento degli spazi diffusivi;
o) la proposta di legge vuole infine creare le
condizioni favorevoli affinché vi sia un rapporto maggiormente
equilibrato fra network televisivi (anche a pagamento) e
produttori di audiovisivo che rappresentano una risorsa
fondamentale per l'industria e la cultura del nostro Paese.
Onorevoli colleghi, la proposta di legge che sottoponiamo
al vostro giudizio ed alla vostra approvazione si inserisce in
un complesso tessuto normativo che si è consolidato in altre
leggi di sistema che, nell'ultimo decennio, hanno qualificato
l'intervento pubblico in questo delicato settore; non poche di
quelle disposizioni, ampiamente sperimentate negli anni,
mantengono la loro validità e la loro attualità ed hanno
indotto i proponenti a non riproporle in questo testo, che
pure è connotato da forti contenuti innovativi, specie sui
profili di governo del servizio pubblico e di apertura alle
innovazioni tecnologiche e ad un reale pluralismo di attori.
Riteniamo, pertanto, che la difficile opera di composizione
del sistema a seguito dell'approvazione di questa nuova legge
e la connessa individualizzazione della abrogazione delle
norme superate e incompatibili possa e debba essere fatta nel
corso dell'iter di approvazione quando, con il
fondamentale contributo del dibattito parlamentare, si sarà
meglio definito il rapporto di compatibilità tra vecchio e
nuovo sistema.