XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 3434
Onorevoli Colleghi! - La proposta di legge recante
"Legge-quadro sull'ordinamento della polizia locale" è
composta da sedici articoli, ossia da due articoli in più,
rispetto alle precedente (ed ancora vigente) legge-quadro 7
marzo 1986, n. 65.
Considerandosi, altresì, che l'ultima disposizione
(articolo 16) è interamente dedicata a "Abrogazioni e
modifiche", la differenza con la legge n. 65 del 1986 risulta
effettivamente minima sul piano dell'estensione
dell'articolato, e ciò per motivazioni ben precise.
Intanto, si è inteso rispettare rigorosamente il criterio
stesso della legge-quadro, ovvero di un tipo particolare di
legiferazione volta istituzionalmente a dettare norme generali
e disposizioni di ampio respiro che permettano, concretamente,
alle singole potestà regionali di esercitarsi con un buon
livello di autonomia normativa. Viceversa, come si è
registrato in alcuni, più o meno recenti, progetti della
riforma della legge n. 65 del 1986 (esempio la "proposta di
legge dell'onorevole Massa" e le varie proposte di legge
unificate della precedente legislatura), a prescindere da ogni
valutazione di merito dei loro contenuti, regolamentazioni
troppo dettagliate e testi eccessivamente pletorici avrebbero
finito per sottrarre o, comunque, mortificare proprio quegli
spazi di autonomie che costituiscono, tutto sommato, lo
spirito medesimo del modello della legge-quadro.
A) Finalità e obiettivi.
La proposta di legge in oggetto, dal punto di vista
storico-istituzionale, rappresenta una decisiva svolta nella
strutturazione e nel ruolo stesso della funzione della polizia
locale, giacché essa, seppur originatasi come riforma della
previgente normativa, prevista dalla legge n. 65 del 1986 e
limitata a compiti di mero coordinamento (spesso rimasti sulla
carta, per di più, data la mancanza di un regolamento di
attuazione della suddetta legge), attribuisce - o meglio,
restituisce alla regione il suo più autentico ruolo di fonte
legislativa e di entità costituzionale riconoscendole una
"potestà" (e non un semplice esercizio delegato, o
sub-delegato, di singole ed eterogenee funzioni) di "polizia"
paritetica a quella statale, pur nelle forme e nei limiti
della "polizia locale".
Da questa prima affermazione derivano, quindi, i seguenti
postulati:
a) la potestà di polizia in oggetto deve
intendersi in senso pieno, ovvero sostanziata nella (prima e
fondamentale) "funzione di polizia giudiziaria", definita e
disciplinata dall'articolo 55 del codice di procedura penale e
consistente nella "repressione" di reati in senso lato;
b) la potestà di polizia ricomprende, altresì, la
pubblica sicurezza, da intendere come insieme delle attività
di "prevenzione" di reati e condotte antigiuridiche in
applicazione delle disposizioni del testo unico delle legge di
pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n.
773, e successive modificazioni, di seguito denominato
"TULPS", e delle altre leggi sulla tutela dell'ordine pubblico
e della sicurezza democratica;
c) la medesima potestà si articola poi in altri
rami di intervento, preventivo e repressivo, disciplinati
dall'ordinamento e di specifica competenza degli enti locali,
dalla polizia stradale alla polizia edilizia, dalla polizia
tributaria (imposte locali) a quella ambientale, la cui
legittimità ed operatività dipendono, tuttavia, sempre
costantemente, dalla "titolarità" della funzione di polizia
giudiziaria che è il vero cardine istituzionale dell'intero
assetto normativo.
Con tali presupposti, che - nell'ambito strutturale della
Repubblica - consentono di individuare nella regione una
"sovranità" giuridica per quanto attiene alla potestà di
polizia e che trasformano radicalmente ogni preesistente
schema di "subalternità, concorrenza o sussidiarietà"
(versione appena edulcorata del trasferimento di competenze
residuali) fra la regione e lo Stato, si evince, tra l'altro,
l'inadeguatezza o, meglio, il doloso riduzionismo della
sedicente "riforma costituzionale" varata, previo
referendum confirmatorio nel 2001. Più precisamente,
anzi, quella "riforma" - che, a molti, è parsa finalizzata
"esclusivamente" a colpire nascenti o, addirittura, già
esistenti, autonomie regionali sancite dalla Costituzione del
quarantotto, spacciando il tutto per "federalismo" (!) - ha
mirato a stravolgere il significato stesso della potestà di
polizia locale, aggiungendovi l'aggettivo "amministrativa".
Orbene, come è stato doviziosamente illustrato in diverse
sedi, quell'aggettivo che, sotto il profilo contenutistico, è
praticamente privo di significato (una funzione di polizia
amministrativa non esiste!) ma, sotto quello
politico-istituzionale riveste un ruolo devastante per la
corretta identificazione e qualificazione della potestà di
polizia, aveva il solo scopo di degradare funzioni, compiti,
attività e servizi della polizia locale al rango di strutture
burocratiche desautorate di qualsivoglia effettivo potere in
campi come la sicurezza pubblica, l'espletamento di indagini e
la tutela del cittadino contro condotte illegali.
Tale esperimento - che, secondo gli intendimenti dei suoi
artefici, avrebbe dovuto completare il piano di accerchiamento
di annientamento delle autonomie locali (sempre mascherato da
"federalismo"!) intrapreso dalle "leggi Bassanini" e dalle
normative limitrofe - può, peraltro, considerarsi concluso
dall'approvazione della nuova riforma dell'articolo 117 della
Costituzione che elimina, giustappunto, il citato
aggettivo.
Nondimeno, emergendo alcuni inquietanti segnali di
proposte di legge che, pur nel mutato quadro legislativo
dell'approvazione della devolution, sembrerebbero
reiterare le nequizie della passata gestione
politico-centralista, è opportuno, se non necessario,
formulare esplicitamente il concetto istituzionale di una
"polizia locale a struttura regionale dotata di pieni poteri e
di piene funzioni" di polizia giudiziaria e di pubblica
sicurezza, nonchè di polizia stradale altresì dotata di poteri
e funzioni anche in altri rami dell'intervento penale,
preventivo e coercitivo nei confronti di reati, consumati o
tentati, e di situazioni rischiose per la pubblica
incolumità.
A tale fine, la presente proposta di legge si incarica di
riportare chiarezza non soltanto per quanto concerne il ruolo
(legislativo, organizzativo e direttivo) della regione nella
gestione della potestà di polizia locale ma, anche e
soprattutto, di ridefinire quelle funzioni (e le relative
qualifiche) e quei compiti in un progetto di "miglioramento"
(e non di peggioramento) delle soluzioni adottate dalla
precedente legge-quadro n. 65 del 1986.
B) Funzioni e strutture.
La riattribuzione delle peculiari prerogative della
potestà di polizia locale, alla regione ed agli enti locali,
nell'ambito delle rispettive competenze, parte dal dato
essenziale di un "criterio distributivo" delle funzioni di
polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza e delle attività
connesse fra lo Stato e le regioni.
Preliminarmente, occorre sgombrare il campo da sofismi
dottrinali e da frodi ideologico-giuridiche che, sulla scia (e
l'ispirazione) delle "leggi Bassanini", hanno preteso di
smembrare le nozioni stesse di ordine pubblico, nonché di
prevenzione e di repressione dei reati, a seconda dell'ente
deputato alle relative attività. Infatti, come può leggersi
nel testo della legge n. 59 del 1997 ("Bassanini-ter"),
l'ossessione di demandare solo allo Stato, ogni materia di
(vera) polizia porta, addirittura, ad invertire l'ordine delle
parole, per cui allo Stato medesimo competerebbe la "pubblica
sicurezza", mentre alle regioni, ai comuni, e alle province
sarebbe da attribuire unicamente la "sicurezza pubblica" che,
peraltro, filtrata dalla priorità della "politica
amministrativa" non significa, praticamente nulla. Orbene, a
parte il delirio di onnipotenza della suddetta legislazione
che pretenderebbe di dividere "per categorie" (e, quindi, per
organi titolari dei relativi poteri) beni giuridici identici
(la vita umana, l'incolumità dei cittadini, la pace sociale,
eccetera, non divergono in base alla tipologia degli autori
del delitto e la microcriminalità uccide "come e quando" la
"macro"!), deve pur osservarsi che le pubbliche funzioni (e
quella di polizia, innanzitutto) non sono né scomponibili, né
frazionabili, conseguentemente, piaccia o meno, l'attività di
polizia giudiziaria disegnata, nei suoi presupposti e scopi,
dall'articolo 55 del codice di procedura penale, non può
essere sottoposta a "limitazioni" per gruppi di reati ed
attiene, per ulteriore consequenzialità, a tutti i delitti e
le contravvenzioni previsti dal codice penale, dal TULPS e
dalle leggi complementari o speciali.
Che poi, per motivi logistici o strategici, possano
stipularsi accordi operativi, tra polizie locali e polizie
statali, è problema puramente organizzativo che non tocca (e
non può toccare) la qualità e la pienezza delle funzioni
espletate dai vari organismi.
Pertanto, come espresso dalla presente proposta di legge,
le qualifiche e le funzioni di polizia giudiziaria, pubblica
sicurezza, eccetera, vanno garantite integralmente, seppur con
la limitazione "territoriale" della regione di appartenenza e,
naturalmente, senza restrizioni temporali sul modello
dell'articolo 57 del codice di procedura penale ora vigente e
latore della (ridicola) disposizione dell'"orario di
servizio".
L'elemento più importante, tuttavia, per tale
riattribuzione deve essere individuato nella qualifica di
pubblico ufficiale, per gli operatori di polizia locale, dalla
quale è imprescindibile il "ritorno nel pubblico", ovvero
l'estensione dello stato giuridico pubblicistico assegnato
alla altre Forze di polizia della "legge Amato" del 1993 e
dall'attuale decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
(articolo 3). Deve, peraltro, osservarsi che questa estensione
del regime e delle prerogative pubblicistici è un semplice
"ripristino" della regolamentazione delle polizie locali
precedente il 1993 e che, prima ancora di sostanziare un
miglioramento per gli operatori (in termini di status,
di retribuzione e di indennità), rappresenta una
"restitutio in integrum" dello stesso ente locale che,
dalla legge "legge Amato" ad oggi, si è trovato a gestire
personale (coercitavamente), confinato in un limbo normativo
privato/pubblico/semi-pubblico, altrimenti inedito per la sua
assurdità. Nondimeno, proprio in nome di un'innovazione
destinata ad elevare, giuridicamente e professionalmente, le
polizie locali, il suddetto "ritorno nel pubblico" (articolo 5
della presente proposta di legge), costituisce l'unico,
autentico, strumento di evoluzione della categoria.
Capovolgendosi, altresì, in qualche misura, i criteri
delle "leggi Bassanini" alle regioni vanno riconosciute talune
"competenze esclusive" nel campo della polizia locale: così,
accanto al perseguimento di reati e di illeciti rientranti
nella giurisdizione del giudice di pace, la regione dovrà
svolgere funzioni proprie in tema di armi, licenze, flussi
migratori e materie come la polizia stradale dando,
finalmente, attuazione a quella norma del decreto legislativo
n. 285 del 1992 (articolo 11) che riserva competenza esclusiva
ai comuni per la gestione della viabilità (comprese le multe
ed i relativi introiti) nei centri abitati.
Inoltre, con l'introduzione di una speciale deroga
all'articolo 109, comma 2, del testo unico di cui al decreto
legislativo n. 267 del 2000 (divieto di immettere nei corpi di
polizia locale, livelli dirigenziali, personale proveniente da
altri settori amministrativi), dovrebbe definitivamente
precludersi l'indecente ricorso alla mobilità orizzontale che
vede la copertura di posti di estrema delicatezza e
specificità di funzioni da parte dei dirigenti del catasto o
della nettezza urbana.
Sempre riguardo alle funzioni di polizia locale, infine,
una particolare attenzione viene rivolta alla questione
dell'armamento: è nota, in proposito, la lunga querelle
sulle "motivazioni" e sugli obiettivi funzionali della
dotazione di strumenti di offesa e difesa del personale di
polizia locale.
E' altrettanto notoria la posizione (di quanti si
oppongono a ciò) di prospettare l'armamento come limitato a
poche unità e, soprattutto, come modalità di "legittima
difesa" sul modello del privato munito di porto di pistola.
Questa teoria è falsa e tendenziosa. L'armamento della polizia
locale - già esplicitamente previsto per tutti gli operatori
dall'articolo 53 del codice penale ("Uso legittimo delle
armi") ove ne ricorrano i presupposti materiali e
circostanziali.
A tale fine, la presente proposta di legge, in luogo di
dedicarvi una regolamentazione apposita, "normalizza" la
questione riportandola (articolo 4) nell'ambito delle
disposizioni sulle qualifiche.
C) Ruolo della regione.
La presente proposta di legge mira all'istituzione di una
polizia locale ad ordinamento regionale in cui la provincia,
l'area metropolitana ed il comune (singolo od associato)
rivestono un ruolo operativo ed organizzativo opportunamente
coordinato e disciplinato da regole e direttive omogenee per
l'intero territorio. Quindi, accanto alla standardizzazione di
mezzi (veicoli), strumentazioni (armi e supporti logistici),
uniformi e contrassegni, il regime giuridico (nonché
assicurativo, previdenziale ed economico) deve essere
egualmente pianificato dai competenti organi regionali. Allo
scopo di rendere effettivi il coordinamento e la
standardizzazione dei servizi e delle attività, presso ogni
regione è istituito un dipartimento della polizia locale,
dotato di proprie autonomie, gestionali ed amministrative,
come definito all'articolo 8.
Particolare rilievo, inoltre, viene conferito (articolo 9)
alla formazione professionale degli operatori che, peraltro,
non si limita alla conduzione di qualche corso di
aggiornamento, estemporaneo e frazionato, bensì comprende
l'istituzione di accademie e di istituti superiori e di lauree
brevi in grado di rilasciare titoli scolastici ed accademici
validi.
In ultimo, si prevede l'istituzione di un ente nazionale
di assistenza (articolo 13) per il personale di polizia locale
che offra a questo le stesse agevolazioni, provvidenze e
sgravi di oneri familiari sanciti per tutti gli appartenenti
alle altre Forze di polizia.