XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 2431
Onorevoli Colleghi! - Il personale appartenente ai
corpi e ai servizi di polizia municipale e locale,
disciplinato dalla legge quadro 7 marzo 1986, n. 65, è
dipendente dai comuni e dalle province ed inquadrato
genericamente nel comparto nazionale denominato "regioni ed
autonomie locali". I lavoratori di questa categoria e per essi
le organizzazioni sindacali da tempo rivendicano un
trattamento economico, previdenziale ed assistenziale, pari a
quello delle forze di polizia ad ordinamento statale. Tale
richiesta, appare condivisibile considerando che è da decenni
ormai che detto personale è impegnato sempre più nel circuito
della sicurezza pubblica ed i suoi componenti concorrono
nell'azione del controllo del territorio. L'entrata in vigore
della citata legge n. 65 del 1986, ha attribuito a questo
personale le stesse funzioni giuridiche del personale di
polizia ad ordinamento statale; infatti l'articolo 5
attribuisce a tale personale funzioni di polizia locale, di
polizia stradale, di polizia giudiziaria e di pubblica
sicurezza. Il processo di decentramento amministrativo
previsto dalle norme costituzionali, avviato dal 1976
attraverso la legge delega n. 382 del 1975 in attuazione della
quale è stato emanato il decreto del Presidente della
Repubblica n. 616 del 1977, ampliando ancor più le competenze
dei comuni nell'ambito della pubblica sicurezza e portando i
corpi e servizi di polizia municipale al diretto controllo di
tutte quelle attività interessate dalla presenza di sistemi
malavitosi, che in tali circuiti investono e riciclano i
proventi delle attività delittuose, ha accresciuto i compiti
dei corpi di polizia municipale e locale, trasformando questi
lavoratori in veri e propri agenti di polizia e la legge n. 65
del 1986 ne prese atto.
L'attuazione del federalismo, richiede maggiore attenzione
soprattutto nell'indirizzo dell'economia delle risorse umane
ed economiche, non disgiunto dalla necessità di rendere
giustizia a questi lavoratori. E' urgente l'esigenza di
fissare alcuni presupposti, tra i quali la collocazione nel
"nuovo" sistema di sicurezza nazionale, degli oltre 55.000
lavoratori appartenenti alle polizie municipali e locali.
La recrudescenza di ogni forma di illegalità diffusa da
decenni, ha richiesto il sempre più pregnante impegno degli
addetti a questi corpi di polizia nel circuito della sicurezza
pubblica che sempre più concorrono al controllo del territorio
per l'abbattimento dei tassi di invivibilità. La domanda di
sicurezza proveniente dalle comunità locali deve trovare il
pieno coinvolgimento giuridico ed organizzativo delle
istituzioni locali che dovranno impegnare uomini e programmi
per una mutazione dei rapporti tra cittadinanza e forze di
polizia locale al fine di migliorare, in concorso con le Forze
di polizia ad ordinamento civile e militare, il controllo del
territorio. E' nell'ottica di una ricalibratrura delle
funzioni e delle attribuzioni assegnate a questi lavoratori,
pienamente attivi nelle attività finalizzate a garantire la
sicurezza, che va rivisitata la legislazione in materia, anche
in considerazione delle centinaia di "vittime del dovere",
cadute a difesa della civile convivenza, unitamente a quelle
cadute a causa di malattie causate da agenti inquinanti che
hanno prodotto e producono migliaia di lutti e altrettante
malattie fortemente invalidanti, documentate e denunciate da
illustri oncologi, rimaste comunque nel silenzio delle
cronache quotidiane. Da tempo, infatti, l'emergenza
inquinamento delle nostre città ci ha mostrato, attraverso
immagini televisive, operatori di polizia municipale costretti
a operare nel caos cittadino, indossando maschere
antigas al fine di ottenere un minimo di protezione dalle
polveri inquinanti; spesso siamo stati noi stessi spettatori
di accese conflittualità tra agenti e utenti della strada che,
moltiplicate per gli innumerevoli interventi, sicuramente
producono degli effetti negativi sull'organismo, producendo
stati di stress continuo, a tutto danno del sistema
cardiocircolatorio. Eppure ancora non si è riconosciuto a
queste persone lo svolgimento di un lavoro usurante, come agli
appartenenti alle altre Forze di polizia, ponendo i lavoratori
appartenenti ai corpi di polizia municipale e locale sullo
stesso piano contrattuale, assistenziale e previdenziale,
degli impiegati comunali. Alla luce di queste premesse, appare
evidente una disparità di trattamento tra lavoratori, seppure
dipendenti da amministrazioni diverse, che svolgono lo stesso
lavoro, in netta contraddizione con i princìpi fondamentali
solennemente affermati nella Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo approvata dall'Assemblea Generale delle
Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. La dichiarazione sancisce
al punto 23, comma 2, che: "Ogni individuo, senza
discriminazione ha diritto ad uguale retribuzione per eguale
lavoro". La stessa Costituzione italiana, agli articoli 3, 36,
97 e 98 riconosce diritti che sembrano non essere estesi anche
a questi lavoratori. Il mancato inserimento inoltre della
polizia municipale nell'articolo 2 del decreto legislativo n.
29 del 1993 e ribadito dal comma 1 dell'articolo 3 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è conferma della totale
disattenzione che lo Stato ha avuto nei confronti di questa
categoria che ha dovuto subire una contrattualizzazione di
tipo privatistico operando nei fatti, invece, con le stesse
modalità e per gli stessi princìpi, per le quali furono
escluse tutte le figure elencate nel comma citato, comprese le
Forze di polizia ad ordinamento civile e militare. Alcune
organizzazioni sindacali, hanno ritenuto che in applicazione
della legge delega n. 421 del 1992, il Governo abbia ecceduto
nella stessa, non considerando le direttive del Parlamento e
le indicazioni del Consiglio di Stato che nella materia in
questione avevano stabilito dei princìpi ferrei che non
facevano distinzione alcuna tra polizie statali e polizie
locali. Tanto si evince dalla sentenza del TAR del Lazio,
sezione II/bis, del 3 luglio 1997, n. 1512; la sentenza
ha demolito un pericoloso tentativo mirato a distruggere
definitivamente questa categoria trasformandola in una società
per azioni di guardie giurate: "la Istituzione", con tanto di
consiglio di amministrazione. Il TAR, con una sentenza
esemplare, ha bocciato definitivamente questa volontà espressa
per prima dal comune di Roma e probabilmente con lo scopo di
estenderla successivamente a tanti altri comuni. I giudici del
TAR del Lazio hanno sentenziato che l'attività di polizia
rappresenta l'esercizio di una pubblica funzione e non di un
pubblico servizio: sia quando si manifesti come attività di
prevenzione - diretta cioè ad impedire la commissione di reati
e/o comunque, alla violazione o l'inosservanza di norme di
legge o di regolamenti - sia quando si svolga come attività
repressiva o di polizia giudiziaria, la quale interviene dopo
che i reati siano stati commessi, per impedire che siano
portati a conseguenze ulteriori e con lo scopo di assicurare
alla giustizia i responsabili. Successivamente anche la Corte
costituzionale è intervenuta a favore di questi lavoratori
respingendo i dubbi di costituzionalità sollevati in relazione
alla legittimità dell'applicazione dell'articolo 208, comma 2,
lettera a), e comma 4 del decreto legislativo 30 aprile
1992, n. 285 (Nuovo codice della strada). Tali disposizioni
consentono di destinare parte dei proventi delle sanzioni
amministrative pecuniarie previste dal codice della strada a
previdenza integrativa. La Corte ha escluso che l'applicazione
di tali norme anche a favore dei corpi di polizia municipale
contrasti con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, al
contrario una interpretazione diversa delle norme citate
farebbe loro assumere un significato contrario al principio di
uguaglianza, non sussistendo ragionevoli motivi per escludere
il corpo di polizia municipale da un beneficio previsto per
gli altri corpi di polizia statali, svolgenti le medesime
funzioni di accertamento delle infrazioni al codice della
strada.
Un altro aspetto non trascurabile è la conflittualità
attualmente in atto nella contrattazione decentrata che pone
in perenne stato di conflitto i lavoratori della polizia
municipale e locale con i restanti dipendenti degli enti
locali. La conflittualità si estrinseca nella ripartizione dei
fondi destinati al salario accessorio del personale, assorbiti
in buona parte per remunerare quelle prestazioni
indispensabili ai fini del servizio di istituto dei lavoratori
dei corpi e servizi di polizia municipale e locale. Anche tale
situazione, necessita di profonda riflessione e quindi di una
risposta adeguata che ponga i lavoratori degli enti locali
nella condizione di godere in pieno dei diritti contrattuali.
La più ampia riorganizzazione del sistema di sicurezza
italiano, nel quale, anche in considerazione della riforma
federalista, rientrerà sicuramente la polizia locale, richiede
considerevoli tempi di attuazione, che anche
nell'approssimarsi dei rinnovi contrattuali, non deve
penalizzare il riconoscimento dei predetti diritti ai
poliziotti municipali e locali. La disparità di trattamento,
infine, oltre che a costituire disconoscimento di diritti
costituzionali, comporterebbe ulteriore scoramento negli
operatori in questione e questo, sicuramente, graverebbe sulla
sicurezza locale, poiché detti lavoratori già operano in
approssimate condizioni penalizzate, altresì, da carenze
strutturali.
In ogni senso vi è bisogno di recuperare una migliore
produttività degli addetti delle polizie locali che non può
prescindere dai richiamati riconoscimenti. L'allineamento
organizzativo e contrattuale richiede, in analogia a quanto
praticato nel settore in questione negli altri Paesi
comunitari, una compartecipazione nella conseguente spesa, da
ripartire tra Stato, regioni, province e comuni, che consenta
di procedere, nell'immediato, alla copertura dei costi
derivanti dai richiamati nuovi e necessari trattamenti
contrattuali, assistenziali e previdenziali al personale della
polizia locale. La ridefinizione del "comparto sicurezza", che
a tutt'oggi riguarda solo le Forze di polizia ad ordinamento
statale, avviato il 4 febbraio 2002 nella sede del
Dipartimento per la funzione pubblica, tra il Ministro
Frattini e le organizzazioni sindacali di categoria, si pone
sicuramente come un momento di realizzazione di nuovi sistemi
di contrattazione nel quale far gravitare anche i lavoratori
appartenenti ai corpi e servizi di polizia municipale e
locale, attualmente incardinati in un contratto di tipo
privatistico e soprattutto generico. Per quanto attiene quindi
anche alle parificazione previdenziale e assicurativa di detti
operatori a quella della polizia di Stato ad ordinamento
civile, essa deve avvenire richiamando esplicitamente le norme
in vigore che devono essere applicate conseguenzialmente al
personale di polizia locale. In via transitoria, i costi
annualmente derivanti sono valutati in 2.582.284 euro e vanno
reperiti, secondo i criteri individuati nell'articolo 3 della
presente proposta di legge.
Sotto l'aspetto dei riconoscimenti economici, tra l'altro,
va previsto che l'indennità denominata di vigilanza, prevista
dall'attuale normativa, confluisca in una più specifica
indennità di polizia locale, pensionabile nella misura
prevista dal contratto collettivo nazionale di lavoro in
relazione al grado di responsabilità rivestito e alla natura
delle funzioni svolte. Con la presente proposta si inserisce
la polizia municipale locale tra le categorie di cui al comma
1 dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 165 del 2001, al
fine di escludere dalla contrattazione privatistica gli
operatori in questione; l'inserimento degli stessi nell'ambito
dell'articolo 16 della legge n. 121 del 1981, nonché
l'applicazione a tale categoria di lavoratori delle
disposizioni del decreto legislativo n. 165 del 1997 al fine
di realizzare una equiparazione previdenziale ed assistenziale
con gli appartenenti alle Forze di polizia dello Stato ad
ordinamento civile, sono diretti ad acclarare, di fatto, e
definitivamente l'inserimento della polizia locale nell'ambito
di un sistema nazionale integrato di sicurezza che abbia
rispetto dei lavoratori.