XIV LEGISLATURA
PROGETTO DI LEGGE - N. 1475
Onorevoli Colleghi! - Costituisce ormai quasi un luogo
comune il riconoscimento della difficoltà oggettiva degli
Stati, che basano la propria autorità e la conseguente
attività legislativa su di un concetto di sovranità
territorialmente e temporalmente ben delimitato, a
fronteggiare il fenomeno che generalmente si conviene di
denominare "globalizzazione", che peraltro costituisce per la
politica l'autentica sfida cui oggi deve fare fronte. Infatti,
il ruolo della politica - e, per estensione, del legislatore,
che viene a costituire la figura più compiuta e tipica
dell'uomo politico - non è la pura e semplice gestione
dell'esistente, ma vuole essere anche la capacità di dare un
ordine ed un indirizzo a ciò che tumultuosamente nasce da
quella che il grande filosofo del diritto e costituzionalista
Giuseppe Capograssi chiamava la "mischia sociale".
Proprio perché noi riconosciamo che la politica nasce da
ciò che politico non è, ed anzi precede e sostanzia di sè la
forma politica, dobbiamo anche riconoscere che l'esigenza di
normare i fenomeni sociali, anche i più rilevanti, assume oggi
un carattere particolarmente importante attesa la maggiore
capacità dei circuiti informali, ivi compresi quelli
criminali, a sapersi servire del processo di
finanziarizzazione dell'economia meglio delle strutture
statuali, per non dire dei deboli controlli fin qui attivati
dalle organizzazioni internazionali.
1. Globalizzazione e Stati nazionali.
In termini sintetici, la parola "globalizzazione" designa
l'immissione nello spazio tradizionale del mercato
internazionale di nuovi attori economici (in particolare i
Paesi dell'Estremo oriente: Cina, Corea del Sud, Taiwan,
Singapore) contestualmente all'apertura di nuovi spazi per
l'economia di mercato (come nei Paesi ex comunisti). Tale
situazione presenta un alto grado di appetibilità per le
imprese medio-grandi che agiscono a livello transnazionale,
non solo in quanto apre nuovi mercati per i loro prodotti, ma
soprattutto perché consente la diversificazione e la
riallocazione degli impianti produttivi in condizioni
nettamente più favorevoli quanto ai costi generali di
produzione ed in particolare al costo del lavoro.
La parola chiave della globalizzazione è la flessibilità,
che significa in primo luogo abolizione delle rigidità, in
particolare, dei due fattori che tendono a crearla: la
deregulation e la limitazione delle interferenze
governative. Ma la flessibilità, nota Ralf Dahrendorf, è
diventata nel linguaggio comune sinonimo di "allentamento dei
vincoli che gravano sul mercato del lavoro: maggiore facilità
nell'assumere e nel licenziare, possibilità di aumentare o
diminuire i salari, espansione degli impieghi part-time
e a termine, cambiamento più frequente di lavoro, di
azienda e di sede".
Proprio la compresenza di questi fattori (in un contesto
politico scarsamente democratico) fa dell'Estremo oriente non
solo il luogo ideale per spostarvi la produzione a costo del
lavoro nettamente ridotto, ma altresì il punto di riferimento
per le "riforme" che i teorici del neoliberismo hanno
suggerito e fatto praticare anche alle economie
occidentali.
L'essere ormai entrati in una dimensione economica globale
fa sì che le scelte operate dalle imprese abbiano una
ripercussione immediata sulle condizioni di vita dei
lavoratori e dell'intero corpo sociale. Infatti il
trasferimento all'estero della produzione delle grandi
imprese, combinato con l'avanzare del progresso tecnologico
che rende sempre meno necessario l'apporto di manodopera non
altamente qualificata, ha prodotto e produce disoccupazione in
termini che non possono più definirsi congiunturali, ma
appaiono chiaramente strutturali.
Il riflesso sociale di questo nuovo modello economico
produce conseguenze particolarmente rilevanti: da un lato,
infatti, la globalizzazione costituisce un elemento di
pressione sulle economie occidentali, favorisce gli
spostamenti o addirittura la distruzione dei nuclei produttivi
tradizionali e induce nel corpo sociale fortissime tensioni
legate alla precarietà del posto di lavoro, che a sua volta
implica la precarietà del ruolo sociale della persona e delle
sue aspettative di vita e di sicurezza. Del pari, l'adozione
di strumenti neoliberisti per fare fronte alle sfide della
globalizzazione (a partire dall'aumento della flessibilità del
mercato del lavoro e del progressivo smantellamento delle
tutele sindacali e di welfare), se da un lato permette
il riattivarsi di un mercato del lavoro spesso marginale,
precario e sottopagato (come ha recentemente dimostrato in
un'indagine "sul campo" la sociologa americana Barbara
Ehrenreich, che per due anni ha condiviso la vita dei
working poors"), nel contesto sociale occidentale
produce un'inevitabile estensione e amplificazione delle
tensioni sociali.
La combinazione fra globalizzazione e politiche
neoliberiste ha un visibilissimo effetto nell'aumento della
marginalità sociale, poiché, come annota ancora Dahrendorf,
"certe persone (per terribile che sia anche solo metterlo per
iscritto) semplicemente non servono: l'economia può crescere
anche senza il loro contributo; da qualunque lato le si
consideri, per il resto della società esse non sono un
beneficio, ma un costo (...) Povertà e disoccupazione
minacciano la stessa struttura portante di queste società".
Ma non è solo sotto questo aspetto che la globalizzazione
incide sui rapporti politici: si potrebbe dire che viene messa
radicalmente in gioco la stessa forma Stato che, nel corso del
XX secolo, si è evoluta in sostanziale simbiosi con il modello
di produzione fordista, il quale trovava nella fabbrica il
luogo centrale, territorialmente determinato, del conflitto
sociale. Il passaggio all'economia globale, la cui principale
caratteristica è per l'appunto la deterritorializzazione,
porta ad una delegittimazione del ruolo dello Stato sia verso
l'alto (nel senso di una progressiva trasformazione in organo
esecutivo di decisioni assunte in sedi "multinazionali"), sia
verso il basso, verso la società civile che rischia di
frammentarsi in una molteplicità di appartenenze
particolari.
E in verità, da un lato la progressiva espropriazione
della potestà di indirizzo delle politiche economiche degli
Stati da parte di enti sovranazionali come il Fondo monetario
internazionale o la Banca mondiale, con le loro rigide
prescrizioni deflazionistiche ormai generalmente riconosciute
come foriere di disoccupazione e recessione, e dall'altro lato
l'insorgere di violenti conflitti infrasociali basati su cause
etniche, culturali e religiose, sia pure eteroindotte, fanno
pensare che sia venuto meno un luogo di mediazione e di
indirizzo riconosciuto.
Più ancora, il sistematico debordare della sfera economica
mette in discussione la stessa funzione politica: la
formazione della volontà politica viene ridotta a
proceduralismo istituzionale staccato dai processi sociali, in
un contesto in cui, come osserva monsignor Giovanni Nervo ex
direttore della Caritas italiana "la maggioranza, usando
la sua forza, tende a consolidare il suo benessere e a
emarginare nell'assistenza la minoranza in difficoltà".
2. Il mercato finanziario internazionale.
La principale connotazione del mercato finanziario
internazionale nel nostro tempo sembra essere quella di
un'eccessiva e pericolosa volatilità, ovvero un mercato
attraversato da forti fluttuazioni del valore delle monete e
dei diversi strumenti finanziari. Con la fine del sistema a
cambi fissi (1971) nato dagli accordi di Bretton Woods del
1944 questo fenomeno si è sempre più accentuato creando una
situazione di forte incertezza economica. Nella maggioranza
dei casi, infatti l'instabilità dei tassi di cambio dipende
dal sistema finanziario e non dalle politiche economiche e
fiscali attuate nei singoli Paesi.
L'attuale preoccupante espansione dei mercati finanziari è
dovuta principalmente a tre fattori:
1) lo sviluppo tecnologico, che permette agli operatori
finanziari di essere presenti virtualmente 24 ore su 24 sulle
piazze di tutto il mondo;
2) le politiche di deregulation consistenti nella
rimozione degli ostacoli alla libera circolazione dei
capitali;
3) l'istituzionalizzazione del risparmio che ha creato
una concentrazione di risorse finanziarie (fondi pensione,
assicurazioni, fondi di investimento) tali da poter influire
in maniera consistente sull'andamento dei mercati.
Questi fattori hanno facilitato la crescita di fenomeni
speculativi.
La speculazione consiste sostanzialmente in operazioni a
breve termine non legate ad investimenti produttivi o al
commercio internazionale, ma generate dall'intenzione di un
operatore di ottenere guadagni attraverso un cambiamento
anticipato del prezzo di uno strumento finanziario. Nel campo
delle valute lo speculatore opera sulle variazioni dei tassi
di cambio delle monete. Caratteristica comune delle operazioni
speculative è la brevità, essendo motivate unicamente dal
desiderio di un rapido realizzo economico.
Oggi i mercati finanziari hanno raggiunto dimensioni
preoccupanti. La Banca dei regolamenti internazionali stima
che il valore delle transazioni in valuta estera effettuata in
un giorno sia pari a 1.800 miliardi di dollari americani,
laddove il prodotto interno lordo del nostro Paese è pari a
1.000 miliardi di dollari. Una quota molto alta, anche se
difficilmente valutabile, del movimento di capitali ha
solamente uno scopo speculativo di breve o brevissimo termine
ed è arduo individuare le eventuali positività di questi
convulsi movimenti. Esiste nel sistema economico mondiale una
crescente ricchezza sotto forma di liquidi che necessita in
modo ossessivo di trovare dei rendimenti e non è in grado di
ritrovarli attraverso un uso legato alla creazione di
ricchezza reale.
L'instabilità dei mercati finanziari ha dato prova della
sua pericolosità in una molteplicità di occasioni negli ultimi
anni. Basti pensare, tra le tante, alla crisi del peso
messicano che aveva per prima posto in allerta l'opinione
pubblica, alla gravissima crisi che ha colpito prima i Paesi
del sud-est asiatico e poi la Russia, delle quali ancora oggi
restano pesanti tracce. Le istituzioni finanziarie
internazionali non sono oggi in grado di risolvere tali
situazioni. Gli interventi del Fondo monetario internazionale
che seguono le crisi monetarie spesso convergono sul taglio
del welfare con conseguenti ricadute negative sulla vita
dei gruppi sociali più poveri.
Si rileva quindi la necessità oggettiva che gli Stati
pongano in essere un accordo internazionale sulla speculazione
monetaria.
3. La proposta di un'imposta sulle transazioni in valuta
a breve termine.
La proposta di legge che i firmatari pongono
all'attenzione del Parlamento è finalizzata all'istituzione di
un'imposta di bollo sulle transazioni in valuta a breve
termine, con particolare riferimento alle transazioni che si
svolgono verso quei Paesi che nel linguaggio corrente sono
definiti come "paradisi fiscali".
Il primo ad avanzare questa proposta fu nel 1972
l'economista americano James Tobin, successivamente Premio
Nobel per l'economia nel 1978: egli proponeva l'istituzione di
una tassa da applicare a tutte le transazioni finanziarie in
valuta al fine di rendere più stabili i mercati dei cambi.
Questa tassa rappresenterebbe un meccanismo per la limitazione
di speculazioni finanziarie eccessive, ed in particolare di
quelle indesiderabili quali le speculazioni massicce di
valuta, che possono provocare crisi monetarie molto gravi con
conseguenze estremamente negative sul piano sociale.
Negli anni la proposta originale di Tobin è stata rivista,
prendendo in considerazione alcune delle critiche principali
che le erano state rivolte, tra le quali spicca la difficoltà
di fissare un giusto livello della tassa, infatti, troppo
bassa non avrebbe effetti concreti mentre troppo alta
bloccherebbe anche le operazioni desiderabili. Alla luce di
questa critica una proposta è stata avanzata, si tratta della
Spahn Tax.
La Spahn ´ƒ1Tax proposta nel 1996 dall'economista
Bernd Spahn, consiste in una tassa di tipo Tobin a due
aliquote, con un livello minimo di tassa sulle transazioni in
valuta, e un livello maggiore (soprattassa) che, come elemento
antispeculazione, verrebbe applicato solo durante periodi di
forte turbolenza sui cambi e sulla base di criteri
quantitativi ben prestabiliti. L'imposizione della "tassa
minima" sulle transazioni non dovrebbe creare distorsioni
significative e nemmeno evasione fiscale massiva e potrebbe
costituire una buona fonte di entrate. La soprattassa, invece,
avrà lo scopo di tassare le transazioni in valuta ad un
livello proibitivo, in caso di eccessiva volatilità del tasso
di cambio. La soprattassa sarà introdotta ogni volta che il
prezzo di scambio di una valuta supera una predeterminata
soglia. Questa soglia sarà determinata attraverso un tasso di
cambio obiettivo variabile dato dalla media del valore del
tasso di cambio della valuta in un dato intervallo di tempo da
fissare, più un margine di sicurezza, definito come una
percentuale del tasso obiettivo. In questo modo si creerà una
fascia all'interno del quale il tasso può muoversi. Quando la
fluttuazione del tasso di cambio della valuta si trova
all'interno di questa fascia, nessuna sovrattassa è imposta:
solo comportamenti speculativi su larga scala indurranno il
tasso di cambio in oggetto ad uscire dalla fascia ed a
scatenare il meccanismo della tassa. Il "meccanismo Spahn" non
ostacolerà il funzionamento del mercato. Infatti, a differenza
del controllo dei capitali, il tasso di cambio obiettivo
permetterà la reazione del mercato ai cambiamenti economici e,
rendendo le variazioni del valore della valuta meno drastiche,
aiuterà ad evitare i costi sociali relativi ad una forte e
improvvisa crisi valutaria perché fornirà tempo al governo per
eseguire le necessarie correzioni nelle politiche
economiche.
In periodi di grande speculazione - come quelli che noi
stiamo attualmente vivendo - l'applicazione della tassa Tobin
con la variante Spahn garantirebbe non solo il rallentamento
del fenomeno, ma anche i fondi necessari alla costituzione di
dispositivi atti a compensare gli effetti sociali negativi di
una crisi finanziaria che normalmente interessano i gruppi più
poveri. Inoltre, una tassa sulle transazioni finanziarie
internazionali potrebbe aprire nuove strade ad interventi di
natura fiscale in altri settori a livello mondiale.
Gli introiti derivanti tramite l'applicazione di questa
imposta dovrebbero essere utilizzati allo scopo di finanziare
un fondo nazionale di solidarietà per le popolazioni del sud
del mondo che subiscono maggiormente le conseguenze
drammatiche della speculazione, in particolare al fine di:
1) regolamentare e rafforzare il settore finanziario dei
Paesi vittime delle speculazioni valutarie;
2) finanziare la cooperazione allo sviluppo, in
particolare quella portata avanti dalle organizzazioni non
governative in modo da contribuire a ridurre la vulnerabilità
della popolazione dei Paesi soggetti a crisi economiche e
finanziarie, valorizzando la capacità di autosviluppo di tali
Paesi;
3) finanziare il perseguimento degli obiettivi globali
stabiliti nei vertici delle Nazioni Unite, quali sradicamento
della povertà, difesa dell'ambiente, stabilità politica,
eccetera;
4) contribuire a riformare e rafforzare il ruolo
dell'ONU.
Sicuramente l'adozione di questa forma di imposta da parte
del Parlamento italiano avrebbe anche un indubbio impatto
politico internazionale in termini di traino nei confronti
degli altri Paesi: l'Italia, membro autorevole dell'Unione
europea, dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico e del G8 è ad ogni effetto un soggetto capace di
porsi come punto di riferimento nei confronti di altri
interlocutori.
A ciò si aggiunga che la mobilitazione a favore di una
presa di coscienza della necessità di fare fronte alla
situazione di disagio causata dai movimenti speculativi
globali sta interessando sempre più massicciamente realtà
associative e politiche a livello transnazionale, coinvolgendo
intorno a questo progetto serissimi studiosi di economia
internazionale e di politiche dello sviluppo, ottenendo il
consenso di vasti settori dell'opinione pubblica, di organismi
religiosi, sociali e di volontariato.
In questo senso, l'identificazione di coloro che si
battono non contro la globalizzazione, ma per una
globalizzazione rispettosa della persona umana, dell'ambiente
e di un diverso equilibrio sociale ed economico come illusi,
vittime di un giovanilismo di ritorno o, peggio ancora, di
potenziali sovversivi, appare indebita e priva di senso.
4. Descrizione dell' articolato.
La proposta di legge che i firmatari si pregiano di
presentare all'attenzione degli onorevoli colleghi si
struttura in tre articoli: la formula volutamente breve serve
essenzialmente a consentirne un'applicazione flessibile in
vista di possibili modifiche da concordare con i partner
europei ed internazionali.
All'articolo 1 si definisce la natura della nuova tassa
come "imposta di bollo sulle transazioni valutarie",
finalizzata alla raccolta di risorse per la cooperazione allo
sviluppo, fissandone l'aliquota allo 0 per cento ed impegnando
il Governo, anche nel quadro della prossima adozione della
moneta unica europea, a promuovere gli opportuni accordi, a
partire dall'Unione europea, con l'impegno eventuale ad un
innalzamento dell'aliquota non oltre lo 0,05 per cento dopo
l'adozione di una medesima imposta da parte degli altri Stati
membri. Tale aliquota verrà elevata automaticamente nei casi
di eccessiva turbolenza del tasso di cambio di una valuta al
fine di bloccare gli eccessi speculativi secondo i criteri
fissati con successivo decreto legislativo (variante Spahn).
Al Governo è riservata comunque la facoltà di provvedere alla
modifica dell'aliquota in qualunque momento, ove si renda
immediatamente necessario, al fine di armonizzarla a quelle
adottate da altri Paesi, sentito il parere delle competenti
Commissioni parlamentari.
L'articolo 2, che assume un ruolo di particolare rilievo,
definisce l'aliquota da applicare alle transazioni verso i
Paesi definiti come "paradisi fiscali", e riconosciuti
ufficialmente come tali dai decreti del Ministro delle finanze
4 maggio 1999 per le persone fisiche e 24 aprile 1992 per le
persone giuridiche. L'aliquota in questo caso è fissata allo
0,5 per cento in considerazione dei maggiori vantaggi
finanziari realizzati da coloro che effettuano transazioni
verso Paesi aventi regimi fiscali considerevolmente più
favorevoli alle speculazioni finanziarie.
L'articolo 3 delega al Governo la definizione delle
modalità attuative della legge, fatto salvo il parere
previamente espresso dalle competenti Commissioni
parlamentari, seguendo precisi princìpi e criteri direttivi,
fra cui spicca in particolare l'istituzione di un fondo
finalizzato alla gestione ed erogazione del gettito derivante
dall'imposta destinato ad alimentare progetti di cooperazione
allo sviluppo.
Correlata al fondo è anche l'istituzione di un
Osservatorio cui partecipino le principali organizzazioni non
governative, avente parere consultivo in ordine alla
destinazione delle risorse del fondo e funzioni di
monitoraggio sulla gestione dello stesso.