RESOCONTO STENOGRAFICO SEDUTA N. 47

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La seduta comincia alle 15.45.


(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.


PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.
Riprendiamo l'esame degli emendamenti relativi al testo base sul Parlamento e le fonti normative. (per gli emendamenti vedi l'allegato alla seduta antimeridiana del 19 giugno e l'allegato alla seduta del 23 giugno)
Ricordo che siamo giunti all'esame dell'ultimo comma dell'emendamento II.30.42 della relatrice: salvo quello in materia di garanzie, che è stato accantonato. «In caso di opposizione del Governo, la Camera dei deputati può approvare disposizioni o emendamenti che comportino nuovi o maggiori oneri solo nel rispetto del principio di compensazione degli effetti finanziari ed a maggioranza assoluta dei componenti»: questa è la norma in materia di sessione di bilancio. L'emendamento Vegas II.30.18, che stiamo discutendo, prevede invece che non possono essere approvati leggi od emendamenti che comportino nuove o maggiori spese o minori entrate se non nel rispetto del principio di compensazione e salvo parere favorevole del Governo.


GIUSEPPE VEGAS. Questo è un altro emendamento, non è quello che ho presentato e che vorrei mantenere perché, come mi sono già permesso di dire, la compensazione attiene alla composizione della manovra, è una cosa diversa. Manterrei quindi il mio emendamento II.30.18. Quello che ha illustrato lei è un'altra cosa.


PRESIDENTE. Quello che ho letto io è l'emendamento II.30.18, al quale ho aggiunto il riferimento alla compensazione.


GIUSEPPE VEGAS. Che io mi permetterei di non accogliere come principio, perché la compensazione riguarda il contenuto della manovra e la qualità della medesima.


PRESIDENTE. Sì, però il criterio della compensazione in questo caso sarebbe aggiuntivo rispetto al parere favorevole del Governo.


GIUSEPPE VEGAS. Ci deve essere comunque il parere favorevole del Governo più la compensazione?


PRESIDENTE. Esatto.


GIUSEPPE VEGAS. Se vogliamo, è un po' ad abundantiam perché è già un principio compreso; comunque se è messo in questi termini va bene.


PRESIDENTE. È così. Resterebbe del testo della relatrice il rispetto del principio di compensazione degli effetti finanziari, salvo parere favorevole del Governo. Questo criterio del parere del Governo sostituirebbe il principio della maggioranza


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assoluta dei componenti, nel senso che attualmente il testo della relatrice prevede che l'opposizione del Governo possa essere valicata dal voto a maggioranza assoluta dei componenti; invece l'opposizione del Governo diventerebbe non valicabile. Poi vedremo come formulare questo principio, che comunque è chiaro.


MARCO BOATO. Capisco lo spirito e la logica sottesi a questo emendamento, ma noi abbiamo già reso inemendabili i decreti-legge...


GIUSEPPE CALDERISI. No.


MARCO BOATO. ... salvo la copertura finanziaria, per cui il Governo - quale che esso sia - prepara nei suoi uffici un testo ed il Parlamento sostanzialmente deve prendere o lasciare. Poi rendiamo il Governo arbitro di qualunque iniziativa del Parlamento in questa materia. Credo che vi sia un'espropriazione del Parlamento. Non sono mai stato un parlamentarista assemblearista, ma ritengo che un equilibrio nel rapporto tra Governo e Parlamento vada mantenuto. Qui mi pare che venga cancellato il ruolo del Parlamento. Per questo sono contrario all'emendamento.


MARCELLO PERA. Onorevole Boato, è la questione della responsabilità.


GIANFRANCO FINI. Mi associo alle sagge parole dell'onorevole Boato.


ERSILIA SALVATO. Chiedo che l'emendamento sia posto in votazione per parti separate, nel senso di votare la prima parte e poi l'aggiunta, che lei ha fatto, relativa al parere favorevole del Governo. Sono due cose che stanno assieme per una scelta politica, ma possono benissimo essere votate separatamente.


PRESIDENTE. Il problema è il seguente. Il principio secondo cui occorre la compensazione degli effetti finanziari non è in discussione. Qui si propone di introdurre nella norma un nuovo principio, quello secondo il quale l'opposizione del Governo ad emendamenti o provvedimenti che comportino una variazione delle spese o delle entrate non sia valicabile. Votiamo su questo principio.


SERGIO MATTARELLA. L'infallibilità degli uffici legislativi dei ministeri.


ERSILIA SALVATO. Presidente, sono due cose diverse. Ora in Costituzione non è neanche contenuto il principio della compensazione e saggezza vorrebbe che queste materie fossero riservate ai regolamenti e non alla Costituzione. Se vogliamo inserirle in Costituzione, allora votiamo prima sulla compensazione e poi sull'invalicabilità.


PRESIDENTE. Forse non ci siamo intesi dal punto di vista pratico, non c'è un dissenso politico. Il principio della compensazione è già contenuto nel testo della relatrice. Alla fine si voterà; adesso si deve votare per decidere se introdurre, oltre al principio di compensazione, il principio secondo cui l'opposizione del Governo non è valicabile.


ARMANDO COSSUTTA. Se il Parlamento è in grado di garantire la compensazione (per esempio, riduco le spese della difesa e aumento quelle dell'agricoltura senza modificare di una lira il bilancio dello Stato) il Governo dica pure quello che crede, ma il Parlamento non può non decidere.


PRESIDENTE. Il suo punto di vista è chiarissimo, ma quello dei presentatori dell'emendamento è opposto.


ARMANDO COSSUTTA. Forse è il presidente a condividere il punto di vista dei presentatori.


PRESIDENTE. Il presidente si limita a mettere in votazione gli emendamenti presentati, non condivide nulla, non si è pronunciato. I presentatori propongono di introdurre il principio secondo il quale il


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Governo può opporsi a leggi o emendamenti che comportino una variazione delle spese o delle entrate e, in caso di opposizione del Governo, il Parlamento non può procedere alla loro approvazione. La relatrice propone che in caso di opposizione del Governo il Parlamento per approvare debba avere una maggioranza qualificata, cioè la maggioranza assoluta dei componenti; quindi già la relatrice introduce nel suo testo (che dovremo votare alla fine, non è stato approvato) una procedura aggravata. I presentatori invece propongono che l'opposizione non sia valicabile. Il principio è chiaro; contro questo principio si è pronunciato l'onorevole Boato, l'onorevole Fini si è associato e adesso lo votiamo.


CESARE SALVI. È anche l'opinione della maggioranza del gruppo della sinistra democratica, la quale è contraria questo emendamento.


SERGIO MATTARELLA. Presidente, è anche la nostra.


FAUSTO BERTINOTTI. Condividendo le posizioni ora espresse, faccio solo notare che si introduce ulteriormente per questa via un voto di fiducia surrettizio. C'è una modificazione radicale del rapporto tra il Governo ed il Parlamento, tant'è che non si può fare neppure un'operazione distributiva. È assolutamente un'opzione di fiducia incorporata.


PRESIDENTE. C'è un elemento di rigidità, per cui se una parte della maggioranza vuole variare una destinazione di spesa deve ricattare il Governo, deve dire: o ci dai il parere favorevole o ti buttiamo giù. Non c'è dubbio che si introduce un elemento di rigidità, ma questo mi pare che sia stato motivato.


GIORGIO REBUFFA. Il livello del ricatto è adeguato alla posta in gioco.


PRESIDENTE. Non lo sappiamo, perché la posta in gioco può essere anche minima, data l'ampiezza della norma.


GIUSEPPE CALDERISI. Ricordo che nella discussione di stamattina si erano esclusi una serie di emendamenti che ponevano il problema di quorum particolari, qualificati per determinate deliberazioni, perché si era invece caldeggiato il principio della responsabilità politica. Adesso che arriviamo al principio della responsabilità politica, si nega anche questo. Volevo solo mettere agli atti questa osservazione.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Vegas II.30.18.
(È respinto).


Gli emendamenti relativi al settimo comma del testo originale si considerano accantonati.


GIUSEPPE VEGAS. Presidente, c'è il mio emendamento II.30.19 che è aggiuntivo.


PRESIDENTE. La norma contenuta nell'emendamento introduce una limitazione rispetto all'esecuzione di sentenze.


MASSIMO VILLONE. Vorrei chiedere un chiarimento ai presentatori. Questo significa che se un diritto viene riconosciuto in sede giurisdizionale, viene in qualche modo scalato verso il basso quanto a misura?


GIUSEPPE VEGAS. Sostanzialmente significa che bisogna fare una comparazione tra l'articolo 3 e l'attuale articolo 81 della Costituzione, che sono entrambi norme vigenti, per cui il quantum patrimoniale corrispondente a diritti nuovi viene calibrato rispetto alle risorse esistenti. È una sorta di norma di salvaguardia che consente di mantenere i diritti sanciti con la legge di spesa, però tiene anche conto della necessità di salvaguardare i tetti della spesa.


MASSIMO VILLONE. Questi non sono diritti nuovi, sono anzi diritti già definiti normativamente.


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PRESIDENTE. Si introduce anche per la Corte costituzionale una specie di obbligo di compensazione.


GIUSEPPE CALDERISI. Esiste in Germania.


GIUSEPPE VEGAS. In Germania è prevista una norma di questo genere. D'altronde, abbiamo visto gli effetti della mancanza di una tale norma.


GIUSEPPE CALDERISI. Anche da noi al Senato c'è una norma del genere.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Si introduce un'indicazione al Governo su come far fronte alle spese derivate.


PRESIDENTE. Invece non ho capito il secondo comma dell'emendamento Vegas II.30.19 sul quale vorrei chiedere un chiarimento ai presentatori.


GIUSEPPE VEGAS. Si tratta della cosiddetta «legislazione del tramonto»; quando una norma prevede trasferimenti patrimoniali a vantaggio di categorie determinate essa non può andare a regime ma deve avere effetti limitati nel tempo, in modo che la spesa non sia da oggi all'infinito ma abbia carattere di limitatezza, preferibilmente adeguata alla pluriennalità del bilancio di esercizio nel momento in cui si approva.


PRESIDENTE. Quindi è un vincolo per il legislatore, il quale deve introdurre un limite temporale all'efficacia di queste norme.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Vorrei chiedere al senatore Vegas se non ritiene che questa previsione sia già compresa nel principio per cui ogni legge deve indicare i mezzi per far fronte alle relative spese per l'intero periodo di applicazione, contenuto nel testo base.


GIUSEPPE VEGAS. Il principio della copertura ha carattere generale; questa è un'ulteriore specificazione. Comunque, se la Commissione lo ritiene posso mantenere solo il primo comma dell'emendamento per semplificare il lavoro.


MASSIMO VILLONE. Mi pare che, a proposito del primo comma, il vero problema riguardi la Corte costituzionale qualora le pronunce comportino spese. Per il resto, mi sembra difficile accettare l'impostazione dell'emendamento: se enucleassimo quel principio e ne discutessimo quando affronteremo il tema delle garanzie faremmo cosa utile; diversamente, voterei contro l'emendamento. Il problema esiste per la Corte costituzionale; per il resto, si tratta di diritti stabiliti da normative vigenti per i quali è difficile stabilire una riduzione proporzionale come quella proposta.


MARCO BOATO. Nel testo base sulle garanzie, nel primo comma dell'articolo 136 - che riguarda la Corte costituzionale - è prevista l'ipotesi di differimento di un anno del termine dell'efficacia delle sentenze della Corte proprio in previsione di problemi di questo tipo.


GIUSEPPE VEGAS. Posso accedere a questa proposta. Faccio comunque presente che il problema non si esaurisce nelle sentenze della Corte costituzionale perché le note sentenze delle giurisdizioni superiori sulle integrazioni al minimo delle pensioni hanno portato a spese notevolissime. Anche questo è un problema da risolvere. Ad ogni modo, se l'opinione prevalente è che sia opportuno trattare il tema in sede di discussione sulle garanzie, posso anche ritirare questa parte dell'emendamento.


MARIO GRECO. Se il collega Vegas «pulisce» il suo emendamento di questa parte, esso diventa uguale al mio emendamento II.30.12. Non mi soffermo sull'opportunità di prevedere questa norma perché l'esigenza di contenere le spese entro le previsioni e quindi di rientrare in


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caso di sforamento del tetto è avvertito da più parti. Questa mattina, discutendo di un altro emendamento, è stata sottolineata la necessità di prevedere la riduzione della spesa nei limiti del preventivo.


PRESIDENTE. Mi sembra che ci orientiamo a rinviare la discussione in sede di dibattito sulle garanzie per quanto riguarda gli aspetti concernenti la Corte costituzionale.


STEFANO PASSIGLI. E anche sulle giurisdizioni in genere perché il primo comma introduce un limite che le riguarda.


PRESIDENTE. Senatore Vegas, lei accetta che la questione venga discussa quando affronteremo il tema delle garanzie?


GIUSEPPE VEGAS. D'accordo, presidente, purché il primo comma resti integro e la discussione non si limiti solo alla Corte costituzionale.


PRESIDENTE. Si obietta che la materia sia impropriamente accorpata; la Corte con sentenze interpretative può estendere diritti, mentre gli altri organi giursdizionali si limitano ad accertare diritti già riconosciuti. Da questo punto di vista, è molto difficile prevedere che non si dia esecuzione a sentenze.


MASSIMO VILLONE. Sarebbe una sorta di esproprio per mancanza di copertura: un po' curioso!


GIUSEPPE VEGAS. Resta il problema di una spesa a consuntivo molto superiore a quella quantificata nella clausola di copertura: è un tema che in questa sede o quando parleremo delle garanzie dovremo risolvere. Temo che non farlo provocherebbe problemi.


PRESIDENTE. Il riferimento a tutti gli organi giurisdizionali è molto vasto. Facciamo il caso di un cittadino che abbia subito un danno dallo Stato e con sentenza definitiva si veda riconosciuto il diritto al risarcimento; la Costituzione può stabilire che non gli venga attribuito? È un po' forte fissare in Costituzione un simile principio.
Altra cosa è che le sentenze della Corte, che per loro natura possono riconoscere diritti fino a quel momento non individuati, debbano essere graduali; estendere questo principio a tutti gli organi giurisdizionali significa che nei suoi rapporti con lo Stato il cittadino non è tutelato. Mentre se un cittadino vince una causa civile contro un altro cittadino quest'ultimo è tenuto a pagare, lo Stato - per previsione costituzionale - può pagare solo nei limiti del preventivo: mi sembra un po' forte.


GIUSEPPE VEGAS. Presidente, questa norma vuole semplicemente significare che quando si approva una legge di spesa non si può prevedere - come è accaduto spesso - che essa costi tre miliardi e poi verificare a consuntivo che ne è costata duemila. Bisogna pensarci prima e quantificare gli oneri correttamente; altrimenti succede quello che è accaduto dopo le sentenze sull'integrazione al minimo, che hanno provocato oneri aggiuntivi variabili dai 27 mila ai 40 mila miliardi, il che - se vogliamo mantenere ordinate le nostre finanze - non è accettabile avvenga con decisioni surrettizie. I riflessi quantitativi e finanziari, anche delle possibili decisioni della giurisprudenza, devono essere chiari. Spesso si approvano artatamente norme di spesa oscure, in modo che la giurisprudenza le interpreti in senso estensivo: il mio emendamento tende se non altro a scongiurare questo rischio.


MARCO BOATO. Condivido le considerazioni del collega Vegas, che fra l'altro ha una grandissima esperienza tecnica al riguardo. Temo però che il problema - come egli ha giustamente detto - si ponga all'inizio del procedimento, sotto un profilo politico delle scelte di bilancio e finanziarie. Non si può scaricare sulla giurisdizione e su una limitazione costituzionale degli effetti di quest'ultima un


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grave problema di irresponsabilità politica quale quello che egli ha giustamente indicato.
Mi pare che la soluzione tecnica ed istituzionale individuata non sia accettabile, mentre il problema che il collega Vegas pone è fondato.


PRESIDENTE. Senatore Vegas, insiste per mettere in votazione il suo emendamento, salvo la parte concernente la Corte costituzionale?


GIUSEPPE VEGAS. Sì, presidente.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Vegas II.30.19 ad eccezione della parte riguardante la Corte costituzionale.
(È respinto).


Ricordo che l'ultimo comma dell'articolo 30 è accantonato e sarà discusso quando tratteremo del sistema delle garanzie. Passiamo all'emendamento Salvi II.30.40, che propone di fissare nella legge le norme relative alla sessione di bilancio.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Vorrei chiedere ai presentatori dell'emendamento se non ritengano che esso sia assorbito dall'articolo 31, che disciplina in modo analitico la procedura legislativa relativa alle norme di contabilità.


MASSIMO VILLONE. Ritiriamo l'emendamento.


NATALE D'AMICO. Presidente, non abbiamo votato il mio emendamento II.30.33; è stato respinto l'emendamento Vegas II.30.18, che in larga parte copriva la stessa materia, ma nel mio emendamento si prevedeva anche la possibilità di difesa del potere regolamentare del Governo. Le chiederei di considerare accantonato l'argomento.


PRESIDENTE. D'accordo: il suo emendamento risulta precluso, con esclusione dell'ultimo periodo che deve intendersi accantonato.


GIUSEPPE CALDERISI. Presidente, mi riferisco all'emendamento Salvi II.30.40: se non sono in errore, il concetto da esso espresso non è ricompreso nel testo base della relatrice. È importante soprattutto il secondo periodo di tale emendamento, secondo il quale le disposizioni della legge di contabilità non possono essere abrogate né derogate dalle leggi di approvazione o di variazione del bilancio, né dalle leggi di spesa. È cioè necessaria una normativa ad hoc e non bastano norme di qualunque tipo: è un principio molto importante da inserire nella Costituzione, poiché in caso contrario non avrebbe sufficiente forza.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Mi sembra che il principio sia implicito nella specialità della procedura prevista dall'articolo 31, se è vero che ogni disposizione normativa non può essere modificata o abrogata se non da una fonte di pari rango. Vorrei però sentire anche l'opinione dei proponenti.


MASSIMO VILLONE. A stretto rigore forse non è così, ma possiamo affrontare serenamente l'argomento in Assemblea.


PRESIDENTE. Credo però che nell'emendamento Dentamaro II.30.42 questo principio sia contenuto, al secondo comma.


MASSIMO VILLONE. Stante questa disciplina, quello che dice la relatrice probabilmente è vero: c'è una specialità reciproca tra la disciplina stessa e quella delle leggi di spesa.


PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'articolo 30, che per i primi due commi si compone del testo originario, mentre per quanto riguarda i restanti dell'emendamento Dentamaro II.30.42, salvo l'ultimo comma che è stato accantonato per essere esaminato quando discuteremo delle garanzie.


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MARCO BOATO. Forse potremmo esaminare in questa sede l'emendamento Elia II.30.35, perché non confligge con le ipotesi in tema di funzioni di controllo della Corte dei conti individuate nel testo sulle garanzie. Si potrà comunque esaminare anche in sede di discussione sulle garanzie stesse.


PRESIDENTE. Quando ci occuperemo della Corte dei conti vedremo di disciplinare anche questo aspetto.
Pongo in votazione l'articolo 30 con gli emendamenti apportati.
(È approvato).


Passiamo all'esame dell'articolo 31.
Ricordo che la relatrice ha presentato l'emendamento II.31.29, sostitutivo dei primi cinque commi.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Prima di illustrare il mio emendamento, vorrei far presente che l'ultimo comma dell'articolo 31 riguarda un'impugnazione costituzionale e quindi, in coerenza con analoghe decisioni che abbiamo già assunto, dovrebbe essere accantonato.
Venendo ora all'emendamento, la sostituzione mira soltanto ad una notevole semplificazione della procedura, eliminando una lettura. In sostanza, il procedimento legislativo in queste materie vedrebbe la prima lettura al Senato con l'espressione del parere della Commissione delle autonomie territoriali, parere che ha carattere vincolante quanto alle disposizioni in materia di interesse diretto delle autonomie locali, cioè finanza regionale e locale, istituzione, disciplina e ripartizione dei fondi perequativi.
Successivamente la Camera dei deputati delibera in via definitiva e quindi il procedimento di esame del bilancio sarebbe limitato a queste due sole letture. Al quinto comma si precisa che la stessa procedura, in particolare il parere vincolante della Commissione per le autonomie territoriali, riguarda tutti i progetti di legge di trasferimento di poteri e risorse e quelli per la determinazione dei livelli minimi delle prestazioni sociali nelle materie attribuite alle regioni.


PRESIDENTE. Vorrei domandare ai presentatori di emendamenti, ed innanzitutto a coloro che ne hanno presentati di interamente sostitutivi o di soppressivi, se, sulla base di questa nuova formulazione proposta dalla relatrice, intendano mantenere le loro proposte alternative.


ANTONIO SODA. Certamente una parte dei nostri emendamenti è ispirata alla stessa filosofia che ha guidato la relatrice.


PRESIDENTE. In sostanza, l'articolo 31, così come riformulato dalla relatrice, prevede una procedura semplificata delle leggi di bilancio, nel senso che esse verrebbero esaminate in prima lettura dal Senato e, salvo il parere vincolante della Commissione per le autonomie territoriali che abbiamo istituito sulle materie di finanza regionale e locale e sull'istituzione, sulla disciplina e sulla ripartizione dei fondi perequativi, verrebbero poi esaminate dalla Camera in sede definitiva. L'approvazione, quindi, avverrebbe da parte della Camera e tuttavia, nell'ambito di questa procedura, si prevede che la Commissione per le autonomie territoriali esprima su queste materie un parere vincolante.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Vorrei chiarire che, nell'intenzione della relatrice, tale parere sarebbe vincolante per il Senato, non per la Camera.


PRESIDENTE. Si intende così, anche se non è proprio chiarissimo.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Cerchiamo di chiarirlo; l'intenzione è questa.


ERSILIA SALVATO. Abbiamo presentato alcuni emendamenti alternativi a questo testo, emendamenti che, a questo punto della discussione, ritiriamo per ri


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presentarli in aula. Nella filosofia con la quale abbiamo affrontato questa materia vi sono due questioni di fondo che, a mio avviso, sono molto importanti e che ci inducono ad insistere anche quando arriveremo all'esame dell'aula.
La prima questione riguarda il fatto che il bilancio sia esaminato dalla Camera politica e non da entrambi i rami del Parlamento. Peraltro, non vediamo risolta una questione fondamentale, quella del rapporto con il Governo: attribuendo lo stesso ruolo anche al Senato, pur se attraverso il coinvolgimento con parere vincolante della Commissione per le autonomie territoriali, fatalmente alla fine emergerà (tra l'altro, è già stato presentato qualche emendamento in tal senso) la questione della fiducia anche da parte del Senato, e quindi del rapporto politico anche della seconda Camera, con il che il cerchio si sarà chiuso e saremo nuovamente al bicameralismo, perfetto o paritario che lo si voglia definire.
La seconda questione, strettamente legata al ragionamento che ho appena sviluppato, riguarda il fatto che questa Commissione potesse sedere presso la Camera dei deputati, ma non essere chiamata ad esprimere un parere vincolante; pertanto, si tratterebbe di una Commissione di lavoro, certamente autorevolissima perché composta anche dai presidenti delle regioni e delle autonomie locali, ma non nella formula con cui è stata pensata per il Senato. Tra l'altro, la scelta compiuta dalla relatrice di attribuire carattere vincolante per il Senato al parere espresso dalla Commissione per le autonomie territoriali non fa paventare, ma fa concretizzare quel rischio di cui finora ho ragionato, quello cioè della creazione della terza Camera, una Camera così importante che avrebbe nelle sue mani un parere vincolante per il Senato, cioè la seconda Camera di serie B rispetto alla Commissione che diventerebbe di rango maggiore.
È un pasticcio - se il presidente mi consente di usare questo termine - al quale intendiamo essere completamente estranei, per cui ritiriamo i nostri emendamenti e voteremo contro la proposta della relatrice.


GIUSEPPE CALDERISI. Le questioni in campo sono di grandissima rilevanza, ma purtroppo i tempi non ci consentono di svolgere una discussione con il necessario approfondimento. Temo - anche se mi auguro di sbagliare - che rischiamo di commettere dei gravi errori. Mi sembra singolare che, nel momento in cui abbiamo una procedura bicamerale, ma abbiamo affermato l'orientamento secondo il quale una sola Camera ha il rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento, il disegno di legge di bilancio, che è l'atto fondamentale della politica del Governo, venga presentato e discusso in prima lettura al Senato, dove non c'è il rapporto fiduciario. Trovo incoerente quest'impianto ed ho su di esso dubbi profondi, anche se non ho certezze; invito, comunque, chi in materia ha più competenza di me ad una riflessione, perché il rischio è che alla fine si ponga la necessità di prevedere il rapporto fiduciario di entrambe le Camere: se le cose stanno così, diciamocelo subito e prevediamo un sistema coerente.


PRESIDENTE. Non vedo cosa c'entri ciò che lei sta dicendo: il Senato esamina il bilancio in prima lettura e poi la Camera approva, su questo non vi è il minimo dubbio. La legge di bilancio passa all'esame del Senato in particolare per essere sottoposta al parere della Commissione per le autonomie territoriali sulle materie di finanza regionale e locale. Da questo punto di vista, non c'è dubbio che non si tratta di una procedura bicamerale, perché l'approvazione definitiva spetta alla Camera.


GIUSEPPE CALDERISI. Presidente, in proposito ho espresso solo un dubbio. Esprimo, invece, contrarietà sugli emendamenti che chiedono che la deliberazione della Camera avvenga a maggioranza qualificata, perché così facendo si inciderebbe sulla forma di governo in modo tale da


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rendere impossibile il funzionamento di tutto l'impianto che abbiamo prefigurato.


MARCO BOATO. Al di là di qualche eccessiva accentuazione, condivido le riserve che i colleghi Salvato e Calderisi, sia pure da posizioni molto diverse ma convergenti quanto alla riserva principale, hanno manifestato. Forse è eccessivo parlare di rapporto fiduciario da parte di entrambe le Camere, ma mi sembra che la riformulazione dell'articolo - lo dico con spirito di contributo critico, non di contrapposizione - sia sbagliata e che sia molto più accettabile il testo originario dell'articolo 31.
Non ripeterò le critiche che sono state avanzate, anche se potrei formularle con linguaggio diverso rispetto a quello dei colleghi; chiederei con una certa forza, anche alla luce dei due precedenti interventi, alla relatrice di riflettere sull'opportunità di ritirare il suo emendamento, di tornare al testo originario dell'articolo 31 e di esaminare semmai gli emendamenti riferiti a tale testo. Infatti, che la legge di bilancio debba seguire la procedura prevista dall'articolo 31 a me pare condivisibile, salvo eventuali aggiustamenti che in corso d'opera possiamo apportare. Di contro, il nuovo impianto previsto dall'emendamento II.31.29 mi pare incoerente sia con il tipo di forma di governo sia con il bicameralismo che stiamo delineando, dove il rapporto politico del Governo è con la Camera dei deputati, anche se in materia di bilancio è evidente che vi deve essere un ruolo essenziale sia del Senato sia della Commissione per le autonomie territoriali istituita all'interno del Senato.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Non mi sembra che l'emendamento stravolga il disegno; esso semplifica notevolmente le cose eliminando una lettura, tra l'altro in una materia in cui la contrazione dei tempi è essenziale.


MARCO BOATO. Non elimina una lettura; siamo in sessione di bilancio: quindi, o si immagina che la Camera prenda il testo che viene dal Senato e lo approvi, ed allora sì che abbiamo eliminato una lettura; se, invece, si immagina che il Governo presenti il bilancio alla Camera, questa lo esamini e lo approvi nei termini in cui ritiene e poi il Senato proponga delle modifiche anche in rapporto alla Commissione per le autonomie territoriali, è evidente che il bilancio dovrà tornare alla Camera per prendere atto delle proposte di modifica del Senato. Se, invece, si parte dal Senato, non si elimina una lettura: la legge di bilancio comincia il suo iter al Senato, torna alla Camera, che la modificherà, a quel punto dovrà tornare al Senato...


PRESIDENTE. No, no, non è così.


FRANCESCO SERVELLO. Boato, la tua ostilità nei confronti del Senato è veramente qualcosa di ossessivo!


PRESIDENTE. Rispetto alla procedura prevista nel testo originario dell'articolo 31, l'intenzione della relatrice era quella di saltare un passaggio. In sostanza, la Camera approva in via definitiva la legge di bilancio previo l'esame del Senato ed il parere della Commissione. Quindi, dal punto di vista delle procedure, l'emendamento ha indubbiamente un effetto di snellimento.


MAURIZIO PIERONI. Non chiedo di intervenire, presidente, ma solo di compiere un atto formale: vorrei, cioè, assumere come mio il testo originario dell'articolo 31 predisposto dalla relatrice. Le ragioni addotte per la snellezza della procedura sono sicuramente tali dal punto di vista apparente; da quello sostanziale noi avremmo un testo rispetto al quale o la Camera contraddice quanto deciso dalla Commissione speciale per le autonomie o lo fa proprio e ne è condizionata.
Più trasparente e più logico sembra che vi sia la normale dialettica Parlamento-Governo nella Camera che trasmette la fiducia, che vi siano gli interventi e le eventuali correzioni della Commissione per le autonomie territoriali, su cui la


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Camera si riserva di dire l'ultima parola. Quindi, la procedura è di certo aggravata dal punto di vista dei passaggi, ma appare assai più logica, funzionale ed istituzionalmente coerente e quindi forse evita contraddizioni istituzionali che si possono nascondere dietro il desiderio di snellire le procedure.


KARL ZELLER. Vorrei chiedere che il mio emendamento II.31.1 venga posto in votazione come aggiuntivo al nuovo testo predisposto dalla relatrice, in quanto rafforza i poteri della Commissione per le autonomie territoriali richiedendo una maggioranza qualificata in sede di votazione alla Camera.


ORTENSIO ZECCHINO. Signor presidente, credo che tutti dobbiamo registrare che il grado di soddisfazione per la scelta che si delinea tra l'articolo 14 e l'articolo 31 non è elevato, ed io non faccio eccezione rispetto a questo giudizio. Mi auguro che, nel prosieguo dei nostri lavori, ci sforziamo di trovare meccanismi che possano meritare un giudizio di maggior gradimento.
Per restare ora al sistema delineato, ho proposto due emendamenti all'articolo 31. Rispetto al problema che introduce l'onorevole Boato, sono in un certo senso indifferente perché concordo con lui nel ritenere che nell'ultimo testo della relatrice c'è una semplificazione, anche se è presente un improprio avvio presso l'organo che non è l'interlocutore politico (ha ragione anche l'onorevole Calderisi); rimane però il vantaggio dell'eliminazione di un passaggio.
In ogni caso, per una coerenza che non è sistematica, non è legata all' amore dell'arte, ma per un minimo di logica, nell'uno e nell'altro caso credo che noi dobbiamo prevedere una modifica: qualora restasse il testo originario, bisognerebbe approvare l'emendamento Rebuffa, il quale prevede che i disegni di legge trasmessi al Senato siano esaminati dalla Commissione delle autonomie territoriali e poi dal Senato. Hanno ragione tutti quelli che sostengono che questa Commissione si configura come terza Camera se resta qualcosa di concluso e definitivo in sé.
Questo vale sia per il testo originario sia per la nuova formulazione, nonostante il cambiamento molto formalistico laddove si prevede il parere vincolante; il parere vincolante non ha bisogno neppure del passaggio in aula, sarebbe un'inutile perdita di tempo. Se c'è il parere, vuol dire che deve andare all'organo che lo deve recepire, ma se...


PRESIDENTE. Il parere è vincolante solo su limitate materie espressamente indicate.


ORTENSIO ZECCHINO. Presidente, questo è assolutamente chiaro, ma sarebbe del tutto inutile andare all'aula con un parere vincolante; sarebbe un'incomprensibile liturgia di situazioni che possono scadere anche in valutazioni non propriamente positive.
Allora, mi permetterei di suggerire nel caso del testo originario l'accoglimento dell'emendamento Rebuffa, oppure, mantenendoci nella logica dell'ultima formulazione proposta dalla relatrice, di prevedere che quelle materie vanno all'esame della Commissione - quindi non al parere - ritenendo quell'esame definitivo, a meno che non ci sia un richiamo in aula da parte di un congruo numero di senatori.
Prevediamo modalità di sbarramento, ma salviamo il rapporto tra questa Commissione e il Senato, perché altrimenti l'affermazione secondo cui questa Commissione sarebbe una terza Camera mi parrebbe non facilmente contrastabile. Allora, diamo a questa Commissione il potere deliberante con la riassumibilità; mettiamo pure degli sbarramenti più elevati, ma salviamo anche dal punto di vista della costruzione questo minimo di coerenza.


MICHELE SALVATI. Salveremo il salvabile! Dico questo soltanto per ribadire un'opinione che ho già sovente espresso e che soltanto la stanchezza, unita al convincimento


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che ci avviamo ad una soluzione largamente accettata, mi impedisce di descrivere con maggiore ampiezza.
Tutte le questioni di cui stiamo discutendo e le obiezioni che sono state mosse a questa soluzione derivano - mi sembra - da una fondamentale scelta di architettura, per fare di una parte del Senato il centro propulsore delle attività delle autonomie.
Per come qui appare, a me sembra che questa disposizione da un lato sia insufficiente perché dare parere vincolante soltanto in materia di finanza regionale e locale, istituzione, disciplina e ripartizione dei fondi perequativi non soddisfa le autonomie che vorrebbero comunque avere una voce nell'ambito del disegno complessivo di spesa del Governo, valutando in che misura questo favorisca o sfavorisca una regione rispetto ad un'altra. Non si tratta soltanto di materie di finanza e di perequazione, ma dell'intero disegno di spesa, dell'intero disegno politico del Governo in questa materia, nelle sue riverberazioni sulla realtà regionale.
Tra l'altro, è vero quanto hanno osservato alcuni colleghi che si trasforma il Senato nel suo complesso in un semplice passacarte. Ben lungi da me l'intenzione di presentare emendamenti come quello che l'onorevole Zecchino intendeva introdurre adesso, ma se il parere è rivolto al Senato ed è vincolante in queste materie, ciò significa naturalmente che il Senato deve passare alla Camera per l'approvazione definitiva la disciplina che è stata dettata in sede di autonomie. Questo non è tricameralismo ma una sorta di bicameralismo sdoppiato: alcune materie vengono trattate dal Senato nel suo complesso, altre nella sostanza vengono esaminate dalla Commissione e quelle attribuite alla Commissione non sono sufficienti a fare della stessa il vero centro propulsore del nuovo federalismo.
Se questa deve essere la disciplina che passiamo per un esame al Parlamento, vada perché su di essa si è creato un ampio consenso, ma vorrei esprimere la mia complessiva insoddisfazione.


LUIGI GRILLO. Avrei potuto evitare di intervenire se non avessi ascoltato alcune osservazioni che - queste sì - mi sono davvero sembrate singolari.
Nel corso del dibattito siamo passati a discutere dalla prospettiva di importare in Italia il Bundesrat a quella del Senato delle regioni. Mi pare che la Commissione si sia espressa negativamente su queste due proposte.
Durante il loro esame, comunque, tutti abbiamo sottolineato il problema di un rapporto costante, continuativo con le autonomie locali e con le regioni. Nel corso del mio intervento quando abbiamo discusso del federalismo ho anche detto che, poiché il federalismo fiscale è un processo, occorreva che qualcuno lo dirigesse, ne seguisse la regia negli anni. Questo «qualcuno» è stato identificato nel Senato.
Allora, a nessuno è consentito di dire che l'esame in prima lettura del bilancio da parte del Senato postula un premierato dello stesso rispetto alla Camera; il bilancio viene esaminato per primo al Senato perché lì c'è la Camera delle autonomie territoriali, cui noi tutti abbiamo attribuito molto importanza per il raccordo istituzionale con le autonomie locali e le regioni.
Eravamo anche concordi nel ritenere che questa Commissione avesse un potere deliberante. Accettiamo che si parli di un parere vincolante; personalmente sono anche favorevole all'accoglimento dell'emendamento Zecchino, il quale prevede un potere di richiamo da parte dei senatori al verificarsi di determinate condizioni (mi pare si parli dei due terzi), ma non capisco l'osservazione di coloro che traggono dalla prima lettura da parte del Senato motivo per mettere in discussione che la Camera politica sia quella dei deputati, per cui anche la fiducia dovrebbe essere esportata al Senato.
Non è così; si tratta certamente di un punto di compromesso, ma un punto di compromesso chiaro e non pasticciato. A mio parere i pasticci vengono fatti da quanto vanno al di là di quanto scritto dalla norma proposta.


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STEFANO PASSIGLI. Ho già detto di ritenere che le regioni avrebbero dovuto avere la possibilità di pronunciarsi sul disegno complessivo di spesa del Governo e che il luogo istituzionale avrebbe dovuto essere il rapporto tra gli esecutivi, quindi lo Stato-regioni piuttosto che il potere legislativo e in particolare il Senato, che ha poteri limitati o non li ha, o ha comunque poteri affievoliti in materia di bilancio.
In ogni caso, se localizziamo come fa l'articolo 31 nel Senato il potere delle regioni di pronunciarsi sul processo di bilancio, credo si debba essere molto chiari su che cosa intendiamo per parere vincolante della Commissione nel caso dell'emendamento alternativo al testo originario. È chiaro che è tale rispetto alla pronuncia dello stesso Senato; allora, credo che alcune osservazioni fatte sulla laboriosità del processo siano calzanti. Forse possiamo pensare che il parere della Commissione - fermo restando che comunque la Camera delibera in via definitiva, questo è comma che rimane in entrambi i testi - viene reso indipendentemente dal voto del Senato; ma se così fosse potrebbe essere superato questo aggettivo «vincolante», che non vorrei venisse eletto ed interpretato come in contrasto con il potere della Camera di pronunciarsi in via definitiva.
Questo si riflette anche sulla istituzione, disciplina e ripartizione dei fondi perequativi. Se si tratta di esprimere un parere che può essere superato dal voto definitivo della Camera, nulla quaestio, è il momento in cui le regioni fanno conoscere il proprio giudizio su ipotesi di interventi perequativi del Governo; se dovesse essere qualcosa di diverso - ripeto: a me sembra che nel passaggio da un testo all'altro si corra il rischio di considerare il parere vincolante non solo per una pronuncia del Senato, ma per in contrasto con il potere pieno della Camera - se dovesse essere parere vincolante sulla istituzione, disciplina e ripartizione dei fondi perequativi, qui verremmo a ledere...


PRESIDENTE. Così non è; la relatrice ha chiarito...


STEFANO PASSIGLI. Chiedevo appunto alla relatrice di pronunciarsi chiaramente sul cammino procedurale e di dire che il parere della Commissione è vincolante per l'ulteriore pronuncia del Senato. Ma allora aveva ragione sul punto l'onorevole Zecchino e volevo sapere se la senatrice rinunciava a quest'ulteriore passaggio procedurale Commissione-Senato-Camera. Si potrebbe pensare che la Commissione si pronuncia su quel punto, senza che il plenum il Senato abbia a pronunciarsi, soprattutto se il parere della Commissione dovesse risultare vincolante.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Vorrei precisare che il passaggio dell'Assemblea del Senato mi è sembrato e mi sembra importante per consentire che nell'ambito dello stesso disegno di legge vi siano previsioni che riguardano il bilancio dello Stato o comunque discipline non direttamente interessanti le regioni, in maniera tale che su questi aspetti il parere della Commissione non sia vincolante; sarà vincolante invece per gli aspetti che riguardano direttamente le regioni. Questo mi sembra il meccanismo più semplice possibile per assicurare che la pronuncia della Commissione delle autonomie sia decisiva all'interno del Senato per le materie di loro interesse diretto, sia invece prevista, ma non come vincolante, per le materie che non riguardino direttamente il mondo delle autonomie.
L'intenzione è questa; continua a sembrarmi questa la soluzione più semplice e chiara. Mi pare - lo dico con molta franchezza - che dal testo tutto questo si evinca, che non sia necessario specificare che poi c'è l'esame da parte dell'Assemblea del Senato. Quando infatti in Costituzione è scritto «sono presentati al Senato della Repubblica e sono sottoposti al parere» è implicito che un parere non può concludere un procedimento; doverlo specificare mi sembra sovraccaricare il


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testo. Non mi pare di condividere questo orientamento; poi la Commissione deciderà.


LEOPOLDO ELIA. Mi pare che, salvo miglior coordinamento delle parti di questo complesso testo, la sostanza sia piuttosto chiara: è fuori discussione, non c'è dubbio che sul bilancio la parola definitiva spetti alla Camera (del resto, nemmeno in Germania il Bundesrat può avere una parità rispetto al Bundestag rispetto al bilancio); per il resto, la questione del tricameralismo si realizza se in uno stesso procedimento facciamo intervenire Camera, Assemblea del Senato e Commissione; se invece intervengono solo due soggetti sugli aspetti che interessano regioni e autonomie locali, tricameralismo non c'è, perché intervengono solo due organi.
Da ultimo, non accetto che, nelle materie che non riguardano le regioni, si possa andare all'Assemblea del Senato richiedendo una maggioranza qualificata che è del tutto incompatibile con la situazione del Governo; un Governo che non solo non può porre la questione di fiducia, ma addirittura si trova nella necessità - al di fuori dei procedimenti come la revisione costituzionale, in cui ci vuole una maggioranza specifica - di richiedere una maggioranza che può rendere ingovernabile il processo.


NATALE D'AMICO. Smetto di fare la critica esterna al modello prescelto, ho però qualche dubbio rispetto alla sua coerenza interna. Abbiamo scelto un modello di Camera delle garanzie, alla quale però stiamo attribuendo la funzione di esaminare in prima lettura il bilancio dello Stato. Se proviamo ad immaginare cosa potrebbe succedere, ci rendiamo conto che nelle due Camere potrebbero esserci due maggioranze diverse. Se, come in occasione dell'ultima finanziaria, nella Camera delle garanzie vi fosse stata la maggioranza del Polo, probabilmente in quella sede sarebbe stata approvata la finanziaria alternativa presentata dal Polo; questo provvedimento sarebbe poi andato alla Camera politica, nella quale la maggioranza era quella dell'Ulivo, dove tutto il lavoro precedente sarebbe stato buttato a mare e si sarebbe ripartiti daccapo.
Mi pare quindi che sia in discussione la coerenza interna del modello: se vi è una Camera delle garanzie, credo che essa non debba avere alcuna competenza in materia di bilancio. Se poi vogliamo prevedere che i soggetti dello Stato federale dicano la loro, a mio parere solo su una parte del bilancio, questo si può fare attraverso una Commissione federale o attraverso la Conferenza Stato-regioni, ma sicuramente non possiamo dare una competenza generale in materia di bilancio ad una Camera delle garanzie, perché ciò sarebbe privo di ragionevolezza.


MASSIMO VILLONE. Vorrei fare una domanda per capire bene come sia strutturato l'emendamento della relatrice. Si parla di un parere vincolante, ovviamente reso all'Assemblea del Senato, che però può deliberare solo in modo conforme. Cosa accade se l'Assemblea non delibera perché non è d'accordo? Bisogna immaginare una possibile uscita ad un contrasto che determini una volontà di non deliberare, perché chiamare un'Assemblea a prendere un pacchetto già confezionato è tecnicamente possibile, ma politicamente difficile. Confermo quindi i miei dubbi precedenti.
Segnalo poi la mia contrarietà all'ultimo comma perché il meccanismo di concertazione applicato alla determinazione dei livelli minimi delle prestazioni sociali rende chiarissimo come possa esserci contrasto da parte delle regioni ricche, che possono avere interesse a determinare a livello più basso i minimi delle prestazioni sociali, perché diversamente sarebbero chiamate a finanziarle. Mi sembra la prova evidente che certe cose nel nostro paese non vanno nella concertazione, preannuncio quindi il mio voto comunque contrario.


PRESIDENTE. Dobbiamo decidere innanzitutto se assumere come testo base l'emendamento della relatrice o il testo


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precedentemente proposto. La differenza fondamentale è che il testo originario della relatrice prevede che la culla delle leggi di bilancio sia la Camera dei deputati, che queste vadano al Senato per un parere e eventuali correzioni e poi tornino per l'approvazione definitiva alla Camera.
Successivamente dobbiamo decidere se le materie relative alla finanza locale e regionale e ai fondi perequativi debbano essere esaminate dalla speciale Commissione, con parere vincolante per il Senato, in modo esclusivo (salva possibilità di richiamo in aula secondo la proposta Zecchino) oppure se debbano essere esaminate per poi essere rinviate all'Assemblea con una deliberazione che non può che essere conforme trattandosi di parere vincolante.
Pongo in votazione l'emendamento della relatrice II.31.29.


(È respinto).


Rimane allora come testo base l'originario articolo 31.


ORTENSIO ZECCHINO. Le chiedo di ritenere ammissibile il mio subemendamento 0.II.31.29.2 che si adatta bene anche a questo testo. Preciso che nel testo che è stato distribuito vi è un errore poiché si parla di una maggioranza dei tre quinti mentre deve intendersi la maggioranza dei componenti.


PRESIDENTE. Il testo base dell'articolo 31 recita: «I disegni di legge (...) sono presentati alla Camera dei deputati. Da questa approvati, sono trasmessi al Senato ed esaminati dalla Commissione delle autonomie territoriali. Le disposizioni in materia di finanza regionale e locale, istituzione, disciplina e ripartizione dei fondi perequativi sono approvate dalla medesima Commissione». A questo punto l'emendamento Zecchino propone di introdurre il seguente comma: «Un terzo dei senatori può richiedere che tali deliberazioni adottate in Commissione siano sottoposte all'esame dell'Assemblea che potrà modificarle con la maggioranza assoluta dei componenti». Si ritiene cioè che l'esame dell'Assemblea e l'eventuale modifica delle deliberazioni in materia di finanza regionale e locale siano possibili solo se lo richieda un terzo dei senatori e se vi sia una maggioranza qualificata pari alla maggioranza assoluta dei componenti. Su tutto ciò, comunque, delibera in via definitiva la Camera dei deputati.


MAURIZIO PIERONI. Dichiaro il mio voto favorevole a questa proposta poiché mi pare che riporti ad un bicameralismo, non paritario ma perfetto e coerente. Contestualmente, ove questo fosse approvato, ritiro il mio emendamento II.31.22.


PRESIDENTE. Credo che il testo dell'articolo 31 vada precisato perché, così come è formulato, in sostanza stabilisce che i disegni di legge in materia di bilanci e rendiconti verrebbero esaminati esclusivamente dalla Commissione per le autonomie territoriali.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Al terzo comma si precisa che vengono approvati dall'Assemblea.


CESARE SALVI. Desidero fare una dichiarazione di voto generale su questa materia. Non voteremo nessun emendamento e accetteremo il testo base per consentire l'esame parlamentare, poiché consideriamo la questione ancora irrisolta nel suo insieme e riteniamo che ci si dovrà tornare dopo la conclusione dei lavori della Commissione bicamerale.


FRANCESCO SERVELLO. Concordo con la dichiarazione del collega Salvi.


GIORGIO REBUFFA. Mi sembra che la dichiarazione del senatore Salvi contenga il minimo di sensatezza necessaria a questo punto, perché stiamo mettendo in piedi un meccanismo in cui non c'è più niente.


ORTENSIO ZECCHINO. Nella presentazione degli emendamenti anch'io ho


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premesso che il grado di soddisfazione è bassissimo in tutti per le soluzioni che andiamo a determinare. Naturalmente, con questo emendamento non immaginavo di provocare un capovolgimento di questa situazione, era semplicemente un tentativo di far uscire dalla Commissione un testo che avesse un minimo di coerenza con l'impianto bicamerale, perché così esce un impianto tricamerale.
Detto questo, registrando la condizione di sempre più basso gradimento, non ho difficoltà a ritirare l'emendamento, perché mi auguro che la materia possa essere affrontata diversamente; resta però il dato che così esce dalla Commissione un mostro tricamerale.


KARL ZELLER. Anch'io ritiro il mio emendamento II.31.1 ritenendo che questo sia un mostro tricamerale.


MARCO BOATO. Anche se il collega Zecchino si è dichiarato disponibile a ritirarlo, suggerirei che il suo emendamento fosse volto ad introdurre un comma 3-bis e proporrei di approvarlo, sia pure con la riserva generale di riesame della materia manifestata da vari colleghi.


PRESIDENTE. L'emendamento Zecchino modificato nel senso di proporre un comma aggiuntivo, ricolloca la Commissione speciale nell'ambito della procedura del Senato, altrimenti si fissa una procedura che rende questa Commissione un organo parlamentare in se conchiuso, che è semplicemente ospitato dal Senato della Repubblica ma che non ha con esso alcun rapporto.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Mi associo alla richiesta di votazione dell'emendamento Zecchino sul quale esprimo parere favorevole.


PRESIDENTE. L'approvazione di tale emendamento consente di dare a questa norma un senso compiuto. Successivamente, sulla soluzione che abbiamo dato a questo problema, cioè quella di collocare nel Senato una speciale Commissione (problema del rapporto tra bicameralismo e federalismo) rifletteremo in modo più organico. Per ora, potremmo limitarci a dare un senso compiuto a questa soluzione istituzionale i cui elementi di debolezza, peraltro, sono stati sottolineati da molti nella discussione. Poi potremo riflettere, ma almeno ricollochiamo la Commissione nel Senato, altrimenti rischia di esserne sostanzialmente fuori.


ERSILIA SALVATO. Vorrei intervenire per dichiarazione di voto se lei pone in votazione questo subemendamento. Capisco che lo fa suo per porlo in votazione.


PRESIDENTE. No, lo propone il senatore Zecchino.


ERSILIA SALVATO. Ma il senatore Zecchino un attimo fa lo aveva ritirato!


ORTENZIO ZECCHINO. Ma di fronte alla richiesta del presidente...


PRESIDENTE. No, la richiesta è stata avanzata dall'onorevole Boato, poi dalla relatrice; infine, anch'io mi sono unito alla richiesta che lo mantenga in votazione.


ERSILIA SALVATO. Quindi, votiamo il subemendamento Zecchino.


PRESIDENTE. Sì, esatto.


ERSILIA SALVATO. La ringrazio. Intervengo, quindi, per dichiarare il nostro voto contrario sul subemendamento Zecchino. Comprendo, signor presidente, le sue argomentazioni e apprezzo anche lo sforzo che lei sta facendo per tentare di dare razionalità a ciò che difficilmente può averne la parvenza. Ma, francamente, l'errore è stato compiuto nel momento stesso in cui si è decisa una Commissione presso il Senato, con le caratteristiche di una terza Camera. Quindi, anche se il subemendamento fosse approvato, a mio avviso non muterebbe la sostanza del mostro giuridico che stiamo costruendo. Tra l'altro, considerato che abbiamo ragionato


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per lunghi mesi, evidentemente vi è stato chi ha inteso portare avanti questa proposta con molta determinazione, nell'illusione che potesse essere una mediazione utile ed efficace. Saggezza vorrebbe, invece, che si prendesse atto della sconfitta di questa ipotesi e che si lasciasse l'aula realmente libera di decidere. Ad ogni modo, annuncio il voto contrario del mio gruppo.


PRESIDENTE. Ma l'aula è libera, come è libera la Commissione di riesaminare questa materia sulla base degli emendamenti.
Pongo in votazione il subemendamento Zecchino II.0.31.29.2, così come proposto dal relatore.


(È approvato).


Propongo di ritirare tutti gli altri subemendamenti e di votare il testo così com'è, perché a questo punto credo che il testo, che poi esamineremo, abbia un senso compiuto.
Pongo in votazione l'articolo 31 come risulta a seguito delle modifiche apportate.
(È approvato).


Naturalmente, si considera accantonato, con riferimento all'articolo 31, l'ultimo comma in materia di ricorsi alla Corte costituzionale.
Onorevole Calderisi, procediamo, con uno sforzo, all'esame dell'articolo 32 o sospendiamo?


GIUSEPPE CALDERISI. Signor presidente, su questo articolo ho presentato un solo emendamento di dettaglio a cui rinuncio volentieri. Non so cosa intendano fare gli altri colleghi. Quindi, non dipende solo da me.


PRESIDENTE. Ormai siamo in dirittura d'arrivo, quindi chiudiamo questa parte.
Passiamo all'articolo 32.
Mi sembra che sia precluso l'emendamento D'Amico II.32.13, in quanto monocamerale.
Passiamo all'emendamento Rigo II.32.12.


MARIO RIGO. Lo ritiro.


PRESIDENTE. Passiamo all'emendamento Grillo II.32.11.


MARIO RIGO. Lo ritiriamo.


PRESIDENTE. Passiamo agli identici emendamenti Mattarella II.32.14 e Boato II.32.17 soppressivi del secondo comma.


MARCO BOATO. Mantengo il mio emendamento. Suggerirei di sopprimere il secondo comma perché se al primo comma si dice che «Le Camere controllano l'attuazione delle leggi nello svolgimento delle funzioni normativa e amministrativa del Governo e di tutti gli enti pubblici», non credo che abbia senso quanto previsto al secondo comma dell'articolo 32, che a mio parere risulta del tutto ultroneo per certi aspetti e sbagliato per altri. Suggerirei quindi alla relatrice di ritirare questo secondo comma o di votare l'emendamento che ne chiede la soppressione.
Per non intervenire successivamente, vorrei dire qualcosa a proposito del terzo comma dell'articolo 32. Sollevo un problema su cui richiamo l'attenzione dei colleghi. Se si prevede che si possa in ogni caso, su proposta di un quinto dei componenti, istituire una Commissione d'inchiesta, nell'arco di un anno, neanche di una legislatura, si potrebbero costituire cinquanta Commissioni d'inchiesta, per esempio. Quindi, questa previsione potrebbe diventare uno strumento istituzionalmente ostruzionistico. Siccome sono favorevolissimo al principio della Commissione d'inchiesta, o mettiamo un tetto (non più di tre o cinque Commissioni per legislatura proposte dalle minoranze) oppure rischiamo di far sì che questa


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previsione diventi uno strumento micidiale di ostruzionismo istituzionale dentro al Parlamento.
Ripeto, non voglio buttare via il bambino con l'acqua sporca (il bambino sono le Commissioni d'inchiesta), però rischiamo di prevedere uno strumento di ostruzionismo in Costituzione. Quindi, suggerirei di riflettere sul terzo comma e di sopprimere il secondo comma.


MARIDA DENTAMARO, Relatore sul Parlamento e le fonti normative. Modificherei la richiesta di un quinto con la richiesta di un terzo.


PRESIDENTE. Vi pregherei di non aprire il dibattito su punti successivi.
Torniamo alla proposta soppressiva del secondo comma. Qual è il parere della relatrice?


MARIDA DENTAMARO, Relatore sul Parlamento e le fonti normative. Mi rimetto all'aula.


PRESIDENTE. Pongo in votazione gli identici emendamenti Mattarella II.32.14 e Boato II.32.17, soppressivi del secondo comma, sui quali la relatrice si è rimessa all'Assemblea.


(Sono approvati).


Il secondo comma dell'articolo 32 s'intende pertanto soppresso.
Passiamo adesso alla questione relativa alle Commissioni d'inchiesta su cui sono stati presentati diversi emendamenti. C'è chi propone che la facoltà della loro istituzione sia concessa soltanto al Senato e chi, invece, propone di modificare il quorum da un quinto a un terzo. Per certi aspetti, le due proposte sono tra loro connesse, perché se questa possibilità è riconosciuta soltanto al Senato...


CESARE SALVI. La nostra proposta - primo firmatario il collega Pellegrino -, signor presidente, prevede che al Senato siano incardinate soltanto le Commissioni d'inchiesta che hanno i poteri dell'autorità giudiziaria. Ciò per qualificare questa ipotesi, con la quale il Parlamento dispone di rilevanti poteri. Alla Camera resterebbero le Commissioni d'inchiesta senza questo tipo di poteri. Questo per l'ovvia ragione che, al di là di chi possa promuoverle o meno, spetterà alla disponibilità della maggioranza politica la formazione delle Commissione d'inchiesta. Quindi, è preferibile che i maggiori poteri siano affidati alle Commissioni d'inchiesta istituite...


PRESIDENTE. Ho capito.


CESARE SALVI. Per quanto riguarda l'altra questione, proponevamo di alzare il quorum da un quinto ad un terzo. Può essere questa la soluzione, però il problema posto dall'onorevole Boato esiste sia sul versante del rischio ostruzionistico sia perché l'opposizione potrebbe essere posta nelle condizioni di sentirsi chiedere per quale motivo non istituisca una Commissione d'inchiesta considerato che potrebbe farlo. Forse, l'ipotesi di limitare temporalmente questa possibilità dell'opposizione nell'arco della legislatura può essere presa in considerazione.


PRESIDENTE. Innanzitutto, vorrei rivolgere una domanda ai presentatori degli emendamenti II.32.6 e II.32.10: ritengono che la proposta dei colleghi Pellegrino e Salvi, cioè di considerare che le Commissioni d'inchiesta che hanno i poteri della magistratura si istituiscano presso il Senato, sia tale da indurli a ritirare gli emendamenti che hanno presentato?


GIUSEPPE CALDERISI. Signor presidente, considerando la funzione del mio emendamento, analogo a quello dei colleghi di rifondazione comunista, non sono contrario all'ipotesi del collega Salvi. Però mi sembra importante mantenere, come in Germania, l'istituto delle Commissioni d'inchiesta istituite anche quando le richiede una minoranza (abbastanza qualificata ma minoranza).


ERSILIA SALVATO. Ritiriamo l'emendamento II.32.6 e accediamo all'emendamento Pellegrino II.32.3.


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PRESIDENTE. Gli emendamenti più lontani dal testo sono quelli soppressivi del secondo periodo del terzo comma. Poi vi è l'emendamento Mussi II.32.4, fatto proprio dal relatore, che porta da un quinto ad un terzo il quorum necessario per disporre inchieste su materie di pubblico interesse.


SERGIO MATTARELLA. Signor presidente, ieri abbiamo approvato un emendamento - in parte già inserito nel testo del relatore - per cui sono riservati spazi e momenti in cui si discutono e si votano proposte dell'opposizione. Prevedere che si possa disporre un'inchiesta contro il parere della maggioranza ma con il solo consenso di una parte minoritaria è cosa che a me sembra un po' ardita. È giusto che le proposte dell'opposizione vengano esaminate e votate ma che la volontà minoritaria si trasformi in volontà della Camera a cui appartiene obbiettivamente è un po' complicato, a parte i rischi di ostruzionismo a cui faceva cenno l'onorevole Boato. È questa la ragione dell'emendamento II.32.15, soppressivo del secondo periodo.


MARCO BOATO. Preannuncio la riformulazione del mio emendamento.


PRESIDENTE. L'onorevole Boato propone la seguente riformulazione del suo emendamento II.32.8: «Vi provvede in ogni caso su proposta di un terzo dei componenti, per non più di cinque volte nel corso di ciascuna legislatura». Diciamo che il numero delle munizioni è limitato, contingentato!


GIUSEPPE CALDERISI. Capisco l'esigenza di porre dei limiti, però in questo modo una maggioranza può esaurire le cinque «munizioni», per esempio, e impedire ad una minoranza di chiedere che venga istituita una Commissione d'inchiesta. A me sembra che questo istituto delle Commissioni d'inchiesta, che esiste anche in Germania, debba essere inserito nella nuova Costituzione. Non credo che se ne faccia un uso eccessivo, perché se se ne devono occupare solo i senatori, non è immaginabile che approvino 30 Commissioni d'inchiesta!


MARCO BOATO. Ma il terzo comma riguarda tutte e due le Camere.


MASSIMO VILLONE. Propongo di togliere le parole «in ogni caso» e di adottare una formula di questo tipo: «Vi provvede su proposta di un terzo dei componenti secondo le norme del regolamento». In questo modo, rinviamo a quest'ultimo il modo in cui far funzionare le Commissioni d'inchiesta.


PRESIDENTE. Quindi, la proposta risulterebbe del seguente tenore: «Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. Vi provvede su proposta di un terzo dei componenti secondo le norme del regolamento». Le parole «La Commissione d'inchiesta procede alle indagini» verrebbero sostituite nel modo seguente: «Le Commissioni d'inchiesta istituite presso il Senato della Repubblica procedono alle indagini e agli esami con gli stessi criteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria».


SERGIO MATTARELLA. Signor presidente, vorrei pregarla di rileggere le prime parole dell'emendamento proposto dall'onorevole Villone.


PRESIDENTE. «Vi provvede su proposta di un terzo dei componenti secondo le norme previste dal regolamento».


SERGIO MATTARELLA. Quindi, si rinvia al regolamento la definizione della maggioranza necessaria per decidere?


MASSIMO VILLONE. Si consente al regolamento di dettare discipline che in qualche modo rendano compatibile...


PRESIDENTE. Si eleva il quorum da un quinto a un terzo e si consente al regolamento di disciplinare questa materia


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in modo da renderla compatibile con il funzionamento generale delle Assemblee.


SERGIO MATTARELLA. Non possiamo comunque dare adito a dubbi interpretativi ed al riguardo non ho percepito la risposta del senatore Villone alla mia domanda: si rinvia al regolamento la decisione su quale maggioranza disponga l'inchiesta?


MASSIMO VILLONE. Non c'è la maggioranza, vi è la possibilità della richiesta da parte di un terzo.


SERGIO MATTARELLA. Insisto allora per la votazione del mio emendamento al fine di riaffermare la regola secondo cui a decidere è la maggioranza.


PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta Mattarella che afferma il principio per cui l'istituzione di Commissioni d'inchiesta è deliberata a maggioranza, non da una minoranza qualificata.


(È respinta).


MARCO BOATO. L'obiezione Mattarella-Villone aveva comunque un fondamento, perché un quorum molto elevato per la proposta, che anch'io avevo giudicato opportuno, ha senso se vi è una sorta di automatismo; se invece si tratta semplicemente di una proposta, mentre a provvedere è il regolamento, non si comprende perché si dovrebbe prevedere il quorum di un terzo.


MASSIMO VILLONE. Non è una mera proposta, perché il testo prevederebbe che «vi provvede in ogni caso su proposta di un terzo dei componenti».


PRESIDENTE. Poiché l'onorevole Mattarella ha compreso che la norma prescrive l'inchiesta se lo richiede una maggioranza qualificata, ha chiesto che fosse posto in votazione il suo emendamento.


SERGIO MATTARELLA. A questo punto, chiedo al senatore Villone di lasciare il testo della relatrice perché, anche se a mio avviso è sbagliato, almeno è chiaro. Se invece si usa la dizione «vi provvede secondo il regolamento», nasceranno incertezze interpretative sul significato di tale norma.


PRESIDENTE. Ritengo che il regolamento potrebbe prevedere, per esempio, dei tetti, delle compatibilità con l'organizzazione dell'Assemblea, ovvero norme di questo genere. Anziché introdurre un tetto in Costituzione, che rappresenterebbe un elemento di forte rigidità, si può prevedere che, fermo restando il principio per cui la maggioranza qualificata di un terzo (non più di un quinto) può chiedere e ottenere l'istituzione di una Commissione d'inchiesta, spetterà al regolamento disciplinare tale materia in modo che questa attività sia compatibile con quella generale delle Camere (Commenti del deputato Mattarella).
Ho capito che lei non è d'accordo, onorevole Mattarella, ma mi sembra che la proposta non sia priva di significato.
Pongo in votazione la formulazione proposta dal senatore Villone.
(È approvata).


Pongo in votazione l'emendamento Pellegrino II.32.3, in base al quale le Commissioni d'inchiesta, dotate dei poteri della magistratura, potrebbero essere istituite solo al Senato.
(È approvato).


Passiamo all'esame dell'emendamento Elia II.32.16, in cui si propone di sopprimere, al quinto comma, le parole «e privati». La proposta è riferita all'ultimo comma dell'articolo 32, che recita: «Ai fini dell'attività conoscitiva delle Commissioni parlamentari, il Governo, le amministrazioni pubbliche, i soggetti pubblici e privati forniscono ogni notizia (...)».


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le forme normative. Esprimo


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parere favorevole su questo emendamento.


CESARE SALVI. Per quale ragione?


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le forme normative. Perché altrimenti si configurerebbe un potere inquisitorio nei confronti dei privati, che mi sembra eccessivo: diverso è il dovere dei soggetti pubblici.


MARCO BOATO. A mio avviso, nel testo dovrebbe essere mantenuto il riferimento ai privati, specificando però che si tratta delle Commissioni d'inchiesta del Senato, quelle che hanno i poteri della magistratura. Siccome nel quinto comma dell'articolo 32 si afferma «ai fini dell'attività conoscitiva delle Commissioni parlamentari», ritengo che non si possa costringere a fornire informazioni nell'ambito dell'attività conoscitiva del Parlamento, mentre questo sarebbe consentito dai poteri attribuiti alle Commissioni d'inchiesta del Senato, che sono quelli della magistratura.


MASSIMO VILLONE. In questo caso, si sancisce soltanto un principio generale: se poi il privato non intende fornire le notizie, non le fornirà.


SERGIO MATTARELLA. Ma come? Si prevede in Costituzione che i privati forniscano notizie, informazioni e così via e poi si dice che questo non è vincolante? Ma è certamente vincolante: è la Costituzione che lo prevede!


CESARE SALVI. Non capisco per quale ragione un soggetto privato, magari il titolare della più grande impresa privata italiana, non debba essere chiamato a fornire informazioni; è evidente che subirà sanzioni penali soltanto nell'ipotesi, che abbiamo già approvato, in cui vi siano i poteri d'inchiesta propri dell'autorità giudiziaria. Altrimenti, il soggetto privato dirà che non intende intervenire e qualcuno sosterrà che ha fatto bene, mentre qualcun altro dirà che ha fatto male. Trovo però incomprensibile che il Parlamento non possa chiedere ad un privato di fornire risposte a propri quesiti.


PRESIDENTE. Tra l'altro, nella norma vi è una limitazione, in quanto si parla di questioni di pubblico interesse. Non mi pare opportuno che il Parlamento, nell'ambito delle sue attività conoscitive, non possa chiedere a soggetti privati notizie, documentazioni e chiarimenti su questioni di pubblico interesse.


SERGIO MATTARELLA. Occorre considerare che sarebbe la Commissione a decidere che cosa sia di pubblico interesse.


GUSTAVO SELVA. Presidente, lei non ha menzionato gli emendamenti riferiti al quarto comma dell'articolo 32, tra cui il II.32.5 che ho presentato insieme all'onorevole Armaroli, volto ad inserire dopo le parole «una Commissione», le seguenti: «presieduta da un esponente dell'opposizione». Immagino che lei non l'abbia preso in considerazione perché nel terzo comma è stata inserita la dizione «secondo il regolamento».
Ritengo però che sarebbe stata opportuna una riflessione su questo tema, che introduce un primo elemento in ordine allo statuto delle opposizioni. Oppure, si preferisce parlarne allorché si affronterà lo statuto delle opposizioni?


PRESIDENTE. Penso di sì. Oltre tutto, non mi sembra opportuno prevedere in Costituzione che debba trattarsi di un esponente dell'opposizione, per lo più designato dalla maggiore coalizione uscita sconfitta dalle elezioni.


GUSTAVO SELVA. Avrei ritirato questa parte dell'emendamento.


PRESIDENTE. Onorevole Selva, mi sembra una norma così congiunturale...


GUSTAVO SELVA. Avrei ritirato, come dicevo, questa parte dell'emendamento, lasciando soltanto l'espressione «presieduta da un esponente dell'opposizione».


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GIUSEPPE CALDERISI. Al Senato qual è l'opposizione?


PRESIDENTE. Appunto, non si sa quale sia l'opposizione.


MARCO BOATO. Queste sono norme di carattere regolamentare in materia di statuto dell'opposizione.


SERGIO MATTARELLA. Vorrei ricordare sommessamente che è stata recentemente approvata la legge sulla riservatezza dei dati personali, sulla base di un impegno comunitario. Poiché quella di cui ci stiamo occupando è la Costituzione, che prevale su ogni altra legge, se si prevede l'obbligo per i privati di fornire notizie, documentazioni e così via, non nell'ambito di un'inchiesta parlamentare, ma ai fini di un'indagine conoscitiva di una Commissione, si crea di fatto un profondo vulnus a quella legge. Credo si tratti di un fatto obiettivamente inopportuno, perché una norma del genere inserita nella Costituzione e quindi, anche in assenza di sanzioni, inevitabilmente prevalente su ogni altra, rischierebbe di vanificare qualunque autonomia del privato.


FRANCESCO SERVELLO. Sulla base dell'esperienza, ritengo che si possa accogliere l'emendamento Elia-Mattarella II.32.16, tenuto conto che durante tutte le vicende parlamentari, quando si sono svolte indagini conoscitive, i privati sono venuti quasi volontariamente, ed anzi hanno fatto pressione sulle Commissioni per esprimere la loro opinione su problemi che avevano attinenza con questo o quel comparto dell'economia, delle attività finanziarie e così via.
Mi sembra quindi giusto approvare questo emendamento, tenendo però conto che nella prassi, poiché comunque non sarebbe perentoriamente escluso che i privati possano essere convocati, credo che, se invitati, essi non avranno alcuna difficoltà ad intervenire.


CIRIACO DE MITA. Ritengo che la questione possa essere risolta nel senso che per le Commissioni d'inchiesta è necessario prevedere i poteri dell'autorità giudiziaria; quanto alle indagini conoscitive delle Commissioni parlamentari, essendo la questione legata alla disponibilità degli interlocutori, è irrilevante prevedere in Costituzione un dovere: infatti, comunque lo si voglia leggere, o è inutile oppure è un dovere che contrasta con le altre leggi.
Credo pertanto che si possa mantenere soltanto la previsione che le Commissioni d'inchiesta siano dotate dei poteri dell'autorità giudiziaria, perché questo è necessario.


PRESIDENTE. Lei propone, in sostanza, di far decadere tutto l'ultimo comma dell'articolo 32?


CIRIACO DE MITA. Sì, perché è irrilevante.


PRESIDENTE. In effetti, che il Governo sia tenuto a fornire notizie al Parlamento è un principio generale. Tra l'altro, eliminare soltanto il riferimento ai privati introdurrebbe un elemento piuttosto strano, perché una Commissione, nell'ambito della sua attività conoscitiva, può anche chiamare dei privati.
Mi sembra che prevalga l'opinione di sopprimere interamente l'ultimo comma dell'articolo 32.
Pongo in votazione tale opinione.
(È approvata).


Decadono conseguentemente gli altri emendamenti relati a tale articolo.


MARIO GRECO. Il mio emendamento II.32.9 ha un carattere aggiuntivo.


PRESIDENTE. Tale emendamento prevede l'obbligo per le delegazioni parlamentari presso gli organismi internazionali di riferire al Senato sull'attività degli organismi stessi.


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SERGIO MATTARELLA. La norma deve valere anche per la Camera.


PRESIDENTE. Questa mi sembra però una norma di carattere regolamentare, che non mi sembra opportuno inserire nella Costituzione.


MARIO GRECO. Questo è un invito a ritirare l'emendamento, presidente?


PRESIDENTE. Sì.


MARIO GRECO. Sta bene.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 32.
(È approvato).


Passiamo all'esame dell'articolo 33, al quale la relatrice ha presentato l'emendamento II.33.12, interamente sostitutivo: l'esame proseguirà pertanto su tale testo, e gli emendamenti che si esamineranno dovranno intendersi riferiti ad esso.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Con questo emendamento ho inteso eliminare il doppio riferimento all'organizzazione, che nel testo originario figurava nel primo e nel secondo comma, tra l'altro con una contraddizione sostanziale: mentre nel primo comma figura una riserva relativa di legge, che in quel testo copriva anche l'organizzazione dei ministeri, nel secondo comma si prevede una riserva di regolamento governativo per l'organizzazione dell'amministrazione statale. Vi era quindi una contraddizione che nella nuova formulazione ho eliminato, poiché l'organizzazione dei ministeri rientra pienamente in quella dell'amministrazione, per cui nella riformulazione essa viene compresa nella riserva di regolamento governativo.
Viene inoltre riformulata (in questo caso, credo di poter affermare che è una riformulazione soltanto tecnica e testuale) la parte relativa ai regolamenti indipendenti, usando una formula semplificata.
Infine, l'ultimo comma è stato riformulato recependo la proposta, tecnicamente assai migliore rispetto al testo originario, del gruppo dei popolari (Elia ed altri).


GIUSEPPE CALDERISI. Su questo articolo vi sono due emendamenti presentati dal gruppo di forza Italia (il II.33.2 e il II.33.1), che affrontano entrambi la questione della delegificazione.
Riteniamo che il testo dell'articolo 33, anche quello riformulato dalla relatrice o che risulterebbe da altri emendamenti, non risolva il problema. Infatti, se il Governo potrà adottare regolamenti soltanto in materie non disciplinate dalla legge, limiteremo la delegificazione soltanto a provvedimenti ad hoc, poiché la legge ormai copre qualunque ambito.
Se, invece, vogliamo dare luogo ad un processo di delegificazione, dobbiamo prevedere norme più incisive che consentano al Governo - nel rispetto dei principi desumibili dalla legge - di provvedere con regolamento nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge. Solo così possiamo sperare che la gravissima questione sia affrontata; ed arrivare ad un forte processo di delegificazione è un obiettivo fondamentale della riforma.
Ritengo che gli emendamenti Rebuffa II.33.2 e Urbani II.33.1 tendano ad affrontare il problema, pure in diversa maniera, indicando soluzioni significative.


PRESIDENTE. Quali sono gli aspetti qualificanti di questi emendamenti? In cosa differiscono dal nuovo testo appena illustrato dalla relatrice?


GIUSEPPE CALDERISI. L'emendamento Rebuffa II.33.2 («Le materie non coperte da riserva assoluta di legge sono disciplinate da regolamenti nel rispetto dei principi desumibili dalla legge») consentirebbe al Governo una più ampia facoltà di disciplina. Se, invece, si stabilisse che il Governo può intervenire con regolamenti nelle materie non regolamentate dalla legge, di fatto non si potrebbero adottare regolamenti se non attraverso specifici provvedimenti di delegificazione. Infatti l'opera


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di legificazione attualmente riguarda ogni materia ed ogni ambito.
La normativa proposta nel testo della relatrice in realtà non è dissimile da quella vigente, la quale fino ad oggi non ha consentito l'opera di delegificazione. Se vogliamo perseguire questa finalità, dobbiamo innovare e consentire al Governo un più ampio margine, mentre la proposta della relatrice corrisponde esattamente alla situazione attuale.


NATALE D'AMICO. Presidente, vorrei ricordare che il mio emendamento II.30.33 era stato accantonato e riguarda materia analoga a quella di cui ci stiamo occupando in questo momento.
Il problema che la mia proposta solleva è il seguente. Allo stato dei fatti noi abbiamo previsto strumenti per difendere il Parlamento dall'ingerenza legislativa del Governo, limitando per esempio la possibilità dell'esecutivo di emanare decreti-legge (termini temporali, limiti per oggetto). Anche senza arrivare ad introdurre una riserva assoluta di regolamento mi sembra necessario prevedere strumenti che difendano l'ambito normativo del Governo. Il mio emendamento II.30.33 tende appunto a conferire al Governo la possibilità di opporsi all'ammissione di proposte parlamentari nelle materie non riservate alla legge. Questo non significa che sarebbe preclusa al Parlamento la possibilità di legiferare nelle stesse materie: tutto si risolverebbe nell'ambito di un rapporto dialettico con il Governo.
Con il mio emendamento II.33.6 si tenta di introdurre criteri di «igiene legislativa»: la legge può stabilire una disciplina generale di settore ed autorizzare il regolamento ad emanare ulteriori norme. Questi regolamenti, fatte salve le norme della legge di autorizzazione, dovrebbero però abrogare ogni norma preesistente nella medesima materia. È un vincolo costituzionale teso ad assicurare, oltre all'azione di delegificazione, anche un processo di «pulizia normativa».
Si profila in queste proposte qualche novità in più rispetto al testo della relatrice.


FRANCESCO SERVELLO. Vorrei rivolgermi alla relatrice per cercare di rendere meno oscuro in sede di coordinamento il secondo periodo del terzo comma. Dico «oscuro» riferendomi a me stesso, che della materia sono incompetente. Il testo recita: «Nelle stesse materie la legge può autorizzare il regolamento ad abrogare norme di legge vigenti e a introdurre nuove disposizioni nella stessa materia nel rispetto dei principi e dei limiti da essa stabiliti». Forse il concetto andrebbe reso più chiaro.


PRESIDENTE. In sostanza si prevede la possibilità - poc'anzi auspicata dall'onorevole D'Amico - che la legge possa autorizzare il Governo ad abrogare con regolamento anche norme legislative, proprio allo scopo di promuovere una semplificazione normativa. Naturalmente il testo può essere formulato in maniera più chiara. Ma la possibilità di abrogare attraverso il regolamento norme di legge vigenti è prevista anche nel testo della relatrice (purché la legge autorizzi il Governo a farlo).


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Viceversa l'emendamento Rebuffa II.33.2 non prevede l'autorizzazione con legge. La Costituzione stabilirebbe, quindi, che il regolamento intervenga direttamente ad abrogare norme di legge vigenti, salvo che in presenza di riserva assoluta.


PRESIDENTE. In sostanza il testo della relatrice prevede che il Governo sia autorizzato da una legge, così come il suo emendamento, onorevole D'Amico, laddove si dice «salve le norme della legge di autorizzazione...».


NATALE D'AMICO. La mia proposta introduce però un obbligo ad abrogare tutte le norme precedenti nella medesima materia. È qualcosa di più.


PRESIDENTE. Sì, ma dal punto di vista della procedura il problema è se la facoltà venga accordata al Governo con


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legge di autorizzazione oppure se questa non sia necessaria.


GIUSEPPE VEGAS. Signor presidente, vorrei brevemente soffermarmi sul secondo comma dell'emendamento Urbani II.33.1. Sostanzialmente il testo della relatrice lascia una sorta di prevenzione temporale: se la legge interviene, cade il principio della riserva di regolamento. Con questo meccanismo noi non superiamo il grave problema dell'eccesso del numero di fonti primarie, ossia di leggi. Il meccanismo previsto nel secondo comma dell'emendamento Urbani II.33.1 consente una sorta di concorrenza tra le fonti quando non si tratti di materia riservata (con riserva assoluta) alla legge. Così possono intervenire sia il Parlamento sia il Governo. Da una parte è possibile diminuire il numero totale delle leggi, dall'altra non viene meno il principio di efficienza della normazione, ossia della sua rispondenza al bisogno cui si intende corrispondere. Limitarsi invece al testo della relatrice significherebbe far riemergere gradualmente la quantità di legislazione che abbiamo attualmente, uno dei mali del nostro regime parlamentare.


STEFANO PASSIGLI. Presidente, nel complesso della riforma una norma di delegificazione è decisamente importante. Le varie soluzioni che sono state offerte - con il testo della relatrice e con gli emendamenti - non sono a mio parere del tutto soddisfacenti.
Come è stato osservato, il testo della relatrice non innova rispetto alla situazione esistente, perché il Governo potrebbe adottare regolamenti solo quando la disciplina non fosse stabilita con legge; quindi non vi sarebbe innovazione rispetto all'attuale situazione.
Con l'emendamento Elia II.33.7 si consente la delegificazione, ma solo attraverso una legge, attuando un processo di delegificazione caso per caso. Evidentemente non è un testo sufficiente.
Ritengo, poi, pericoloso l'emendamento Urbani II.33.1, perché troppo poche sono le materie riservate alla legge e troppo vasta l'area sulla quale si può intervenire con regolamento, delegificando direttamente.
Ecco perché con il mio emendamento II.33.4 ho ritenuto di compiere uno sforzo di identificazione, ma certo si tratta di un dettaglio eccessivo da introdurre nella Costituzione.
Credo che il punto di arrivo possa essere l'emendamento Rebuffa II.33.2, ma devo dire che il campo di intervento dei regolamenti non viene identificato con sufficiente chiarezza.
Credo che nella Costituzione dovrebbe essere inserito un rinvio ad una legge bicamerale che identifichi le materie oggetto di delegificazione direttamente attraverso lo strumento del regolamento. Alcune di queste materie sono state individuate nel mio emendamento, altre potranno essere discusse, ma si tratta di prevedere comunque un passaggio legislativo. L'emendamento Rebuffa II.33.2 è corretto dal punto di vista dell'impostazione, ma è insufficiente per raggiungere lo scopo.
In conclusione, inseriamo nella Costituzione un lungo elenco (del tipo di quello previsto nel titolo V della Costituzione francese) oppure rinviamo ad un'unica legge che indicherà le materie oggetto di delegificazione attraverso lo strumento regolamentare (ciò che propongo alla relatrice).


GIOVANNI PELLEGRINO. Presidente, stiamo affrontando uno dei temi più delicati, forse in una situazione non delle più adatte alla soluzione della questione. Si tratta dell'ordine gerarchico delle fonti, che a mio parere dovrebbe essere prescritto da norme di rango costituzionale.
La scelta che dobbiamo compiere mi sembra sia stata chiarita sia dalla relatrice sia dal presidente: dobbiamo decidere se la delegificazione dovrà avvenire attraverso una legge che la preveda caso per caso o se si determini una sostanziale equiordinazione tra regolamento e legge in tutte le materie non coperte da riserva assoluta (oppure - secondo la logica di Passigli - in una serie di materie che non


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rientrino in un determinato elenco da stabilire nella Costituzione o con legge bicamerale). Questa seconda modifica - che pure mi attrae - mi sembrerebbe coerente rispetto ad una forma di governo fortemente caratterizzata in termini presidenziali. Ma poiché ci stiamo muovendo verso un semipresidenzialismo attenuato, tutto sommato mi manterrei nella logica del testo della relatrice.
Non ha senso prevedere un diverso ordine gerarchico delle fonti senza occuparsi anche del sistema delle garanzie. Una delle ragioni per cui in Italia la delegificazione non ha funzionato non sta tanto nel ridotto numero di leggi di delegificazione dopo la previsione generale contenuta nella disciplina sulla Presidenza del Consiglio, ma sta nel fatto che il regolamento gode - per quanto riguarda la sindacabilità - dello stesso regime dell'atto amministrativo puntuale. È evidente che il regolatore (il sistema Governo-Parlamento) ha sentito fortissima la spinta a situare anche normative di dettaglio al livello di fonte primaria per non incappare nel sistema di maggiore sindacabilità tipico invece dei regolamenti.
Ecco perché a mio avviso una forte novità è inserita nel testo della relatrice: in due grandi ambiti (delineati nei primi due commi) il regolamento viene parificato alla legge, rendendolo sostanzialmente una fonte primaria con la sottoposizione (ultimo comma) al sindacato di legittimità costituzionale. La piena parificazione al tipo di sindacato mi sembrerebbe impropria, perché almeno con riferimento al primo comma bisognerebbe poter censurare anche la difformità dai principi stabiliti dalla legge. Se invece dovesse cadere l'ultimo comma, diventerebbe un'operazione più di facciata che sostanziale. Penso infatti che il Governo continuerà a privilegiare la legge come fonte di organizzazione rispetto al regolamento. A tal fine ho presentato un subemendamento sostitutivo non dell'ultimo ma del penultimo comma, in cui si rimanda ad una legge bicamerale la possibilità di prevedere non solo la forma di pubblicità e il procedimento di formazione, ma anche la tutela giurisdizionale nei confronti dei vari tipi di regolamento, per rinviare questo problema ad una fase successiva ma mantenendo il solco dell'emendamento proposto dalla relatrice, che è fortemente innovativo, perché nel primo e secondo comma parifica regolamento e legge.


ERSILIA SALVATO. Intervengo per porre una questione che è stata già sollevata in altri interventi. Al terzo comma, laddove si dice che nelle stesse materie la legge può autorizzare il regolamento, a me sembra che sia necessaria una precisazione, nel senso che occorre ripetere il termine «Governo»; è infatti il soggetto che poi può adottare regolamenti per abrogare norme di leggi vigenti. Altrimenti, così formulata, la norma riesce non solo di difficile interpretazione ma a mio avviso può farci incorrere in rischi di distorsioni applicative, ferma restando appunto la condivisione - anche se su questa materia più in generale ci riserviamo di riflettere per l'aula - di questa innovazione, che cerca di rispondere ad un problema che c'è, anche se in misura molto ampia; e su tale ampiezza personalmente nutro qualche perplessità.
Chiedo dunque alla relatrice di accogliere questo suggerimento nella seconda parte del terzo comma, in modo di poter avere una norma più chiara nella sua dizione e più facilmente applicabile.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Lei vorrebbe sostituire il termine «regolamento»...


PRESIDENTE. No. «Nelle stesse materie può autorizzare il Governo ad abrogare con regolamento norme di legge vigenti».


ERSILIA SALVATO. Oppure «ad adottare regolamenti per abrogare norme di legge».


PRESIDENTE. In pratica, abrogare con regolamento. Il problema è il soggetto che viene autorizzato, che è il Governo.


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MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Lo accolgo, così come accolgo l'indicazione del senatore Servello di sopprimere le parole: «nella stessa materia» dopo le parole: «nuove disposizioni».


PRESIDENTE. Infatti, si tratta di una ripetizione inutile.
Prima di dare la parola al senatore Villone vorrei precisare che l'ultimo comma dovrebbe per ora essere accantonato, il che significa non che il principio non verrà introdotto nell'ordinamento ma che lo esamineremo nel quadro organico delle attribuzioni della Corte.


MASSIMO VILLONE. Sono stati presentati vari emendamenti e sono state espresse varie opinioni che pongono il problema dell'iperlegificazione, che tendono a costruire strade per alleggerire l'attuale eccessivo carico di normazione primaria.
Però, allo stato delle cose credo che la risposta a questo problema sia stata già data altrove: gran parte della produzione legislativa si allontana dal Parlamento per la scelta dell'impianto federale. L'attuale legislazione statale va su un binario morto, nel senso che non sarà più modificabile dal Parlamento e rimarrà vigente fino alla sostituzione da parte di leggi regionali, come è evidente. Credo che l'elenco predisposto dal collega Passigli nel suo emendamento lo dimostri ampiamente; quell'elenco rappresenta l'80 per cento delle competenze che noi affidiamo allo Stato. Ciò significa che allo Stato rimangono le grandi questioni e, in modo fisiologico, parallelamente per il regolamento lo spazio si riduce.
Pensare dunque a riserve di regolamento in un sistema che ha preso questa svolta credo sia inutile e addirittura dannoso; è prevista in Francia una riserva di regolamento ma nell'ambito di un sistema che è fortemente centralistico; tra l'altro, non ha neppure pienamente funzionato ed è stata largamente superata dall'esperienza costituzionale concreta. Non credo quindi che siano necessarie riserve.
Ritengo che la relatrice abbia fatto bene ampliando il fondamento per i regolamenti indipendenti e richiamando un'ipotesi di delegificazione: si tratta di una soluzione equilibrata, che nel complesso delle scelte che stiamo compiendo non va completata con riserve di regolamento in senso proprio, che anzi rappresenterebbero un errore.


GIORGIO REBUFFA. Signor presidente, l'emendamamento II.33.2 è volto a risolvere semplicemente un vecchio problema: invece di predisporre, come ha suggerito il senatore Passigli, un elenco di materie da delegificare, abbiamo indicato una procedura di delegificazione. L'emendamento, se approvato, risolverebbe un grande problema: la disciplina delle materie di competenza dello Stato non riservate alla legge spetta ai regolamenti del Governo. Sono anni che in dottrina e in Parlamento si tuona contro le leggi-provvedimento, vale a dire le norme legislative che in realtà risolvono semplicemente problemi amministrativi, e credo che questa sia la procedura più rapida che abbiamo di fronte.
Vorrei dire inoltre al senatore Passigli che, dato che gli studenti della facoltà di giurisprudenza sono vittime di tante persone e anche di assassini, rivolgo una petizione a loro nome: non affidiamogli elenchi di cose da studiare, diamogli una procedura e forse li facciamo più felici.


PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione dell'emendamento della relatrice esaminiamo i subemendamenti dei quali si richiede la votazione, in particolare l'emendamento Rebuffa II.33.2, sostitutivo del terzo comma del testo della relatrice; l'emendamento successivo Urbani II.33.1 sarebbe precluso, in caso di approvazione dell'emendamento II.33.2, e in parte assorbito dal testo della relatrice, perché il primo comma («L'organizzazione dei pubblici uffici è disciplinata con regolamento») è praticamente analogo («Il Governo disciplina con proprio regolamento


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l'organizzazione dell'amministrazione statale»).


GIUSEPPE VEGAS. C'è qualche principio in più. Il secondo comma dell'emendamento è riferito al terzo comma del testo della relatrice.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Rebuffa II.33.2.
(È respinto).


Passiamo all'emendamento Urbani II.33.1 che, dal punto di vista del principio, differisce dal testo della relatrice perché non richiede legge autorizzativa per i regolamenti che abrogano o modificano norme di legge.


MASSIMO VILLONE. Quindi, nella gerarchia delle fonti parifica completamente regolamento e legge, se ho capito bene.


PRESIDENTE. Si stabilisce che nelle materie di competenza statale non espressamente riservate dalla Costituzione alla legge i regolamenti possano anche modificare o abrogare norme di legge, mentre attualmente, secondo il testo della relatrice, occorre una legge che autorizzi il Governo a modificare con regolamento leggi vigenti. La differenza è chiara.
Pongo in votazione l'emendamento Urbani II.33.1.
(È respinto).


Pongo in votazione l'emendamento D'Amico II.33.6.
(È respinto).


L'emendamento D'Amico II.33.5 ha carattere formale; se ne potrà tenere conto in sede di coordinamento del testo.
L'emendamento Elia II.33.8 non mi pare introduca sostanziali elementi di novità.


MASSIMO VILLONE. La formulazione è diversa da quella del testo, perché restringe l'ambito dei regolamenti indipendenti, se capisco bene. È questo il senso, professor Elia?


LEOPOLDO ELIA. Sì. Anche questo lo restringe.


PRESIDENTE. Il testo della relatrice prevede che la legge possa autorizzare il Governo ad abrogare norme di leggi vigenti con regolamento e ad introdurre nuove disposizioni. Da questo punto di vista non mi sembra che l'emendamento II.33.8 introduca un diverso principio.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Credo che nel mio testo ci sia un istituto in più oltre a quello della delegificazione, vale a dire quello del regolamento indipendente. Anche senza una legge di delegificazione il Governo può intervenire a coprire spazi in ordine ai quali non eististe legislazione.


MASSIMO VILLONE. Fino a quando la legge non interviene. Credo sia preferibile...


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Non possiamo escluderlo (Commenti del deputato Calderisi). Per spazi non si intende materie...


PRESIDENTE. Però secondo il testo della relatrice queste norme possono essere abrogate con regolamenti, ma naturalmente il Governo deve essere autorizzato a farlo da una legge; non esclude la possibilità di abrogare norme di legge esistenti con regolamenti, ma occorre una legge autorizzativa. È questa la differenza. Poiché l'emendamento II.33.8 non mi pare proponga un principio diverso chiedo ai presentatori di ritirarlo; si tratta infatti solo di una diversa formulazione.


LEOPOLDO ELIA. Lo ritiriamo.


PRESIDENTE. Passiamo all'emendamento Elia II.33.7.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Mi sembra superfluo.


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PRESIDENTE. Il testo della relatrice comunque propone una legge bicamerale.


MASSIMO VILLONE. Qui è un po' diverso, perché si prevede una maggioranza qualificata; io sono favorevole al testo della relatrice, perché il procedimento mi sembra inutilmente aggravato.


PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori dell'emendamento di ritirarlo.


LEOPOLDO ELIA. Sta bene, ritiriamo l'emendamento II.33.7.


PRESIDENTE. A questo punto, accantonate le norme che prevedono il sindacato di fronte alla Corte costituzionale, resterebbe il subemendamento Pellegrino II.0.33.12.1.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Chiedo al senatore Pellegrino, prima di esprimere il mio parere, se egli ritenga che la legge bicamerale, e quindi comunque non la Costituzione, possa prevedere una impugnazione costituzionale. Ho qualche dubbio, non vorrei che con questo subemendamento precludessimo proprio quella previsione qualificante.


GIOVANNI PELLEGRINO. Il mio subemendamento avrebbe più senso se cadesse l'ultimo comma; se l'ultimo comma restasse in piedi, ne potremmo fare a meno.


MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Allora accantonerei il subemendamento, perché anch'io sarei d'accordo sul suo accoglimento se cadesse l'ultimo comma.


PRESIDENTE. La proposta del relatore Boato e della relatrice Dentamaro è di spostare tale questione in sede di garanzie.
Salvo le questioni accantonate, pongo in votazione l'articolo 33 così come emendato.
(È approvato).


Propongo di accantonare l'articolo 34, che riforma l'articolo 138. Credo che tale questione debba essere esaminata alla fine di tutto il nostro lavoro.
Passiamo all'articolo 35, relativo alla disposizione transitoria che stabilisce che i senatori a vita già nominati ai sensi dell'articolo 59 della vigente Costituzione conservino la carica.
A questo articolo è stato presentato l'emendamento Mussi II.35.1, che dispone che è nominato altresì senatore a vita il Presidente della Repubblica in carica al momento dell'entrata in vigore della presente legge costituzionale. Il senso è chiaro: il Presidente della Repubblica che sarà eletto successivamente all'entrata in vigore di questa Costituzione sarà eletto sulla base di criteri e principi diversi, mentre quello che è stato eletto nell'ambito della vigente Costituzione gode degli stessi diritti previsti nell'ambito della vigente Costituzione. La ratio della norma mi pare chiara.
Pongo in votazione l'emendamento Mussi II.35.1.
(È approvato).


Pongo in votazione l'articolo 35 così emendato.
(È approvato).


A questo punto abbiamo esaurito la materia concernente il Parlamento e le fonti normative.
Possiamo passare all'esame del testo e degli emendamenti (e subemendamenti) relativi alla forma di governo: propongo di iniziare subito, fare una pausa alle ore 20 e proseguire in seduta notturna dalle 21 alle 23. In alternativa, si può procedere fino alle 22 senza pausa; per me è la stessa cosa (anzi, preferisco questa seconda soluzione).


FRANCESCO SERVELLO. Presidente, ieri avevo preannunciato una mia dichiarazione di voto su tutta la materia relativa al bicameralismo e alle fonti normative. Ho predisposto il testo di questa dichiarazione che chiedo sia allegato al resoconto stenografico della seduta, per non far perdere ulteriore tempo.


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MARCO BOATO. Presidente, credo che quello che si dice in quest'aula dobbiamo saperlo, non dobbiamo leggerlo sul resoconto stenografico. Pertanto, o il collega Servello rinvia la sua dichiarazione al 30 giugno, quando voteremo definitivamente, o la svolge subito, ma la consegna di un intervento scritto che non sia pronunciato in aula credo che sia un principio che non dovremmo adottare.


PRESIDENTE. Il problema è questo: non c'è un voto finale su questa materia; noi abbiamo votato articolo per articolo, non sono previste dichiarazioni di voto perché non c'è un voto finale. Intanto la ringrazio, senatore Servello, per aver pensato ad una dichiarazione di voto scritta: considerati i tempi del nostro lavoro, è un'attenzione della quale la ringrazio. Tuttavia penso che lei potrà svolgere questa dichiarazione al momento del voto finale sul testo complessivo. Se lei intende esprimere una riserva su una parte del testo, lunedì prossimo, quando voteremo il testo nel suo complesso, potrà leggere o depositare la sua dichiarazione di voto.


FRANCESCO SERVELLO. Signor presidente, la ringrazio della precisazione, ma non avevo bisogno degli insegnamenti procedurali del collega Boato. Mi sono limitato a fare questa comunicazione in primo luogo perché l'avevo già preannunciata ieri ed in secondo luogo perché ne avevo parlato con lei in via informale; in terzo luogo, mi sono limitato negli interventi nel corso di questa giornata proprio in vista della dichiarazione finale. Tuttavia, poiché il collega Boato non la gradisce, gliela farò centellinata nel corso del tempo, così la capirà meglio senza leggerla.


MARCO BOATO. Ma è l'opposto, io gradivo ascoltarla.


PRESIDENTE. Il senatore Servello vuole esprimere una sua riserva su questa parte; ragionevolmente potrà farlo, in forma orale o scritta, quando arriveremo al voto finale. Credo che possiamo sospendere qui questa disputa, che mi pare non abbia ragione di proseguire.
Per quanto riguarda il prosieguo dei nostri lavori, se ho ben compreso, si preferisce procedere senza interruzione fino a circa le 21.30-22 (vedremo la tenuta della Commissione).
Passiamo dunque all'esame degli emendamenti, dei subemendamenti e degli articoli aggiuntivi presentati al testo relativo alla forma di governo (v. allegato Commissione bicamerale). Poiché il combinato disposto degli emendamenti del relatore configura un mutamento abbastanza sensibile del testo base (un mutamento, direi, che ha un carattere organico, non episodico), chiedo al relatore se non ritenga opportuno fornirne una breve illustrazione.


CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. Non c'è dubbio, presidente.
Non riprenderò quanto abbiamo già avuto occasione di osservare, sia in sede di Comitato sia in sede di Commissione plenaria, in ordine al tema più generale della forma di governo ed in particolare della caratterizzazione della scelta, che può essere definita come una scelta di tipo semipresidenziale.
Mi limito a ricordare che in occasione del voto alternativo che si svolse in questa Commissione come relatore segnalai, con riferimento ad entrambi i modelli per i quali veniva chiesto il voto alternativo della Commissione, che le due bozze erano state entrambe predisposte dal relatore, dando maggior rilievo, per quanto riguarda la formulazione della bozza sul governo del premier, agli argomenti, alle proposte, ai suggerimenti venuti dai sostenitori di questa proposta, e per quanto riguarda il testo concernente il sistema semipresidenziale recependo in misura maggiore i suggerimenti e le proposte che venivano dai sostenitori di quel modello. In quella occasione dissi che avrei ritenuto giusto ed anche possibile lavorare poi sulla bozza che fosse stata prescelta ascoltando e recependo per quanto possibile,


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senza snaturare la logica del modello, gli argomenti dei sostenitori dell'altra soluzione.
Devo dire che il dibattito svoltosi venerdì scorso in questa Commissione ha mostrato da parte di tutti i gruppi parlamentari presenti in Commissione una condivisione di questo metodo di lavoro in termini di principio. I sostenitori del sistema semipresidenziale (mi riferisco in particolare, ma non solo, agli interventi degli onorevoli Fini e Berlusconi) hanno manifestato disponibilità ed hanno indicato delle linee possibili di lavoro per emendare il testo sul semipresidenzialismo nella direzione che veniva richiesta da altri gruppi parlamentari che avevano sostenuto la posizione diversa, mentre la grande maggioranza dei gruppi che avevano votato per il governo del premier si sono detti disponibili a convergere, con le loro proposte ed i loro suggerimenti, sulla base di partenza sulla quale si era orientata a maggioranza la Commissione bicamerale.
Tenendo conto del dibattito di venerdì scorso ed anche ovviamente degli incontri e dei colloqui intercorsi tra i diversi gruppi parlamentari, ho formulato alcune proposte emendative che ora passo ad illustrare, non senza aver segnalato molto rapidamente tre questioni di fondo.


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LEOPOLDO ELIA


CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. La prima è che non esiste un unico modello di semipresidenzialismo. È fresco di stampa un volume di diversi studiosi dedicato specificamente al semipresidenzialismo, nel quale sono esaminati nove diversi sistemi costituzionali europei che sono ricondotti sotto questa etichetta e gli studiosi discutono su quali di questi sistemi siano riconducibili a questo modello e quali ne siano le varianti. Certamente il modello esemplare di questo sistema è quello francese, ma non è l'unico, ed anzi in quella direzione, quella cioè di combinare l'elezione diretta e popolare del Presidente della Repubblica con l'elezione da parte dei cittadini del Parlamento e della sua maggioranza, si sono mosse diverse delle più recenti Costituzioni europee, anche nei paesi dell'est europeo di recente arrivati alla democrazia.
Non c'è quindi una purezza ideologica di modello rispetto al quale sottrarre qualcosa. Occorre vedere come sciogliere i nodi che derivano dal fatto che con questo sistema il corpo elettorale, il sovrano, i cittadini hanno la possibilità di esprimersi con il voto in due occasioni. Una è quella nella quale con il loro voto eleggono il Presidente della Repubblica, l'altra è quella in cui con il loro voto eleggono il Parlamento, la maggioranza parlamentare e certamente - sia pure non nella forma giuridicamente rilevante alla quale si era pensato, ma si può pensare soltanto, nell'ambito del premierato - possono esprimere, se il sistema elettorale è costruito in questa direzione, una scelta di maggioranza ma anche un'indicazione di persona. Nessuno può dubitare che nelle recenti elezioni francesi, pur non essendoci alcuna indicazione formale del premier, la persona che, se avesse vinto la coalizione che poi ha prevalso, sarebbe stata chiamata a comporre il nuovo Governo aveva un nome e un cognome: infatti, quella persona è stata nominata poi dal Capo dello Stato.
La doppia legittimazione democratica è un fatto positivo in quanto si attribuiscono più poteri agli elettori. Credo che in una democrazia moderna questo non debba suscitare eccessi di preoccupazione; si pone però il problema di trovare un punto di equilibrio tra i due poteri che vengono così legittimati, evitando in particolare - per quanto riguarda la carica monocratica (cioè il Presidente della Repubblica) - un doppio rischio. Da una parte, quello di attribuirgli un eccesso di poteri che ne faccia un dominus isolato, senza adeguati riscontri, controlli e contrappesi democratici; dall'altra, di ingabbiarlo in una rete tale di impossibilità decisionali che, nel momento in cui la persona eletta viene investita dal consenso


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di milioni e milioni di cittadini, determinerebbe certamente effetti negativi sulla funzionalità del sistema.
Il primo rischio da evitare è quello di immaginare che esista un unico modello semipresidenziale rispetto al quale si tratti di togliere o aggiungere qualcosa. La seconda esigenza da tener presente è che il punto di equilibrio tra i due soggetti che vengono legittimati dal voto popolare deve essere tale da evitare sia un surplus sia un deficit di poteri rispetto alla carica monocratica che ha un investitura popolare così rilevante. Il terzo errore da evitare è un eccesso di paragone con il testo della Costituzione attuale. È evidente che nel momento in cui si modifica il sistema costituzionale, come sarebbe sbagliato ragionare in termini di aggiunta o sottrazione rispetto al sistema francese, sarebbe sbagliato ragionare in termini di aggiunta o sottrazione rispetto ai poteri attuali del Capo dello Stato; tanto più ove si consideri che quelli che possono apparire aspetti secondari sono invece estremamente rilevanti nella definizione di un potere.
Richiamo per tutti l'attenzione sulla questione della controfirma, istituto le cui origini ben conosciamo. Un potere che può essere esercitato solo se controfirmato dal Presidente del Consiglio o comunque da un altro soggetto politico è ben diverso da un altro che non necessiti di questo concorso. Pertanto, nel valutare il quadro complessivo di tali poteri, questo punto assume grande rilevanza.
C'è infine sul tappeto, come è noto, il tema della legge elettorale. Un gruppo, quella della sinistra democratica, ha presentato un articolo aggiuntivo alla bozza sulla forma di governo che va in questa direzione. Inoltre è noto a tutti che sono in corso contatti e colloqui tra i gruppi parlamentari per individuare una proposta che poi la Presidenza valuterà in che termini e modi dovrà essere sottoposta all'esame della Commissione.
La legge elettorale è certamente collegata - per la ragione che dicevo prima - al tema della forma di governo: si tratta di uno strumento attraverso il quale gli elettori scelgono l'altro soggetto istituzionale che è rappresentato - nel vertice tra questi equilibri di poteri - dal Parlamento e anche dalla maggioranza parlamentare.
Per quanto riguarda gli emendamenti da me presentati, do per conosciuto il testo B e quindi illustro semplicemente le mie proposte di modifica. Alcune di esse hanno natura di coordinamento di decisioni già prese, anche se ho visto che una di queste in particolare ha suscitato un tale turbamento da indurre un collega a riproporre con emendamento una norma che egli stesso aveva appena approvato. Altre proposte sono più rilevanti.
Mi pare che tre siano le modifiche centrali dal punto di vista del sistema e su queste mi soffermo, riservandomi di dare maggiori delucidazioni nel corso delle discussione sia sugli altri emendamenti da me presentati sia sulle proposte di modifica che saranno sottoposte all'esame della Commissione.


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO D'ALEMA


CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. In primo luogo si è cercato di risolvere il problema del rapporto tra la scadenza elettorale del Presidente della Repubblica e l'elezione del Parlamento. La non contestualità tra i due momenti elettorali è un tratto caratterizzante il modello, che credo vada confermato. Mi è sembrato che, per quanto riguarda la durata del mandato, la proposta di un termine di sei anni - avanzata in un emendamento del gruppo dei popolari e che tra l'altro è una delle proposte di riforma di cui si discute anche in riferimento al sistema francese - sia valida. Si tratta di coordinarla (risolvendo il problema che comunque può presentarsi, dopo il momento di inizio del nuovo sistema, nell'ipotesi che si addivenga prima o poi allo scioglimento anticipato della Camera dei deputati) in base al principio che va evitata la contestualità e la vicinanza delle due elezioni e, nel caso di coincidenza nel medesimo periodo temporale


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(che nel mio testo è indicato in sei mesi) di dare la prevalenza all'elezione del Presidente della Repubblica come primo dei due passaggi rispetto all'elezione della Camera dei deputati.
A questo fine, in particolare, è previsto, oltre al recepimento dell'emendamento presentato dal collega De Mita con riferimento alla durata del mandato, il secondo comma dell'emendamento sostitutivo da me presentato all'articolo 5.
Il secondo punto qualificante delle proposte di modifica riguarda il rapporto in quella che nel sistema francese viene chiamata la diarchia al vertice, cioè tra il Presidente della Repubblica ed il primo ministro. La soluzione che viene proposta - sulla base di un consenso manifestatosi anche durante il dibattito di venerdì scorso e quindi con argomenti sui quali non torno - è di prevedere di affidare al Presidente della Repubblica la presidenza di un organismo di nuova istituzione, cioè il Consiglio supremo per la politica estera e la difesa, che dovrà essere costituito con legge bicamerale.
In questo modo si caratterizza la funzione di alta politica del Presidente della Repubblica con riferimento ai settori della politica estera e di difesa nazionale. Naturalmente in quella sede si dovranno definire attribuzioni e competenze di questo organo; evidentemente non potrà non avere una forte presenza di ministri: immagino che non potranno non farne parte il Presidente del Consiglio, il ministro degli esteri e il ministro della difesa. Il modo in cui sarà strutturato questo organismo consentirà di sciogliere alcune questioni che sono state sollevate a questo riguardo.
Credo però che sia nell'interesse del sistema definire con chiarezza il problema della distinzione delle funzioni tra i due organi collegiali rappresentati dal Consiglio supremo per la politica estera e per la difesa e dal Consiglio dei ministri e quello delle ricadute istituzionali e decisionali che ne potranno conseguire. Per esempio, è evidente - ma su questo si potrà tornare durante l'esame degli emendamenti - che a questa normativa va collegata la disciplina dei poteri del Consiglio dei ministri e del primo ministro.
Il terzo punto rilevante di modifica rispetto al testo iniziale riguarda il potere di indire le elezioni anticipate per la Camera dei deputati. Come i colleghi avranno notato, ho preferito l'espressione «indire le elezioni prima del termine ordinario» (che è la locuzione usata nelle Costituzioni più recenti che ho avuto modo di esaminare) rispetto a «potere di scioglimento», anche se la sostanza - come tutti capiscono - è la stessa. L'ho fatto per richiamare l'attenzione sulla circostanza che la vecchia formula deriva dalla tradizione della «monarchia parlamentare», mentre la formula «indire elezioni prima del termine» esprime il concetto che non si tratta di una contrapposizione tra poteri ma di individuare un momento nel quale si ritiene giusto che i cittadini tornino a votare. L'espressione va inquadrata in questo senso anche da un punto di vista terminologico, come fanno tutte le Costituzioni più recenti, cioè come anticipo rispetto al termine ordinario per le elezioni.
Punto di riferimento di questa disciplina è la necessità di cui ho parlato prima, cioè l'individuazione del corretto punto di equilibrio tra le due espressioni fondamentali della sovranità popolare che si hanno nei momenti dell'elezione del Presidente della Repubblica e dell'elezione del Parlamento.
Rispetto alla scelta contenuta nel testo B, anche se con una variante non priva di rilievo, di adottare un termine di riferimento meramente temporale (come è noto la Costituzione francese prevede come unico limite che siano trascorsi dodici mesi dall'elezione dell'Assemblea nazionale; nella proposta da me formulata si indicava un doppio termine, nel senso che alla Camera eletta successivamente al Presidente della Repubblica si dava un termine più lungo, di ventiquattro mesi), che presentava il vantaggio della semplicità dei tempi, esisteva un problema opposto. Una volta che sia scaduto il termine previsto dalla Costituzione, il potere presidenziale è senza limiti e può avere

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anche un elemento di irrazionalità. Come è stato fatto notare nel corso della discussione, non si comprende la ragione per cui dovrebbe poter essere sciolto - soltanto perché è passato un certo numero di mesi - un Parlamento che, insieme con il Governo, sta funzionando bene e realizzando il programma.
Ho provato quindi a formalizzare - seguendo anche qui una tecnica normativa che in parte è presente in alcune delle recenti Costituzioni e come era stato suggerito - un potere di indire le elezioni anticipate con riferimento alla crisi di funzionamento della maggioranza e del Governo scelti dai cittadini nel Parlamento, con un'eccezione: quella per cui l'elezione del Presidente della Repubblica avvenga successivamente all'elezione del Parlamento. In questo caso si prevede nel mio testo che il Presidente della Repubblica possa indire le elezioni prima del termine, indipendentemente dal verificarsi di una situazione di crisi politica, in base alla valutazione che il Presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini avrà la possibilità (certamente non l'obbligo), se ritiene che ne sussistano le condizioni, di verificare se quella scelta popolare debba esprimere anche una richiesta di cambiamento del Governo.
Credo che questa soluzione sia giusta, al di là dei rischi probabilmente eccessivi di torbidi che vengono paventati, per evitare una situazione di difficoltà e di tensione istituzionale (dobbiamo evidentemente immaginare di disciplinare le situazione di potenziale conflitto e non quelle pacifiche), nella quale il primo ministro non ritenesse di fare ciò che per prassi e per rispetto normalmente si fa, cioè rassegnare le dimissioni del Governo al nuovo Presidente della Repubblica.
L'obbligo per il primo ministro, previsto formalmente nella nuova formulazione dell'articolo 7 del mio testo (la tecnica con cui ho cercato di risolvere il problema è ovviamente perfettibile), di rassegnare le dimissioni al nuovo Presidente della Repubblica consente, nel combinato disposto di quanto previsto dal primo comma del nuovo testo dell'articolo 5, al medesimo Presidente della Repubblica neoeletto di compiere la valutazione alla quale facevo riferimento in precedenza; una valutazione che egli naturalmente eserciterà con tanta maggiore saggezza ed accortezza quanto più saprà che a giudicare della sua decisione non saranno gli editorialisti dei quotidiani ma il popolo sovrano chiamato alle urne.
Per tutte le altre ipotesi, all'articolo 7 si formalizza il meccanismo della possibilità di indire le elezioni prima del termine e quindi nell'intervento del Presidente della Repubblica, un intervento al tempo stesso di arbitrato e di natura politica; personalmente non ho mai condiviso la strana idea che per i vertici istituzionali si possa prefigurare un intervento arbitrario di garanzia che non abbia forti connotazioni politiche. Anche in questo caso, pertanto, inviterei a non eccedere in concettualismi; del resto, anche per quanto concerne la figura del Presidente della Repubblica nel sistema vigente, si è teorizzata da parte di autorevoli giuristi la funzione di indirizzo politico costituzionale come propria della figura medesima.
L'ipotesi che si prevede è dunque che, fatte salve le questioni indicate all'articolo 7 ed alle quali ho fatto prima riferimento, vi sia un obbligo di dimissioni del Governo da presentare al Presidente della Repubblica intanto come conseguenza delle dimissioni del Primo ministro (quindi, vi è anche il potere di provocare le dimissioni del Governo), poi in occasione dell'elezione della nuova Camera dei deputati ed infine in altre due circostanze: quando sia stata approvata la mozione di sfiducia prevista dall'articolo 9 e quando, avendo posto il Governo la questione di fiducia su una deliberazione che evidentemente il Governo medesimo ritiene talmente rilevante per la realizzazione del suo programma da aver posto su di essa la questione di fiducia, questa venga respinta dalla Camera.
In tal modo, come i colleghi ben intendono e come meglio si preciserà esaminando più a fondo la questione, con la lettera b) dell'articolo 7 si prevede

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esplicitamente la possibilità per il Governo di porre la questione di fiducia su deliberazioni parlamentari. Su altri punti potremo tornare, ma i tre che ho indicato mi sembrano gli aspetti qualificanti delle modifiche introdotte al testo B.
Sono tutte questioni che naturalmente richiedono un approfondimento più che dell'impianto politico del sistema - intendendo il termine politico con la maiuscola - che, stando alle dichiarazioni rese nel dibattito di venerdì mattina, sono largamente condivise, lungo le linee che in precedenza ricordavo dal punto di vista dell'affinamento, dell'approfondimento tecnico e che mi pare nell'insieme possano costituire la base per quell'ampia convergenza su una soluzione non pasticciata, come talvolta si usa dire, non quale che sia, ma fortemente innovativa rispetto all'attuale testo costituzionale; innnovativa sul piano della democrazia, perché attribuire più potere ai cittadini è certamente un fatto positivo; innovativa sul piano della stabilità di governo, perché in materia di forma di governo sono giustamente previsti alcuni meccanismi stabilizzatori che erano contemplati anche nella logica del governo del premier, perché riguardano il funzionamento di sistemi che, come ogni sistema di questo tipo, sono parlamentari in quanto il Governo deve avere la fiducia del Parlamento, altrimenti cade; quindi, sono sistemi che si caratterizzano per la compresenza della necessità del rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento e dell'investitura della figura del Primo ministro da parte del Presidente della Repubblica.
Naturalmente, come tutte le cose umane, quelle nelle quali si cerca di lavorare per approfondimenti successivi, vi saranno e vi sono aspetti perfettibili, migliorabili. Credo, però, che, se nell'esame di questo testo si confermeranno, pur con i miglioramenti del caso che discuteremo insieme, le ampie convergenze che si sono venute delineando sia negli incontri avvenuti tra i gruppi sia nelle dichiarazioni pubbliche sia, soprattutto, nell'importante dibattito svoltosi venerdì scorso, potremo dire di aver compiuto un passo avanti importante e significativo (certo, poi vi sarà il dibattito in Assemblea), di aver posto le basi per una riforma importante, buona ed innovativa della democrazia italiana.


PRESIDENTE. Credo che il relatore abbia illustrato la ratio degli emendamenti che ha predisposto. Prima di procedere all'esame degli emendamenti, vorrei far presente che naturalmente abbiamo anche raccolto subemendamenti al testo del relatore e che vi è la facoltà di trasformare in subemendamenti anche emendamenti presentati al testo B.
Vorrei ora sollevare una questione in qualche modo preliminare, perché alcuni colleghi hanno ripresentato soluzioni alternative globali - e si tratta naturalmente delle proposte più lontane dal testo - rispetto alla proposta che è risultata prevalente nel voto sul testo base. Peraltro, siamo in sede referente, una sede in cui questo è a mio giudizio consentito.
Tuttavia, ho posto - lo dico anche ufficialmente ai presentatori di questi emendamenti e ripropongo tale possibilità - l'ipotesi che questi emendamenti vengano accantonati, nel senso che, anziché una votazione in cui in sostanza la Commissione venga chiamata di nuovo ad esprimersi su semipresidenzialismo o premierato, tale questione possa eventualmente essere vista alla fine, compiendo innanzitutto quello sforzo di elaborazione dell'ipotesi semipresidenziale al quale ci eravamo impegnati dopo l'adozione del testo base. Adesso in qualche modo sarebbe la ripetizione di un voto pregiudiziale, che la Commissione ha già dato.
Quindi, vorrei domandare se i presentatori di questi emendamenti, in particolare gli onorevoli Pieroni e Boato e l'onorevole Cossutta insieme con gli altri parlamentari di rifondazione comunista, accedano a quest'ipotesi di accantonamento, che ovviamente non significa soppressione.


MAURIZIO PIERONI. Accedo molto volentieri a quest'ipotesi sperando che l'accantonamento non serva per non votare successivamente.


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PRESIDENTE. È chiaro che su questo si vota: se lei insisterà, comunque si voterà. Il problema è semplicemente questo: procedere ora a questo voto farebbe assumere ad esso un carattere formale di ripetizione di un voto che abbiamo già dato. Procedere a tale voto alla fine assume un significato diverso, cioè sarebbe un voto complessivo sul modello di forma di governo che, una volta che si sia discusso del semipresidenzialismo nella sua concreta attuazione italiana, assume un significato più pregnante, nel senso che non sarebbe un voto pregiudiziale, ma un voto che contrappone il governo del Primo ministro ad una concreta e definita ipotesi su cui la Commissione ha lavorato.


MARCO BOATO. L'avevamo anche ipotizzato in ufficio di presidenza.


PRESIDENTE. Sì, l'avevamo ipotizzato, ma non si può decidere in modo autoritativo.


ARMANDO COSSUTTA. Ho ascoltato il suo invito, presidente, e la ringrazio anche perché ha voluto gentilmente parlarmene ancora prima di esporre pubblicamente queste sue considerazioni; come le ho detto, a differenza del collega che mi ha preceduto, insieme con i rappresentanti di rifondazione comunista, confermo la richiesta di sottoporre a votazione il primo dei nostri emendamenti, che chiede di annullare nel suo insieme il progetto che viene presentato dal senatore Salvi e ciò per la semplice ragione che siamo talmente convinti della forza dei nostri argomenti, della ragione, della validità delle nostre opinioni da sperare di poter indurre la Commissione a condividere la nostra valutazione e quindi ad iniziare una discussione di tutt'altra natura, o che per lo meno si sviluppi su un diverso binario.
Non abbiamo dato un voto preliminare, come lei ricorderà, presidente, ma abbiamo espresso semplicemente una preferenza tra il testo A ed il testo B come testo base da assumere per la discussione quando, in quella famosa seduta, vi fu «l'incursione corsara» dei parlamentari della lega che, a quanto vedo da qualche agenzia, sarebbero pronti a tornare in quest'aula per sostenere non ho ben compreso quale tesi a proposito della legge elettorale, di cui successivamente si dovrà parlare.
Per tutte queste ragioni, cioè per la convinzione che abbiamo della forza delle nostre argomentazioni, confermiamo il nostro orientamento. Peraltro, avrebbe un valore del tutto simbolico il fatto che alla fine, dopo aver discusso del testo Salvi ed aver assistito o partecipato alla discussione ed alla votazione dei subemendamenti comunque corrispondenti alla concezione del semipresidenzialismo, chiedessimo di votare i nostri emendamenti. Piuttosto, alla fine voteremmo contro e la nostra diventerebbe una dichiarazione di voto, di principio, che certamente può avere anche il suo valore, ma non ha neppure teoricamente un valore incidente nel dibattito. Confido viceversa che i nostri argomenti possano risultare utili per indurre la Commissione ad accettare di discutere non di presidenzialismo ma di neoparlamentarismo e, quando lei me lo consentirà, illustrerò quest'emendamento.


MAURIZIO PIERONI. Ho bisogno di un chiarimento dalla presidenza: avendo acceduto alla richiesta di accantonamento, che considero una richiesta saggia, le faccio osservare, presidente, che sia per quanto riguarda il merito degli emendamenti a firma Pieroni e Boato alternativi al testo B sia per quanto concerne la loro disposizione formale (a differenza di quelli a firma Cossutta ed altri, non sono soppressivi o sostitutivi del primo articolo, ma sono distribuiti ordinatamente articolo per articolo), tali emendamenti sono molto diversi da quelli dei colleghi di rifondazione; pertanto, non vorrei trovarmi nella condizione di accedere a questa richiesta di accantonamento e dover poi richiedere il voto in fase successiva. Spero davvero dal punto di vista politico che questo non sia necessario, anzi, mi auguro che mi si eviti nella


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maniera più assoluta di doverlo fare, però non vorrei a quel punto trovarmi con l'emendamento precluso da un voto precedente.
Vorrei pertanto che la presidenza mi spiegasse se la lettura che ho dato della diversità sia sostanziale sia formale degli emendamenti sia accettata o meno, perché questo orienta anche il mio voto adesso.


PRESIDENTE. Indubbiamente la mia proposta (che tuttavia non è stata accolta, per cui ora procederemo), era di porre in votazione l'ipotesi neoparlamentare, di governo del Primo ministro in alternativa al testo sul semipresidenzialismo non come testo base, ma alla fine come residuerà; a quel punto, i presentatori avrebbero potuto decidere se mantenere o meno l'ipotesi alternativa e, in caso affermativo, essa sarebbe stata votata. Mi sembrava una procedura più coerente con l'orientamento che avevamo assunto qui al momento del voto sul testo base, che cioè una volta adottato un testo base, avremmo lavorato su di esso, salvo poi riservarsi alla fine la possibilità di presentare ipotesi alternative. Se invece quest'ipotesi viene votata pregiudizialmente, in sostanza non lavoriamo sul testo base perché, qualora venisse adottata l'ipotesi alternativa, il testo base verrebbe cambiato prima di cominciare. Comunque, siccome non posso stabilire io le regole, le regole sono stabilite, porrei in votazione non l'emendamento soppressivo ma quello interamente sostitutivo dell'articolo 1.


MARCO BOATO. Presidente, il collega Pieroni le chiedeva però la conferma del fatto che non potesse poi scattare una preclusione.


PRESIDENTE. No, è chiaro, non c'è preclusione.


FABIO MUSSI. Poiché su iniziativa del presidente stiamo discutendo dell'ordine delle votazioni, ho anch'io da avanzare una richiesta. Chiedo cioè che si anticipi il voto sull'ultimo emendamento del fascicolo, recante l'introduzione di un articolo aggiuntivo 12-bis in cui si costituzionalizza un principio di legge elettorale.
Noi pensiamo che, sotto il profilo del sistema, ad un Presidente forte debba corrispondere un Parlamento forte, cioè innervato dalla chiara formazione di una maggioranza parlamentare. Per questa ragione faremo dipendere il nostro atteggiamento verso le questioni relative al Presidente dal risultato di questo voto; chiedo pertanto che la votazione di tale emendamento venga posta in testa piuttosto che in coda ai nostri lavori.


PRESIDENTE. Un'inversione dell'ordine del giorno è certamente possibile, in seguito ad una deliberazione della Commissione. Non posso deciderlo io, la Commissione decide in tal senso. In ogni caso, la proposta avanzata dall'onorevole Mussi è successiva.
Passiamo all'esame dell'emendamento Armando Cossutta IV.1.44 interamente sostitutivo dell'articolato, che ripropone l'ipotesi neoparlamentare.


ARMANDO COSSUTTA. Insistiamo nel presentare questo nostro progetto, anche dopo aver esaminato e riflettuto con molta attenzione sulle modifiche al testo presentate dal collega Salvi.
Debbo confermare quanto ho già avuto modo di dire a lui stesso e ad altri: senza dubbio, con queste correzioni la soluzione di tipo semipresidenziale viene in qualche modo addolcita rispetto alla formulazione contenuta nel documento iniziale, sulla quale si espresse quel noto voto di preferenza di cui ho già parlato; tuttavia l'insieme della proposta Salvi deve essere valutato in termini reali, in quanto si affida ad un Presidente eletto direttamente dai cittadini un potere politico molto grande, molto forte. Tal potere si manifesta tra l'altro anche nelle indicazioni che, per quanto abbia tentato di addolcire, il collega Salvi ci ha qui illustrato e ci ha fatto conoscere attraverso il testo e le sue correzioni, fino appunto al potere fondamentale di scioglimento del Parlamento o, come egli dice secondo una


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formula edulcorata, di anticipazione delle elezioni parlamentari; un potere, per la verità che non è, se non in piccola misura, condizionato e motivato. Nella sostanza, si sostiene che il Presidente della Repubblica possa ottenere - prevedendo addirittura un obbligo da parte del Governo in carica - che questo si presenti dimissionario al momento della sua elezione e consenta, se il Presidente della Repubblica elettivo lo vorrà, di promuovere nuove elezioni anticipate, determinando così, e per questo stesso fatto e per fatti successivi, un' ipotesi di conflittualità codificata tra Parlamento e Presidente della Repubblica, tra Governo e Presidente della Repubblica, nel caso in cui si giunga ad avere una differenza di posizioni politiche, frutto anche di una diversa base elettorale da cui promanano i due istituti. Oppure, nel caso di coincidenza della base elettorale e delle posizioni politiche, si determinerebbe la prospettiva di una codificazione, per un periodo non breve, di una tale identità di vedute da rendere scarsa, se non impossibile, un'effettiva dialettica politica tra i poteri supremi della Repubblica.
Al di là di quello che si potrà meglio valutare nel caso che la nostra posizione volta a respingere questo progetto non venga condivisa dalla Commissione, nel caso in cui a questo progetto si dovesse porre attenzione discutendolo articolo per articolo, al di là di questo, desidero qui esprimere la nostra opposizione di carattere generale al progetto medesimo, da cui nasce la nostra proposta di sostituzione integrale.
Emergono concezioni diverse - di tutto rispetto, ovviamente - concezioni tra loro opposte, frutto di una diversa visione e, se posso dire, di una diversa cultura.
Un Presidente eletto è possessore di un potere enorme in quanto, dovendo avere, come è ovvio, la maggioranza dei voti e sperando che la gran parte dei cittadini italiani vada a votare, è sorretto da 25-30 milioni di cittadini italiani. Quali che possano essere i condizionamenti, i limiti, le riserve che si intende introdurre nell'articolato, il suo potere politico sarebbe veramente immenso e in gran parte persino incontrollabile.
Per quanto eletto da una così larga parte del popolo italiano, egli sarebbe pur tuttavia uomo di parte, a differenza di quello che è nella situazione attuale il Presidente della Repubblica, il quale per le procedure previste e per la prassi adottata da quando c'è la nostra Repubblica è uomo espresso non da una parte soltanto ma da un insieme di forze politiche tra loro diverse, anche in campo politico, tra loro contrastanti, proprio perché il Presidente della Repubblica è stato fin qui concepito, dovrebbe essere concepito come uomo al di sopra delle parti. Viceversa, il Presidente eletto direttamente dal popolo è espressione di una posizione politica, culturale, ideale, non è il garante ma il governante, secondo una concezione ben diversa. Due diverse valutazioni, concezioni stanno alla base dei diversi disegni che sono stati qui presentati; abbiamo un Presidente della Repubblica che finisce per non essere legato, condizionato dalle decisioni del Parlamento, ma di fatto sovrastante.
È vero che il Presidente della Repubblica indicato dall'onorevole Salvi è cosa un po' diversa rispetto all'attuale Presidente della Repubblica francese, ma le caratteristiche fondamentali permangono. Rimane anche valida dopo queste correzioni quella valutazione che un grande Presidente della Repubblica francese, Mitterand, fece parlando dell'istituto di cui egli era l'espressione; egli paragonò il Presidente francese ad una monarchia elettiva. A ben guardare, un Presidente della Repubblica eletto dai cittadini ha più poteri di un re, naturalmente di un re costituzionale, di quelli che oggi esistono nelle monarchie costituzionali europee.
Questa situazione porta con se rischi, pericoli preoccupanti rispetto alla conduzione, alla gestione della vita politica, dello Stato. Non credo si riesca mai a trovare un Presidente ottimo (nel senso che non ce né uno migliore, altrimenti non direi «ottimo»). Non vorrei che si confondesse la popolarità con la capacità, la saggezza, l'attitudine del governare, di

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gestire la cosa pubblica. Si possono avere dalla propria parte 25 o 30 milioni di voti perché si ha popolarità, ma questo non comporta inevitabilmente una forza di governo, una capacità di direzione, che sono altra cosa.
Mi sono sempre opposto, come è noto, all'uomo della provvidenza, all'unto del signore e non credo che di questo abbiamo bisogno. Non abbiamo bisogno di una persona, di una figura che abbia queste caratteristiche. Semmai esistesse una persona come questa, rimanderei alle poche ma incisive parole dell'antico filosofo Platone (uno dei più grandi dell'umanità), quando appunto nel dialogo sulla Repubblica così si esprimeva: «E che cosa dovremmo fare, qualora comparisse una persona saggia, virtuosa, un uomo dotato di tutte le possibili virtù politiche? Noi, dopo aver onorato quest'uomo e aver cinto la sua testa di alloro, dovremo dirgli che nella nostra Repubblica non c'è posto per simili persone e, untogli il capo, lo accompagneremmo alla frontiera».
Era un'indicazione meditata e severa, che contiene in sé una riflessione profonda sulla necessità di avere un tipo di democrazia fondata sulla partecipazione più larga, più diffusa, più rappresentativa e non su una gestione affidata alla direzione, in questo caso posso dire monarchica, di una sola persona.
Occorrerebbe quindi qualcosa di diverso; figuriamoci poi se anziché essere ottimo, questo Presidente della Repubblica fosse uomo mediocre o ancora peggio, quali conseguenze potremmo avere. La discussione, il confronto collegiale, collettivo sono motivo di forza per la democrazia, non di debolezza.
Ecco perché ci siamo opposti, ci opponiamo a fondo contro questa impostazione; ecco perché l'abbiamo contrastata e speravamo che, in effetti, si potesse avviare un dibattito nella nostra Commissione per cercare le nuove condizioni della vita politica italiana, un sistema che abbiamo chiamato neoparlamentare, fondato sul ruolo preminente del Parlamento e su un ruolo molto importante del Presidente del Consiglio, sia pure in termini diversi rispetto alla condizione attuale, a quella vigente. Ecco perché speravamo che attorno a questo si potesse raccogliere il consenso della nostra Commissione o della sua maggioranza e poi lavorare in modo articolato, particolareggiato, per precisare, definire esaltare queste caratteristiche ispirate dall'esigenza di un tipo diverso di vita democratica.
Noi abbiamo bisogno di altro e per questo credo, confido che, prima di giungere ad una decisione su questo punto, i colleghi vogliano continuare a riflettere sulla necessità di trovare e di dare un indirizzo diverso. D'altra parte l'iter previsto dalle nostre riforme è lungo e complesso: dovremo accogliere e valutare gli emendamenti che i deputati ed i senatori vorranno presentare dal 1^ luglio in poi; dovremo discuterne nell'aula di Montecitorio poi in quella di Palazzo Madama o viceversa; dopo tre mesi dovremmo tornare a discuterne; infine dovremmo sottoporre tutto a referendum. È questa una battaglia ideale, culturale e politica che è giusto possa vedere la partecipazione delle grandi masse dei cittadini coinvolti direttamente nella valutazione e nella scelta del loro stesso destino nella direzione del nostro paese.
Qui voglio esprimere, anche nei confronti del gruppo che ho l'onore di presiedere, che si è battuto per l'ipotesi di cui ho cercato brevemente di parlare con forte determinazione, una valutazione autocritica perché non siamo riusciti a sufficienza a coinvolgere nella discussione attorno a un problema di tale rilevanza e di così gravi conseguenze la grande parte dell'opinione pubblica e delle masse popolari e lavoratrici. Concordo pienamente con un uomo eminente della sinistra italiana, Pietro Ingrao, con il quale ho avuto nel corso della mia vita non breve motivo a volte di polemizzare e di trovare momenti di contrasto e non solo di coincidenza, quando dice che non è comprensibile come attorno a queste scelte e a questo dibattito ancora non si sia sentita la voce delle organizzazioni dei lavoratori, come se fosse possibile distinguere o separare la battaglia per la democrazia

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dalla battaglia per i diritti sociali, per i diritti dei lavoratori e per le conquiste delle masse lavoratrici.
È una battaglia che è stata condotta sempre, dalla Repubblica in poi e ancora prima, sotto il binomio libertà e lavoro, democrazia e lavoro; ed è per questo che penso che questa vicenda che oggi trova un momento saliente e troverà una conclusione di grande e forte rilievo, dovrà poi proseguire e dipanarsi nella società con la partecipazione e, per quanto mi auguro, con il consenso delle grandi masse lavoratrici e popolare attorno ad una forma nuova, più avanzata di democrazia contro il presidenzialismo di vecchio e di nuovo stampo.


PAOLO ARMAROLI. Più che svolgere un intervento, presidente, vorrei chiedere un chiarimento di carattere procedurale. Quando ci siamo espressi con un voto solenne sul testo A o B del relatore Salvi, lei ci ha detto che con quella votazione non avremmo adottato solo un testo base ma, con una procedura adatta alle circostanze, avremmo espresso un voto di principio a favore di uno dei due modelli con la conseguenza giuridica, oltre che politica, che dopo la votazione, quale che fosse il modello risultato maggioritario, tutti ci saremmo sforzati per migliorare questo modello.
Se è così, signor presidente, credo che gli emendamenti completamente soppressivi non dovrebbero essere considerati ammissibili, e non dovrebbero esserlo nemmeno quelli formalmente sostitutivi ma sostanzialmente soppressivi di tutto il testo base.
L'emendamento IV.1.43, illustrato con grande passione dall'onorevole Cossutta, è formalmente ineccepibile perché propone di sostituire l'aticolo 1, ma alla fine propone di sopprimere gli articoli da 2 a 12, quindi è integralmente soppressivo. Le chiedo se sia ammissibile un emendamento integralmente soppressivo del testo base.


PRESIDENTE. L'emendamento è integralmente sostitutivo e ripropone il modello parlamentare. Quando adottammo il testo base, con una procedura particolare perché facemmo una votazione alternativa, dichiarammo che questo non era preclusivo della possibilità di riproporre il modello battuto. Ritengo che la scelta operata da rifondazione comunista non tenga conto della necessità politica di impegnarci innanzitutto sul modello che ha prevalso, salvo riservarsi in conclusione la possibilità di intervenire. Tuttavia questo è stato affidato ad una libera valutazione dell'onorevole Cossutta e degli altri colleghi che, per ragioni ideali politiche, hanno ritenuto di dover proporre pregiudizialmente un voto su questa questione.
Non credo quindi di poter opporre un giudizio di inammissibilità anche perché, in una sede referente come questa, vi è un alto grado di informalità ed è possibile tornare a votare anche su questioni sulle quali si è già votato; non siamo sottoposti alla procedura rigida di un voto d'aula dove non si può tornare a votare su un principio sul quale si è già votato. La questione è affidata ad una valutazione di opportunità politica, come tale è stata proposta, tuttavia si è chiesto di discutere e votare e adesso discutiamo e votiamo. Naturalmente i gruppi si comporteranno tenendo conto anche delle ragioni di opportunità politica.
Per quanto mi riguarda, per esempio, pur avendo sostenuto il premierato, penso che se un voto in questo momento rovesciasse il voto già espresso in precedenza dalla Commissione verrebbe meno l'impegno politico, al quale personalmente mi sento vincolato, di discutere del testo base che la Commissione ha adottato. In questo caso credo che il voto, persino a prescindere dal contenuto della proposta, debba essere coerente con quell'impegno politico.


MAURIZIO PIERONI. Come lei e i colleghi ben sanno, abbiamo sostenuto con altrettanta determinazione la formula del premierato, riteniamo però di dover prendere atto che sussistono in questa Commissione le condizioni politiche perché la Commissione possa concludere positivamente i suoi lavori, accettando il


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voto del 4 giugno. Vorrei invitare il collega Armaroli ad evitare aggettivi qualificativi; se la solennità coincide con la presenza di alcuni commissari che non vengono mai, è giustificato l'aggettivo solenne, altrimenti è un voto come tutti gli altri espressi in questa Commissione.
Prendendo atto del punto politico in cui ci troviamo, prendendo atto altresì di una cosa che mi sembra sia stata trascurata finora, vale a dire degli emendamenti formulati dal relatore che, a mio modo di vedere, costituiscono un terreno atto a temperare la scelta semipresidenzialista del primo voto ed a raggiungere una vasta convergenza, che è poi l'unico modo per uscire positivamente da questa Commissione, non potendo però i verdi votare contro né astenersi rispetto alla scelta del premierato - perché non possiamo come lei prescindere dal contenuto - ma non potendo neppure votare a favore in questa fase, le comunico che né io né l'onorevole Boato parteciperemo al voto.


GIOVANNI RUSSO. Signor presidente, ho anch'io la profonda e radicata convinzione che la soluzione semipresidenzialista verso la quale la Commissione è avviata non sia positiva per il nostro paese: non lo è sotto il profilo della crescita democratica, che deve essere affidata al rafforzamento degli istituti di rappresentanza e di partecipazione dei cittadini; non lo è neppure dal punto di vista della soluzione dei problemi ai quali vogliamo porre rimedio. Credo che questa soluzione aprirà più problemi di quanti ne risolva, anche se do atto al relatore Salvi di aver compiuto un notevole sforzo per disegnare questa forma di governo nel senso che risulti più adeguato alla soluzione italiana.
In virtù di questa mia profonda convinzione, anche se comprendo le ragioni politiche che lei, signor presidente, ha espresso, ritengo di dover annunciare il mio voto favorevole all'emendamento proposto e annunciato dal collega Cossutta.


FABIO MUSSI. Confermo brevemente la posizione già assunta e più volte ribadita dal gruppo della sinistra democratica, che coincide con quella del relatore. Avevamo votato per il modello del governo del premier eletto insieme alla sua maggioranza, ma fin dall'inizio abbiamo dichiarato un interesse e un apprezzamento anche per la soluzione semipresidenzialista, una soluzione che sta nel quadro delle grandi democrazie moderne. Naturalmente ci sono tanti dubbi che possono essere affacciati, ma non ce la sentiamo di condividere le valutazioni così radicalmente negative su questa forma istituzionale qui riproposte dal collega Cossutta.
Aggiungo che c'eravamo già impegnati a lavorare attivamente e positivamente sul modello che fosse prevalso nella scelta dei testi base ed è quello che ci accingiamo a fare. Per questa ragione voteremo contro l'emendamento integralmente sostitutivo presentato da rifondazione comunista.


FAMIANO CRUCIANELLI. Avrei preferito che questa discussione e questo voto si proponessero alla fine del dibattito e non solo per ragioni di opportunità; sono convinto che questo dibattito probabilmente avrebbe fornito ulteriori argomenti oltre a quelli portati dall'onorevole Cossutta a favore del premierato. Ormai, però, questa discussione si è aperta.
Ho già ribadito in discussione generale tutte le mie ragioni di contrarietà rispetto al modello semipresidenziale, rinvio pertanto ad essa; però, nel momento in cui viene chiesto questo voto, questo atto di volontà politica o di testimonianza (come testimonianza politica sarà il voto che esprimeremo sull'emendamento Pieroni alla fine di questo dibattito) non posso non esprimerlo. Desidero perciò annunciare il mio voto favorevole all'emendamento che propone di sostituire interamente lo schema presentato dal senatore Salvi, anche se voglio aggiungere che si propongono modifiche di qualche rilievo al modello originario.


PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Armando Cossutta IV.1.43 interamente sostitutivo del testo proposto dal relatore.
(È respinto).


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Vorrei pregare il presentatore di ritirare l'emendamento Armando Cossutta IV.1.44 che è simile (Commenti del deputato Armando Cossutta).
No, onorevole Cossutta, lei ha presentato due emendamenti interamente sostitutivi quasi identici.


ARMANDO COSSUTTA. È la numerazione che non coincide. Non so come mai.


PRESIDENTE. Comunque, lei ricorda di aver presentato due emendamenti sostitutivi quasi identici?


ARMANDO COSSUTTA. Sì.


PRESIDENTE. La pregherei di ritirare il secondo, per non ripetere il voto.


ARMANDO COSSUTTA. D'accordo.


PRESIDENTE. La ringrazio. L'emendamento Pieroni e Boato IV.1.1 è accantonato.


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Signor presidente, abbiamo appena votato, respingendolo, un emendamento rispetto al quale l'emendamento Pieroni e Boato IV.1.1 è esattamente identico, almeno nei commi iniziali. Quindi, accantonare questo emendamento vuol dire che a un certo momento potrà essere posto in votazione, nonostante i primi setti commi siano identici a quelli dell'emendamento che abbiamo già respinto.


PRESIDENTE. Questo emendamento non è del tutto identico a quello che abbiamo respinto, perché quest'ultimo si riferiva a 12 articoli, mentre l'emendamento Pieroni e Boato è riferito solo all'articolo 1. Comunque, siccome la decisione politica di accantonarlo non significa che necessariamente torneremo a votarlo, nel momento in cui ciò fosse richiesto lei avanzerà le sue obiezioni. Il senatore Pieroni non ha chiesto che sia votato, ha accettato un'ipotesi di accantonamento ed ha anche detto che si augura, alla fine, di non chiedere neanche il voto. Quindi, non aprirei una disputa parlamentare sull'ipotesi che alla fine il senatore Pieroni chieda il voto. Con tanti problemi che abbiamo!


ETTORE ANTONIO ROTELLI. Signor presidente, però la pregherei solo di considerare la condizione in cui è messa la Commissione.


MARCO BOATO. Vorrei solo ricordare al collega Rotelli, che non facendo parte dell'ufficio di presidenza non lo può sapere, che quando si era col velo d'ignoranza su quale dei due modelli prevalesse - quindi non si sapeva se avrebbe prevalso il premierato o il Presidente della Repubblica - il collega Nania, con il consenso di tutto l'ufficio di presidenza, chiese che nell'ipotesi che prevalesse l'uno o l'altro il modello soccombente potesse essere riproposto, non subito rivotato, accantonato e, eventualmente, rivotato alla fine qualora non si considerasse soddisfacente il lavoro fatto sul modello vincente.
In questa fase, stiamo applicando esattamente il lodo Nania sul quale abbiamo tutti convenuto in ufficio di presidenza.


PRESIDENTE. Prima di passare all'esame dell'articolo 1 del relatore vi è la proposta procedurale avanzata dall'onorevole Mussi, il quale chiede di anticipare la votazione sul suo articolo aggiuntivo IV.12.03. Su questa proposta, do la parola ad un oratore a favore e ad uno contro.


STEFANO PASSIGLI. Signor presidente, prima che dia la parola ad un oratore a favore e ad uno contro, volevo ricordare che quando si trattò del Parlamento un mio emendamento di analoga portata fu accantonato, e in questa sede io non l'ho ripresentato...


PRESIDENTE. Si disse che ne avremmo discusso quando saremmo passati alla forma di governo.


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STEFANO PASSIGLI. Poiché gli emendamenti accantonati in altra tornata di discussione possono essere discussi e votati come primi, forse si potrebbe anche...


PRESIDENTE. Siccome tale questione ha carattere di sostanza politica, mi rimetterò alla decisione della Commissione.


STEFANO PASSIGLI. D'accordo.


PRESIDENTE. Il gruppo della sinistra democratica fa discendere dall'adozione o meno del sistema maggioritario a doppio turno uninominale come prevalente anche il suo giudizio su talune questioni relative ai poteri presidenziali. La richiesta è legittima. Tuttavia, vi sono altri gruppi che possono avere opinioni completamente diverse. Quindi, mi rimetto alle decisioni della Commissione.
Hanno chiesto di parlare a favore l'onorevole Occhetto e contro l'onorevole Urbani ed il senatore Pieroni.


ARMANDO COSSUTTA. Signor presidente, vorrei chiedere un chiarimento. Non ho obiezioni di fondo, però perché su questo emendamento possono intervenire un oratore a favore ed uno contro mentre finora così non è stato?


PRESIDENTE. No, si tratta di una questione esclusivamente procedurale attinente alla proposta di anticipare la discussione.


ACHILLE OCCHETTO. Voglio argomentare perché voto a favore. Non sono sicuro che la motivazione del mio voto favorevole sia la stessa che ha indotto l'onorevole Mussi ad avanzare questa proposta...


PRESIDENTE. Comunque, l'onorevole Mussi si accontenta che la sua argomentazione sia convincente.


ACHILLE OCCHETTO. Lo vediamo alla fine.
Il senatore Villone, con un'espressione che io ho considerato molto felice, ha dichiarato, ad un certo punto, che il nostro processo di formazione istituzionale non deve essere considerato una sorta di percorso di guerra, un campo minato, e riferiva questa sua considerazione ad un particolare articolo.
Ritengo che una tale espressione si addica, più in generale, al processo di formazione complessivo che stiamo dando ai nostri lavori. Infatti, noi abbiamo lavorato senza un disegno controllabile, e ciò si è visto nel rapporto tra i problemi che riguardavano la forma di Stato e il Parlamento, dando vita a una costruzione traballante non rispondendo ad alcuni problemi di valore estremamente importante. Ma direi anche che l'icastica verità dell'espressione del senatore Villone vale nell'insieme per il nostro lavoro. Mi spiego: in questo momento in Italia c'è un dibattito estremamente esagerato da una parte e dall'altra - direi iconoclastico furore nei confronti degli accordi che sarebbero stati compiuti al di fuori di questa Commissione - a cui si accompagna un'encomiastica esaltazione del valore generale del compromesso.
Non sono contrario ai compromessi ma ascolto con un certo fastidio chi ci vuole insegnare la politica, quasi fossimo in una rumorosa assemblea del sessantotto. Tutti noi abbiamo fatto politica, tutti noi sappiamo che il compromesso è un aspetto della politica. Però bisogna sapere in quale disegno il compromesso viene inserito e bisogna anche non essere condotti punto per punto, portati per mano, e con certo capriccio, verso esiti che potrebbero essere paludosi.
Voglio fare un esempio per spiegare perché sono d'accordo con la proposta del senatore Passigli. Io posso aderire su un determinato aspetto di un compromesso se so in anticipo che su altri aspetti si mantiene ferma una determinata posizione. Ma non si può procedere a testa bassa, come se fossimo in una legge ordinaria, articolo per articolo, emendamento per emendamento senza aver chiara la coerenza tra le diverse parti dell'edificio istituzionale, cioè senza controllare il disegno complessivo. Faccio


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alcuni esempi. Ho già visto che i poteri del Presidente si aggiungono a nuovi poteri di scioglimento. Bene, io applaudo a questa proposta, ma dico che essa non conta se non sono chiari altri poteri, perché allora si può andare nei confronti della costituzione di un Presidente irresponsabile dal punto di vista delle responsabilità di governo e che si apposta dietro alla siepe per colpire o far danzare il Parlamento a suo piacimento. Quindi, attenzione perché potrebbe essere qui il vero pericolo plebiscitario.
Allora si pone il problema di quali altri poteri prima di poter affrontare tale questione. Ma al di sopra di tutto questo esiste un'incognita che riguarda la legge elettorale. Noi sappiamo che la legge elettorale può, sia pure indirettamente, concentrare il baricentro sul premier, sui partiti, sulla coalizione. In una certa misura contribuisce essa stessa a distribuire i poteri. E io ricordo che il presidente della bicamerale ha lanciato proprio qui, in una seduta estremamente accesa, la sfida sul doppio turno uninominale e maggioritario. Io ritengo che abbia fatto bene, ma nel fare questo ha posto sostanzialmente una pregiudiziale. Ora, per ciò che mi riguarda, è inutile entrare nel merito dei poteri del Presidente della Repubblica se non si conosce il punto di caduta, se non sappiamo se la bicamerale tiene ferma quella pregiudiziale.
In concreto io posso accettare parziali compromessi su alcuni poteri del Presidente se rimane intanto il quadro di riferimento del doppio turno, ma non posso, di compromesso in compromesso o attraverso la roulette russa dei vari voti, cedere prima sui poteri e poi sulla legge elettorale.
Questo tragitto mentale che ho simulato come personale sta ad indicare un'esigenza più generale: quella di non accettare la politica del carciofo prima peggiorando il premierato ora peggiorando il presidenzialismo. Ammiro la furbizia volta ad inviare un canovaccio alle Camere liberandosi in qualche modo di una patata bollente. Non ammiro l'irresponsabilità verso le istituzioni.
Si può quindi cercare di rimediare a questo rischio almeno con alcuni antidoti. Il primo è appunto quello di invertire l'ordine, di votare la costituzionalizzazione del doppio turno. E se questa proposta è battuta, credo che dobbiamo conoscere, per la stessa motivazione, qual è il contenuto dell'ordine del giorno sulla legge elettorale, perché se si conosce il progetto di legge elettorale, benissimo, discutiamo dei poteri di scioglimento, del rapporto tra Presidente, premier e Parlamento, cioè di quel delicato equilibrio che è quello complessivo dell'edificio istituzionale che dobbiamo mettere in campo.
Naturalmente, un'inversione dell'ordine del giorno implica, qualora passi - cosa che mi auguro - che si proceda, ma implica anche che prima di passare ai contenuti si sappia quali sono gli accordi o eventuali proposte che ancora non sono giunti alla discussione, perché la stessa motivazione riguarda anche l'eventuale ordine del giorno che dovremo votare alla fine.
Per me la ratio è molto semplice: se non passa il doppio turno da parte mia vi sarà un'opposizione ancora più netta nei confronti dell'indeterminatezza dei poteri, perché, amici e compagni del PDS, non si può perdere due volte: prima sul doppio turno e poi sui poteri del Presidente. Infatti, un compromesso è alto se almeno si sa trattare in modo tale che si perde un po' da una parte ma si guadagna dall'altra. È questo che mi spinge a un chiarimento immediato sul doppio turno.


GIULIANO URBANI. Vorrei invece chiedere all'onorevole Mussi di ritirare la sua richiesta perché, pur avendo ascoltato con grande attenzione le motivazioni addotte dal collega Occhetto, confesso che resto dell'opinione inversa, cioè che sia la forma di governo la prima scelta che dobbiamo compiere e che soltanto avendo compiuto la scelta a favore della forma di governo diventi poi possibile e conseguente scegliere il sistema elettorale più adatto per realizzarla. Si tratta di sapere attraverso quale metodo scegliamo chi e che cosa fa. Sarebbe veramente strano


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decidere, prima di una modalità di elezione, senza sapere chi, cosa fa, quali limiti e quali poteri ha.
Ciò detto, vorrei togliere un'illusione al collega Occhetto: qualora procedessimo, ad esempio, alla costituzionalizzazione della formulazione, così come risulta dall'emendamento Mussi, le incognite sul tipo di sistema elettorale resterebbero numerose; se prima il senatore Salvi poteva ricordare che di semipresidenzialismi se ne possono contare almeno nove, secondo una recente, anzi un'imminente pubblicazione...


CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. È già uscita: non mi assumo la responsabilità, è in tutte le librerie!


GIULIANO URBANI. Comunque, la faccio mia perché ho già letto il libro...


CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. Credo anzi che dovrai presentarla in una tavola rotonda, se non ho letto male un invito.


GIULIANO URBANI. Posso solo dire al collega Occhetto che di sistemi elettorali a doppio turno che partano dalla formulazione contenuta nell'emendamento Mussi ne potremmo considerare almeno sette, o forse otto o nove. Quindi, le incognite restano molto numerose e mi sembrerebbe strano partire dal tentativo di chiarirle attraverso una riflessione sulla legge elettorale, considerato che quest'ultima, anche da un punto di vista temporale, verrà dopo e non prima della modifica costituzionale.
Tutto ciò premesso, mi permetto di insistere nella richiesta rivolta al collega Mussi di ritirare la sua proposta di inversione.


PRESIDENTE. Credo che la richiesta non si possa ritirare e che si debba passare alla votazione.
Pongo in votazione la proposta di inversione dell'ordine di votazione avanzata dal collega Mussi.


(È approvata).


Dobbiamo ora procedere preliminarmente all'esame dell'articolo aggiuntivo Mussi IV.12.03, che prevede di costituzionalizzare non una legge elettorale, ma il principio secondo cui la legge elettorale deve essere prevalentemente maggioritaria uninominale a doppio turno, ossia la maggioranza dei seggi deve essere assegnata sulla base di questo principio.


NATALE D'AMICO. Vorrei ricordarle, presidente, che c'è anche il mio emendamento II.2.4 riferito al testo sul Parlamento (il mio emendamento «salvareferendum»), che era stato accantonato e che a questo punto immagino segua lo stesso percorso.


PRESIDENTE. Senza dubbio. L'emendamento prevede che il 75 per cento dei seggi sia assegnato con il sistema maggioritario uninominale; per affinità di materia, esso sarà discusso adesso.
Chiedo ora la parola per illustrare l'emendamento Mussi IV.12.3, in quanto membro del gruppo della sinistra democratica: se il gruppo di cui faccio parte mi concede questo onore, vorrei illustrare brevemente l'emendamento. Penso che non vi sia nulla di scandaloso: non è un fatto rissoso (Commenti).
Siccome mi si chiede di non farlo dal banco della presidenza, invito il senatore Elia sostituirmi e mi permetto di illustrare pacatamente il senso di questo emendamento.


PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LEOPOLDO ELIA


PRESIDENTE. La parola all'onorevole D'Alema.


MASSIMO D'ALEMA. Credo che si debba discutere serenamente di tale questione. Vi chiedo scusa, ma ritengo che questo sia un passaggio di grande importanza politica ai fini del lavoro che ci è stato assegnato.


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Vorrei innanzitutto pronunciarmi - me lo consentirete - su un aspetto che attiene solo indirettamente all'emendamento sul doppio turno: intendo cioè esprimere un parere sulla discussione in atto a proposito dell'ipotesi di intesa che ha trovato ampio seguito ed ha ispirato gli emendamenti proposti dal relatore.
In sostanza, questa ipotesi prevede che, rispetto al modello francese, il Presidente della Repubblica veda ridotti taluni suoi poteri; in modo particolare, prevede che egli non sia il Capo dell'esecutivo e che quindi si realizzi un diverso equilibrio tra poteri presidenziali, funzioni del Governo e del primo ministro e Parlamento. Nello stesso tempo, evidentemente, così come è stato riportato sulla stampa, questa ipotesi di rivisitazione dei poteri presidenziali in relazione al modello francese, di cui si era parlato quando si adottò il semipresidenzialismo, si accompagnerebbe ad un'intesa di principi sulla legge elettorale che escluderebbe, appunto, il doppio turno uninominale nei collegi, prevedendo invece che la quota maggioritaria attualmente prevista dalla legge elettorale (il 75 per cento), che resterebbe ferma, fosse attribuita nella misura del 55 per cento al primo turno nei collegi uninominali e per la quota restante attraverso un ballottaggio di coalizione.
In sostanza, questa ipotesi di intesa prevede l'introduzione del principio del doppio turno, ma non del doppio turno uninominale nei collegi, bensì di un doppio turno di ballottaggio di coalizione, che viene considerato dalla maggioranza delle forze politiche come una formula più accettabile. Quindi, i termini della questione sono tutti chiari, non vi sono clausole segrete ed anche il senso di questa discussione è tale che essa possa essere sviluppata in modo limpido e trasparente, senza vergogne e tumulti.
Personalmente, anche se mi pronuncerò contro questa ipotesi, non ritengo tuttavia che essa possa essere definita un pastrocchio, un papocchio, una soluzione pericolosa, come ho sentito in alcuni giudizi che mi sembrano eccessivi, ispirati ad una sorta di fanatismo in materia istituzionale, nel quale non mi riconosco.
Mi permetto anzi di dire che questa soluzione che si profila, e che evidentemente è maturata attraverso un dialogo tra le forze politiche, rappresenterebbe, rispetto alla situazione attuale, un certo passo in avanti dell'assetto istituzionale del nostro paese, innanzitutto perché personalmente non considero in sé negativa l'elezione da parte dei cittadini del Presidente della Repubblica, che penso sia una scelta ormai matura che ci rende simili alla stragrande maggioranza delle democrazie nel mondo. Credo che sia anche una scelta che aiuta il crescere del bipolarismo e non ritengo che un Presidente della Repubblica eletto dai cittadini debba necessariamente esercitare il ruolo di Capo dell'esecutivo; in realtà, se ci guardiamo attorno, possiamo constatare che è il modello francese che appare singolare, mentre invece l'esperienza in cui un Presidente eletto dai cittadini si accompagna ad un sistema di Governo di tipo parlamentare è largamente diffusa in diversi paesi europei. Quindi, da questo punto di vista, non credo che in sé vi sia un'incompatibilità tra questi due principi.
Vorrei altresì aggiungere che il fatto che una quota dei seggi maggioritari venga attribuita con un ballottaggio, sia pure di coalizione, aiuta, a mio giudizio, il bipolarismo, non lo ostacola, anche se - questo è il difetto principale di tale soluzione - non aiuta, secondo me, il formarsi di maggioranze omogenee, di poli politicamente più omogenei, e non sollecita un processo di riaggregazione del sistema politico italiano; tende, cioè, attraverso il meccanismo delle coalizioni, a conciliare frammentazione e composizione di alleanze al fine di governare, che è una soluzione comprensibile allo stato delle cose del nostro paese, ma a mio avviso non abbastanza coraggiosa. Ed è per questo che ho preso la parola, per chiedere alla Commissione di compiere una scelta che a me sembra più coraggiosa rispetto alla situazione attuale; lo dico senza con ciò voler demonizzare una soluzione diversa: il mio è un intervento

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di stimolo ad una scelta che a me appare più coraggiosa. Questo innanzitutto per ragioni istituzionali, in quanto non vi è dubbio che la scelta del doppio turno uninominale rende, a mio avviso, più agevole attribuire al Presidente più cogenti poteri di Governo, perché - questo mi pare un aspetto fondamentale del sistema francese - attraverso il doppio turno uninominale per l'elezione parlamentare, ossia un sistema di formazione della maggioranza parlamentare del tutto analogo a quello con cui si forma la maggioranza presidenziale (si prevede il ballottaggio tra i due candidati più votati; per la Camera vi è una differenza, ma indubbiamente non è tale da determinare due diversi meccanismi di formazione della maggioranza), si crea quella possibile omogeneità tra maggioranza presidenziale e maggioranza parlamentare che giustifica l'idea che il Presidente possa essere il capo della maggioranza e quindi dell'esecutivo.
Se viene meno questa omogeneità dei due sistemi, è evidente che tale ipotesi cade in radice. Voglio fare alcuni esempi a scopo di dimostrazione di questa tesi: se il Presidente è eletto con un doppio turno uninominale, il primo turno funziona come una sorta di elezioni primarie e può essere eletto un Presidente di destra perché esprime un prevalente orientamento dei cittadini a destra. Ma se la maggioranza parlamentare si forma attraverso un doppio turno di coalizione, la coalizione di destra potrebbe essere più ristretta dell'area elettorale, in quanto tra le forze politiche non si raggiunge un'intesa. Mentre nel doppio turno uninominale la coalizione la fanno i cittadini, nel doppio turno di coalizione la fanno i partiti, ed è evidente che il principio di formazione della maggioranza parlamentare differisce profondamente dal principio attraverso il quale si forma la maggioranza presidenziale. È per questo, secondo me, che risulta difficile attribuire poteri di Governo ad un Presidente eletto in un contesto nel quale i due sistemi di legittimazione siano così diversi; questo, quindi, per ragioni istituzionali, non per un timore della sinistra.
Per questo, l'onorevole Fini, peraltro assai correttamente, nel suo intervento in fase di dibattito generale su questa parte, ha detto che in effetti, con l'intesa che si profila, ci allontaniamo dal modello semipresidenziale francese perché ne viene meno un aspetto costitutivo, ossia l'omogeneità dei due sistemi elettorali - presidenziale e parlamentare - attraverso i quali si formano le due maggioranze che devono convivere: quella presidenziale e quella parlamentare.
Questa ragione ha indotto l'onorevole Mussi a chiedere di anticipare il voto sull'emendamento in esame: non si tratta di un dispetto, ma dell'evidente motivazione, resa poi esplicita dall'onorevole Occhetto, secondo cui per poter fare un ragionamento sistemico, questo punto ha una sua priorità; altrimenti, è molto difficile portare avanti un ragionamento sistemico anche sui poteri presidenziali.
D'altro canto - lo ricordo non per amor di polemica - questo fu detto anche prima: fu proprio l'onorevole Urbani - per questo l'ho ascoltato con curiosità - ad affermare che, se si sceglie il semipresidenzialismo, è implicito il sistema elettorale uninominale a doppio turno e se fosse stata valida questa sua affermazione, il voto non sarebbe stato neanche necessario; ma comunque chiudiamo questa parentesi.
Penso che a tali ragioni istituzionali (è difficile pensare ad un semipresidenzialismo che si ispiri al modello francese senza questo elemento costitutivo) si aggiungano delle ragioni politiche, sulle quali intendo esprimere brevemente la mia opinione; mi riferisco a ragioni politiche relative al nostro paese, quelle per cui ritengo che sarebbe utile all'evoluzione democratica del nostro paese, del nostro sistema politico adottare questo sistema elettorale.
Mi rendo benissimo conto che, per una forza politica cospicua, può apparire più facile aderire all'idea del doppio turno, nel senso che può sembrare che questa concezione sia rispondente ad un interesse

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di partito. Il timore, assolutamente legittimo, che il doppio turno sia pensato - come è stato detto anche qui - soltanto per trasferire il potere dai partiti piccoli a quelli più grandi è una preoccupazione sulla quale non ironizzo affatto, perché ritengo che ciascuna forza politica - con le proprie ragioni ideali e storiche - abbia fondati motivi di battersi per continuare ad esistere, ad essere rappresentata in Parlamento ed a sostenere i suoi programmi e le sue idee.
Vorrei rendere esplicito che a mio giudizio, tuttavia, nella realtà italiana il doppio turno deve essere visto come uno strumento che aiuta e che incoraggia un processo di aggregazione delle forze politiche, non di prevaricazione di quelle maggiori sulle minori. Infatti, la frammentazione del sistema politico italiano è tale che o il doppio turno produce aggregazioni - e ritengo le produrrebbe (comunque noi lo proponiamo in questo spirito) - oppure evidentemente non esprime maggioranze sostanziali in grado di governare il paese.
A mio avviso, il doppio turno che si produrrebbe in Italia dovrebbe prevedere una forma di recupero proporzionale (non mi addentro negli aspetti tecnici: ne ha parlato il professor Sartori; rinvio a quella esposizione), un'ipotesi di doppio turno non esattamente ricalcata sul modello francese, prevedendo un recupero proporzionale delle forze che desistono dal ballottaggio per la maggioranza di governo. Anch'io sono profondamente convinto che non sia adatto all'Italia un sistema che escluda dal Parlamento forze politiche così numerose e rappresentative, come avviene in Francia; il che non mi sembrerebbe giusto.
Per altro verso la mia convinzione politica è che questo sistema elettorale favorirebbe, promuoverebbe un processo di aggregazione delle due principali forze che oggi si contendono il governo del paese. Salvo fondamentali ragioni politiche (nel qual caso la scelta sarebbe comprensibile) esse tenderebbero evidentemente a presentarsi insieme fin dal primo turno intorno a candidati unificati. Il sistema avrebbe quindi l'effetto di promuovere l'aggregazione.
È stato obiettato - ragiono seriamente su questa obiezione, perché ne capisco i motivi - che in questo modo si solleciterebbe l'aggregazione attraverso un artificio, nel momento in cui essa non appare matura e pronta nelle vicende politiche. Sono dell'opinione che le vicende politiche vadano rispettate e non credo che le norme istituzionali possano costituire strade obbligate; tuttavia ritengo che le regole sollecitino ed aiutino. Se non avessimo avuto una legge elettorale maggioritaria, non sarebbero nati il Polo e l'Ulivo, parliamoci chiaro. C'è poco da fare: la legge elettorale maggioritaria, sia pure a turno unico, ha fortemente sollecitato un processo riaggregativo, anche se per ora esso ha assunto il carattere di coalizione. Vi è un rapporto, cioè, tra scelte istituzionali e processi politici. E poiché questo processo aggregativo è in atto, in qualche modo già caratterizza la vita politica italiana, quindi non sarebbe imposto in modo improvvisato dall'introduzione del doppio turno uninominale. Proprio per tali ragioni credo che il doppio turno possa incontrarsi - certo, sollecitandolo fortemente - con il processo politico già in atto nel paese.
Naturalmente è una scelta che comporta una particolare dose di coraggio, è uno strappo in avanti nei processi politici in atto. Ma credo che, se questa scelta fosse compiuta, costituirebbe un segnale molto forte rivolto al paese ed il segno di una chiara volontà di innovazione da parte di questa Commissione.
Voglio aggiungere un'ultima notazione - che non vuole essere polemica verso nessuno - circa il rischio di procedere alla cieca (ne ha parlato l'onorevole Occhetto). Ricordo sempre a tutti noi che stiamo predisponendo un testo base. Probabilmente ci siamo messi in questo lavoro con un notevole grado di reciproca sospettosità tra le forze politiche ed anche con un forte condizionamento per ciascuno di noi rispetto alle posizioni di partenza e di bandiera; ciò ha reso anche difficile lo sviluppo di un dialogo - pure

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tentato in diversi momenti - che portasse ad una intesa di quadro. Non mi nascondo che abbiamo proceduto a strappi, fra incertezze, in una vicenda che non ha favorito la definizione di un quadro comune. Tuttavia considero questa vicenda non inutile. Ora che ci avviciniamo ad un momento conclusivo e che forse arriveremo ad una soluzione che qualcuno di noi - per esempio il sottoscritto - può non considerare ottimale, si può dire tuttavia che il lavoro svolto ha consentito di chiarire e di arricchire i rispettivi punti di vista, di sgombrare il campo da pregiudiziali di sospettosità, al punto che sulla base di questo testo non escludo si possano successivamente compiere ulteriori passi in avanti.
In fondo, le due grandi scelte dalle quali eravamo partiti sono ancora lì di fronte a noi. Posto il principio dell'elezione diretta, si potrebbe anche decidere di apportare modifiche: per esempio, si potrebbe scoprire che il sistema del ballottaggio fra coalizioni ha senso soltanto se il ballottaggio avviene fra due candidati primo ministro (voglio vedere quaranta milioni di italiani che vanno a votare la seconda domenica con due simboli sulla scheda...). Dall'altra parte, l'ipotesi semipresidenziale è qui, ed il doppio turno la completerebbe - io penso - nel modo più corretto.
In altre parole, considero questo voto non l'ultima spiaggia, ma il passaggio di un processo costituente che, superando difficoltà e sospetti, ora si è messo in cammino e probabilmente non raggiungerà la sua tappa conclusiva il 30 giugno (mi sento di escludere che ciò avvenga, anzi). Anche per questo sono meno catastrofico nel giudizio definitivo: non mi sentirei - come fanno i giornali, per ragioni anche comprensibili - di dire che il sistema sarà così oppure che sarà in un altro modo. Come sarà lo vedremo alla fine, ma alla «fine fine».
In conclusione, se si desse adesso il segnale di uno strappo in avanti, credo che ciò darebbe alla Commissione una forza - anche all'esterno - che in questo momento non ha. Ecco perché abbiamo ritenuto di mantenere l'articolo aggiuntivo Mussi IV.12.03 e perché chiediamo che la Commissione lo approvi.


MAURIZIO PIERONI. Ringrazio il presidente (ci si può riferire a lui con questo appellativo anche quando interviene da altro banco) per aver posto con estrema chiarezza una questione. Egli ha infatti sottolineato che un semipresidenzialismo ispirato al modello francese non può prescindere da una legge elettorale di questo tipo.


PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MASSIMO D'ALEMA


MAURIZIO PIERONI. Proprio questa è la fondamentale motivazione di merito del voto contrario dei verdi sull'articolo aggiuntivo in esame. Noi non potremo mai accettare un semipresidenzialismo che si ispiri al modello francese e riteniamo di non essere i soli a considerarlo inaccettabile. Mettere in campo questa ipotesi significa, secondo noi, precludere ogni via di possibile intesa e di positiva conclusione dei lavori della Commissione.
È noto che siamo a favore, invece, del sistema del doppio turno di coalizione. Non mi dilungherò nel delineare argomentazioni complesse, voglio solo sottolineare che problemi come la composizione delle alleanze, la rissosità, la coesione delle maggioranze non possono essere visti - con atteggiamento salvifico - contrapponendo un modello fortemente aggregativo, fino al limite del bipartitismo, ad un modello teso alla composizione delle coalizioni. Io sono fondamentalmente e soggettivamente convinto - al di là della mia militanza politica - che la coesione programmatica sia l'unica seria, vera garanzia della coesione delle maggioranze. Per quanto riguarda la rissosità, poi, il contrattualismo esasperato, la rincorsa ai posti (come qualcuno ama dire con ruvida ma sincera espressione), tutti questi fenomeni si verificano con altrettanta tensione in un contesto di rapporto fra partiti così come all'interno dei singoli partiti. Con


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una differenza sostanziale: che in un sistema a doppio turno di coalizione l'ultima parola in termini di equilibri programmatici all'interno delle coalizioni, di ripartizione e ponderazione dei rispettivi pesi nell'ambito delle coalizioni stesse, spetta ai cittadini, che dettano con il loro voto gli equilibri tra le coalizioni ed all'interno delle stesse; in altra maniera, invece, essa è affidata semplicemente alla composizione di quello stesso tipo di conflittualità del tutto internamente ai singoli partiti.
Ma non è un motivo di merito che mi induce a votare contro questo articolo aggiuntivo. Potrei anche arrivare a dire che, essendo il principio dettato in maniera così generale, il singolo senatore (Pieroni, per esempio) potrebbe perfino prendere in considerazione l'ipotesi di un doppio turno di ballottaggio fra i primi due candidati (diversamente rispetto al sistema francese). Ciò che mi induce a votare contro senza alcun tentennamento, presidente, onorevole Mussi, sta nella mia contrarietà alla costituzionalizzazione di un principio elettorale.
Riteniamo che questa sia veramente una forzatura inaccettabile, da non proporre. Vorrei ricordare infatti che in passato, al momento della stesura della prima Costituzione della Repubblica italiana, la convergenza sulla imprenscindibilità del sistema proporzionale era larghissimamente condivisa; quindi non vi sarebbe stato alcun problema di equilibri politici, alcun elemento ostativo alla costituzionalizzazione del principio proporzionale. Ma se all'epoca si fosse proceduto in questo senso, se si fosse costituzionalizzato il sistema elettorale su cui per quarant'anni è vissuta la nostra Repubblica, non si sarebbe potuto tenere quel referendum a cui tutti ci rifacciamo (per lo meno tutti coloro che hanno votato sì).
In sostanza, costituzionalizzare un principio elettorale, qualunque esso sia, significa irrigidire la Costituzione ad un livello tale che il benefico influsso delle procedure sulla fisiologia della politica (un aspetto dell'analisi del presidente che io condivido) diventerebbe impossibile, nel momento in cui si apprezzasse che la scelta compiuta non coincide con le direzioni della politica nel paese. Ripeto: ove si fosse costituzionalizzato un principio elettorale, il referendum, che ci ha indotti a passare dal proporzionale al maggioritario, non si sarebbe potuto tenere.
Si tratta quindi di una forzatura molto pesante, rispetto alla quale mi auguro tutti i commissari riflettano: non solo rispetto alle conseguenze politiche che ciò avrebbe per gli immediati e futuri impegni della nostra Commissione - a cominciare da questa sera -, ma proprio perché questo porrebbe un'ipoteca sulla possibilità di gestire in futuro i rapporti fra le coalizioni, fra i poli, ed all'interno delle coalizioni.


NATALE D'AMICO. Signor presidente, ho ripercorso l'avvio della discussione generale in Commissione ed ho verificato che nell'opinione di molti componenti - della quasi generalità di essi - uno degli obiettivi che avremmo dovuto raggiungere con la riforma era la semplificazione della sovrastruttura partitica in Italia: troppi partiti, si diceva da più parti, coalizioni troppo poco omogenee. Si immaginava allora che uno degli obiettivi complessivi del processo di riforma dovesse essere proprio la semplificazione della struttura partitica italiana. Da molte parti si diceva che uno dei rimedi a questo problema sarebbe stato offerto da un'evoluzione della legge elettorale in senso più estesamente maggioritario o, comunque, dalla predisposizione di un sistema elettorale che agisse nella direzione di ridurre il numero dei partiti e di favorire la realizzazione di coalizioni più efficienti.
Oggi, paradossalmente, abbiamo rovesciato l'assunto. Si parte - se ho capito bene - esattamente dal presupposto contrario: abbiamo troppi partiti e quindi non ci possiamo permettere una legge maggioritaria. L'assunto di partenza era il seguente: abbiamo bisogno di un sistema elettorale più estesamente maggioritario per ridurre il numero dei partiti. Oggi l'abbiamo rovesciato e ci rassegniamo a


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dire: abbiamo troppi partiti e quindi non possiamo avere un sistema maggioritario.
A me pare necessario ritornare all'impostazione iniziale: la quantità di partiti non è frutto della varietà delle opinioni politiche; non è che paesi nei quali il numero dei partiti è minore e la frammentazione politica è minore vedono una minore diversità di opinioni politiche dei cittadini. Il fatto è che si danno una struttura del sistema partitico più favorevole al regime politico dell'alternanza governante.
L'altra questione che viene posta è: partiti piccoli, partiti grandi. Anche qui trovo davvero un paradosso. Quando rinnovamento italiano ha annunciato con chiarezza, come io faccio qui, che voterà l'emendamento per il doppio turno nei collegi, le contestazioni che ci sono arrivate sono state paradossali. Da qualche parte è stato detto: non avete capito che questo sistema elettorale conviene anche a voi; da qualche altra parte c'è giunta questa osservazione: beh, protestate, perché questo sistema elettorale non vi conviene. Ebbene, rivendico per me e per il rinnovamento italiano la possibilità che nel momento in cui si disegnano le regole non si ragioni solo sulle convenienze del singolo partito. Semmai, si può ragionare legittimamente intorno al sistema elettorale, al sistema di regole che favorisce o che non ostacola l'affermazione delle proprie idee o del proprio progetto politico. A me pare che il problema della riforma delle istituzioni si ponga insieme a quello della riforma della struttura partitica del nostro paese e quindi credo che ciò giustifichi la nostra scelta di un sistema di doppio turno, che sarebbe un poderoso strumento per agire sulla struttura partitica del nostro paese e della nostra politica.
Sono assolutamente d'accordo con quanto ha detto il presidente D'Alema poco fa: con il doppio turno di collegio, le coalizioni le fanno i cittadini; con il doppio turno di coalizione, le coalizioni le fanno i partiti. Ma anche questo molti di noi l'avevano detto nell'avvio del dibattito. Uno degli obiettivi della riforma è spostare potere dai partiti ai cittadini? La legge elettorale di cui si discute, quella che sarà formalizzata nell'ordine del giorno, avrei preferito - debbo dirlo con franchezza - che si discutesse insieme a questo emendamento, perché tutto sommato si tratta di giudicare tra due sistemi alternativi; e mi pare strano che la Commissione nella sua interezza consideri un corno del dilemma senza considerare l'altro, quindi che non sia messa in condizioni di giudicare con pienezza di coscienza sulle alternative esistenti allo stato dei fatti.
L'obiettivo, che molti di noi si erano prefissi, di spostare potere dai partiti ai cittadini attraverso l'opera complessiva della riforma, non si raggiunge solo con l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, ma richiede anche una legge elettorale che vada in tale direzione. Mentre il doppio turno nei collegi lo fa, l'ipotesi alternativa - per quello che riusciamo a capire - non va in questa direzione.
Quanto al problema, posto più volte e da ultimo con chiarezza anche dal presidente D'Alema nel suo intervento, relativo alla relazione stretta e necessaria addirittura tra modello semipresidenziale francese e doppio turno nei collegi per quanto riguarda la legge elettorale, non credo che tale relazione sia così stretta, ma credo che sarebbe bene che si realizzasse. Non escludo quindi la possibilità, in astratto, che si possa andare a modelli simili a quello semipresidenziale francese, anche con una legge elettorale simile a quella che abbiamo. Il punto vero è che con la legge elettorale che abbiamo in mente e di cui sentiamo parlare l'unica cosa che cambia è che il potere di scelta dei cittadini viene ridotto; non cambia nient'altro, mi pare, rispetto alla legge elettorale che abbiamo attualmente.
Per questi motivi preannuncio il mio voto favorevole all'emendamento IV.12.03, presentato dalla sinistra democratica; quando ci misuriamo con il problema della riforma delle istituzioni dobbiamo avere obiettivi alti e credo sia triste doversi accontentare di obiettivi meno alti

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di quelli che renderebbero questo paese più simile alle grandi democrazie dell'occidente, nessuna delle quali conosce una struttura partitica frammentata come quella italiana.
Immagino che dopo verrà posto in votazione un altro emendamento, che ho presentato per costituzionalizzare un altro principio della legge elettorale. Quanto all'obiezione mossa dal senatore Pieroni alla costituzionalizzazione di alcuni principi della legge elettorale, come è noto numerosi paesi stanno andando in questa direzione e quindi sicuramente non sarebbe un'eccezione italiana, tra le tante che invece stiamo disegnando, non tutte convincenti. Mi pare che sia ragionevole compiere questa scelta. Il mio emendamento è volto a costituzionalizzare il principio della legge elettorale emerso dal referendum del 1993 (almeno tre quarti dei deputati deve essere eletto in collegi uninominali maggioritari). Non credo che questo sia un vincolo giuridico rispetto alla nostra Commissione e al ceto politico; la mia idea è che gran parte dei cittadini con quel referendum avrebbero voluto abolire totalmente la quota proporzionale. La stragrande maggioranza dei cittadini ha ottenuto quanto era possibile, dato lo strumento che aveva a disposizione, vale a dire una drastica riduzione del contenuto proporzionale della legge elettorale. A me pare che quella sia una conquista del nostro paese e che, nell'opinione dei cittadini, i sistemi elettorali proporzionali ritardino lo sviluppo del paese, delle istituzioni e della politica; mi sembra quindi giusto che la Costituzione riformata - che speriamo il Parlamento vari - faccia proprio questo principio, che è una conquista dei cittadini, secondo il quale questi dispongono della possibilità di scegliere nei collegi il loro eletto, nonché di strumenti che agevolino la semplificazione della struttura partitica italiana.
Ho quindi illustrato il mio emendamento che ritengo assolutamente non in contrasto con quello della sinistra democratica, al quale ho preannunciato voto favorevole.


PRESIDENTE. Dopo che la discussione sarà esaurita porrei in votazione gli emendamenti relativi alla costituzionalizzazione dei principi della legge elettorale e poi aggiornerei la seduta. Ritengo però sia bene procedere stasera a tale votazione, in modo che domani abbiamo un'idea generale.


DOMENICO NANIA. Signor presidente, rinuncio ad intervenire.


GIULIANO URBANI. Signor presidente, lei ha illustrato l'emendamento facendo ricorso ad argomentazioni di ampio respiro, quale la prospettiva di semplificare la rappresentanza politica italiana in maniera da rendere più facile la produzione di politiche pubbliche in grado di rispondere più direttamente agli interessi generali del nostro paese.
Naturalmente non posso non essere d'accordo con le sue argomentazioni, che ho definito di ampio respiro, per la semplice ragione che ha fatto riferimento - l'ha fatto incidentalmente, citando se stesso - ad una letteratura che (lei è più giovane di me) la precede, alla quale molti di noi hanno concorso, con varie opere e vari studi; sarebbe quindi strano se io non mi trovassi particolarmente d'accordo con le cose che abbiamo contribuito a scrivere. Però le argomentazioni - ripeto - di ampio respiro che lei ha usato sono state anche addotte a sostegno di tre righe che di respiro ne hanno meno, le quali recitano: «La maggioranza dei seggi della Camera dei deputati è assegnata con il sistema del doppio turno maggioritario uninominale».
Signor presidente, devo ricordarle che adesso dobbiamo pronunciarci non a favore o contro le argomentazioni che lei opportunamente ha ricordato, ma a favore o contro la costituzionalizzazione di queste tre righe. Ebbene, nel momento in cui procediamo a valutare queste tre righe temo che incontriamo due obiezioni che mi inducono ad avere un atteggiamento contrario alla loro costituzionalizzazione, per ragioni che possono essere facilmente sintetizzate.


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In primo luogo, costituzionalizzando questa formulazione - attenzione - non procederemmo, come crede il collega Occhetto, alla costituzionalizzazione di una legge elettorale ma alla costituzionalizzazione di alcuni criteri ispiratori di varie, possibili leggi elettorali. Non voglio prendervi tempo, ma devo precisare in che senso indicheremmo molto poco quanto alle possibili leggi elettorali future. La norma dice di maggioranza dei seggi: quanti seggi? Il 90 per cento, il 99 per cento, il 51 per cento? Le differenze sono ovviamente abissali. In altri termini, fa una grande differenza se la quota proporzionale, che non è nemmeno enunciata e alla quale lei non ha fatto riferimento, sia ampia o ristretta. Incidentalmente lei ha fatto riferimento più volte alla associazione, che molti di noi condividono, tra sistema elettorale a doppio turno e semipresidenzialismo di ispirazione francese. Non le sfugge, evidentemente, il fatto che nel sistema elettorale francese la cosiddetta quota Vedel è una quota di cui tutti parlano ma che non è stata mai prevista da quel sistema elettorale. Questo perché l'ammontare di quella quota potrebbe produrre effetti che definirei a dir poco distorcenti delle aspettative che lei ha - e che anch'io ho - nei confronti dei sistemi elettorali a doppio turno, cioè della loro capacità di consentire ai cittadini di produrre maggioranze parlamentari certe e stabili. A quote più ampie queste probabilità si ridurrebbero notevolmente, a quote di riserva proporzionale più ristrette sarebbero naturalmente maggiori. Quindi questa prima variante, variando, varia molto, e non è suscettibile di variare poco.
Come ben sappiamo, i sistemi elettorali a doppio turno sono basati sui meccanismi delle soglie. Due esempi: la soglia superata la quale si vince al primo turno e quella di esclusione fra il primo e il secondo turno. Ebbene, variando queste due soglie, variano radicalmente, negli esiti e nelle logiche interne, i sistemi elettorali. Allora, costituzionalizzando queste tre righe che cosa costituzionalizzeremmo relativamente a queste logiche e a questi esiti? Mi sono permesso di dire al collega Occhetto: ahimé, non sapremmo quasi nulla su cosa costituzionalizzeremmo, perché i margini di incertezza rimarrebbero molti vicini al buio totale.
Secondo problema che incontreremmo costituzionalizzando questo testo: si dice che adotteremmo il sistema del doppio turno con il maggioritario uninominale, con il sistema dei collegi (non è detto, ma possiamo presumerlo). Ebbene, quel tipo di doppio turno nei collegi è strettamente associato - come dicevo prima - alla forma di governo e in particolare al sistema dei poteri. Confesso che non riesco a capire in base a quale logica possiamo scegliere il sistema elettorale per la scelta di occupanti i ruoli potestativi prima di aver deciso e quindi saputo di quali ruoli potestativi si tratti. Da questo punto di vista c'è un prius logico, che è la definizione dei poteri, e poi il sistema elettorale più adatto a rendere quei poteri in primo luogo esercitabili e in secondo luogo controllabili e limitabili. Siamo in sede di revisione costituzionale. Il nostro obiettivo deve essere sempre quello di individuare dei poteri limitati, perché la funzione di un'Assemblea, di una riunione o di un organismo costituente è essenzialmente quella: individuare dei poteri che siano limitati. Siamo all'abc del costituzionalismo. Una Costituzione è un insieme di poteri limitati; se questi poteri non sono definiti, come possiamo pensare di poterli limitare? Fin dal meccanismo elettorale, che è quello in base al quale i cittadini possono in primo luogo sceglierli ed in secondo luogo individuare le responsabilità di chi esercita questi poteri.
Non credo che alla luce di queste obiezioni possiamo costituzionalizzare a cuor leggero queste tre righe, anche quando si condividano le argomentazioni di carattere generale che lei ha avuto la bontà di citare; e citando quelle, naturalmente ha citato i lavori che negli scorsi anni sono stati prodotti da molti di noi. Ma la soddisfazione del vedere riconosciuta la bontà di quei lavori e di quelle argomentazioni non ci esime dal riconoscere l'entità di queste obiezioni, che

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sconsigliano di costituzionalizzare tre righe di questo genere alla presenza di tali incognite.


VALDO SPINI. Non intendo ripetere cose già dette. Vorrei richiamare l'attenzione dei colleghi su un dato che forse è interessante e che rafforza l'intenzione di votare questo emendamento. Ad un certo punto nel Comitato forma di governo abbiamo invitato a deporre due campioni delle due tesi che si sono fronteggiate, il professor Sartori per il semipresidenzialismo ed il professor Cheli per il premierato. Credo che non sia ultroneo ricordare che ambedue si sono pronunciati per il doppio turno, considerando, nella diversità delle ipotesi che proponevano, che la riforma istituzionale italiana doveva procedere sia dall'alto che dal basso e che procedere dal basso significava un procedimento di omogeneizzazione, di concentrazione delle formazioni politiche che doveva appunto muoversi secondo il doppio turno. Per i curiosi del nostro dibattito, rimando alla pagina 432 dei nostri atti, in cui il professor Cheli parla appunto dell'introduzione del doppio turno, si dichiara disponibile all'ipotesi Sartori della quadriglia, salvo rinuncia, oppure anche all'introduzione di una soglia.
Lo voglio ricordare per dire che forse questo è veramente il nodo dei nostri lavor; forse oggi siamo arrivati al nodo più delicato, al nervo più delicato, che comporta poi due riflessioni. La prima è che anche se fosse prevalso il premierato ci saremmo trovati sul doppio turno allo stesso incaglio. La seconda - ed è molto forte - riguarda veramente il grado di contraddizione in cui cade chi nega l'importanza di questo emendamento. Ha detto il professor Urbani, dall'alto della sua dottrina: perché prima andare ad esaminare i meccanismi elettorali delle varie istituzioni e poi quali poteri possano esercitare? Forse anche proprio per il motivo che diceva il professor Cheli: in questo processo di riforma c'è un peso decisivo e pregiudiziale della legge elettorale.
Credo quindi che da questo punto di vista, se non dovesse passare questo emendamento oppure nel prosieguo (perché può essere anche legge ordinaria, penso che il tema verrà ripresentato), dovremmo trarre la seguente amara conclusione. In fondo nel paese si può trangugiare l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, che sembrava una cosa inaccettabile da parte di molti, si possono trangugiare i premi di maggioranza, che a molti, come me, per esempio, stanno abbastanza indigesti, ma una cosa non si può fare: ridurre il numero dei partiti a un numero ragionevole. Sembrerebbe quasi di dover determinare che su questo punto non siamo in grado di procedere.
Vorrei brevemente accennare a due tipi di ragionamento che intendo confutare. Il primo è che si possa già oggi determinare quali esiti dà il doppio turno. Ricordo che quando facemmo la legge elettorale che si intitola all'onorevole Mattarella, la soglia del 4 per cento fu disegnata in rapporto a forze politiche che oggi hanno una geografia quantitativa del tutto cambiata; fu fatta per preservare talune forze politiche che oggi sono andate molto al di là, mentre per esempio una forza politica che mi era cara e consuetudinaria mai avrebbe pensato che la soglia del 4 per cento non l'avrebbe raggiunta. In Francia il doppio turno ha consentito una rinascita di un partito come il partito socialista francese, che era andato a sfiorare il 5 per cento. Ragion per cui questi discorsi che a bocce ferme dicono «il doppio turno darebbe sicuramente questo risultato, quest'altro» e così via non mi convincono, ma non mi convincono sulla base dell'esperienza.
Per quanto riguarda il secondo aspetto credo che, come è stato giustamente affermato, proprio il doppio turno potrebbe essere un incentivo alla modificazione e alla riforma delle forze politiche, alla loro ristrutturazione, alla loro europeizzazione, mentre l'introduzione, anzi la reintroduzione, il reingresso di quella signora che si chiama coalizione sicuramente non è un incentivo per le forze politiche alla ri


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strutturazione, all'ammodernamento, all'europeizzazione.
Non intendo ripetere quanto ha già detto l'onorevole D'Alema a proposito del fatto che la coalizione significa un qualche cosa che ridà potere ai partiti rispetto ad un doppio turno di collegio che dà potere ai cittadini; l'ha detto così chiaramente che non vorrei tornarci sopra. Dico però francamente che mentre il tema lo ritengo valido per qualsiasi sistema fosse adottato, a maggior ragione a fortiori il tema si riferisce al Presidente della Repubblica eletto a doppio turno. Infatti, non siamo di fronte alla delineazione di quella logica di coabitazione che in fondo in Francia è stata positivamente risolta e che la bozza Salvi risolve ulteriormente, precisando meglio l'eventualità delle coabitazioni, l'eventualità di poteri, ma siamo di fronte ad una specie di incentivo, ad una diversa collocazione, ad una diversa dinamica fra Presidente e maggioranza; siamo di fronte ad una specie di facilitazione ad una dinamica diversa.
Credo francamente che da questo punto di vista in particolare il Polo vada colto in flagrante contraddizione. Ci sono atti della Commissione, ci sono pronunce autorevolissime, ci sono pronunce anche in senso privato che sono andate in tutt'altra direzione. È vero, se questo emendamento non fosse accettato, nel prosieguo dei nostri lavori il nostro filo diventerebbe più ingarbugliato, la nostra matassa diventerebbe più difficile, diventerebbe più difficile avere una netta collocazione dei vari poteri, delle varie posizioni e delle varie istituzioni. Quindi paradossalmente è vero il contrario di quello che diceva oggi l'onorevole Urbani. Non è vero che prima dobbiamo meccanicamente vedere i poteri e poi vedere il sistema elettorale: le due cose vanno di pari passo e si intrecciano inestricabilmente.
Ritengo quindi che, proprio per il fatto che personalmente ho avuto - non so come definirlo - il comportamento uniforme di parlare sempre di semipresidenzialismo alla francese e di doppio turno e di perseguire questo comportamento (spero che mi sia dato atto con coerenza, comunque con continuità nel voto) vorrei fare appello ad altrettanta libertà di coscienza all'interno del Polo, perché so benissimo che dentro il Polo ci sono molte personalità, molti parlamentari, molti deputati o senatori che la pensano in questo modo, che l'hanno detto e l'hanno scritto. Sarebbe allora veramente rispettoso dello spirito costituente di questa Commissione, dello spirito costituente che ci anima, che chi la pensa così votasse anche così.
Sarà ingenuità la mia, signor presidente, onorevoli colleghi? Può darsi che sia ingenuità. Io ho visto in precedenti votazioni gente che voleva il premierato votare il semipresidenzialismo, gente che voleva il semipresidenzialismo votare il premierato, molti pensare all'effetto biliardo, la palla da una parte, la buca da un'altra. Non è questo che dobbiamo ai nostri cittadini. Credo di dover richiamare chi ha sempre detto e teorizzato con coerenza queste cose ad una coerenza anche nel voto, perché penso che saremmo più capiti, più comprensibili da parte dei cittadini del nostro paese; ma soprattutto il lavoro che stiamo facendo, e che condivido, sta dando risultati positivi al di là delle stesse previsioni. Se, per esempio, la lega ha pensato con il voto semipresidenzialista di bloccare la Commissione, non c'è riuscita, non ci sono stati drammatici eventi, stiamo ragionando e lavorando. Però credo che l'approvazione di questo emendamento metterebbe il nostro lavoro su binari molto più seri e sicuri e soprattutto darebbe modo di seguire un filo di coerenza, di trasparenza che farebbe onore alla Commissione e al Parlamento italiano. Per questo mi sento anche, se mi è consentito, non dico nell'autorità morale, ma comunque nella posizione di coerenza per chiedere, avendo avuto coerenza, a tanti colleghi del Polo di mostrare in questa votazione altrettanta coerenza.


PIER FERDINANDO CASINI. Proprio rifacendomi alla coerenza su cui chiudeva le sue note l'onorevole Spini, debbo dire che per noi parlare di doppio turno è


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come per il toro vedere un drappo rosso, come qualcuno ha detto, sia che si parli di doppio turno dei collegi sia che si parli di doppio turno con premio di coalizione. Tuttavia siamo sensibili alle ragioni della politica, riteniamo di non essere in un'aula universitaria, riteniamo che i partiti maggiori, da cui spesso ci si sente o ci si può sentire Uvessati, in questo caso abbiano realisticamente preso atto che è necessario non operare forzature di tipo inaccettabile, che poi evidentemente sarebbero semplicemente la premessa per un naufragio generalizzato di ogni progetto riformatore nell'ambito dei voti successivi a cui i lavori di questa Commissione dovranno sottoporsi.
Ho seguito con grande attenzione le argomentazioni dell'onorevole D'Alema. Ad esse potremmo rispondere in diversi modi; lo ha fatto l'onorevole Urbani per quanto riguarda un'affermazione di principio, cioè sulla contrarietà di costituzionalizzare principi inerenti a leggi elettorali. Potremmo altresì dire e ricordare come nella V Repubblica, facendo riferimento al sistema francese, seppure episodicamente questo sistema ha funzionato anche con la proporzionale per un passaggio elettorale. Ma vogliamo arrivare al nocciolo della questione e porre il problema politico per come si manifesta sul tappeto.
Rispetto a questa sorta di parallelismo, che ossessiona fin dall'inizio i lavori di questa Commissione, tra il semipresidenzialismo che siamo impegnati a costruire ed il semipresidenzialismo francese, vogliamo dire con chiarezza e senza infingimenti che un sistema come quello francese, che ha come corollario indispensabile il sistema elettorale francese così come è uscito dall'ultima dimostrazione elettorale di qualche settimana fa, è esattamente un sistema che noi avversiamo con tutte le nostre forze, perché riteniamo che sia gravemente lesivo di un principio di rappresentanza che - mi consenta l'onorevole Spini - non ha niente a che fare col proliferare dei partiti che lui denuncia. Peraltro, l'onorevole Spini su questo versante dovrebbe essere abbastanza esperto sul prolificare dei partiti e credo che ci siano tante ragioni politiche che possono portare ad un rafforzamento dei partiti maggiori senza bisogno di forzature di carattere istituzionale ed elettorale. Ricordo che nel sistema francese un partito da cui tutto ci divide in termini ideologici, come quello dell'estrema destra, con il 15 per cento di consensi ha preso un parlamentare, mentre un altro partito, il partito comunista francese, con il 9 per cento ha preso una cinquantina di parlamentari, e lo stesso partito socialista francese, che ha vinto le elezioni, non ha avuto una percentuale troppo superiore rispetto a quel 15 per cento che si trova privo di rappresentanza politica.
Allora, secondo me sono giuste le affermazioni del relatore, che riporto testualmente: «È necessario fare in modo che dal voto popolare emerga non soltanto una maggioranza certa ma anche una maggioranza coesa programmaticamente, per consentire governi stabili, governi di legislatura». Credo che la soluzione che faticosamente si sta profilando possa consentire di raggiungere questo risultato, così come ottiene il risultato di ridurre drasticamente, onorevole Spini, il numero dei partiti, perché qui parliamo di una legislazione elettorale che situa uno sbarramento di totale rilevanza politica; infatti il 4 per cento in un sistema come quello italiano significa che un partito per essere rappresentato deve prendere quasi due milioni di voti o un milione e mezzo di voti. Non credo (ve lo dico sinceramente) che il bipolarismo possa trasformarsi in un processo forzato verso il bipartitismo con la distruzione delle rappresentanze politiche minori, come se fosse possibile, utilizzando lo strumento istituzionale della legge elettorale, produrre drasticamente la riduzione ad unum di partiti nell'ambito della coalizione. A mio avviso sarebbeuna forzatura inaccettabile e proprio per questo non ho alcuna difficoltà a contraddire le tesi di illustri politologi che tutte le mattine ci istruiscono dai giornali; probabilmente nei seminari di studi sono imbattibili, ma per quanto riguarda la necessità di arrivare

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ad un sistema che tenga presente una tradizione, una peculiarità italiana, ritengo che il risultato cui questa Commissione si sta avvicinando sia già un risultato di forte innovazione, di forte coraggio ed anche di dovuto realismo. Senza realismo, sia ben chiaro che nessuna riforma né in senso semipresidenziale né della legge elettorale riuscirebbe a passare al vaglio del Parlamento. Proprio per questo credo sia scontato il nostro voto negativo sull'emendamento in esame; penso però che poi si tratterà di operare con realismo sia sui poteri del Presidente sia sul principio della centralità del Parlamento per avvicinarci ad una soluzione positiva per tutti.


FAUSTO BERTINOTTI. Se si potesse scherzare su argomenti così seri verrebbe da dire che se dobbiamo proprio prenderci il contenitore politico francese, prendiamoci anche il contenuto: dovendo fare un'operazione, sciogliamo la Repubblica italiana nella Repubblica francese, così almeno ci prendiamo il Governo delle sinistre!
Fuori dalle battute, invece, capisco che c'è una differenza di programma e di schieramenti: lo so persino io. C'è in realtà in questa discussione un elemento che invece va preso davvero seriamente. Nell'intervento dell'onorevole D'Alema - al di là della realizzabilità della proposta avanzata - c'è un approccio politico-culturale che secondo me merita, in una sede come questa, di essere discusso seriamente, seppure con il carattere succinto che ci è richiesto.
Anche se sulla legge elettorale - come è stato detto dal presidente della Commissione - c'è sostanzialmente un'intesa, perseguita e prossima ad essere raggiunta, ciò non rende inutile e pretestuosa questa discussione. Penso insomma che anche le discussioni e le istanze di bandiera non solo siano legittime ma è anche giusto che vengano riconosciute. Senonché penso che la bandiera che qui ci è presentata è cattiva.
Al di là dell'ipotesi già in sé pericolosa di inserire nella Costituzione un dispositivo elettorale, si tratta di una soluzione che a noi sembra assai criticabile. La soluzione che viene proposta infatti, attraverso il sistema elettorale enfatizza ulteriormente il carattere forte, e nel mio linguaggio, neoautoritario della soluzione presidenzialista.
La prima critica che mi sento di fare a questa ipotesi elettorale è proprio la sua finalizzazione, cioè una dotazione di poteri ancora più consistenti di quelli che già qui Armando Cossutta veniva criticando nell'intervento precedente. La combinazione della soluzione presidenziale con un sistema elettorale modellato per perseguire questo obiettivo determina, credo, un elemento di forte preoccupazione rispetto alla possibilità, specie in una fase come questa (così turbolenta e difficile di transizione, di grandi cambiamenti economici, sociali, produttivi), di realizzare reali processi di partecipazione già tanto difficili da perseguire.
Possibile che non dica niente il fatto che non i vinti ma molti dei vincitori più autorevoli in quel sistema elettorale e politico abbiano continuato a mantenere una riserva, un'opposizione ed una critica forti al sistema stesso? Possibile che non dica nulla che nove candidati su undici alla recente competizione presidenziale abbiano criticato in radice quel sistema elettorale? A me pare che proponendo quel sistema non si veda che alcune delle malattie che stanno attraversando la politica contemporanea rischiano di essere esaltate. C'è - e la viviamo tutti faticosamente - una propensione leaderistica nelle società contemporanee che si combina con processi duri di passivizzazione delle masse.
Come si fa a non vedere che la combinazione fra il presidenzialismo ed un sistema elettorale così funzionale a quello spinge in questa direzione ed ha una forte accentuazione del tratto della persona sull'assetto delle forme politiche organizzate in elementi partecipativi? E come si fa a non vedere che la semplificazione forzosa del sistema della rappresentanza costituisce anche qui un rischio ulteriore, per altro per il motivo che è sia


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inefficace sia ingiusta? È inefficace: in un sistema politico come quello che abbiamo adottato in Italia sperimentiamo la verifica di uno degli assunti che lo aveva promosso, secondo il quale liberandoci dal sistema proporzionale e adottando quello maggioritario avremmo determinato una semplificazione del processo politico e, attraverso questo, l'eliminazione di molti dei vizi del sistema politico italiano.
In realtà abbiamo assistito ad una moltiplicazione delle formazioni politiche; la semplificazione forzosa della rappresentanza determina in realtà una rivincita di ceti politici che si autonomizzano nella stessa sfera della rappresentanza, fuori dal controllo popolare del voto, e che giocano sull'arena della politica in totale autonomia. Questa semplificazione spinge peraltro ad un confronto tra blocchi che emargina forze politiche consistenti, con due conseguenze assai gravi.
La prima è quella di mettere fuori dall'arena politica forze che hanno un consenso rilevante nel paese. È stata già fatta poco fa la citazione del caso francese, tante volte ripetuta: la formazione di Le Pen, che a molti di noi appare come repellente. Tuttavia, persino dal punto di vista utilitaristico, quel sistema che ha prodotto un'esclusione ha spinto quella formazione a guadagnare per altre vie un consenso che il suo inserimento avrebbe probabilmente reso più difficile; in ogni caso, è intollerabile dal punto di vista della democrazia che forze politiche assai consistenti, quale che sia il giudizio di valore che ognuno di noi può esprimere sulle stesse, vengano tenute fuori dall'arena politica attraverso un meccanismo selettivo del tutto artificioso e privo di un rapporto di riscontro con la rappresentanza reale di queste forze.
E questo meccanismo che chiude tutto nel ballottaggio e che lo attende fa sì che realtà sociali, soggetti diversi che non si sentono rappresentati nella semplificazione del ballottaggio conclusivo, già in partenza propendono per un'autoesclusione. Il fatto che crescenti parti di popolazioni in Europa non partecipino al voto dovrebbe essere un elemento osservato con profonda inquietudine. Se poi si guarda alla composizione sociale di questi esclusi, debbo dire - in particolare per chi milita dalla nostra parte e forse per chiunque sia pensoso delle sorti della società - che il fatto che ceti popolari, in particolare quelli sottoposti ai processi di frantumazione di questa modernizzazione, come nelle grandi periferie urbane o nelle aree di maggiore sfondamento di tali processi, vengano sostanzialmente esclusi dal voto (c'è almeno una copartecipazione della forma elettorale a tale esclusione perché non li attrae per identità, per programma e per l'esclusione delle forze che produce) questo fatto, dicevo, produce un vulnus democratico di grande intensità.
Per questa via si produce insomma un impoverimento della democrazia per esclusione di forze politiche dalla rappresentanza e di forze sociali perfino dalla partecipazione al voto. Se la democrazia è anche partecipazione e non solo rappresentanza, allora le cose si aggravano perché questo meccanismo mi pare senza dubbio accentuare gli elementi di delega nei confronti delle forze politiche che stanno nell'arena e dei Presidenti indicati.
È stato detto che questo sistema consentirebbe ai cittadini invece che ai partiti di fare le coalizioni. Forse andiamo contro corrente; francamente però queste lodi dell'indistinto cittadino a scapito dei partiti non ci convincono affatto. Non sono così sicuro, onorevole presidente, che l'indistinto cittadino contribuisca meglio al formarsi delle coalizioni, dei programmi e del Governo del paese rispetto a forze politiche organizzate democraticamente e che realizzano, nelle sezioni, nei circoli e nelle federazioni, una partecipazione che tende ad essere costante. Non sono così sicuro che l'indistinto cittadino chiamato ogni cinque o sette anni a votare sia maggiormente in grado di produrre discernimento politico rispetto alla sua collocazione in processi in cui corpi intermedi organizzati nella democrazia della partecipazione (dai sindacati, ai

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partiti ad altre forme organizzate) concorrono al formarsi di programmi e di coalizioni.
Credo anzi che uno dei problemi alla base della difficoltà della democrazia contemporanea sia proprio la crisi dei partiti, da cui non si esce con il loro obnubilamento ma con un ripensamento critico della loro presenza nella società e con la costruzione di sistemi politici in grado di proporre anche la possibilità di un risanamento della crisi che hanno vissuto.
Per queste ragioni siamo contrari all'emendamento: per ragioni di sostanza e di forma. Le prime sono state da me sommariamente dette; quanto alle seconde, se proprio si dovesse scegliere di introdurre in Costituzione un principio, allora non credo che ve ne sia qualcuno superiore a quello di stabilire che la rappresentanza è proporzionale al grado di consenso di ciascuna forza politica. Fuori da questo, meglio affidarsi al confronto per un'intesa su una legge elettorale buona, in grado di garantire insieme pluralismo delle forze politiche e governabilità del paese.


GIORGIO REBUFFA. Vorrei iniziare un breve intervento con la valutazione del discorso che ella, presidente, ha fatto, e che ho trovato apprezzabile, di prospettiva, di respiro. Alcuni aspetti li condivido, altri li condivido meno.
Mi consenta di dirle con la sincerità che vorrei usare anche in questi rapporti che forse, se questo discorso di prospettiva fosse stato fatto in altra data, il processo politico che ci troviamo ad affrontare oggi avrebbe preso un corso diverso.
Giacché ne ho l'occasione devo dire che apprezzo anche quanto è avvenuto dopo il voto del 4 giugno: nonostante le tentazioni ed alcuni sorprendenti dichiarazioni quel voto è stato mantenuto, sulla base del principio di minima democrazia per cui un voto è un voto.
Espongo gli elementi che ho apprezzato nel suo discorso, rappresentati dal fatto che la prospettiva di una costruzione di un sistema elettorale cui andiamo incontro non è in grado di produrre maggioranze omogenee. L'altro aspetto - sono contento di sottolinearlo perché in altra occasione mi sembrava di aver colto un indirizzo diverso - è rappresentato dall'affermazione che il doppio turno può produrre aggregazioni ma non è detto che coincida con gli interessi di tutte le parti che in questo momento sono in causa.
Siamo di fronte ad un emendamento che chiede una cosa precisa: la costituzionalizzazione di un principio elettorale. Mi chiedo anzitutto quali siano le condizioni di fronte alle quali ciò può essere fatto. È vero che molte Costituzioni europee adottano questo metodo, ma è anche vero che i sistemi politici delle altre nazioni europee sono consolidati, che da lungo tempo si sono lasciati dietro la fase di transizione e che le loro dinamiche future sono abbastanza conoscibili e prevedibili. Siamo in un sistema politico in cui le dinamiche future non sono certamente né conoscibili né prevedibili con facilità; sono auspicabili, ma è un'altra cosa.
In queste condizioni credo sia molto difficile costituzionalizzare un principio elettorale e, per spiegarne il motivo, vorrei per un minuto fare un piccolo passo indietro. Da quando è cominciata questa lunga fase di transizione, cioè dall'inizio degli anni novanta, l'Italia ha scelto per caso la scorciatoia del sistema elettorale e la ragione per la quale è stata istituita la Commissione bicamerale risiede nel fatto che la scorciatoia del sistema elettorale non ci ha portati ad uscire dalla fase di transizione. Se scegliamo ancora una volta la scorciatoia del sistema elettorale, francamente non so di quale modello stiamo parlando.
Pertanto, la costituzionalizzazione di un principio elettorale mi trova in questa fase assolutamente contrario. Tuttavia, ripercorriamo brevemente le tappe del percorso che abbiamo compiuto; ce ne sono tante, ma io voglio partire da quelle che si sono svolte qui. Siamo entrati in questa Commissione avendo in mente un processo che terminasse con una certa fase politica ed io farei


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cominciare quel processo da una data precisa, che ricordo bene: il 26 giugno 1996 ebbe luogo un incontro pubblico, organizzato da una rivista di politica e cultura, tra lei, presidente, ed il presidente Berlusconi, in cui si disse che, tra governabilità e riforme, la scelta doveva cadere sulle riforme, perché era una scelta strategica.
Invece, nelle tappe che abbiamo seguito in questa Commissione abbiamo sacrificato quel postulato e, secondo me, fu un errore - può darsi che mi sbagli, lo dico da dilettante - perché abbiamo sacrificato il postulato delle riforme sull'altare della governabilità in almeno due importanti occasioni. La prima è quella in cui venne qui il professor Sartori e fece una proposta che fu accolta e che sembrava dovesse portare ad un risultato; la seconda è quella in cui venne qui il professor Barbera, che avanzò un'altra proposta, che fu ancor più accolta. Per ragioni che non avevano attinenza all'indirizzo riformatore quelle occasioni non furono colte.
Ribadisco di non credere che possiamo accettare la costituzionalizzazione del principio elettorale così com'è stato posto dall'onorevole Mussi. Siamo al punto in cui abbiamo di fronte due fasi: la prima è quella parlamentare ed io ho apprezzato il momento in cui abbiamo cominciato a dire (lei, presidente, ha cominciato a dire e tutti hanno concordato) che quello che esce da questa Commissione è lontano - lei lo ha ripetuto oggi - da quello che sarà il risultato finale. Però, è lontano non soltanto - lo dico, se mi è consentito (ormai c'è una fama sulfurea intorno ai professori), da professore - per il non soddisfacente livello dei testi che abbiamo prodotto, ma anche per il non soddisfacente livello del processo politico che abbiamo iniziato. Non sappiamo ancora quale sia il processo politico che guiderà, condurrà, sosterrà la riforma costituzionale, questo è il punto centrale.
Allora, mi sembra importante tenere aperto questo processo politico, anche in questa che è una sera finale, e tenerlo aperto a tutto campo. Credo che la richiesta dell'onorevole Mussi di anticipare il voto sull'ultimo emendamento sia stata affrettata; l'onorevole Urbani ha chiesto che la proposta di inversione di votazione venisse ritirata, e questa mi era sembrata una richiesta saggia. Non capisco il motivo per il quale essa viene mantenuta; non credo sia un'apertura ai processi politici che dobbiamo ancora delineare; credo che sia una chiusura. Dico ciò avendo presente un dato: che il sistema elettorale, qualunque esso sia, ha il limite di non dover andare contro l'interesse di qualche soggetto. Bisogna trovare un punto d'equilibrio, io non so quale sia tale punto, non credo che la scienza ce lo indichi, credo che ce lo indichino i processi politici. Se ci affidiamo ad un processo politico ancora così caotico, difficilmente avremo un buon sistema elettorale, comunque esso sia.
In ultima battuta, mi permetto ancora di chiedere, sulla base non più dei rapporti parlamentari ma di quelli personali, all'onorevole Mussi, che vedo seminascosto e fumante, di ripensare all'ipotesi di mantenere la richiesta che ha avanzato.


CIRIACO DE MITA. Abbiamo votato a favore della richiesta di anticipare la discussione su quest'emendamento, perché - lo dico con molta franchezza - mi è parso che avessimo bisogno di liberarci di un equivoco e di un pretesto. Infatti, lo sforzo che la Commissione sta compiendo dopo il voto che ci ha divisi, è caratterizzato da una quantità di segnali positivi, che dovrebbero impegnarci tutti a verificare quale sia il grado di approdo possibile.
La richiesta di anticipare, quasi si trattasse di una pregiudiziale, il voto sulla proposta di costituzionalizzare un'ipotesi di sistema elettorale indefinito (perché richiama principi, ma i principi potrebbero essere articolati in centomila modi), suscita in me il dubbio, il sospetto che lo sforzo che ci è richiesto per concludere positivamente la prima fase d'approccio, di definizione della proposta, rischi d'introdurre elementi che potrebbero alterare questo percorso finale.


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Svolgerò ora due pregiudiziali ed una considerazione di merito. Costituzionalizzare un sistema elettorale è possibile, legittimo e giusto quando il sistema elettorale costituzionalizzato è condiviso; quando è ragione di profonde divisioni e di grandi spaccature, ipotizzarne la costituzionalizzazione è una forzatura; contraddice - lo dico al presidente D'Alema - lo spirito unitario convergente che tutti abbiamo richiamato e tutti richiamiamo, per poter conseguire un risultato positivo. Vorrei muovere anche un'obiezione di carattere formale, perché tra le competenze di questa Commissione non è comunque compresa la definizione di una proposta elettorale che, anche se configurata come principio, condizionerebbe il successivo percorso parlamentare.
Siccome però non mi piace discutere da avvocato, né trovare pretesti o far riferimento a norme di comportamento nel momento in cui discutiamo come modificare il contesto dei comportamenti, desidero svolgere una considerazione di merito. Ho ascoltato con molta attenzione l'onorevole D'Alema, che per un momento ha cessato dalle funzioni di presidente della bicamerale. Vorrei invitare non solo l'onorevole D'Alema, il cui discorso ho apprezzato un po' di più per la relatività che dava alla sua proposta, nel momento in cui ne definiva anche diverse degne di attenzione, quindi non liquidabili sul piano del pregiudizio e tanto meno su quello della saccenteria, ma anche i colleghi della Commissione a riflettere su tale questione. Infatti, dovremo poi entrare nel merito di essa abbandonando la tentazione diffusa (non vedo il professor, non il collega Urbani, i tanti professori) di discutere di istituzioni con riferimento a modelli astratti; dovremo invece discuterne così come la migliore dottrina, quella consolidata nei secoli, c'insegna, cioè rapportando i modelli che sollecitano comportamenti ai comportamenti prevedibili e reali all'interno della comunità.
Lo dico senza polemica, senza malizia all'onorevole Spini, il quale ipotizza che il sistema elettorale a doppio turno riduca i partiti: siccome i partiti si riducono con scelte autonome, l'onorevole Spini non farebbe nessuna fatica a cancellare l'ipotesi di partito personale, per ipotizzare un percorso comune convergente. Voglio dire che non sono i sistemi elettorali che impongono o escludono.
Onorevole D'Alema, le anticipo un'obiezione che mi è stata mossa e di cui tengo conto: si tratta del fatto che, nella mia valutazione sulla definizione dei modelli istituzionali, io neghi alle istituzioni, soprattutto a quelle pubbliche, una capacità di anticipazione dei processi. Ho questa difficoltà, quindi confesso il mio limite e do la spiegazione delle mie ragioni. Tuttavia, per quanti sforzi io compia, non immagino che le scelte che le istituzioni sollecitano ai comportamenti dei cittadini seguano tali comportamenti. Ho la consapevolezza che le istituzioni sollecitano, a patto però che la sollecitazione vada nella direzione dei comportamenti possibili; infatti, se la sollecitazione anticipasse i processi, se le istituzioni anticipassero la storia, onorevole D'Alema, e non la secondassero, alla fine del processo ci troveremmo non di fronte all'orizzonte che abbiamo scelto, ma fuori strada.
Mi rivolgo agli amici - lo dico avendo scelto il termine - del partito della sinistra democratica: ho la sensazione che, quando discutete di istituzioni, carichiate un po' troppo la funzione di queste come sostitutiva dei comportamenti delle persone. Quando l'onorevole D'Alema afferma, ed altri hanno ripetuto, che il doppio turno nei collegi farebbe compiere le scelte ai cittadini, mentre il doppio turno di coalizione rimetterebbe le scelte ai partiti, trovo che quest'affermazione - consentitemi di dirlo - sia un po' demagogica, un po' pretestuosa e un po' pericolosa. Non credo - l'ha affermato con grande efficacia l'onorevole Bertinotti - al superamento dello strumento partito popolare come istituzione moderna della democrazia. Altro è discutere sui difetti, sui limiti che le esperienze politiche dei partiti hanno segnato, altro è immaginare una sorta di recupero della cittadinanza indistinta dove, professor Salvati, mi consenta

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di dirlo, vedo un po' di più la tentazione, soprattutto di alcuni sociologi e politologi, professor Urbani, di sostituire al partito, strumento moderno della democrazia, una sorta di investitura e di legittimazione molto confusa tra l'intelligenza e la capacità di proposta e l'investitura del protagonismo soggettivo. Le democrazie rispetto a questa tentazione sono a rischio.
Allora, perché non discutere così? Ascolto sempre con grande attenzione le riflessioni dell'onorevole D'Alema, il quale in altra circostanza ci ha detto che oggi - oggi, non in una realtà immaginata o futuribile - siamo in presenza di fatti, non di auspici. I fatti sono dati dall'organizzazione, con tutti i limiti, le contraddizioni, le insufficienze, ma è così per tutti i processi storici; non esistono processi storici senza attriti, contraddizioni, risultati spuri. Egli ha detto che siamo in presenza di due fatti, del formarsi di due potenziali coalizioni alternative che sommano insieme - lo voglio sottolineare ai colleghi di tutti i partiti - le storie di questo paese; e le storie non si cancellano, si rinnovano; non si denunciano perché non c'è l'abiura della storia. Tutti si collocano di fronte a un dato di straordinaria novità che cambia il destino delle forze politiche tradizionali: è il nuovo da costruire che richiede alle storie politiche nostre e non solo nostre di cambiare gli atteggiamenti, nel senso non del ripudio del passato, ma di organizzare la storia in previsione del conseguimento degli obiettivi politici futuri.
Stiamo giocando in positivo a costruire, con tutte le difficoltà che si incontrano, una democrazia matura, fondata sulla competizione di coalizioni. Questo è il problema che dobbiamo risolvere, rispetto al quale dobbiamo individuare anche i sistemi di sollecitazione.
Non facciamo le coalizioni perché queste conterrebbero ancora elementi di contraddizione, mentre con il sistema del doppio turno andremmo verso forme più coese. In realtà, non esistono le forme coese basate sulla forza; la coesione in politica è la capacità di chi aspira ad avere possibilità di leadership di persuadere; non c'è una norma che comporti atteggiamenti disciplinati. Non lo dico per scherno, lo dico solo come riferimento; ma se ci fosse davvero un grado forte di coesione all'interno delle forze politiche e vi fosse soltanto l'ostacolo delle forze frammentate minori, allora una sollecitazione sarebbe semplice.
Non vi dice niente che all'interno delle forze esistenti grandi o meno grandi, la dialettica interna, le differenze, le ricerche di opinioni comuni costituiscono uno sforzo che può dare risultati positivi solo se fa parte di un processo culturale e politico? Questo non può essere sostituito da nessun meccanismo elettorale; lo dico in maniera abbastanza precisa.
Qual è la differenza, onorevole D'Alema tra il doppio turno e la coalizione? Ho raccolto la sua osservazione e non le ho mai attribuito - non lo dico per cortesia - la volontà di utilizzare un sistema elettorale per normalizzare; è troppo intelligente per pensare una cosa così meschina; mi consenta quindi di non aver minimamente pensato di poterle attribuire questa operazione. Tuttavia, rifletto sulla realtà: il doppio turno nel collegio comporta un processo di aggregazione della coalizione - [00aa]tra partiti diversi, con alleanze, convergenze, divergenze, non c'è la misura del centimetro, per cui tutti i passaggi sono affidati ad una misura estranea alle decisioni politiche -, al secondo turno introduce nel sistema politico del nostro paese, privo del riferimento culturale solido che aveva nelle vecchie formazioni politiche, lo spostamento del consenso raccolto da un candidato ad un altro candidato; poiché la motivazione ideologica non è utilizzabile per il trasferimento della raccolta, questa si riduce ad investitura personale e l'operazione di sostituzione comporta una forza di arbitrio in contrasto con la volontà dei cittadini molto più alta di quello che voi immaginate; la riduzione di voto al secondo turno è legata a questa considerazione.
Il processo di coalizione certo comporta per i partiti che si devono coalizzare

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diritti e doveri; si dice che il minore condiziona (qualche volta è il maggiore), ma se questo impone una condizione inaccettabile non c'è l'aggregazione. Tuttavia, in questa fase lo sforzo mette tutti sullo stesso piano, mette le forze politiche in condizione di misurare le ragioni della convergenza.
Il meccanismo del doppio turno nel collegio introduce una logica di violenza in mano al partito maggiore. Onorevole D'Alema, le posso dire con grande franchezza perché sono così ostinato contro questo sistema? Non per la preoccupazione che i minori scompaiano, non ho questo timore, ne ho uno ben diverso: quando la logica che forza i processi politici non è legata ad una motivazione persuasiva ma trasmette agli interlocutori la regola della convenienza, allora le aggregazioni avvengono secondo la convenienza.
Voi potreste avere la sorpresa - mi rivolgo a quelli che si ritengono maggiori, anche se poi è una maggioranza molto relativa - di vedere la somma dei minori che si candida a competere con quelli che si ritengono maggiori, il che non sarebbe una spinta alla semplificazione del processo politico, alla riduzione della frammentazione, all'aggregazione secondo ragioni di convergenza politica.
Non trovo molto differenza, onorevole D'Alema, dal punto di vista del risultato, tra il doppio turno di coalizione e il doppio turno nel collegio; ne discuto soltanto l'utilizzabilità. E smettiamola ogni mattina di leggere i pareri dei professori per poi ritenere che noi stiamo sbagliando; mi rivolgo a quelli che hanno questa angoscia, che io onestamente non avverto (probabilmente ne ho una opposta).
Quando discutemmo la famigerata legge elettorale Mattarella, l'onorevole Barbera propose in aula il premio di maggioranza; ero parlamentare e gli obiettai che mi sembrava una cosa assurda proporre un premio di maggioranza all'interno di un sistema maggioritario: Barbera, che è persona intelligente e seria, rispose all'obiezione ritirando l'emendamento. Adesso, come si fa a dire che è un mostro? L'ipotesi della coalizione del doppio turno - credo che dopo questo voto dovremmo discutere anche dell'ipotesi di accordo, se vogliamo andare avanti in maniera serena - è funzionale, perché conserva il sistema maggioritario. L'ho detto in altre circostanze e lo ripeto: sarei contrario all'ipotesi di un sistema proporzionale con il premio. Lo dico a dimostrazione della mia analisi secondo cui non vale il riferimento di principio ad un sistema astratto. Per quale ragione? Perché la proporzionale, secondo me, cristallizzerebbe le formazioni politiche come sono. L'uninominale maggioritario, onorevole D'Alema, costringerebbe le coalizioni che si formano ad avere candidati comuni nel collegio uninominale, quindi il processo di aggregazione sarebbe abbastanza forte; il collegio uninominale spinge all'aggregazione politica.
Il premio di governabilità o di maggioranza - la legge truffa, per utilizzare un termine provocatorio - l'ipotesi di legge elettorale studiata dà, nell'attuale sistema politico, il massimo di probabilità che l'elettore scelga la maggioranza. Qualcuno solleva l'obiezione secondo cui se il sistema politico si frantuma in quattro aggregati omogenei, nessun sistema elettorale può evitare gli impazzimenti. I sistemi elettorali debbono agevolare; ho la forte convinzione che se utilizziamo sistemi elettorali che spingano alle coalizioni alternative, legittimino la maggioranza nel sistema maggioritario, per cui il Governo sia il risultato di questo processo, compiamo una grande operazione politica. Le istituzioni vere non sono le norme astratte che si scrivono, sono quelle che si calano nel concreto dei processi storici, avendo la possibilità di agevolarli.
Voglio chiudere con una considerazione, che probabilmente mi deriva anche da un'educazione familiare; come è noto, sono figlio di artigiani, mio padre e mia madre erano sarti. Mia madre faceva la sarta in un comune e vestiva le famiglie contadine: ebbene, quando le ragazze venivano nel negozio, lei prendeva le misure a vista, perché il vestito delle ragazze

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figlie di contadini non era per il giorno di festa ma per l'anno in cui veniva confezionato e per quello successivo. Si usava l'espressione dialettale «fauriente», per indicare che l'abito doveva essere un po' largo per poter essere utilizzato. Le istituzioni debbono essere così, tali da poter essere utilizzate; fare un modello di vestito per una persona che non è ancora nata sarebbe un'astrazione, anche se il modello fosse disegnato da Armani.


ROCCO BUTTIGLIONE. Signor presidente, lei ha avanzato una proposta di grande interesse, il cui presupposto fondamentale sembra essere la connessione esistenziale che esisterebbe tra sistema semipresidenziale e la legge elettorale a doppio turno. Tenterò più avanti di contestare questa connessione esistenziale. Tuttavia, mi consenta di rilevare che l'argomento è certamente forte, ma tutti quanti lo sentiremmo con più forza e la sua autorevolezza nel sostenerlo sarebbe rafforzata se fin dal principio lei avesse sostenuto insieme il semipresindenzialismo e il doppio turno.
Le dico anche che se fin dall'inizio lei avesse formulato questa proposta, è molto probabile che essa avrebbe trovato in Commissione un largo consenso. Ma non è stata questa la sua posizione originaria: lei voleva inizialmente il doppio turno in un sistema non semipresidenziale ma neoparlamentare, era cioè contrario al semipresidenzialismo e favorevole al doppio turno. È una posizione pienamente legittima, la quale però induce ad immaginare che possano esistere dei pregi e dei vantaggi del doppio turno che sono indipendenti dalla sua connessione, necessaria o meno, con il sistema semipresidenziale.
Quali possono essere questi pregi? Il doppio turno nei collegi restringe tra il primo e il secondo turno l'offerta politica rispetto alla quale l'elettore può scegliere; le forze politiche minori scompaiono e la forza maggiore di un'area o di uno schieramento può sperare di ereditare il loro voto, senza dover venire a patti né sulla formazione della rappresentanza parlamentare (il numero dei seggi), né sulla formulazione del programma, né sulla composizione del Governo. Dico «può sperare», perché è tutt'altro che sicuro che questo avvenga, anche perché i sistemi elettorali in Italia funzionano in un modo particolare: quando un sistema elettorale tenta di forzare una situazione politica che non è matura, quel sistema elettorale viene usato per mimarne un altro. Si usa un sistema elettorale uninominale, per esempio, per mimare i risultati che si sarebbero ottenuti con i proporzionale attraverso un'adeguata distribuzione di candidature o con altre modalità. Tuttavia è possibile tentare di realizzare quella forzatura. Certo, in quel modo il sistema politico viene semplificato, ma a che prezzo?
Una forza del 20 per cento dei voti può sperare, in condizioni favorevoli, di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. La compressione della rappresentanza dei cosiddetti minori è, in queste condizioni, intollerabile concretamente, qui ed ora in Italia. Se le forze principali messe insieme rappresentassero più dell'80 per cento del corpo elettorale, come avviene per esempio in Francia o anche in Inghilterra pur se con diverso sistema elettorale allora, anche se brutale, la semplificazione sarebbe probabilmente accettabile. Questo, però, non è ciò che avviene in Italia, dove i partiti grandi sono ancora troppo piccoli per reggere il peso che l'emendamento Mussi vuol mettere sulle loro spalle, e non è gonfiandoli che acquisiscono la forza, la muscolatura, la spina dorsale per reggere al compito. A questo proposito l'onorevole De Mita ha fatto osservazioni certamente condivisibili.
È necessario piuttosto lavorare politicamente per aggregare, magari in forma federativa, le forze politiche; se si fosse lavorato più intensamente a questo obiettivo (so che lei ha provato, ma forse bisognava provare un poco di più nella sua area e anche nella nostra), ci troveremmo ad affrontare questo dibattito in una differente condizione politica; né a questa difficoltà di carente rappresentanza si può ovviare attribuendo ai minori un diritto di tribuna. L'elettore, giustamente,


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vuole votare non per migliorare la qualità dei discorsi che vengono fatti in Parlamento, ma per concorrere alle decisioni politiche che riguardano la vita della nazione, cosa che certo si fa con i discorsi tenuti in Parlamento, ma anche avendo la possibilità di far pesare il proprio voto nella decisione.
Sappiamo inoltre che l'elettorato italiano gradisce poco il doppio turno: in molti casi le percentuali del doppio turno sono notevolmente inferiori a quelle del primo, talvolta sono molto più basse. Notiamo anche che spesso diversi strati dell'elettorato manifestano in misura diseguale questa disaffezione; in generale è l'elettorato moderato a mostrare una maggiore disaffezione, è quindi lecito immaginare che un sistema a doppio turno porti un significativo vantaggio alla sinistra.
Non voglio demonizzare queste ragioni, che sono anzi buone, ottime da un punto di vista e credo che lei, onorevole D'Alema, con questo emendamento difenda onorevoli e legittime ragioni di partito e di coalizione. Non comprendo però per quale ragione lei possa immaginare che questi argomenti risultino convincenti per chi difende altre ragioni di partito e di coalizione egualmente onorevoli, degne, giuste e legittime. Non comprendo perché le ragioni della sinistra debbano valere immediatamente come ragioni dell'interesse generale.
Lei dice, onorevole D'Alema, che il doppio turno nei collegi toglie potere ai partiti e dà potere ai cittadini. È proprio vero questo? A me sembra piuttosto che la libertà di scelta degli elettori venga compressa perché si restringe artificialmente la scelta politica, si creano barriere d'ingresso al mercato politico e si ottiene in questo modo di assicurare una rendita di posizione ad alcuni soggetti della offerta politica. Non siamo in una fase in cui apriamo al libero mercato, non dobbiamo privatizzare? Apriamo di più al libero mercato anche nella politica.
È vero poi che il semipresidenzialismo può funzionare solo con una legge elettorale a doppio turno nei collegi? A me sembra di no. Certo, può funzionare con una simile legge, forse è più sicuro che con essa possa funzionare, ma non esiste nessuna ragione perché non possa funzionare anche con altre leggi. Come tutti sanno, nel 1985 Mitterrand cambiò la legge elettorale in Francia perché era convinto che la sinistra vincesse con il proporzionale, e nel marzo 1986 la legge proporzionale funzionò benissimo con il doppio turno: diede a Chirac una solida maggioranza di 291 voti. Chirac ritenne che il doppio turno favorisse il centrodestra e fece una nuova legge elettorale a doppio turno, altrimenti in Francia forse ancora oggi si voterebbe con il sistema proporzionale.
Credo ci siano due lezioni che possiamo trarre da questo evento storico: la prima è che il sistema semipresidenziale può funzionare anche con sistemi elettorali non a doppio turno; la seconda è che in genere i politici sbagliano nel valutare l'effetto sulle loro formazioni delle leggi elettorali che scelgono di votare.
Ma è proprio necessario irrigidire la legge elettorale inserendola nella Costituzione? La desiderabilità di una legge elettorale può cambiare nel tempo anche se non cambiano né i valori di riferimento né i meccanismi istituzionali propri di una Costituzione. Forse l'importanza dei sistemi elettorali è stata un poco enfatizzata, forse il rapporto fra sistemi elettorali e sistemi istituzionali è più fluido di quanto si pensi. Credo sia più prudente non costituzionalizzare un sistema elettorale: lavoriamo ad un sistema istituzionale presidenziale coerente, poi troveremo il sistema elettorale che gli è adeguato. Facciamo bene il lavoro che il Parlamento ha affidato alla Commissione bicamerale, è già un lavoro abbastanza difficile e non comprende la legge elettorale, nemmeno la fissazione dei suoi principi; lasciamo che la legge elettorale la faccia il Parlamento e lavoriamo intanto ad aggregare in modo ragionevole le forze politiche in modo che esse possano offrire agli elettori una scelta chiara e coerente. Se faremo

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questo, forse più tardi in Parlamento faremo anche una legge elettorale migliore.


PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Pongo in votazione l'articolo aggiuntivo Mussi IV.12arti


(È respinto).


È stato chiesto di procedere alla votazione, a questo punto, dell'emendamento D'Amico II.2.4 che stabilisce il principio che i tre quarti dei deputati siano eletti in altrettanti collegi uninominali con metodo maggioritario, propone cioè di costituzionalizzare un principio dell'attuale legge elettorale.
Lo pongo in votazione.
(È respinto).


Rinvio il seguito dell'esame alla seduta di domani alle 9.30. Pregherei i colleghi di operare una certa selezione e concentrare l'attenzione sugli emendamenti che correggono il testo, tenendo conto di quelli presentati dal relatore.


La seduta termina alle 21.30.


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