La seduta comincia alle 15.45.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame dei progetti di legge di revisione della parte seconda della Costituzione.
Riprendiamo l'esame degli emendamenti relativi al testo base sul Parlamento e le fonti normative. (per gli emendamenti vedi l'allegato alla seduta antimeridiana del 19 giugno e l'allegato alla seduta del 23 giugno)
Ricordo che siamo giunti all'esame dell'ultimo comma dell'emendamento II.30.42 della relatrice: salvo quello in materia di garanzie, che è stato accantonato. «In caso di opposizione del Governo, la Camera dei deputati può approvare disposizioni o emendamenti che comportino nuovi o maggiori oneri solo nel rispetto del principio di compensazione degli effetti finanziari ed a maggioranza assoluta dei componenti»: questa è la norma in materia di sessione di bilancio. L'emendamento Vegas II.30.18, che stiamo discutendo, prevede invece che non possono essere approvati leggi od emendamenti che comportino nuove o maggiori spese o minori entrate se non nel rispetto del principio di compensazione e salvo parere favorevole del Governo.
GIUSEPPE VEGAS. Questo è un altro emendamento, non è quello che ho presentato e che vorrei mantenere perché, come mi sono già permesso di dire, la compensazione attiene alla composizione della manovra, è una cosa diversa. Manterrei quindi il mio emendamento II.30.18. Quello che ha illustrato lei è un'altra cosa.
PRESIDENTE. Quello che ho letto io è l'emendamento II.30.18, al quale ho aggiunto il riferimento alla compensazione.
GIUSEPPE VEGAS. Che io mi permetterei di non accogliere come principio, perché la compensazione riguarda il contenuto della manovra e la qualità della medesima.
PRESIDENTE. Sì, però il criterio della compensazione in questo caso sarebbe aggiuntivo rispetto al parere favorevole del Governo.
GIUSEPPE VEGAS. Ci deve essere comunque il parere favorevole del Governo più la compensazione?
PRESIDENTE. Esatto.
GIUSEPPE VEGAS. Se vogliamo, è un po' ad abundantiam perché è già un principio compreso; comunque se è messo in questi termini va bene.
PRESIDENTE. È così. Resterebbe del testo della relatrice il rispetto del principio di compensazione degli effetti finanziari, salvo parere favorevole del Governo. Questo criterio del parere del Governo sostituirebbe il principio della maggioranza
MARCO BOATO. Capisco lo spirito e la logica sottesi a questo emendamento, ma noi abbiamo già reso inemendabili i decreti-legge...
GIUSEPPE CALDERISI. No.
MARCO BOATO. ... salvo la copertura finanziaria, per cui il Governo - quale che esso sia - prepara nei suoi uffici un testo ed il Parlamento sostanzialmente deve prendere o lasciare. Poi rendiamo il Governo arbitro di qualunque iniziativa del Parlamento in questa materia. Credo che vi sia un'espropriazione del Parlamento. Non sono mai stato un parlamentarista assemblearista, ma ritengo che un equilibrio nel rapporto tra Governo e Parlamento vada mantenuto. Qui mi pare che venga cancellato il ruolo del Parlamento. Per questo sono contrario all'emendamento.
MARCELLO PERA. Onorevole Boato, è la questione della responsabilità.
GIANFRANCO FINI. Mi associo alle sagge parole dell'onorevole Boato.
ERSILIA SALVATO. Chiedo che l'emendamento sia posto in votazione per parti separate, nel senso di votare la prima parte e poi l'aggiunta, che lei ha fatto, relativa al parere favorevole del Governo. Sono due cose che stanno assieme per una scelta politica, ma possono benissimo essere votate separatamente.
PRESIDENTE. Il problema è il seguente. Il principio secondo cui occorre la compensazione degli effetti finanziari non è in discussione. Qui si propone di introdurre nella norma un nuovo principio, quello secondo il quale l'opposizione del Governo ad emendamenti o provvedimenti che comportino una variazione delle spese o delle entrate non sia valicabile. Votiamo su questo principio.
SERGIO MATTARELLA. L'infallibilità degli uffici legislativi dei ministeri.
ERSILIA SALVATO. Presidente, sono due cose diverse. Ora in Costituzione non è neanche contenuto il principio della compensazione e saggezza vorrebbe che queste materie fossero riservate ai regolamenti e non alla Costituzione. Se vogliamo inserirle in Costituzione, allora votiamo prima sulla compensazione e poi sull'invalicabilità.
PRESIDENTE. Forse non ci siamo intesi dal punto di vista pratico, non c'è un dissenso politico. Il principio della compensazione è già contenuto nel testo della relatrice. Alla fine si voterà; adesso si deve votare per decidere se introdurre, oltre al principio di compensazione, il principio secondo cui l'opposizione del Governo non è valicabile.
ARMANDO COSSUTTA. Se il Parlamento è in grado di garantire la compensazione (per esempio, riduco le spese della difesa e aumento quelle dell'agricoltura senza modificare di una lira il bilancio dello Stato) il Governo dica pure quello che crede, ma il Parlamento non può non decidere.
PRESIDENTE. Il suo punto di vista è chiarissimo, ma quello dei presentatori dell'emendamento è opposto.
ARMANDO COSSUTTA. Forse è il presidente a condividere il punto di vista dei presentatori.
PRESIDENTE. Il presidente si limita a mettere in votazione gli emendamenti presentati, non condivide nulla, non si è pronunciato. I presentatori propongono di introdurre il principio secondo il quale il
CESARE SALVI. È anche l'opinione della maggioranza del gruppo della sinistra democratica, la quale è contraria questo emendamento.
SERGIO MATTARELLA. Presidente, è anche la nostra.
FAUSTO BERTINOTTI. Condividendo le posizioni ora espresse, faccio solo notare che si introduce ulteriormente per questa via un voto di fiducia surrettizio. C'è una modificazione radicale del rapporto tra il Governo ed il Parlamento, tant'è che non si può fare neppure un'operazione distributiva. È assolutamente un'opzione di fiducia incorporata.
PRESIDENTE. C'è un elemento di rigidità, per cui se una parte della maggioranza vuole variare una destinazione di spesa deve ricattare il Governo, deve dire: o ci dai il parere favorevole o ti buttiamo giù. Non c'è dubbio che si introduce un elemento di rigidità, ma questo mi pare che sia stato motivato.
GIORGIO REBUFFA. Il livello del ricatto è adeguato alla posta in gioco.
PRESIDENTE. Non lo sappiamo, perché la posta in gioco può essere anche minima, data l'ampiezza della norma.
GIUSEPPE CALDERISI. Ricordo che nella discussione di stamattina si erano esclusi una serie di emendamenti che ponevano il problema di quorum particolari, qualificati per determinate deliberazioni, perché si era invece caldeggiato il principio della responsabilità politica. Adesso che arriviamo al principio della responsabilità politica, si nega anche questo. Volevo solo mettere agli atti questa osservazione.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Vegas II.30.18.
(È respinto).
Gli emendamenti relativi al settimo comma del testo originale si considerano accantonati.
GIUSEPPE VEGAS. Presidente, c'è il mio emendamento II.30.19 che è aggiuntivo.
PRESIDENTE. La norma contenuta nell'emendamento introduce una limitazione rispetto all'esecuzione di sentenze.
MASSIMO VILLONE. Vorrei chiedere un chiarimento ai presentatori. Questo significa che se un diritto viene riconosciuto in sede giurisdizionale, viene in qualche modo scalato verso il basso quanto a misura?
GIUSEPPE VEGAS. Sostanzialmente significa che bisogna fare una comparazione tra l'articolo 3 e l'attuale articolo 81 della Costituzione, che sono entrambi norme vigenti, per cui il quantum patrimoniale corrispondente a diritti nuovi viene calibrato rispetto alle risorse esistenti. È una sorta di norma di salvaguardia che consente di mantenere i diritti sanciti con la legge di spesa, però tiene anche conto della necessità di salvaguardare i tetti della spesa.
MASSIMO VILLONE. Questi non sono diritti nuovi, sono anzi diritti già definiti normativamente.
GIUSEPPE CALDERISI. Esiste in Germania.
GIUSEPPE VEGAS. In Germania è prevista una norma di questo genere. D'altronde, abbiamo visto gli effetti della mancanza di una tale norma.
GIUSEPPE CALDERISI. Anche da noi al Senato c'è una norma del genere.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Si introduce un'indicazione al Governo su come far fronte alle spese derivate.
PRESIDENTE. Invece non ho capito il secondo comma dell'emendamento Vegas II.30.19 sul quale vorrei chiedere un chiarimento ai presentatori.
GIUSEPPE VEGAS. Si tratta della cosiddetta «legislazione del tramonto»; quando una norma prevede trasferimenti patrimoniali a vantaggio di categorie determinate essa non può andare a regime ma deve avere effetti limitati nel tempo, in modo che la spesa non sia da oggi all'infinito ma abbia carattere di limitatezza, preferibilmente adeguata alla pluriennalità del bilancio di esercizio nel momento in cui si approva.
PRESIDENTE. Quindi è un vincolo per il legislatore, il quale deve introdurre un limite temporale all'efficacia di queste norme.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Vorrei chiedere al senatore Vegas se non ritiene che questa previsione sia già compresa nel principio per cui ogni legge deve indicare i mezzi per far fronte alle relative spese per l'intero periodo di applicazione, contenuto nel testo base.
GIUSEPPE VEGAS. Il principio della copertura ha carattere generale; questa è un'ulteriore specificazione. Comunque, se la Commissione lo ritiene posso mantenere solo il primo comma dell'emendamento per semplificare il lavoro.
MASSIMO VILLONE. Mi pare che, a proposito del primo comma, il vero problema riguardi la Corte costituzionale qualora le pronunce comportino spese. Per il resto, mi sembra difficile accettare l'impostazione dell'emendamento: se enucleassimo quel principio e ne discutessimo quando affronteremo il tema delle garanzie faremmo cosa utile; diversamente, voterei contro l'emendamento. Il problema esiste per la Corte costituzionale; per il resto, si tratta di diritti stabiliti da normative vigenti per i quali è difficile stabilire una riduzione proporzionale come quella proposta.
MARCO BOATO. Nel testo base sulle garanzie, nel primo comma dell'articolo 136 - che riguarda la Corte costituzionale - è prevista l'ipotesi di differimento di un anno del termine dell'efficacia delle sentenze della Corte proprio in previsione di problemi di questo tipo.
GIUSEPPE VEGAS. Posso accedere a questa proposta. Faccio comunque presente che il problema non si esaurisce nelle sentenze della Corte costituzionale perché le note sentenze delle giurisdizioni superiori sulle integrazioni al minimo delle pensioni hanno portato a spese notevolissime. Anche questo è un problema da risolvere. Ad ogni modo, se l'opinione prevalente è che sia opportuno trattare il tema in sede di discussione sulle garanzie, posso anche ritirare questa parte dell'emendamento.
MARIO GRECO. Se il collega Vegas «pulisce» il suo emendamento di questa parte, esso diventa uguale al mio emendamento II.30.12. Non mi soffermo sull'opportunità di prevedere questa norma perché l'esigenza di contenere le spese entro le previsioni e quindi di rientrare in
PRESIDENTE. Mi sembra che ci orientiamo a rinviare la discussione in sede di dibattito sulle garanzie per quanto riguarda gli aspetti concernenti la Corte costituzionale.
STEFANO PASSIGLI. E anche sulle giurisdizioni in genere perché il primo comma introduce un limite che le riguarda.
PRESIDENTE. Senatore Vegas, lei accetta che la questione venga discussa quando affronteremo il tema delle garanzie?
GIUSEPPE VEGAS. D'accordo, presidente, purché il primo comma resti integro e la discussione non si limiti solo alla Corte costituzionale.
PRESIDENTE. Si obietta che la materia sia impropriamente accorpata; la Corte con sentenze interpretative può estendere diritti, mentre gli altri organi giursdizionali si limitano ad accertare diritti già riconosciuti. Da questo punto di vista, è molto difficile prevedere che non si dia esecuzione a sentenze.
MASSIMO VILLONE. Sarebbe una sorta di esproprio per mancanza di copertura: un po' curioso!
GIUSEPPE VEGAS. Resta il problema di una spesa a consuntivo molto superiore a quella quantificata nella clausola di copertura: è un tema che in questa sede o quando parleremo delle garanzie dovremo risolvere. Temo che non farlo provocherebbe problemi.
PRESIDENTE. Il riferimento a tutti gli organi giurisdizionali è molto vasto. Facciamo il caso di un cittadino che abbia subito un danno dallo Stato e con sentenza definitiva si veda riconosciuto il diritto al risarcimento; la Costituzione può stabilire che non gli venga attribuito? È un po' forte fissare in Costituzione un simile principio.
Altra cosa è che le sentenze della Corte, che per loro natura possono riconoscere diritti fino a quel momento non individuati, debbano essere graduali; estendere questo principio a tutti gli organi giurisdizionali significa che nei suoi rapporti con lo Stato il cittadino non è tutelato. Mentre se un cittadino vince una causa civile contro un altro cittadino quest'ultimo è tenuto a pagare, lo Stato - per previsione costituzionale - può pagare solo nei limiti del preventivo: mi sembra un po' forte.
GIUSEPPE VEGAS. Presidente, questa norma vuole semplicemente significare che quando si approva una legge di spesa non si può prevedere - come è accaduto spesso - che essa costi tre miliardi e poi verificare a consuntivo che ne è costata duemila. Bisogna pensarci prima e quantificare gli oneri correttamente; altrimenti succede quello che è accaduto dopo le sentenze sull'integrazione al minimo, che hanno provocato oneri aggiuntivi variabili dai 27 mila ai 40 mila miliardi, il che - se vogliamo mantenere ordinate le nostre finanze - non è accettabile avvenga con decisioni surrettizie. I riflessi quantitativi e finanziari, anche delle possibili decisioni della giurisprudenza, devono essere chiari. Spesso si approvano artatamente norme di spesa oscure, in modo che la giurisprudenza le interpreti in senso estensivo: il mio emendamento tende se non altro a scongiurare questo rischio.
MARCO BOATO. Condivido le considerazioni del collega Vegas, che fra l'altro ha una grandissima esperienza tecnica al riguardo. Temo però che il problema - come egli ha giustamente detto - si ponga all'inizio del procedimento, sotto un profilo politico delle scelte di bilancio e finanziarie. Non si può scaricare sulla giurisdizione e su una limitazione costituzionale degli effetti di quest'ultima un
PRESIDENTE. Senatore Vegas, insiste per mettere in votazione il suo emendamento, salvo la parte concernente la Corte costituzionale?
GIUSEPPE VEGAS. Sì, presidente.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Vegas II.30.19 ad eccezione della parte riguardante la Corte costituzionale.
(È respinto).
Ricordo che l'ultimo comma dell'articolo 30 è accantonato e sarà discusso quando tratteremo del sistema delle garanzie. Passiamo all'emendamento Salvi II.30.40, che propone di fissare nella legge le norme relative alla sessione di bilancio.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Vorrei chiedere ai presentatori dell'emendamento se non ritengano che esso sia assorbito dall'articolo 31, che disciplina in modo analitico la procedura legislativa relativa alle norme di contabilità.
MASSIMO VILLONE. Ritiriamo l'emendamento.
NATALE D'AMICO. Presidente, non abbiamo votato il mio emendamento II.30.33; è stato respinto l'emendamento Vegas II.30.18, che in larga parte copriva la stessa materia, ma nel mio emendamento si prevedeva anche la possibilità di difesa del potere regolamentare del Governo. Le chiederei di considerare accantonato l'argomento.
PRESIDENTE. D'accordo: il suo emendamento risulta precluso, con esclusione dell'ultimo periodo che deve intendersi accantonato.
GIUSEPPE CALDERISI. Presidente, mi riferisco all'emendamento Salvi II.30.40: se non sono in errore, il concetto da esso espresso non è ricompreso nel testo base della relatrice. È importante soprattutto il secondo periodo di tale emendamento, secondo il quale le disposizioni della legge di contabilità non possono essere abrogate né derogate dalle leggi di approvazione o di variazione del bilancio, né dalle leggi di spesa. È cioè necessaria una normativa ad hoc e non bastano norme di qualunque tipo: è un principio molto importante da inserire nella Costituzione, poiché in caso contrario non avrebbe sufficiente forza.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Mi sembra che il principio sia implicito nella specialità della procedura prevista dall'articolo 31, se è vero che ogni disposizione normativa non può essere modificata o abrogata se non da una fonte di pari rango. Vorrei però sentire anche l'opinione dei proponenti.
MASSIMO VILLONE. A stretto rigore forse non è così, ma possiamo affrontare serenamente l'argomento in Assemblea.
PRESIDENTE. Credo però che nell'emendamento Dentamaro II.30.42 questo principio sia contenuto, al secondo comma.
MASSIMO VILLONE. Stante questa disciplina, quello che dice la relatrice probabilmente è vero: c'è una specialità reciproca tra la disciplina stessa e quella delle leggi di spesa.
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'articolo 30, che per i primi due commi si compone del testo originario, mentre per quanto riguarda i restanti dell'emendamento Dentamaro II.30.42, salvo l'ultimo comma che è stato accantonato per essere esaminato quando discuteremo delle garanzie.
PRESIDENTE. Quando ci occuperemo della Corte dei conti vedremo di disciplinare anche questo aspetto.
Pongo in votazione l'articolo 30 con gli emendamenti apportati.
(È approvato).
Passiamo all'esame dell'articolo 31.
Ricordo che la relatrice ha presentato l'emendamento II.31.29, sostitutivo dei primi cinque commi.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Prima di illustrare il mio emendamento, vorrei far presente che l'ultimo comma dell'articolo 31 riguarda un'impugnazione costituzionale e quindi, in coerenza con analoghe decisioni che abbiamo già assunto, dovrebbe essere accantonato.
Venendo ora all'emendamento, la sostituzione mira soltanto ad una notevole semplificazione della procedura, eliminando una lettura. In sostanza, il procedimento legislativo in queste materie vedrebbe la prima lettura al Senato con l'espressione del parere della Commissione delle autonomie territoriali, parere che ha carattere vincolante quanto alle disposizioni in materia di interesse diretto delle autonomie locali, cioè finanza regionale e locale, istituzione, disciplina e ripartizione dei fondi perequativi.
Successivamente la Camera dei deputati delibera in via definitiva e quindi il procedimento di esame del bilancio sarebbe limitato a queste due sole letture. Al quinto comma si precisa che la stessa procedura, in particolare il parere vincolante della Commissione per le autonomie territoriali, riguarda tutti i progetti di legge di trasferimento di poteri e risorse e quelli per la determinazione dei livelli minimi delle prestazioni sociali nelle materie attribuite alle regioni.
PRESIDENTE. Vorrei domandare ai presentatori di emendamenti, ed innanzitutto a coloro che ne hanno presentati di interamente sostitutivi o di soppressivi, se, sulla base di questa nuova formulazione proposta dalla relatrice, intendano mantenere le loro proposte alternative.
ANTONIO SODA. Certamente una parte dei nostri emendamenti è ispirata alla stessa filosofia che ha guidato la relatrice.
PRESIDENTE. In sostanza, l'articolo 31, così come riformulato dalla relatrice, prevede una procedura semplificata delle leggi di bilancio, nel senso che esse verrebbero esaminate in prima lettura dal Senato e, salvo il parere vincolante della Commissione per le autonomie territoriali che abbiamo istituito sulle materie di finanza regionale e locale e sull'istituzione, sulla disciplina e sulla ripartizione dei fondi perequativi, verrebbero poi esaminate dalla Camera in sede definitiva. L'approvazione, quindi, avverrebbe da parte della Camera e tuttavia, nell'ambito di questa procedura, si prevede che la Commissione per le autonomie territoriali esprima su queste materie un parere vincolante.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Vorrei chiarire che, nell'intenzione della relatrice, tale parere sarebbe vincolante per il Senato, non per la Camera.
PRESIDENTE. Si intende così, anche se non è proprio chiarissimo.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Cerchiamo di chiarirlo; l'intenzione è questa.
ERSILIA SALVATO. Abbiamo presentato alcuni emendamenti alternativi a questo testo, emendamenti che, a questo punto della discussione, ritiriamo per ri
GIUSEPPE CALDERISI. Le questioni in campo sono di grandissima rilevanza, ma purtroppo i tempi non ci consentono di svolgere una discussione con il necessario approfondimento. Temo - anche se mi auguro di sbagliare - che rischiamo di commettere dei gravi errori. Mi sembra singolare che, nel momento in cui abbiamo una procedura bicamerale, ma abbiamo affermato l'orientamento secondo il quale una sola Camera ha il rapporto fiduciario tra Governo e Parlamento, il disegno di legge di bilancio, che è l'atto fondamentale della politica del Governo, venga presentato e discusso in prima lettura al Senato, dove non c'è il rapporto fiduciario. Trovo incoerente quest'impianto ed ho su di esso dubbi profondi, anche se non ho certezze; invito, comunque, chi in materia ha più competenza di me ad una riflessione, perché il rischio è che alla fine si ponga la necessità di prevedere il rapporto fiduciario di entrambe le Camere: se le cose stanno così, diciamocelo subito e prevediamo un sistema coerente.
PRESIDENTE. Non vedo cosa c'entri ciò che lei sta dicendo: il Senato esamina il bilancio in prima lettura e poi la Camera approva, su questo non vi è il minimo dubbio. La legge di bilancio passa all'esame del Senato in particolare per essere sottoposta al parere della Commissione per le autonomie territoriali sulle materie di finanza regionale e locale. Da questo punto di vista, non c'è dubbio che non si tratta di una procedura bicamerale, perché l'approvazione definitiva spetta alla Camera.
GIUSEPPE CALDERISI. Presidente, in proposito ho espresso solo un dubbio. Esprimo, invece, contrarietà sugli emendamenti che chiedono che la deliberazione della Camera avvenga a maggioranza qualificata, perché così facendo si inciderebbe sulla forma di governo in modo tale da
MARCO BOATO. Al di là di qualche eccessiva accentuazione, condivido le riserve che i colleghi Salvato e Calderisi, sia pure da posizioni molto diverse ma convergenti quanto alla riserva principale, hanno manifestato. Forse è eccessivo parlare di rapporto fiduciario da parte di entrambe le Camere, ma mi sembra che la riformulazione dell'articolo - lo dico con spirito di contributo critico, non di contrapposizione - sia sbagliata e che sia molto più accettabile il testo originario dell'articolo 31.
Non ripeterò le critiche che sono state avanzate, anche se potrei formularle con linguaggio diverso rispetto a quello dei colleghi; chiederei con una certa forza, anche alla luce dei due precedenti interventi, alla relatrice di riflettere sull'opportunità di ritirare il suo emendamento, di tornare al testo originario dell'articolo 31 e di esaminare semmai gli emendamenti riferiti a tale testo. Infatti, che la legge di bilancio debba seguire la procedura prevista dall'articolo 31 a me pare condivisibile, salvo eventuali aggiustamenti che in corso d'opera possiamo apportare. Di contro, il nuovo impianto previsto dall'emendamento II.31.29 mi pare incoerente sia con il tipo di forma di governo sia con il bicameralismo che stiamo delineando, dove il rapporto politico del Governo è con la Camera dei deputati, anche se in materia di bilancio è evidente che vi deve essere un ruolo essenziale sia del Senato sia della Commissione per le autonomie territoriali istituita all'interno del Senato.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Non mi sembra che l'emendamento stravolga il disegno; esso semplifica notevolmente le cose eliminando una lettura, tra l'altro in una materia in cui la contrazione dei tempi è essenziale.
MARCO BOATO. Non elimina una lettura; siamo in sessione di bilancio: quindi, o si immagina che la Camera prenda il testo che viene dal Senato e lo approvi, ed allora sì che abbiamo eliminato una lettura; se, invece, si immagina che il Governo presenti il bilancio alla Camera, questa lo esamini e lo approvi nei termini in cui ritiene e poi il Senato proponga delle modifiche anche in rapporto alla Commissione per le autonomie territoriali, è evidente che il bilancio dovrà tornare alla Camera per prendere atto delle proposte di modifica del Senato. Se, invece, si parte dal Senato, non si elimina una lettura: la legge di bilancio comincia il suo iter al Senato, torna alla Camera, che la modificherà, a quel punto dovrà tornare al Senato...
PRESIDENTE. No, no, non è così.
FRANCESCO SERVELLO. Boato, la tua ostilità nei confronti del Senato è veramente qualcosa di ossessivo!
PRESIDENTE. Rispetto alla procedura prevista nel testo originario dell'articolo 31, l'intenzione della relatrice era quella di saltare un passaggio. In sostanza, la Camera approva in via definitiva la legge di bilancio previo l'esame del Senato ed il parere della Commissione. Quindi, dal punto di vista delle procedure, l'emendamento ha indubbiamente un effetto di snellimento.
MAURIZIO PIERONI. Non chiedo di intervenire, presidente, ma solo di compiere un atto formale: vorrei, cioè, assumere come mio il testo originario dell'articolo 31 predisposto dalla relatrice. Le ragioni addotte per la snellezza della procedura sono sicuramente tali dal punto di vista apparente; da quello sostanziale noi avremmo un testo rispetto al quale o la Camera contraddice quanto deciso dalla Commissione speciale per le autonomie o lo fa proprio e ne è condizionata.
Più trasparente e più logico sembra che vi sia la normale dialettica Parlamento-Governo nella Camera che trasmette la fiducia, che vi siano gli interventi e le eventuali correzioni della Commissione per le autonomie territoriali, su cui la
KARL ZELLER. Vorrei chiedere che il mio emendamento II.31.1 venga posto in votazione come aggiuntivo al nuovo testo predisposto dalla relatrice, in quanto rafforza i poteri della Commissione per le autonomie territoriali richiedendo una maggioranza qualificata in sede di votazione alla Camera.
ORTENSIO ZECCHINO. Signor presidente, credo che tutti dobbiamo registrare che il grado di soddisfazione per la scelta che si delinea tra l'articolo 14 e l'articolo 31 non è elevato, ed io non faccio eccezione rispetto a questo giudizio. Mi auguro che, nel prosieguo dei nostri lavori, ci sforziamo di trovare meccanismi che possano meritare un giudizio di maggior gradimento.
Per restare ora al sistema delineato, ho proposto due emendamenti all'articolo 31. Rispetto al problema che introduce l'onorevole Boato, sono in un certo senso indifferente perché concordo con lui nel ritenere che nell'ultimo testo della relatrice c'è una semplificazione, anche se è presente un improprio avvio presso l'organo che non è l'interlocutore politico (ha ragione anche l'onorevole Calderisi); rimane però il vantaggio dell'eliminazione di un passaggio.
In ogni caso, per una coerenza che non è sistematica, non è legata all' amore dell'arte, ma per un minimo di logica, nell'uno e nell'altro caso credo che noi dobbiamo prevedere una modifica: qualora restasse il testo originario, bisognerebbe approvare l'emendamento Rebuffa, il quale prevede che i disegni di legge trasmessi al Senato siano esaminati dalla Commissione delle autonomie territoriali e poi dal Senato. Hanno ragione tutti quelli che sostengono che questa Commissione si configura come terza Camera se resta qualcosa di concluso e definitivo in sé.
Questo vale sia per il testo originario sia per la nuova formulazione, nonostante il cambiamento molto formalistico laddove si prevede il parere vincolante; il parere vincolante non ha bisogno neppure del passaggio in aula, sarebbe un'inutile perdita di tempo. Se c'è il parere, vuol dire che deve andare all'organo che lo deve recepire, ma se...
PRESIDENTE. Il parere è vincolante solo su limitate materie espressamente indicate.
ORTENSIO ZECCHINO. Presidente, questo è assolutamente chiaro, ma sarebbe del tutto inutile andare all'aula con un parere vincolante; sarebbe un'incomprensibile liturgia di situazioni che possono scadere anche in valutazioni non propriamente positive.
Allora, mi permetterei di suggerire nel caso del testo originario l'accoglimento dell'emendamento Rebuffa, oppure, mantenendoci nella logica dell'ultima formulazione proposta dalla relatrice, di prevedere che quelle materie vanno all'esame della Commissione - quindi non al parere - ritenendo quell'esame definitivo, a meno che non ci sia un richiamo in aula da parte di un congruo numero di senatori.
Prevediamo modalità di sbarramento, ma salviamo il rapporto tra questa Commissione e il Senato, perché altrimenti l'affermazione secondo cui questa Commissione sarebbe una terza Camera mi parrebbe non facilmente contrastabile. Allora, diamo a questa Commissione il potere deliberante con la riassumibilità; mettiamo pure degli sbarramenti più elevati, ma salviamo anche dal punto di vista della costruzione questo minimo di coerenza.
MICHELE SALVATI. Salveremo il salvabile! Dico questo soltanto per ribadire un'opinione che ho già sovente espresso e che soltanto la stanchezza, unita al convincimento
LUIGI GRILLO. Avrei potuto evitare di intervenire se non avessi ascoltato alcune osservazioni che - queste sì - mi sono davvero sembrate singolari.
Nel corso del dibattito siamo passati a discutere dalla prospettiva di importare in Italia il Bundesrat a quella del Senato delle regioni. Mi pare che la Commissione si sia espressa negativamente su queste due proposte.
Durante il loro esame, comunque, tutti abbiamo sottolineato il problema di un rapporto costante, continuativo con le autonomie locali e con le regioni. Nel corso del mio intervento quando abbiamo discusso del federalismo ho anche detto che, poiché il federalismo fiscale è un processo, occorreva che qualcuno lo dirigesse, ne seguisse la regia negli anni. Questo «qualcuno» è stato identificato nel Senato.
Allora, a nessuno è consentito di dire che l'esame in prima lettura del bilancio da parte del Senato postula un premierato dello stesso rispetto alla Camera; il bilancio viene esaminato per primo al Senato perché lì c'è la Camera delle autonomie territoriali, cui noi tutti abbiamo attribuito molto importanza per il raccordo istituzionale con le autonomie locali e le regioni.
Eravamo anche concordi nel ritenere che questa Commissione avesse un potere deliberante. Accettiamo che si parli di un parere vincolante; personalmente sono anche favorevole all'accoglimento dell'emendamento Zecchino, il quale prevede un potere di richiamo da parte dei senatori al verificarsi di determinate condizioni (mi pare si parli dei due terzi), ma non capisco l'osservazione di coloro che traggono dalla prima lettura da parte del Senato motivo per mettere in discussione che la Camera politica sia quella dei deputati, per cui anche la fiducia dovrebbe essere esportata al Senato.
Non è così; si tratta certamente di un punto di compromesso, ma un punto di compromesso chiaro e non pasticciato. A mio parere i pasticci vengono fatti da quanto vanno al di là di quanto scritto dalla norma proposta.
PRESIDENTE. Così non è; la relatrice ha chiarito...
STEFANO PASSIGLI. Chiedevo appunto alla relatrice di pronunciarsi chiaramente sul cammino procedurale e di dire che il parere della Commissione è vincolante per l'ulteriore pronuncia del Senato. Ma allora aveva ragione sul punto l'onorevole Zecchino e volevo sapere se la senatrice rinunciava a quest'ulteriore passaggio procedurale Commissione-Senato-Camera. Si potrebbe pensare che la Commissione si pronuncia su quel punto, senza che il plenum il Senato abbia a pronunciarsi, soprattutto se il parere della Commissione dovesse risultare vincolante.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Vorrei precisare che il passaggio dell'Assemblea del Senato mi è sembrato e mi sembra importante per consentire che nell'ambito dello stesso disegno di legge vi siano previsioni che riguardano il bilancio dello Stato o comunque discipline non direttamente interessanti le regioni, in maniera tale che su questi aspetti il parere della Commissione non sia vincolante; sarà vincolante invece per gli aspetti che riguardano direttamente le regioni. Questo mi sembra il meccanismo più semplice possibile per assicurare che la pronuncia della Commissione delle autonomie sia decisiva all'interno del Senato per le materie di loro interesse diretto, sia invece prevista, ma non come vincolante, per le materie che non riguardino direttamente il mondo delle autonomie.
L'intenzione è questa; continua a sembrarmi questa la soluzione più semplice e chiara. Mi pare - lo dico con molta franchezza - che dal testo tutto questo si evinca, che non sia necessario specificare che poi c'è l'esame da parte dell'Assemblea del Senato. Quando infatti in Costituzione è scritto «sono presentati al Senato della Repubblica e sono sottoposti al parere» è implicito che un parere non può concludere un procedimento; doverlo specificare mi sembra sovraccaricare il
LEOPOLDO ELIA. Mi pare che, salvo miglior coordinamento delle parti di questo complesso testo, la sostanza sia piuttosto chiara: è fuori discussione, non c'è dubbio che sul bilancio la parola definitiva spetti alla Camera (del resto, nemmeno in Germania il Bundesrat può avere una parità rispetto al Bundestag rispetto al bilancio); per il resto, la questione del tricameralismo si realizza se in uno stesso procedimento facciamo intervenire Camera, Assemblea del Senato e Commissione; se invece intervengono solo due soggetti sugli aspetti che interessano regioni e autonomie locali, tricameralismo non c'è, perché intervengono solo due organi.
Da ultimo, non accetto che, nelle materie che non riguardano le regioni, si possa andare all'Assemblea del Senato richiedendo una maggioranza qualificata che è del tutto incompatibile con la situazione del Governo; un Governo che non solo non può porre la questione di fiducia, ma addirittura si trova nella necessità - al di fuori dei procedimenti come la revisione costituzionale, in cui ci vuole una maggioranza specifica - di richiedere una maggioranza che può rendere ingovernabile il processo.
NATALE D'AMICO. Smetto di fare la critica esterna al modello prescelto, ho però qualche dubbio rispetto alla sua coerenza interna. Abbiamo scelto un modello di Camera delle garanzie, alla quale però stiamo attribuendo la funzione di esaminare in prima lettura il bilancio dello Stato. Se proviamo ad immaginare cosa potrebbe succedere, ci rendiamo conto che nelle due Camere potrebbero esserci due maggioranze diverse. Se, come in occasione dell'ultima finanziaria, nella Camera delle garanzie vi fosse stata la maggioranza del Polo, probabilmente in quella sede sarebbe stata approvata la finanziaria alternativa presentata dal Polo; questo provvedimento sarebbe poi andato alla Camera politica, nella quale la maggioranza era quella dell'Ulivo, dove tutto il lavoro precedente sarebbe stato buttato a mare e si sarebbe ripartiti daccapo.
Mi pare quindi che sia in discussione la coerenza interna del modello: se vi è una Camera delle garanzie, credo che essa non debba avere alcuna competenza in materia di bilancio. Se poi vogliamo prevedere che i soggetti dello Stato federale dicano la loro, a mio parere solo su una parte del bilancio, questo si può fare attraverso una Commissione federale o attraverso la Conferenza Stato-regioni, ma sicuramente non possiamo dare una competenza generale in materia di bilancio ad una Camera delle garanzie, perché ciò sarebbe privo di ragionevolezza.
MASSIMO VILLONE. Vorrei fare una domanda per capire bene come sia strutturato l'emendamento della relatrice. Si parla di un parere vincolante, ovviamente reso all'Assemblea del Senato, che però può deliberare solo in modo conforme. Cosa accade se l'Assemblea non delibera perché non è d'accordo? Bisogna immaginare una possibile uscita ad un contrasto che determini una volontà di non deliberare, perché chiamare un'Assemblea a prendere un pacchetto già confezionato è tecnicamente possibile, ma politicamente difficile. Confermo quindi i miei dubbi precedenti.
Segnalo poi la mia contrarietà all'ultimo comma perché il meccanismo di concertazione applicato alla determinazione dei livelli minimi delle prestazioni sociali rende chiarissimo come possa esserci contrasto da parte delle regioni ricche, che possono avere interesse a determinare a livello più basso i minimi delle prestazioni sociali, perché diversamente sarebbero chiamate a finanziarle. Mi sembra la prova evidente che certe cose nel nostro paese non vanno nella concertazione, preannuncio quindi il mio voto comunque contrario.
PRESIDENTE. Dobbiamo decidere innanzitutto se assumere come testo base l'emendamento della relatrice o il testo
(È respinto).
Rimane allora come testo base l'originario articolo 31.
ORTENSIO ZECCHINO. Le chiedo di ritenere ammissibile il mio subemendamento 0.II.31.29.2 che si adatta bene anche a questo testo. Preciso che nel testo che è stato distribuito vi è un errore poiché si parla di una maggioranza dei tre quinti mentre deve intendersi la maggioranza dei componenti.
PRESIDENTE. Il testo base dell'articolo 31 recita: «I disegni di legge (...) sono presentati alla Camera dei deputati. Da questa approvati, sono trasmessi al Senato ed esaminati dalla Commissione delle autonomie territoriali. Le disposizioni in materia di finanza regionale e locale, istituzione, disciplina e ripartizione dei fondi perequativi sono approvate dalla medesima Commissione». A questo punto l'emendamento Zecchino propone di introdurre il seguente comma: «Un terzo dei senatori può richiedere che tali deliberazioni adottate in Commissione siano sottoposte all'esame dell'Assemblea che potrà modificarle con la maggioranza assoluta dei componenti». Si ritiene cioè che l'esame dell'Assemblea e l'eventuale modifica delle deliberazioni in materia di finanza regionale e locale siano possibili solo se lo richieda un terzo dei senatori e se vi sia una maggioranza qualificata pari alla maggioranza assoluta dei componenti. Su tutto ciò, comunque, delibera in via definitiva la Camera dei deputati.
MAURIZIO PIERONI. Dichiaro il mio voto favorevole a questa proposta poiché mi pare che riporti ad un bicameralismo, non paritario ma perfetto e coerente. Contestualmente, ove questo fosse approvato, ritiro il mio emendamento II.31.22.
PRESIDENTE. Credo che il testo dell'articolo 31 vada precisato perché, così come è formulato, in sostanza stabilisce che i disegni di legge in materia di bilanci e rendiconti verrebbero esaminati esclusivamente dalla Commissione per le autonomie territoriali.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Al terzo comma si precisa che vengono approvati dall'Assemblea.
CESARE SALVI. Desidero fare una dichiarazione di voto generale su questa materia. Non voteremo nessun emendamento e accetteremo il testo base per consentire l'esame parlamentare, poiché consideriamo la questione ancora irrisolta nel suo insieme e riteniamo che ci si dovrà tornare dopo la conclusione dei lavori della Commissione bicamerale.
FRANCESCO SERVELLO. Concordo con la dichiarazione del collega Salvi.
GIORGIO REBUFFA. Mi sembra che la dichiarazione del senatore Salvi contenga il minimo di sensatezza necessaria a questo punto, perché stiamo mettendo in piedi un meccanismo in cui non c'è più niente.
ORTENSIO ZECCHINO. Nella presentazione degli emendamenti anch'io ho
KARL ZELLER. Anch'io ritiro il mio emendamento II.31.1 ritenendo che questo sia un mostro tricamerale.
MARCO BOATO. Anche se il collega Zecchino si è dichiarato disponibile a ritirarlo, suggerirei che il suo emendamento fosse volto ad introdurre un comma 3-bis e proporrei di approvarlo, sia pure con la riserva generale di riesame della materia manifestata da vari colleghi.
PRESIDENTE. L'emendamento Zecchino modificato nel senso di proporre un comma aggiuntivo, ricolloca la Commissione speciale nell'ambito della procedura del Senato, altrimenti si fissa una procedura che rende questa Commissione un organo parlamentare in se conchiuso, che è semplicemente ospitato dal Senato della Repubblica ma che non ha con esso alcun rapporto.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Mi associo alla richiesta di votazione dell'emendamento Zecchino sul quale esprimo parere favorevole.
PRESIDENTE. L'approvazione di tale emendamento consente di dare a questa norma un senso compiuto. Successivamente, sulla soluzione che abbiamo dato a questo problema, cioè quella di collocare nel Senato una speciale Commissione (problema del rapporto tra bicameralismo e federalismo) rifletteremo in modo più organico. Per ora, potremmo limitarci a dare un senso compiuto a questa soluzione istituzionale i cui elementi di debolezza, peraltro, sono stati sottolineati da molti nella discussione. Poi potremo riflettere, ma almeno ricollochiamo la Commissione nel Senato, altrimenti rischia di esserne sostanzialmente fuori.
ERSILIA SALVATO. Vorrei intervenire per dichiarazione di voto se lei pone in votazione questo subemendamento. Capisco che lo fa suo per porlo in votazione.
PRESIDENTE. No, lo propone il senatore Zecchino.
ERSILIA SALVATO. Ma il senatore Zecchino un attimo fa lo aveva ritirato!
ORTENZIO ZECCHINO. Ma di fronte alla richiesta del presidente...
PRESIDENTE. No, la richiesta è stata avanzata dall'onorevole Boato, poi dalla relatrice; infine, anch'io mi sono unito alla richiesta che lo mantenga in votazione.
ERSILIA SALVATO. Quindi, votiamo il subemendamento Zecchino.
PRESIDENTE. Sì, esatto.
ERSILIA SALVATO. La ringrazio. Intervengo, quindi, per dichiarare il nostro voto contrario sul subemendamento Zecchino. Comprendo, signor presidente, le sue argomentazioni e apprezzo anche lo sforzo che lei sta facendo per tentare di dare razionalità a ciò che difficilmente può averne la parvenza. Ma, francamente, l'errore è stato compiuto nel momento stesso in cui si è decisa una Commissione presso il Senato, con le caratteristiche di una terza Camera. Quindi, anche se il subemendamento fosse approvato, a mio avviso non muterebbe la sostanza del mostro giuridico che stiamo costruendo. Tra l'altro, considerato che abbiamo ragionato
PRESIDENTE. Ma l'aula è libera, come è libera la Commissione di riesaminare questa materia sulla base degli emendamenti.
Pongo in votazione il subemendamento Zecchino II.0.31.29.2, così come proposto dal relatore.
(È approvato).
Propongo di ritirare tutti gli altri subemendamenti e di votare il testo così com'è, perché a questo punto credo che il testo, che poi esamineremo, abbia un senso compiuto.
Pongo in votazione l'articolo 31 come risulta a seguito delle modifiche apportate.
(È approvato).
Naturalmente, si considera accantonato, con riferimento all'articolo 31, l'ultimo comma in materia di ricorsi alla Corte costituzionale.
Onorevole Calderisi, procediamo, con uno sforzo, all'esame dell'articolo 32 o sospendiamo?
GIUSEPPE CALDERISI. Signor presidente, su questo articolo ho presentato un solo emendamento di dettaglio a cui rinuncio volentieri. Non so cosa intendano fare gli altri colleghi. Quindi, non dipende solo da me.
PRESIDENTE. Ormai siamo in dirittura d'arrivo, quindi chiudiamo questa parte.
Passiamo all'articolo 32.
Mi sembra che sia precluso l'emendamento D'Amico II.32.13, in quanto monocamerale.
Passiamo all'emendamento Rigo II.32.12.
MARIO RIGO. Lo ritiro.
PRESIDENTE. Passiamo all'emendamento Grillo II.32.11.
MARIO RIGO. Lo ritiriamo.
PRESIDENTE. Passiamo agli identici emendamenti Mattarella II.32.14 e Boato II.32.17 soppressivi del secondo comma.
MARCO BOATO. Mantengo il mio emendamento. Suggerirei di sopprimere il secondo comma perché se al primo comma si dice che «Le Camere controllano l'attuazione delle leggi nello svolgimento delle funzioni normativa e amministrativa del Governo e di tutti gli enti pubblici», non credo che abbia senso quanto previsto al secondo comma dell'articolo 32, che a mio parere risulta del tutto ultroneo per certi aspetti e sbagliato per altri. Suggerirei quindi alla relatrice di ritirare questo secondo comma o di votare l'emendamento che ne chiede la soppressione.
Per non intervenire successivamente, vorrei dire qualcosa a proposito del terzo comma dell'articolo 32. Sollevo un problema su cui richiamo l'attenzione dei colleghi. Se si prevede che si possa in ogni caso, su proposta di un quinto dei componenti, istituire una Commissione d'inchiesta, nell'arco di un anno, neanche di una legislatura, si potrebbero costituire cinquanta Commissioni d'inchiesta, per esempio. Quindi, questa previsione potrebbe diventare uno strumento istituzionalmente ostruzionistico. Siccome sono favorevolissimo al principio della Commissione d'inchiesta, o mettiamo un tetto (non più di tre o cinque Commissioni per legislatura proposte dalle minoranze) oppure rischiamo di far sì che questa
MARIDA DENTAMARO, Relatore sul Parlamento e le fonti normative. Modificherei la richiesta di un quinto con la richiesta di un terzo.
PRESIDENTE. Vi pregherei di non aprire il dibattito su punti successivi.
Torniamo alla proposta soppressiva del secondo comma. Qual è il parere della relatrice?
MARIDA DENTAMARO, Relatore sul Parlamento e le fonti normative. Mi rimetto all'aula.
PRESIDENTE. Pongo in votazione gli identici emendamenti Mattarella II.32.14 e Boato II.32.17, soppressivi del secondo comma, sui quali la relatrice si è rimessa all'Assemblea.
(Sono approvati).
Il secondo comma dell'articolo 32 s'intende pertanto soppresso.
Passiamo adesso alla questione relativa alle Commissioni d'inchiesta su cui sono stati presentati diversi emendamenti. C'è chi propone che la facoltà della loro istituzione sia concessa soltanto al Senato e chi, invece, propone di modificare il quorum da un quinto a un terzo. Per certi aspetti, le due proposte sono tra loro connesse, perché se questa possibilità è riconosciuta soltanto al Senato...
CESARE SALVI. La nostra proposta - primo firmatario il collega Pellegrino -, signor presidente, prevede che al Senato siano incardinate soltanto le Commissioni d'inchiesta che hanno i poteri dell'autorità giudiziaria. Ciò per qualificare questa ipotesi, con la quale il Parlamento dispone di rilevanti poteri. Alla Camera resterebbero le Commissioni d'inchiesta senza questo tipo di poteri. Questo per l'ovvia ragione che, al di là di chi possa promuoverle o meno, spetterà alla disponibilità della maggioranza politica la formazione delle Commissione d'inchiesta. Quindi, è preferibile che i maggiori poteri siano affidati alle Commissioni d'inchiesta istituite...
PRESIDENTE. Ho capito.
CESARE SALVI. Per quanto riguarda l'altra questione, proponevamo di alzare il quorum da un quinto ad un terzo. Può essere questa la soluzione, però il problema posto dall'onorevole Boato esiste sia sul versante del rischio ostruzionistico sia perché l'opposizione potrebbe essere posta nelle condizioni di sentirsi chiedere per quale motivo non istituisca una Commissione d'inchiesta considerato che potrebbe farlo. Forse, l'ipotesi di limitare temporalmente questa possibilità dell'opposizione nell'arco della legislatura può essere presa in considerazione.
PRESIDENTE. Innanzitutto, vorrei rivolgere una domanda ai presentatori degli emendamenti II.32.6 e II.32.10: ritengono che la proposta dei colleghi Pellegrino e Salvi, cioè di considerare che le Commissioni d'inchiesta che hanno i poteri della magistratura si istituiscano presso il Senato, sia tale da indurli a ritirare gli emendamenti che hanno presentato?
GIUSEPPE CALDERISI. Signor presidente, considerando la funzione del mio emendamento, analogo a quello dei colleghi di rifondazione comunista, non sono contrario all'ipotesi del collega Salvi. Però mi sembra importante mantenere, come in Germania, l'istituto delle Commissioni d'inchiesta istituite anche quando le richiede una minoranza (abbastanza qualificata ma minoranza).
ERSILIA SALVATO. Ritiriamo l'emendamento II.32.6 e accediamo all'emendamento Pellegrino II.32.3.
SERGIO MATTARELLA. Signor presidente, ieri abbiamo approvato un emendamento - in parte già inserito nel testo del relatore - per cui sono riservati spazi e momenti in cui si discutono e si votano proposte dell'opposizione. Prevedere che si possa disporre un'inchiesta contro il parere della maggioranza ma con il solo consenso di una parte minoritaria è cosa che a me sembra un po' ardita. È giusto che le proposte dell'opposizione vengano esaminate e votate ma che la volontà minoritaria si trasformi in volontà della Camera a cui appartiene obbiettivamente è un po' complicato, a parte i rischi di ostruzionismo a cui faceva cenno l'onorevole Boato. È questa la ragione dell'emendamento II.32.15, soppressivo del secondo periodo.
MARCO BOATO. Preannuncio la riformulazione del mio emendamento.
PRESIDENTE. L'onorevole Boato propone la seguente riformulazione del suo emendamento II.32.8: «Vi provvede in ogni caso su proposta di un terzo dei componenti, per non più di cinque volte nel corso di ciascuna legislatura». Diciamo che il numero delle munizioni è limitato, contingentato!
GIUSEPPE CALDERISI. Capisco l'esigenza di porre dei limiti, però in questo modo una maggioranza può esaurire le cinque «munizioni», per esempio, e impedire ad una minoranza di chiedere che venga istituita una Commissione d'inchiesta. A me sembra che questo istituto delle Commissioni d'inchiesta, che esiste anche in Germania, debba essere inserito nella nuova Costituzione. Non credo che se ne faccia un uso eccessivo, perché se se ne devono occupare solo i senatori, non è immaginabile che approvino 30 Commissioni d'inchiesta!
MARCO BOATO. Ma il terzo comma riguarda tutte e due le Camere.
MASSIMO VILLONE. Propongo di togliere le parole «in ogni caso» e di adottare una formula di questo tipo: «Vi provvede su proposta di un terzo dei componenti secondo le norme del regolamento». In questo modo, rinviamo a quest'ultimo il modo in cui far funzionare le Commissioni d'inchiesta.
PRESIDENTE. Quindi, la proposta risulterebbe del seguente tenore: «Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. Vi provvede su proposta di un terzo dei componenti secondo le norme del regolamento». Le parole «La Commissione d'inchiesta procede alle indagini» verrebbero sostituite nel modo seguente: «Le Commissioni d'inchiesta istituite presso il Senato della Repubblica procedono alle indagini e agli esami con gli stessi criteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria».
SERGIO MATTARELLA. Signor presidente, vorrei pregarla di rileggere le prime parole dell'emendamento proposto dall'onorevole Villone.
PRESIDENTE. «Vi provvede su proposta di un terzo dei componenti secondo le norme previste dal regolamento».
SERGIO MATTARELLA. Quindi, si rinvia al regolamento la definizione della maggioranza necessaria per decidere?
MASSIMO VILLONE. Si consente al regolamento di dettare discipline che in qualche modo rendano compatibile...
PRESIDENTE. Si eleva il quorum da un quinto a un terzo e si consente al regolamento di disciplinare questa materia
SERGIO MATTARELLA. Non possiamo comunque dare adito a dubbi interpretativi ed al riguardo non ho percepito la risposta del senatore Villone alla mia domanda: si rinvia al regolamento la decisione su quale maggioranza disponga l'inchiesta?
MASSIMO VILLONE. Non c'è la maggioranza, vi è la possibilità della richiesta da parte di un terzo.
SERGIO MATTARELLA. Insisto allora per la votazione del mio emendamento al fine di riaffermare la regola secondo cui a decidere è la maggioranza.
PRESIDENTE. Pongo in votazione la proposta Mattarella che afferma il principio per cui l'istituzione di Commissioni d'inchiesta è deliberata a maggioranza, non da una minoranza qualificata.
(È respinta).
MARCO BOATO. L'obiezione Mattarella-Villone aveva comunque un fondamento, perché un quorum molto elevato per la proposta, che anch'io avevo giudicato opportuno, ha senso se vi è una sorta di automatismo; se invece si tratta semplicemente di una proposta, mentre a provvedere è il regolamento, non si comprende perché si dovrebbe prevedere il quorum di un terzo.
MASSIMO VILLONE. Non è una mera proposta, perché il testo prevederebbe che «vi provvede in ogni caso su proposta di un terzo dei componenti».
PRESIDENTE. Poiché l'onorevole Mattarella ha compreso che la norma prescrive l'inchiesta se lo richiede una maggioranza qualificata, ha chiesto che fosse posto in votazione il suo emendamento.
SERGIO MATTARELLA. A questo punto, chiedo al senatore Villone di lasciare il testo della relatrice perché, anche se a mio avviso è sbagliato, almeno è chiaro. Se invece si usa la dizione «vi provvede secondo il regolamento», nasceranno incertezze interpretative sul significato di tale norma.
PRESIDENTE. Ritengo che il regolamento potrebbe prevedere, per esempio, dei tetti, delle compatibilità con l'organizzazione dell'Assemblea, ovvero norme di questo genere. Anziché introdurre un tetto in Costituzione, che rappresenterebbe un elemento di forte rigidità, si può prevedere che, fermo restando il principio per cui la maggioranza qualificata di un terzo (non più di un quinto) può chiedere e ottenere l'istituzione di una Commissione d'inchiesta, spetterà al regolamento disciplinare tale materia in modo che questa attività sia compatibile con quella generale delle Camere (Commenti del deputato Mattarella).
Ho capito che lei non è d'accordo, onorevole Mattarella, ma mi sembra che la proposta non sia priva di significato.
Pongo in votazione la formulazione proposta dal senatore Villone.
(È approvata).
Pongo in votazione l'emendamento Pellegrino II.32.3, in base al quale le Commissioni d'inchiesta, dotate dei poteri della magistratura, potrebbero essere istituite solo al Senato.
(È approvato).
Passiamo all'esame dell'emendamento Elia II.32.16, in cui si propone di sopprimere, al quinto comma, le parole «e privati». La proposta è riferita all'ultimo comma dell'articolo 32, che recita: «Ai fini dell'attività conoscitiva delle Commissioni parlamentari, il Governo, le amministrazioni pubbliche, i soggetti pubblici e privati forniscono ogni notizia (...)».
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le forme normative. Esprimo
CESARE SALVI. Per quale ragione?
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le forme normative. Perché altrimenti si configurerebbe un potere inquisitorio nei confronti dei privati, che mi sembra eccessivo: diverso è il dovere dei soggetti pubblici.
MARCO BOATO. A mio avviso, nel testo dovrebbe essere mantenuto il riferimento ai privati, specificando però che si tratta delle Commissioni d'inchiesta del Senato, quelle che hanno i poteri della magistratura. Siccome nel quinto comma dell'articolo 32 si afferma «ai fini dell'attività conoscitiva delle Commissioni parlamentari», ritengo che non si possa costringere a fornire informazioni nell'ambito dell'attività conoscitiva del Parlamento, mentre questo sarebbe consentito dai poteri attribuiti alle Commissioni d'inchiesta del Senato, che sono quelli della magistratura.
MASSIMO VILLONE. In questo caso, si sancisce soltanto un principio generale: se poi il privato non intende fornire le notizie, non le fornirà.
SERGIO MATTARELLA. Ma come? Si prevede in Costituzione che i privati forniscano notizie, informazioni e così via e poi si dice che questo non è vincolante? Ma è certamente vincolante: è la Costituzione che lo prevede!
CESARE SALVI. Non capisco per quale ragione un soggetto privato, magari il titolare della più grande impresa privata italiana, non debba essere chiamato a fornire informazioni; è evidente che subirà sanzioni penali soltanto nell'ipotesi, che abbiamo già approvato, in cui vi siano i poteri d'inchiesta propri dell'autorità giudiziaria. Altrimenti, il soggetto privato dirà che non intende intervenire e qualcuno sosterrà che ha fatto bene, mentre qualcun altro dirà che ha fatto male. Trovo però incomprensibile che il Parlamento non possa chiedere ad un privato di fornire risposte a propri quesiti.
PRESIDENTE. Tra l'altro, nella norma vi è una limitazione, in quanto si parla di questioni di pubblico interesse. Non mi pare opportuno che il Parlamento, nell'ambito delle sue attività conoscitive, non possa chiedere a soggetti privati notizie, documentazioni e chiarimenti su questioni di pubblico interesse.
SERGIO MATTARELLA. Occorre considerare che sarebbe la Commissione a decidere che cosa sia di pubblico interesse.
GUSTAVO SELVA. Presidente, lei non ha menzionato gli emendamenti riferiti al quarto comma dell'articolo 32, tra cui il II.32.5 che ho presentato insieme all'onorevole Armaroli, volto ad inserire dopo le parole «una Commissione», le seguenti: «presieduta da un esponente dell'opposizione». Immagino che lei non l'abbia preso in considerazione perché nel terzo comma è stata inserita la dizione «secondo il regolamento».
Ritengo però che sarebbe stata opportuna una riflessione su questo tema, che introduce un primo elemento in ordine allo statuto delle opposizioni. Oppure, si preferisce parlarne allorché si affronterà lo statuto delle opposizioni?
PRESIDENTE. Penso di sì. Oltre tutto, non mi sembra opportuno prevedere in Costituzione che debba trattarsi di un esponente dell'opposizione, per lo più designato dalla maggiore coalizione uscita sconfitta dalle elezioni.
GUSTAVO SELVA. Avrei ritirato questa parte dell'emendamento.
PRESIDENTE. Onorevole Selva, mi sembra una norma così congiunturale...
GUSTAVO SELVA. Avrei ritirato, come dicevo, questa parte dell'emendamento, lasciando soltanto l'espressione «presieduta da un esponente dell'opposizione».
PRESIDENTE. Appunto, non si sa quale sia l'opposizione.
MARCO BOATO. Queste sono norme di carattere regolamentare in materia di statuto dell'opposizione.
SERGIO MATTARELLA. Vorrei ricordare sommessamente che è stata recentemente approvata la legge sulla riservatezza dei dati personali, sulla base di un impegno comunitario. Poiché quella di cui ci stiamo occupando è la Costituzione, che prevale su ogni altra legge, se si prevede l'obbligo per i privati di fornire notizie, documentazioni e così via, non nell'ambito di un'inchiesta parlamentare, ma ai fini di un'indagine conoscitiva di una Commissione, si crea di fatto un profondo vulnus a quella legge. Credo si tratti di un fatto obiettivamente inopportuno, perché una norma del genere inserita nella Costituzione e quindi, anche in assenza di sanzioni, inevitabilmente prevalente su ogni altra, rischierebbe di vanificare qualunque autonomia del privato.
FRANCESCO SERVELLO. Sulla base dell'esperienza, ritengo che si possa accogliere l'emendamento Elia-Mattarella II.32.16, tenuto conto che durante tutte le vicende parlamentari, quando si sono svolte indagini conoscitive, i privati sono venuti quasi volontariamente, ed anzi hanno fatto pressione sulle Commissioni per esprimere la loro opinione su problemi che avevano attinenza con questo o quel comparto dell'economia, delle attività finanziarie e così via.
Mi sembra quindi giusto approvare questo emendamento, tenendo però conto che nella prassi, poiché comunque non sarebbe perentoriamente escluso che i privati possano essere convocati, credo che, se invitati, essi non avranno alcuna difficoltà ad intervenire.
CIRIACO DE MITA. Ritengo che la questione possa essere risolta nel senso che per le Commissioni d'inchiesta è necessario prevedere i poteri dell'autorità giudiziaria; quanto alle indagini conoscitive delle Commissioni parlamentari, essendo la questione legata alla disponibilità degli interlocutori, è irrilevante prevedere in Costituzione un dovere: infatti, comunque lo si voglia leggere, o è inutile oppure è un dovere che contrasta con le altre leggi.
Credo pertanto che si possa mantenere soltanto la previsione che le Commissioni d'inchiesta siano dotate dei poteri dell'autorità giudiziaria, perché questo è necessario.
PRESIDENTE. Lei propone, in sostanza, di far decadere tutto l'ultimo comma dell'articolo 32?
CIRIACO DE MITA. Sì, perché è irrilevante.
PRESIDENTE. In effetti, che il Governo sia tenuto a fornire notizie al Parlamento è un principio generale. Tra l'altro, eliminare soltanto il riferimento ai privati introdurrebbe un elemento piuttosto strano, perché una Commissione, nell'ambito della sua attività conoscitiva, può anche chiamare dei privati.
Mi sembra che prevalga l'opinione di sopprimere interamente l'ultimo comma dell'articolo 32.
Pongo in votazione tale opinione.
(È approvata).
Decadono conseguentemente gli altri emendamenti relati a tale articolo.
MARIO GRECO. Il mio emendamento II.32.9 ha un carattere aggiuntivo.
PRESIDENTE. Tale emendamento prevede l'obbligo per le delegazioni parlamentari presso gli organismi internazionali di riferire al Senato sull'attività degli organismi stessi.
PRESIDENTE. Questa mi sembra però una norma di carattere regolamentare, che non mi sembra opportuno inserire nella Costituzione.
MARIO GRECO. Questo è un invito a ritirare l'emendamento, presidente?
PRESIDENTE. Sì.
MARIO GRECO. Sta bene.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l'articolo 32.
(È approvato).
Passiamo all'esame dell'articolo 33, al quale la relatrice ha presentato l'emendamento II.33.12, interamente sostitutivo: l'esame proseguirà pertanto su tale testo, e gli emendamenti che si esamineranno dovranno intendersi riferiti ad esso.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Con questo emendamento ho inteso eliminare il doppio riferimento all'organizzazione, che nel testo originario figurava nel primo e nel secondo comma, tra l'altro con una contraddizione sostanziale: mentre nel primo comma figura una riserva relativa di legge, che in quel testo copriva anche l'organizzazione dei ministeri, nel secondo comma si prevede una riserva di regolamento governativo per l'organizzazione dell'amministrazione statale. Vi era quindi una contraddizione che nella nuova formulazione ho eliminato, poiché l'organizzazione dei ministeri rientra pienamente in quella dell'amministrazione, per cui nella riformulazione essa viene compresa nella riserva di regolamento governativo.
Viene inoltre riformulata (in questo caso, credo di poter affermare che è una riformulazione soltanto tecnica e testuale) la parte relativa ai regolamenti indipendenti, usando una formula semplificata.
Infine, l'ultimo comma è stato riformulato recependo la proposta, tecnicamente assai migliore rispetto al testo originario, del gruppo dei popolari (Elia ed altri).
GIUSEPPE CALDERISI. Su questo articolo vi sono due emendamenti presentati dal gruppo di forza Italia (il II.33.2 e il II.33.1), che affrontano entrambi la questione della delegificazione.
Riteniamo che il testo dell'articolo 33, anche quello riformulato dalla relatrice o che risulterebbe da altri emendamenti, non risolva il problema. Infatti, se il Governo potrà adottare regolamenti soltanto in materie non disciplinate dalla legge, limiteremo la delegificazione soltanto a provvedimenti ad hoc, poiché la legge ormai copre qualunque ambito.
Se, invece, vogliamo dare luogo ad un processo di delegificazione, dobbiamo prevedere norme più incisive che consentano al Governo - nel rispetto dei principi desumibili dalla legge - di provvedere con regolamento nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge. Solo così possiamo sperare che la gravissima questione sia affrontata; ed arrivare ad un forte processo di delegificazione è un obiettivo fondamentale della riforma.
Ritengo che gli emendamenti Rebuffa II.33.2 e Urbani II.33.1 tendano ad affrontare il problema, pure in diversa maniera, indicando soluzioni significative.
PRESIDENTE. Quali sono gli aspetti qualificanti di questi emendamenti? In cosa differiscono dal nuovo testo appena illustrato dalla relatrice?
GIUSEPPE CALDERISI. L'emendamento Rebuffa II.33.2 («Le materie non coperte da riserva assoluta di legge sono disciplinate da regolamenti nel rispetto dei principi desumibili dalla legge») consentirebbe al Governo una più ampia facoltà di disciplina. Se, invece, si stabilisse che il Governo può intervenire con regolamenti nelle materie non regolamentate dalla legge, di fatto non si potrebbero adottare regolamenti se non attraverso specifici provvedimenti di delegificazione. Infatti l'opera
NATALE D'AMICO. Presidente, vorrei ricordare che il mio emendamento II.30.33 era stato accantonato e riguarda materia analoga a quella di cui ci stiamo occupando in questo momento.
Il problema che la mia proposta solleva è il seguente. Allo stato dei fatti noi abbiamo previsto strumenti per difendere il Parlamento dall'ingerenza legislativa del Governo, limitando per esempio la possibilità dell'esecutivo di emanare decreti-legge (termini temporali, limiti per oggetto). Anche senza arrivare ad introdurre una riserva assoluta di regolamento mi sembra necessario prevedere strumenti che difendano l'ambito normativo del Governo. Il mio emendamento II.30.33 tende appunto a conferire al Governo la possibilità di opporsi all'ammissione di proposte parlamentari nelle materie non riservate alla legge. Questo non significa che sarebbe preclusa al Parlamento la possibilità di legiferare nelle stesse materie: tutto si risolverebbe nell'ambito di un rapporto dialettico con il Governo.
Con il mio emendamento II.33.6 si tenta di introdurre criteri di «igiene legislativa»: la legge può stabilire una disciplina generale di settore ed autorizzare il regolamento ad emanare ulteriori norme. Questi regolamenti, fatte salve le norme della legge di autorizzazione, dovrebbero però abrogare ogni norma preesistente nella medesima materia. È un vincolo costituzionale teso ad assicurare, oltre all'azione di delegificazione, anche un processo di «pulizia normativa».
Si profila in queste proposte qualche novità in più rispetto al testo della relatrice.
FRANCESCO SERVELLO. Vorrei rivolgermi alla relatrice per cercare di rendere meno oscuro in sede di coordinamento il secondo periodo del terzo comma. Dico «oscuro» riferendomi a me stesso, che della materia sono incompetente. Il testo recita: «Nelle stesse materie la legge può autorizzare il regolamento ad abrogare norme di legge vigenti e a introdurre nuove disposizioni nella stessa materia nel rispetto dei principi e dei limiti da essa stabiliti». Forse il concetto andrebbe reso più chiaro.
PRESIDENTE. In sostanza si prevede la possibilità - poc'anzi auspicata dall'onorevole D'Amico - che la legge possa autorizzare il Governo ad abrogare con regolamento anche norme legislative, proprio allo scopo di promuovere una semplificazione normativa. Naturalmente il testo può essere formulato in maniera più chiara. Ma la possibilità di abrogare attraverso il regolamento norme di legge vigenti è prevista anche nel testo della relatrice (purché la legge autorizzi il Governo a farlo).
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Viceversa l'emendamento Rebuffa II.33.2 non prevede l'autorizzazione con legge. La Costituzione stabilirebbe, quindi, che il regolamento intervenga direttamente ad abrogare norme di legge vigenti, salvo che in presenza di riserva assoluta.
PRESIDENTE. In sostanza il testo della relatrice prevede che il Governo sia autorizzato da una legge, così come il suo emendamento, onorevole D'Amico, laddove si dice «salve le norme della legge di autorizzazione...».
NATALE D'AMICO. La mia proposta introduce però un obbligo ad abrogare tutte le norme precedenti nella medesima materia. È qualcosa di più.
PRESIDENTE. Sì, ma dal punto di vista della procedura il problema è se la facoltà venga accordata al Governo con
GIUSEPPE VEGAS. Signor presidente, vorrei brevemente soffermarmi sul secondo comma dell'emendamento Urbani II.33.1. Sostanzialmente il testo della relatrice lascia una sorta di prevenzione temporale: se la legge interviene, cade il principio della riserva di regolamento. Con questo meccanismo noi non superiamo il grave problema dell'eccesso del numero di fonti primarie, ossia di leggi. Il meccanismo previsto nel secondo comma dell'emendamento Urbani II.33.1 consente una sorta di concorrenza tra le fonti quando non si tratti di materia riservata (con riserva assoluta) alla legge. Così possono intervenire sia il Parlamento sia il Governo. Da una parte è possibile diminuire il numero totale delle leggi, dall'altra non viene meno il principio di efficienza della normazione, ossia della sua rispondenza al bisogno cui si intende corrispondere. Limitarsi invece al testo della relatrice significherebbe far riemergere gradualmente la quantità di legislazione che abbiamo attualmente, uno dei mali del nostro regime parlamentare.
STEFANO PASSIGLI. Presidente, nel complesso della riforma una norma di delegificazione è decisamente importante. Le varie soluzioni che sono state offerte - con il testo della relatrice e con gli emendamenti - non sono a mio parere del tutto soddisfacenti.
Come è stato osservato, il testo della relatrice non innova rispetto alla situazione esistente, perché il Governo potrebbe adottare regolamenti solo quando la disciplina non fosse stabilita con legge; quindi non vi sarebbe innovazione rispetto all'attuale situazione.
Con l'emendamento Elia II.33.7 si consente la delegificazione, ma solo attraverso una legge, attuando un processo di delegificazione caso per caso. Evidentemente non è un testo sufficiente.
Ritengo, poi, pericoloso l'emendamento Urbani II.33.1, perché troppo poche sono le materie riservate alla legge e troppo vasta l'area sulla quale si può intervenire con regolamento, delegificando direttamente.
Ecco perché con il mio emendamento II.33.4 ho ritenuto di compiere uno sforzo di identificazione, ma certo si tratta di un dettaglio eccessivo da introdurre nella Costituzione.
Credo che il punto di arrivo possa essere l'emendamento Rebuffa II.33.2, ma devo dire che il campo di intervento dei regolamenti non viene identificato con sufficiente chiarezza.
Credo che nella Costituzione dovrebbe essere inserito un rinvio ad una legge bicamerale che identifichi le materie oggetto di delegificazione direttamente attraverso lo strumento del regolamento. Alcune di queste materie sono state individuate nel mio emendamento, altre potranno essere discusse, ma si tratta di prevedere comunque un passaggio legislativo. L'emendamento Rebuffa II.33.2 è corretto dal punto di vista dell'impostazione, ma è insufficiente per raggiungere lo scopo.
In conclusione, inseriamo nella Costituzione un lungo elenco (del tipo di quello previsto nel titolo V della Costituzione francese) oppure rinviamo ad un'unica legge che indicherà le materie oggetto di delegificazione attraverso lo strumento regolamentare (ciò che propongo alla relatrice).
GIOVANNI PELLEGRINO. Presidente, stiamo affrontando uno dei temi più delicati, forse in una situazione non delle più adatte alla soluzione della questione. Si tratta dell'ordine gerarchico delle fonti, che a mio parere dovrebbe essere prescritto da norme di rango costituzionale.
La scelta che dobbiamo compiere mi sembra sia stata chiarita sia dalla relatrice sia dal presidente: dobbiamo decidere se la delegificazione dovrà avvenire attraverso una legge che la preveda caso per caso o se si determini una sostanziale equiordinazione tra regolamento e legge in tutte le materie non coperte da riserva assoluta (oppure - secondo la logica di Passigli - in una serie di materie che non
ERSILIA SALVATO. Intervengo per porre una questione che è stata già sollevata in altri interventi. Al terzo comma, laddove si dice che nelle stesse materie la legge può autorizzare il regolamento, a me sembra che sia necessaria una precisazione, nel senso che occorre ripetere il termine «Governo»; è infatti il soggetto che poi può adottare regolamenti per abrogare norme di leggi vigenti. Altrimenti, così formulata, la norma riesce non solo di difficile interpretazione ma a mio avviso può farci incorrere in rischi di distorsioni applicative, ferma restando appunto la condivisione - anche se su questa materia più in generale ci riserviamo di riflettere per l'aula - di questa innovazione, che cerca di rispondere ad un problema che c'è, anche se in misura molto ampia; e su tale ampiezza personalmente nutro qualche perplessità.
Chiedo dunque alla relatrice di accogliere questo suggerimento nella seconda parte del terzo comma, in modo di poter avere una norma più chiara nella sua dizione e più facilmente applicabile.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Lei vorrebbe sostituire il termine «regolamento»...
PRESIDENTE. No. «Nelle stesse materie può autorizzare il Governo ad abrogare con regolamento norme di legge vigenti».
ERSILIA SALVATO. Oppure «ad adottare regolamenti per abrogare norme di legge».
PRESIDENTE. In pratica, abrogare con regolamento. Il problema è il soggetto che viene autorizzato, che è il Governo.
PRESIDENTE. Infatti, si tratta di una ripetizione inutile.
Prima di dare la parola al senatore Villone vorrei precisare che l'ultimo comma dovrebbe per ora essere accantonato, il che significa non che il principio non verrà introdotto nell'ordinamento ma che lo esamineremo nel quadro organico delle attribuzioni della Corte.
MASSIMO VILLONE. Sono stati presentati vari emendamenti e sono state espresse varie opinioni che pongono il problema dell'iperlegificazione, che tendono a costruire strade per alleggerire l'attuale eccessivo carico di normazione primaria.
Però, allo stato delle cose credo che la risposta a questo problema sia stata già data altrove: gran parte della produzione legislativa si allontana dal Parlamento per la scelta dell'impianto federale. L'attuale legislazione statale va su un binario morto, nel senso che non sarà più modificabile dal Parlamento e rimarrà vigente fino alla sostituzione da parte di leggi regionali, come è evidente. Credo che l'elenco predisposto dal collega Passigli nel suo emendamento lo dimostri ampiamente; quell'elenco rappresenta l'80 per cento delle competenze che noi affidiamo allo Stato. Ciò significa che allo Stato rimangono le grandi questioni e, in modo fisiologico, parallelamente per il regolamento lo spazio si riduce.
Pensare dunque a riserve di regolamento in un sistema che ha preso questa svolta credo sia inutile e addirittura dannoso; è prevista in Francia una riserva di regolamento ma nell'ambito di un sistema che è fortemente centralistico; tra l'altro, non ha neppure pienamente funzionato ed è stata largamente superata dall'esperienza costituzionale concreta. Non credo quindi che siano necessarie riserve.
Ritengo che la relatrice abbia fatto bene ampliando il fondamento per i regolamenti indipendenti e richiamando un'ipotesi di delegificazione: si tratta di una soluzione equilibrata, che nel complesso delle scelte che stiamo compiendo non va completata con riserve di regolamento in senso proprio, che anzi rappresenterebbero un errore.
GIORGIO REBUFFA. Signor presidente, l'emendamamento II.33.2 è volto a risolvere semplicemente un vecchio problema: invece di predisporre, come ha suggerito il senatore Passigli, un elenco di materie da delegificare, abbiamo indicato una procedura di delegificazione. L'emendamento, se approvato, risolverebbe un grande problema: la disciplina delle materie di competenza dello Stato non riservate alla legge spetta ai regolamenti del Governo. Sono anni che in dottrina e in Parlamento si tuona contro le leggi-provvedimento, vale a dire le norme legislative che in realtà risolvono semplicemente problemi amministrativi, e credo che questa sia la procedura più rapida che abbiamo di fronte.
Vorrei dire inoltre al senatore Passigli che, dato che gli studenti della facoltà di giurisprudenza sono vittime di tante persone e anche di assassini, rivolgo una petizione a loro nome: non affidiamogli elenchi di cose da studiare, diamogli una procedura e forse li facciamo più felici.
PRESIDENTE. Prima di passare alla votazione dell'emendamento della relatrice esaminiamo i subemendamenti dei quali si richiede la votazione, in particolare l'emendamento Rebuffa II.33.2, sostitutivo del terzo comma del testo della relatrice; l'emendamento successivo Urbani II.33.1 sarebbe precluso, in caso di approvazione dell'emendamento II.33.2, e in parte assorbito dal testo della relatrice, perché il primo comma («L'organizzazione dei pubblici uffici è disciplinata con regolamento») è praticamente analogo («Il Governo disciplina con proprio regolamento
GIUSEPPE VEGAS. C'è qualche principio in più. Il secondo comma dell'emendamento è riferito al terzo comma del testo della relatrice.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Rebuffa II.33.2.
(È respinto).
Passiamo all'emendamento Urbani II.33.1 che, dal punto di vista del principio, differisce dal testo della relatrice perché non richiede legge autorizzativa per i regolamenti che abrogano o modificano norme di legge.
MASSIMO VILLONE. Quindi, nella gerarchia delle fonti parifica completamente regolamento e legge, se ho capito bene.
PRESIDENTE. Si stabilisce che nelle materie di competenza statale non espressamente riservate dalla Costituzione alla legge i regolamenti possano anche modificare o abrogare norme di legge, mentre attualmente, secondo il testo della relatrice, occorre una legge che autorizzi il Governo a modificare con regolamento leggi vigenti. La differenza è chiara.
Pongo in votazione l'emendamento Urbani II.33.1.
(È respinto).
Pongo in votazione l'emendamento D'Amico II.33.6.
(È respinto).
L'emendamento D'Amico II.33.5 ha carattere formale; se ne potrà tenere conto in sede di coordinamento del testo.
L'emendamento Elia II.33.8 non mi pare introduca sostanziali elementi di novità.
MASSIMO VILLONE. La formulazione è diversa da quella del testo, perché restringe l'ambito dei regolamenti indipendenti, se capisco bene. È questo il senso, professor Elia?
LEOPOLDO ELIA. Sì. Anche questo lo restringe.
PRESIDENTE. Il testo della relatrice prevede che la legge possa autorizzare il Governo ad abrogare norme di leggi vigenti con regolamento e ad introdurre nuove disposizioni. Da questo punto di vista non mi sembra che l'emendamento II.33.8 introduca un diverso principio.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Credo che nel mio testo ci sia un istituto in più oltre a quello della delegificazione, vale a dire quello del regolamento indipendente. Anche senza una legge di delegificazione il Governo può intervenire a coprire spazi in ordine ai quali non eististe legislazione.
MASSIMO VILLONE. Fino a quando la legge non interviene. Credo sia preferibile...
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Non possiamo escluderlo (Commenti del deputato Calderisi). Per spazi non si intende materie...
PRESIDENTE. Però secondo il testo della relatrice queste norme possono essere abrogate con regolamenti, ma naturalmente il Governo deve essere autorizzato a farlo da una legge; non esclude la possibilità di abrogare norme di legge esistenti con regolamenti, ma occorre una legge autorizzativa. È questa la differenza. Poiché l'emendamento II.33.8 non mi pare proponga un principio diverso chiedo ai presentatori di ritirarlo; si tratta infatti solo di una diversa formulazione.
LEOPOLDO ELIA. Lo ritiriamo.
PRESIDENTE. Passiamo all'emendamento Elia II.33.7.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Mi sembra superfluo.
MASSIMO VILLONE. Qui è un po' diverso, perché si prevede una maggioranza qualificata; io sono favorevole al testo della relatrice, perché il procedimento mi sembra inutilmente aggravato.
PRESIDENTE. Chiedo ai presentatori dell'emendamento di ritirarlo.
LEOPOLDO ELIA. Sta bene, ritiriamo l'emendamento II.33.7.
PRESIDENTE. A questo punto, accantonate le norme che prevedono il sindacato di fronte alla Corte costituzionale, resterebbe il subemendamento Pellegrino II.0.33.12.1.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Chiedo al senatore Pellegrino, prima di esprimere il mio parere, se egli ritenga che la legge bicamerale, e quindi comunque non la Costituzione, possa prevedere una impugnazione costituzionale. Ho qualche dubbio, non vorrei che con questo subemendamento precludessimo proprio quella previsione qualificante.
GIOVANNI PELLEGRINO. Il mio subemendamento avrebbe più senso se cadesse l'ultimo comma; se l'ultimo comma restasse in piedi, ne potremmo fare a meno.
MARIDA DENTAMARO, Relatrice sul Parlamento e le fonti normative. Allora accantonerei il subemendamento, perché anch'io sarei d'accordo sul suo accoglimento se cadesse l'ultimo comma.
PRESIDENTE. La proposta del relatore Boato e della relatrice Dentamaro è di spostare tale questione in sede di garanzie.
Salvo le questioni accantonate, pongo in votazione l'articolo 33 così come emendato.
(È approvato).
Propongo di accantonare l'articolo 34, che riforma l'articolo 138. Credo che tale questione debba essere esaminata alla fine di tutto il nostro lavoro.
Passiamo all'articolo 35, relativo alla disposizione transitoria che stabilisce che i senatori a vita già nominati ai sensi dell'articolo 59 della vigente Costituzione conservino la carica.
A questo articolo è stato presentato l'emendamento Mussi II.35.1, che dispone che è nominato altresì senatore a vita il Presidente della Repubblica in carica al momento dell'entrata in vigore della presente legge costituzionale. Il senso è chiaro: il Presidente della Repubblica che sarà eletto successivamente all'entrata in vigore di questa Costituzione sarà eletto sulla base di criteri e principi diversi, mentre quello che è stato eletto nell'ambito della vigente Costituzione gode degli stessi diritti previsti nell'ambito della vigente Costituzione. La ratio della norma mi pare chiara.
Pongo in votazione l'emendamento Mussi II.35.1.
(È approvato).
Pongo in votazione l'articolo 35 così emendato.
(È approvato).
A questo punto abbiamo esaurito la materia concernente il Parlamento e le fonti normative.
Possiamo passare all'esame del testo e degli emendamenti (e subemendamenti) relativi alla forma di governo: propongo di iniziare subito, fare una pausa alle ore 20 e proseguire in seduta notturna dalle 21 alle 23. In alternativa, si può procedere fino alle 22 senza pausa; per me è la stessa cosa (anzi, preferisco questa seconda soluzione).
FRANCESCO SERVELLO. Presidente, ieri avevo preannunciato una mia dichiarazione di voto su tutta la materia relativa al bicameralismo e alle fonti normative. Ho predisposto il testo di questa dichiarazione che chiedo sia allegato al resoconto stenografico della seduta, per non far perdere ulteriore tempo.
PRESIDENTE. Il problema è questo: non c'è un voto finale su questa materia; noi abbiamo votato articolo per articolo, non sono previste dichiarazioni di voto perché non c'è un voto finale. Intanto la ringrazio, senatore Servello, per aver pensato ad una dichiarazione di voto scritta: considerati i tempi del nostro lavoro, è un'attenzione della quale la ringrazio. Tuttavia penso che lei potrà svolgere questa dichiarazione al momento del voto finale sul testo complessivo. Se lei intende esprimere una riserva su una parte del testo, lunedì prossimo, quando voteremo il testo nel suo complesso, potrà leggere o depositare la sua dichiarazione di voto.
FRANCESCO SERVELLO. Signor presidente, la ringrazio della precisazione, ma non avevo bisogno degli insegnamenti procedurali del collega Boato. Mi sono limitato a fare questa comunicazione in primo luogo perché l'avevo già preannunciata ieri ed in secondo luogo perché ne avevo parlato con lei in via informale; in terzo luogo, mi sono limitato negli interventi nel corso di questa giornata proprio in vista della dichiarazione finale. Tuttavia, poiché il collega Boato non la gradisce, gliela farò centellinata nel corso del tempo, così la capirà meglio senza leggerla.
MARCO BOATO. Ma è l'opposto, io gradivo ascoltarla.
PRESIDENTE. Il senatore Servello vuole esprimere una sua riserva su questa parte; ragionevolmente potrà farlo, in forma orale o scritta, quando arriveremo al voto finale. Credo che possiamo sospendere qui questa disputa, che mi pare non abbia ragione di proseguire.
Per quanto riguarda il prosieguo dei nostri lavori, se ho ben compreso, si preferisce procedere senza interruzione fino a circa le 21.30-22 (vedremo la tenuta della Commissione).
Passiamo dunque all'esame degli emendamenti, dei subemendamenti e degli articoli aggiuntivi presentati al testo relativo alla forma di governo (v. allegato Commissione bicamerale). Poiché il combinato disposto degli emendamenti del relatore configura un mutamento abbastanza sensibile del testo base (un mutamento, direi, che ha un carattere organico, non episodico), chiedo al relatore se non ritenga opportuno fornirne una breve illustrazione.
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. Non c'è dubbio, presidente.
Non riprenderò quanto abbiamo già avuto occasione di osservare, sia in sede di Comitato sia in sede di Commissione plenaria, in ordine al tema più generale della forma di governo ed in particolare della caratterizzazione della scelta, che può essere definita come una scelta di tipo semipresidenziale.
Mi limito a ricordare che in occasione del voto alternativo che si svolse in questa Commissione come relatore segnalai, con riferimento ad entrambi i modelli per i quali veniva chiesto il voto alternativo della Commissione, che le due bozze erano state entrambe predisposte dal relatore, dando maggior rilievo, per quanto riguarda la formulazione della bozza sul governo del premier, agli argomenti, alle proposte, ai suggerimenti venuti dai sostenitori di questa proposta, e per quanto riguarda il testo concernente il sistema semipresidenziale recependo in misura maggiore i suggerimenti e le proposte che venivano dai sostenitori di quel modello. In quella occasione dissi che avrei ritenuto giusto ed anche possibile lavorare poi sulla bozza che fosse stata prescelta ascoltando e recependo per quanto possibile,
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. La prima è che non esiste un unico modello di semipresidenzialismo. È fresco di stampa un volume di diversi studiosi dedicato specificamente al semipresidenzialismo, nel quale sono esaminati nove diversi sistemi costituzionali europei che sono ricondotti sotto questa etichetta e gli studiosi discutono su quali di questi sistemi siano riconducibili a questo modello e quali ne siano le varianti. Certamente il modello esemplare di questo sistema è quello francese, ma non è l'unico, ed anzi in quella direzione, quella cioè di combinare l'elezione diretta e popolare del Presidente della Repubblica con l'elezione da parte dei cittadini del Parlamento e della sua maggioranza, si sono mosse diverse delle più recenti Costituzioni europee, anche nei paesi dell'est europeo di recente arrivati alla democrazia.
Non c'è quindi una purezza ideologica di modello rispetto al quale sottrarre qualcosa. Occorre vedere come sciogliere i nodi che derivano dal fatto che con questo sistema il corpo elettorale, il sovrano, i cittadini hanno la possibilità di esprimersi con il voto in due occasioni. Una è quella nella quale con il loro voto eleggono il Presidente della Repubblica, l'altra è quella in cui con il loro voto eleggono il Parlamento, la maggioranza parlamentare e certamente - sia pure non nella forma giuridicamente rilevante alla quale si era pensato, ma si può pensare soltanto, nell'ambito del premierato - possono esprimere, se il sistema elettorale è costruito in questa direzione, una scelta di maggioranza ma anche un'indicazione di persona. Nessuno può dubitare che nelle recenti elezioni francesi, pur non essendoci alcuna indicazione formale del premier, la persona che, se avesse vinto la coalizione che poi ha prevalso, sarebbe stata chiamata a comporre il nuovo Governo aveva un nome e un cognome: infatti, quella persona è stata nominata poi dal Capo dello Stato.
La doppia legittimazione democratica è un fatto positivo in quanto si attribuiscono più poteri agli elettori. Credo che in una democrazia moderna questo non debba suscitare eccessi di preoccupazione; si pone però il problema di trovare un punto di equilibrio tra i due poteri che vengono così legittimati, evitando in particolare - per quanto riguarda la carica monocratica (cioè il Presidente della Repubblica) - un doppio rischio. Da una parte, quello di attribuirgli un eccesso di poteri che ne faccia un dominus isolato, senza adeguati riscontri, controlli e contrappesi democratici; dall'altra, di ingabbiarlo in una rete tale di impossibilità decisionali che, nel momento in cui la persona eletta viene investita dal consenso
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. In primo luogo si è cercato di risolvere il problema del rapporto tra la scadenza elettorale del Presidente della Repubblica e l'elezione del Parlamento. La non contestualità tra i due momenti elettorali è un tratto caratterizzante il modello, che credo vada confermato. Mi è sembrato che, per quanto riguarda la durata del mandato, la proposta di un termine di sei anni - avanzata in un emendamento del gruppo dei popolari e che tra l'altro è una delle proposte di riforma di cui si discute anche in riferimento al sistema francese - sia valida. Si tratta di coordinarla (risolvendo il problema che comunque può presentarsi, dopo il momento di inizio del nuovo sistema, nell'ipotesi che si addivenga prima o poi allo scioglimento anticipato della Camera dei deputati) in base al principio che va evitata la contestualità e la vicinanza delle due elezioni e, nel caso di coincidenza nel medesimo periodo temporale
PRESIDENTE. Credo che il relatore abbia illustrato la ratio degli emendamenti che ha predisposto. Prima di procedere all'esame degli emendamenti, vorrei far presente che naturalmente abbiamo anche raccolto subemendamenti al testo del relatore e che vi è la facoltà di trasformare in subemendamenti anche emendamenti presentati al testo B.
Vorrei ora sollevare una questione in qualche modo preliminare, perché alcuni colleghi hanno ripresentato soluzioni alternative globali - e si tratta naturalmente delle proposte più lontane dal testo - rispetto alla proposta che è risultata prevalente nel voto sul testo base. Peraltro, siamo in sede referente, una sede in cui questo è a mio giudizio consentito.
Tuttavia, ho posto - lo dico anche ufficialmente ai presentatori di questi emendamenti e ripropongo tale possibilità - l'ipotesi che questi emendamenti vengano accantonati, nel senso che, anziché una votazione in cui in sostanza la Commissione venga chiamata di nuovo ad esprimersi su semipresidenzialismo o premierato, tale questione possa eventualmente essere vista alla fine, compiendo innanzitutto quello sforzo di elaborazione dell'ipotesi semipresidenziale al quale ci eravamo impegnati dopo l'adozione del testo base. Adesso in qualche modo sarebbe la ripetizione di un voto pregiudiziale, che la Commissione ha già dato.
Quindi, vorrei domandare se i presentatori di questi emendamenti, in particolare gli onorevoli Pieroni e Boato e l'onorevole Cossutta insieme con gli altri parlamentari di rifondazione comunista, accedano a quest'ipotesi di accantonamento, che ovviamente non significa soppressione.
MAURIZIO PIERONI. Accedo molto volentieri a quest'ipotesi sperando che l'accantonamento non serva per non votare successivamente.
MARCO BOATO. L'avevamo anche ipotizzato in ufficio di presidenza.
PRESIDENTE. Sì, l'avevamo ipotizzato, ma non si può decidere in modo autoritativo.
ARMANDO COSSUTTA. Ho ascoltato il suo invito, presidente, e la ringrazio anche perché ha voluto gentilmente parlarmene ancora prima di esporre pubblicamente queste sue considerazioni; come le ho detto, a differenza del collega che mi ha preceduto, insieme con i rappresentanti di rifondazione comunista, confermo la richiesta di sottoporre a votazione il primo dei nostri emendamenti, che chiede di annullare nel suo insieme il progetto che viene presentato dal senatore Salvi e ciò per la semplice ragione che siamo talmente convinti della forza dei nostri argomenti, della ragione, della validità delle nostre opinioni da sperare di poter indurre la Commissione a condividere la nostra valutazione e quindi ad iniziare una discussione di tutt'altra natura, o che per lo meno si sviluppi su un diverso binario.
Non abbiamo dato un voto preliminare, come lei ricorderà, presidente, ma abbiamo espresso semplicemente una preferenza tra il testo A ed il testo B come testo base da assumere per la discussione quando, in quella famosa seduta, vi fu «l'incursione corsara» dei parlamentari della lega che, a quanto vedo da qualche agenzia, sarebbero pronti a tornare in quest'aula per sostenere non ho ben compreso quale tesi a proposito della legge elettorale, di cui successivamente si dovrà parlare.
Per tutte queste ragioni, cioè per la convinzione che abbiamo della forza delle nostre argomentazioni, confermiamo il nostro orientamento. Peraltro, avrebbe un valore del tutto simbolico il fatto che alla fine, dopo aver discusso del testo Salvi ed aver assistito o partecipato alla discussione ed alla votazione dei subemendamenti comunque corrispondenti alla concezione del semipresidenzialismo, chiedessimo di votare i nostri emendamenti. Piuttosto, alla fine voteremmo contro e la nostra diventerebbe una dichiarazione di voto, di principio, che certamente può avere anche il suo valore, ma non ha neppure teoricamente un valore incidente nel dibattito. Confido viceversa che i nostri argomenti possano risultare utili per indurre la Commissione ad accettare di discutere non di presidenzialismo ma di neoparlamentarismo e, quando lei me lo consentirà, illustrerò quest'emendamento.
MAURIZIO PIERONI. Ho bisogno di un chiarimento dalla presidenza: avendo acceduto alla richiesta di accantonamento, che considero una richiesta saggia, le faccio osservare, presidente, che sia per quanto riguarda il merito degli emendamenti a firma Pieroni e Boato alternativi al testo B sia per quanto concerne la loro disposizione formale (a differenza di quelli a firma Cossutta ed altri, non sono soppressivi o sostitutivi del primo articolo, ma sono distribuiti ordinatamente articolo per articolo), tali emendamenti sono molto diversi da quelli dei colleghi di rifondazione; pertanto, non vorrei trovarmi nella condizione di accedere a questa richiesta di accantonamento e dover poi richiedere il voto in fase successiva. Spero davvero dal punto di vista politico che questo non sia necessario, anzi, mi auguro che mi si eviti nella
PRESIDENTE. Indubbiamente la mia proposta (che tuttavia non è stata accolta, per cui ora procederemo), era di porre in votazione l'ipotesi neoparlamentare, di governo del Primo ministro in alternativa al testo sul semipresidenzialismo non come testo base, ma alla fine come residuerà; a quel punto, i presentatori avrebbero potuto decidere se mantenere o meno l'ipotesi alternativa e, in caso affermativo, essa sarebbe stata votata. Mi sembrava una procedura più coerente con l'orientamento che avevamo assunto qui al momento del voto sul testo base, che cioè una volta adottato un testo base, avremmo lavorato su di esso, salvo poi riservarsi alla fine la possibilità di presentare ipotesi alternative. Se invece quest'ipotesi viene votata pregiudizialmente, in sostanza non lavoriamo sul testo base perché, qualora venisse adottata l'ipotesi alternativa, il testo base verrebbe cambiato prima di cominciare. Comunque, siccome non posso stabilire io le regole, le regole sono stabilite, porrei in votazione non l'emendamento soppressivo ma quello interamente sostitutivo dell'articolo 1.
MARCO BOATO. Presidente, il collega Pieroni le chiedeva però la conferma del fatto che non potesse poi scattare una preclusione.
PRESIDENTE. No, è chiaro, non c'è preclusione.
FABIO MUSSI. Poiché su iniziativa del presidente stiamo discutendo dell'ordine delle votazioni, ho anch'io da avanzare una richiesta. Chiedo cioè che si anticipi il voto sull'ultimo emendamento del fascicolo, recante l'introduzione di un articolo aggiuntivo 12-bis in cui si costituzionalizza un principio di legge elettorale.
Noi pensiamo che, sotto il profilo del sistema, ad un Presidente forte debba corrispondere un Parlamento forte, cioè innervato dalla chiara formazione di una maggioranza parlamentare. Per questa ragione faremo dipendere il nostro atteggiamento verso le questioni relative al Presidente dal risultato di questo voto; chiedo pertanto che la votazione di tale emendamento venga posta in testa piuttosto che in coda ai nostri lavori.
PRESIDENTE. Un'inversione dell'ordine del giorno è certamente possibile, in seguito ad una deliberazione della Commissione. Non posso deciderlo io, la Commissione decide in tal senso. In ogni caso, la proposta avanzata dall'onorevole Mussi è successiva.
Passiamo all'esame dell'emendamento Armando Cossutta IV.1.44 interamente sostitutivo dell'articolato, che ripropone l'ipotesi neoparlamentare.
ARMANDO COSSUTTA. Insistiamo nel presentare questo nostro progetto, anche dopo aver esaminato e riflettuto con molta attenzione sulle modifiche al testo presentate dal collega Salvi.
Debbo confermare quanto ho già avuto modo di dire a lui stesso e ad altri: senza dubbio, con queste correzioni la soluzione di tipo semipresidenziale viene in qualche modo addolcita rispetto alla formulazione contenuta nel documento iniziale, sulla quale si espresse quel noto voto di preferenza di cui ho già parlato; tuttavia l'insieme della proposta Salvi deve essere valutato in termini reali, in quanto si affida ad un Presidente eletto direttamente dai cittadini un potere politico molto grande, molto forte. Tal potere si manifesta tra l'altro anche nelle indicazioni che, per quanto abbia tentato di addolcire, il collega Salvi ci ha qui illustrato e ci ha fatto conoscere attraverso il testo e le sue correzioni, fino appunto al potere fondamentale di scioglimento del Parlamento o, come egli dice secondo una
PAOLO ARMAROLI. Più che svolgere un intervento, presidente, vorrei chiedere un chiarimento di carattere procedurale. Quando ci siamo espressi con un voto solenne sul testo A o B del relatore Salvi, lei ci ha detto che con quella votazione non avremmo adottato solo un testo base ma, con una procedura adatta alle circostanze, avremmo espresso un voto di principio a favore di uno dei due modelli con la conseguenza giuridica, oltre che politica, che dopo la votazione, quale che fosse il modello risultato maggioritario, tutti ci saremmo sforzati per migliorare questo modello.
Se è così, signor presidente, credo che gli emendamenti completamente soppressivi non dovrebbero essere considerati ammissibili, e non dovrebbero esserlo nemmeno quelli formalmente sostitutivi ma sostanzialmente soppressivi di tutto il testo base.
L'emendamento IV.1.43, illustrato con grande passione dall'onorevole Cossutta, è formalmente ineccepibile perché propone di sostituire l'aticolo 1, ma alla fine propone di sopprimere gli articoli da 2 a 12, quindi è integralmente soppressivo. Le chiedo se sia ammissibile un emendamento integralmente soppressivo del testo base.
PRESIDENTE. L'emendamento è integralmente sostitutivo e ripropone il modello parlamentare. Quando adottammo il testo base, con una procedura particolare perché facemmo una votazione alternativa, dichiarammo che questo non era preclusivo della possibilità di riproporre il modello battuto. Ritengo che la scelta operata da rifondazione comunista non tenga conto della necessità politica di impegnarci innanzitutto sul modello che ha prevalso, salvo riservarsi in conclusione la possibilità di intervenire. Tuttavia questo è stato affidato ad una libera valutazione dell'onorevole Cossutta e degli altri colleghi che, per ragioni ideali politiche, hanno ritenuto di dover proporre pregiudizialmente un voto su questa questione.
Non credo quindi di poter opporre un giudizio di inammissibilità anche perché, in una sede referente come questa, vi è un alto grado di informalità ed è possibile tornare a votare anche su questioni sulle quali si è già votato; non siamo sottoposti alla procedura rigida di un voto d'aula dove non si può tornare a votare su un principio sul quale si è già votato. La questione è affidata ad una valutazione di opportunità politica, come tale è stata proposta, tuttavia si è chiesto di discutere e votare e adesso discutiamo e votiamo. Naturalmente i gruppi si comporteranno tenendo conto anche delle ragioni di opportunità politica.
Per quanto mi riguarda, per esempio, pur avendo sostenuto il premierato, penso che se un voto in questo momento rovesciasse il voto già espresso in precedenza dalla Commissione verrebbe meno l'impegno politico, al quale personalmente mi sento vincolato, di discutere del testo base che la Commissione ha adottato. In questo caso credo che il voto, persino a prescindere dal contenuto della proposta, debba essere coerente con quell'impegno politico.
MAURIZIO PIERONI. Come lei e i colleghi ben sanno, abbiamo sostenuto con altrettanta determinazione la formula del premierato, riteniamo però di dover prendere atto che sussistono in questa Commissione le condizioni politiche perché la Commissione possa concludere positivamente i suoi lavori, accettando il
GIOVANNI RUSSO. Signor presidente, ho anch'io la profonda e radicata convinzione che la soluzione semipresidenzialista verso la quale la Commissione è avviata non sia positiva per il nostro paese: non lo è sotto il profilo della crescita democratica, che deve essere affidata al rafforzamento degli istituti di rappresentanza e di partecipazione dei cittadini; non lo è neppure dal punto di vista della soluzione dei problemi ai quali vogliamo porre rimedio. Credo che questa soluzione aprirà più problemi di quanti ne risolva, anche se do atto al relatore Salvi di aver compiuto un notevole sforzo per disegnare questa forma di governo nel senso che risulti più adeguato alla soluzione italiana.
In virtù di questa mia profonda convinzione, anche se comprendo le ragioni politiche che lei, signor presidente, ha espresso, ritengo di dover annunciare il mio voto favorevole all'emendamento proposto e annunciato dal collega Cossutta.
FABIO MUSSI. Confermo brevemente la posizione già assunta e più volte ribadita dal gruppo della sinistra democratica, che coincide con quella del relatore. Avevamo votato per il modello del governo del premier eletto insieme alla sua maggioranza, ma fin dall'inizio abbiamo dichiarato un interesse e un apprezzamento anche per la soluzione semipresidenzialista, una soluzione che sta nel quadro delle grandi democrazie moderne. Naturalmente ci sono tanti dubbi che possono essere affacciati, ma non ce la sentiamo di condividere le valutazioni così radicalmente negative su questa forma istituzionale qui riproposte dal collega Cossutta.
Aggiungo che c'eravamo già impegnati a lavorare attivamente e positivamente sul modello che fosse prevalso nella scelta dei testi base ed è quello che ci accingiamo a fare. Per questa ragione voteremo contro l'emendamento integralmente sostitutivo presentato da rifondazione comunista.
FAMIANO CRUCIANELLI. Avrei preferito che questa discussione e questo voto si proponessero alla fine del dibattito e non solo per ragioni di opportunità; sono convinto che questo dibattito probabilmente avrebbe fornito ulteriori argomenti oltre a quelli portati dall'onorevole Cossutta a favore del premierato. Ormai, però, questa discussione si è aperta.
Ho già ribadito in discussione generale tutte le mie ragioni di contrarietà rispetto al modello semipresidenziale, rinvio pertanto ad essa; però, nel momento in cui viene chiesto questo voto, questo atto di volontà politica o di testimonianza (come testimonianza politica sarà il voto che esprimeremo sull'emendamento Pieroni alla fine di questo dibattito) non posso non esprimerlo. Desidero perciò annunciare il mio voto favorevole all'emendamento che propone di sostituire interamente lo schema presentato dal senatore Salvi, anche se voglio aggiungere che si propongono modifiche di qualche rilievo al modello originario.
PRESIDENTE. Pongo in votazione l'emendamento Armando Cossutta IV.1.43 interamente sostitutivo del testo proposto dal relatore.
(È respinto).
ARMANDO COSSUTTA. È la numerazione che non coincide. Non so come mai.
PRESIDENTE. Comunque, lei ricorda di aver presentato due emendamenti sostitutivi quasi identici?
ARMANDO COSSUTTA. Sì.
PRESIDENTE. La pregherei di ritirare il secondo, per non ripetere il voto.
ARMANDO COSSUTTA. D'accordo.
PRESIDENTE. La ringrazio. L'emendamento Pieroni e Boato IV.1.1 è accantonato.
ETTORE ANTONIO ROTELLI. Signor presidente, abbiamo appena votato, respingendolo, un emendamento rispetto al quale l'emendamento Pieroni e Boato IV.1.1 è esattamente identico, almeno nei commi iniziali. Quindi, accantonare questo emendamento vuol dire che a un certo momento potrà essere posto in votazione, nonostante i primi setti commi siano identici a quelli dell'emendamento che abbiamo già respinto.
PRESIDENTE. Questo emendamento non è del tutto identico a quello che abbiamo respinto, perché quest'ultimo si riferiva a 12 articoli, mentre l'emendamento Pieroni e Boato è riferito solo all'articolo 1. Comunque, siccome la decisione politica di accantonarlo non significa che necessariamente torneremo a votarlo, nel momento in cui ciò fosse richiesto lei avanzerà le sue obiezioni. Il senatore Pieroni non ha chiesto che sia votato, ha accettato un'ipotesi di accantonamento ed ha anche detto che si augura, alla fine, di non chiedere neanche il voto. Quindi, non aprirei una disputa parlamentare sull'ipotesi che alla fine il senatore Pieroni chieda il voto. Con tanti problemi che abbiamo!
ETTORE ANTONIO ROTELLI. Signor presidente, però la pregherei solo di considerare la condizione in cui è messa la Commissione.
MARCO BOATO. Vorrei solo ricordare al collega Rotelli, che non facendo parte dell'ufficio di presidenza non lo può sapere, che quando si era col velo d'ignoranza su quale dei due modelli prevalesse - quindi non si sapeva se avrebbe prevalso il premierato o il Presidente della Repubblica - il collega Nania, con il consenso di tutto l'ufficio di presidenza, chiese che nell'ipotesi che prevalesse l'uno o l'altro il modello soccombente potesse essere riproposto, non subito rivotato, accantonato e, eventualmente, rivotato alla fine qualora non si considerasse soddisfacente il lavoro fatto sul modello vincente.
In questa fase, stiamo applicando esattamente il lodo Nania sul quale abbiamo tutti convenuto in ufficio di presidenza.
PRESIDENTE. Prima di passare all'esame dell'articolo 1 del relatore vi è la proposta procedurale avanzata dall'onorevole Mussi, il quale chiede di anticipare la votazione sul suo articolo aggiuntivo IV.12.03. Su questa proposta, do la parola ad un oratore a favore e ad uno contro.
STEFANO PASSIGLI. Signor presidente, prima che dia la parola ad un oratore a favore e ad uno contro, volevo ricordare che quando si trattò del Parlamento un mio emendamento di analoga portata fu accantonato, e in questa sede io non l'ho ripresentato...
PRESIDENTE. Si disse che ne avremmo discusso quando saremmo passati alla forma di governo.
PRESIDENTE. Siccome tale questione ha carattere di sostanza politica, mi rimetterò alla decisione della Commissione.
STEFANO PASSIGLI. D'accordo.
PRESIDENTE. Il gruppo della sinistra democratica fa discendere dall'adozione o meno del sistema maggioritario a doppio turno uninominale come prevalente anche il suo giudizio su talune questioni relative ai poteri presidenziali. La richiesta è legittima. Tuttavia, vi sono altri gruppi che possono avere opinioni completamente diverse. Quindi, mi rimetto alle decisioni della Commissione.
Hanno chiesto di parlare a favore l'onorevole Occhetto e contro l'onorevole Urbani ed il senatore Pieroni.
ARMANDO COSSUTTA. Signor presidente, vorrei chiedere un chiarimento. Non ho obiezioni di fondo, però perché su questo emendamento possono intervenire un oratore a favore ed uno contro mentre finora così non è stato?
PRESIDENTE. No, si tratta di una questione esclusivamente procedurale attinente alla proposta di anticipare la discussione.
ACHILLE OCCHETTO. Voglio argomentare perché voto a favore. Non sono sicuro che la motivazione del mio voto favorevole sia la stessa che ha indotto l'onorevole Mussi ad avanzare questa proposta...
PRESIDENTE. Comunque, l'onorevole Mussi si accontenta che la sua argomentazione sia convincente.
ACHILLE OCCHETTO. Lo vediamo alla fine.
Il senatore Villone, con un'espressione che io ho considerato molto felice, ha dichiarato, ad un certo punto, che il nostro processo di formazione istituzionale non deve essere considerato una sorta di percorso di guerra, un campo minato, e riferiva questa sua considerazione ad un particolare articolo.
Ritengo che una tale espressione si addica, più in generale, al processo di formazione complessivo che stiamo dando ai nostri lavori. Infatti, noi abbiamo lavorato senza un disegno controllabile, e ciò si è visto nel rapporto tra i problemi che riguardavano la forma di Stato e il Parlamento, dando vita a una costruzione traballante non rispondendo ad alcuni problemi di valore estremamente importante. Ma direi anche che l'icastica verità dell'espressione del senatore Villone vale nell'insieme per il nostro lavoro. Mi spiego: in questo momento in Italia c'è un dibattito estremamente esagerato da una parte e dall'altra - direi iconoclastico furore nei confronti degli accordi che sarebbero stati compiuti al di fuori di questa Commissione - a cui si accompagna un'encomiastica esaltazione del valore generale del compromesso.
Non sono contrario ai compromessi ma ascolto con un certo fastidio chi ci vuole insegnare la politica, quasi fossimo in una rumorosa assemblea del sessantotto. Tutti noi abbiamo fatto politica, tutti noi sappiamo che il compromesso è un aspetto della politica. Però bisogna sapere in quale disegno il compromesso viene inserito e bisogna anche non essere condotti punto per punto, portati per mano, e con certo capriccio, verso esiti che potrebbero essere paludosi.
Voglio fare un esempio per spiegare perché sono d'accordo con la proposta del senatore Passigli. Io posso aderire su un determinato aspetto di un compromesso se so in anticipo che su altri aspetti si mantiene ferma una determinata posizione. Ma non si può procedere a testa bassa, come se fossimo in una legge ordinaria, articolo per articolo, emendamento per emendamento senza aver chiara la coerenza tra le diverse parti dell'edificio istituzionale, cioè senza controllare il disegno complessivo. Faccio
GIULIANO URBANI. Vorrei invece chiedere all'onorevole Mussi di ritirare la sua richiesta perché, pur avendo ascoltato con grande attenzione le motivazioni addotte dal collega Occhetto, confesso che resto dell'opinione inversa, cioè che sia la forma di governo la prima scelta che dobbiamo compiere e che soltanto avendo compiuto la scelta a favore della forma di governo diventi poi possibile e conseguente scegliere il sistema elettorale più adatto per realizzarla. Si tratta di sapere attraverso quale metodo scegliamo chi e che cosa fa. Sarebbe veramente strano
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. È già uscita: non mi assumo la responsabilità, è in tutte le librerie!
GIULIANO URBANI. Comunque, la faccio mia perché ho già letto il libro...
CESARE SALVI, Relatore sulla forma di governo. Credo anzi che dovrai presentarla in una tavola rotonda, se non ho letto male un invito.
GIULIANO URBANI. Posso solo dire al collega Occhetto che di sistemi elettorali a doppio turno che partano dalla formulazione contenuta nell'emendamento Mussi ne potremmo considerare almeno sette, o forse otto o nove. Quindi, le incognite restano molto numerose e mi sembrerebbe strano partire dal tentativo di chiarirle attraverso una riflessione sulla legge elettorale, considerato che quest'ultima, anche da un punto di vista temporale, verrà dopo e non prima della modifica costituzionale.
Tutto ciò premesso, mi permetto di insistere nella richiesta rivolta al collega Mussi di ritirare la sua proposta di inversione.
PRESIDENTE. Credo che la richiesta non si possa ritirare e che si debba passare alla votazione.
Pongo in votazione la proposta di inversione dell'ordine di votazione avanzata dal collega Mussi.
(È approvata).
Dobbiamo ora procedere preliminarmente all'esame dell'articolo aggiuntivo Mussi IV.12.03, che prevede di costituzionalizzare non una legge elettorale, ma il principio secondo cui la legge elettorale deve essere prevalentemente maggioritaria uninominale a doppio turno, ossia la maggioranza dei seggi deve essere assegnata sulla base di questo principio.
NATALE D'AMICO. Vorrei ricordarle, presidente, che c'è anche il mio emendamento II.2.4 riferito al testo sul Parlamento (il mio emendamento «salvareferendum»), che era stato accantonato e che a questo punto immagino segua lo stesso percorso.
PRESIDENTE. Senza dubbio. L'emendamento prevede che il 75 per cento dei seggi sia assegnato con il sistema maggioritario uninominale; per affinità di materia, esso sarà discusso adesso.
Chiedo ora la parola per illustrare l'emendamento Mussi IV.12.3, in quanto membro del gruppo della sinistra democratica: se il gruppo di cui faccio parte mi concede questo onore, vorrei illustrare brevemente l'emendamento. Penso che non vi sia nulla di scandaloso: non è un fatto rissoso (Commenti).
Siccome mi si chiede di non farlo dal banco della presidenza, invito il senatore Elia sostituirmi e mi permetto di illustrare pacatamente il senso di questo emendamento.
PRESIDENTE. La parola all'onorevole D'Alema.
MASSIMO D'ALEMA. Credo che si debba discutere serenamente di tale questione. Vi chiedo scusa, ma ritengo che questo sia un passaggio di grande importanza politica ai fini del lavoro che ci è stato assegnato.
MAURIZIO PIERONI. Ringrazio il presidente (ci si può riferire a lui con questo appellativo anche quando interviene da altro banco) per aver posto con estrema chiarezza una questione. Egli ha infatti sottolineato che un semipresidenzialismo ispirato al modello francese non può prescindere da una legge elettorale di questo tipo.
MAURIZIO PIERONI. Proprio questa è la fondamentale motivazione di merito del voto contrario dei verdi sull'articolo aggiuntivo in esame. Noi non potremo mai accettare un semipresidenzialismo che si ispiri al modello francese e riteniamo di non essere i soli a considerarlo inaccettabile. Mettere in campo questa ipotesi significa, secondo noi, precludere ogni via di possibile intesa e di positiva conclusione dei lavori della Commissione.
È noto che siamo a favore, invece, del sistema del doppio turno di coalizione. Non mi dilungherò nel delineare argomentazioni complesse, voglio solo sottolineare che problemi come la composizione delle alleanze, la rissosità, la coesione delle maggioranze non possono essere visti - con atteggiamento salvifico - contrapponendo un modello fortemente aggregativo, fino al limite del bipartitismo, ad un modello teso alla composizione delle coalizioni. Io sono fondamentalmente e soggettivamente convinto - al di là della mia militanza politica - che la coesione programmatica sia l'unica seria, vera garanzia della coesione delle maggioranze. Per quanto riguarda la rissosità, poi, il contrattualismo esasperato, la rincorsa ai posti (come qualcuno ama dire con ruvida ma sincera espressione), tutti questi fenomeni si verificano con altrettanta tensione in un contesto di rapporto fra partiti così come all'interno dei singoli partiti. Con
NATALE D'AMICO. Signor presidente, ho ripercorso l'avvio della discussione generale in Commissione ed ho verificato che nell'opinione di molti componenti - della quasi generalità di essi - uno degli obiettivi che avremmo dovuto raggiungere con la riforma era la semplificazione della sovrastruttura partitica in Italia: troppi partiti, si diceva da più parti, coalizioni troppo poco omogenee. Si immaginava allora che uno degli obiettivi complessivi del processo di riforma dovesse essere proprio la semplificazione della struttura partitica italiana. Da molte parti si diceva che uno dei rimedi a questo problema sarebbe stato offerto da un'evoluzione della legge elettorale in senso più estesamente maggioritario o, comunque, dalla predisposizione di un sistema elettorale che agisse nella direzione di ridurre il numero dei partiti e di favorire la realizzazione di coalizioni più efficienti.
Oggi, paradossalmente, abbiamo rovesciato l'assunto. Si parte - se ho capito bene - esattamente dal presupposto contrario: abbiamo troppi partiti e quindi non ci possiamo permettere una legge maggioritaria. L'assunto di partenza era il seguente: abbiamo bisogno di un sistema elettorale più estesamente maggioritario per ridurre il numero dei partiti. Oggi l'abbiamo rovesciato e ci rassegniamo a
PRESIDENTE. Dopo che la discussione sarà esaurita porrei in votazione gli emendamenti relativi alla costituzionalizzazione dei principi della legge elettorale e poi aggiornerei la seduta. Ritengo però sia bene procedere stasera a tale votazione, in modo che domani abbiamo un'idea generale.
DOMENICO NANIA. Signor presidente, rinuncio ad intervenire.
GIULIANO URBANI. Signor presidente, lei ha illustrato l'emendamento facendo ricorso ad argomentazioni di ampio respiro, quale la prospettiva di semplificare la rappresentanza politica italiana in maniera da rendere più facile la produzione di politiche pubbliche in grado di rispondere più direttamente agli interessi generali del nostro paese.
Naturalmente non posso non essere d'accordo con le sue argomentazioni, che ho definito di ampio respiro, per la semplice ragione che ha fatto riferimento - l'ha fatto incidentalmente, citando se stesso - ad una letteratura che (lei è più giovane di me) la precede, alla quale molti di noi hanno concorso, con varie opere e vari studi; sarebbe quindi strano se io non mi trovassi particolarmente d'accordo con le cose che abbiamo contribuito a scrivere. Però le argomentazioni - ripeto - di ampio respiro che lei ha usato sono state anche addotte a sostegno di tre righe che di respiro ne hanno meno, le quali recitano: «La maggioranza dei seggi della Camera dei deputati è assegnata con il sistema del doppio turno maggioritario uninominale».
Signor presidente, devo ricordarle che adesso dobbiamo pronunciarci non a favore o contro le argomentazioni che lei opportunamente ha ricordato, ma a favore o contro la costituzionalizzazione di queste tre righe. Ebbene, nel momento in cui procediamo a valutare queste tre righe temo che incontriamo due obiezioni che mi inducono ad avere un atteggiamento contrario alla loro costituzionalizzazione, per ragioni che possono essere facilmente sintetizzate.
VALDO SPINI. Non intendo ripetere cose già dette. Vorrei richiamare l'attenzione dei colleghi su un dato che forse è interessante e che rafforza l'intenzione di votare questo emendamento. Ad un certo punto nel Comitato forma di governo abbiamo invitato a deporre due campioni delle due tesi che si sono fronteggiate, il professor Sartori per il semipresidenzialismo ed il professor Cheli per il premierato. Credo che non sia ultroneo ricordare che ambedue si sono pronunciati per il doppio turno, considerando, nella diversità delle ipotesi che proponevano, che la riforma istituzionale italiana doveva procedere sia dall'alto che dal basso e che procedere dal basso significava un procedimento di omogeneizzazione, di concentrazione delle formazioni politiche che doveva appunto muoversi secondo il doppio turno. Per i curiosi del nostro dibattito, rimando alla pagina 432 dei nostri atti, in cui il professor Cheli parla appunto dell'introduzione del doppio turno, si dichiara disponibile all'ipotesi Sartori della quadriglia, salvo rinuncia, oppure anche all'introduzione di una soglia.
Lo voglio ricordare per dire che forse questo è veramente il nodo dei nostri lavor; forse oggi siamo arrivati al nodo più delicato, al nervo più delicato, che comporta poi due riflessioni. La prima è che anche se fosse prevalso il premierato ci saremmo trovati sul doppio turno allo stesso incaglio. La seconda - ed è molto forte - riguarda veramente il grado di contraddizione in cui cade chi nega l'importanza di questo emendamento. Ha detto il professor Urbani, dall'alto della sua dottrina: perché prima andare ad esaminare i meccanismi elettorali delle varie istituzioni e poi quali poteri possano esercitare? Forse anche proprio per il motivo che diceva il professor Cheli: in questo processo di riforma c'è un peso decisivo e pregiudiziale della legge elettorale.
Credo quindi che da questo punto di vista, se non dovesse passare questo emendamento oppure nel prosieguo (perché può essere anche legge ordinaria, penso che il tema verrà ripresentato), dovremmo trarre la seguente amara conclusione. In fondo nel paese si può trangugiare l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, che sembrava una cosa inaccettabile da parte di molti, si possono trangugiare i premi di maggioranza, che a molti, come me, per esempio, stanno abbastanza indigesti, ma una cosa non si può fare: ridurre il numero dei partiti a un numero ragionevole. Sembrerebbe quasi di dover determinare che su questo punto non siamo in grado di procedere.
Vorrei brevemente accennare a due tipi di ragionamento che intendo confutare. Il primo è che si possa già oggi determinare quali esiti dà il doppio turno. Ricordo che quando facemmo la legge elettorale che si intitola all'onorevole Mattarella, la soglia del 4 per cento fu disegnata in rapporto a forze politiche che oggi hanno una geografia quantitativa del tutto cambiata; fu fatta per preservare talune forze politiche che oggi sono andate molto al di là, mentre per esempio una forza politica che mi era cara e consuetudinaria mai avrebbe pensato che la soglia del 4 per cento non l'avrebbe raggiunta. In Francia il doppio turno ha consentito una rinascita di un partito come il partito socialista francese, che era andato a sfiorare il 5 per cento. Ragion per cui questi discorsi che a bocce ferme dicono «il doppio turno darebbe sicuramente questo risultato, quest'altro» e così via non mi convincono, ma non mi convincono sulla base dell'esperienza.
Per quanto riguarda il secondo aspetto credo che, come è stato giustamente affermato, proprio il doppio turno potrebbe essere un incentivo alla modificazione e alla riforma delle forze politiche, alla loro ristrutturazione, alla loro europeizzazione, mentre l'introduzione, anzi la reintroduzione, il reingresso di quella signora che si chiama coalizione sicuramente non è un incentivo per le forze politiche alla ri
PIER FERDINANDO CASINI. Proprio rifacendomi alla coerenza su cui chiudeva le sue note l'onorevole Spini, debbo dire che per noi parlare di doppio turno è
FAUSTO BERTINOTTI. Se si potesse scherzare su argomenti così seri verrebbe da dire che se dobbiamo proprio prenderci il contenitore politico francese, prendiamoci anche il contenuto: dovendo fare un'operazione, sciogliamo la Repubblica italiana nella Repubblica francese, così almeno ci prendiamo il Governo delle sinistre!
Fuori dalle battute, invece, capisco che c'è una differenza di programma e di schieramenti: lo so persino io. C'è in realtà in questa discussione un elemento che invece va preso davvero seriamente. Nell'intervento dell'onorevole D'Alema - al di là della realizzabilità della proposta avanzata - c'è un approccio politico-culturale che secondo me merita, in una sede come questa, di essere discusso seriamente, seppure con il carattere succinto che ci è richiesto.
Anche se sulla legge elettorale - come è stato detto dal presidente della Commissione - c'è sostanzialmente un'intesa, perseguita e prossima ad essere raggiunta, ciò non rende inutile e pretestuosa questa discussione. Penso insomma che anche le discussioni e le istanze di bandiera non solo siano legittime ma è anche giusto che vengano riconosciute. Senonché penso che la bandiera che qui ci è presentata è cattiva.
Al di là dell'ipotesi già in sé pericolosa di inserire nella Costituzione un dispositivo elettorale, si tratta di una soluzione che a noi sembra assai criticabile. La soluzione che viene proposta infatti, attraverso il sistema elettorale enfatizza ulteriormente il carattere forte, e nel mio linguaggio, neoautoritario della soluzione presidenzialista.
La prima critica che mi sento di fare a questa ipotesi elettorale è proprio la sua finalizzazione, cioè una dotazione di poteri ancora più consistenti di quelli che già qui Armando Cossutta veniva criticando nell'intervento precedente. La combinazione della soluzione presidenziale con un sistema elettorale modellato per perseguire questo obiettivo determina, credo, un elemento di forte preoccupazione rispetto alla possibilità, specie in una fase come questa (così turbolenta e difficile di transizione, di grandi cambiamenti economici, sociali, produttivi), di realizzare reali processi di partecipazione già tanto difficili da perseguire.
Possibile che non dica niente il fatto che non i vinti ma molti dei vincitori più autorevoli in quel sistema elettorale e politico abbiano continuato a mantenere una riserva, un'opposizione ed una critica forti al sistema stesso? Possibile che non dica nulla che nove candidati su undici alla recente competizione presidenziale abbiano criticato in radice quel sistema elettorale? A me pare che proponendo quel sistema non si veda che alcune delle malattie che stanno attraversando la politica contemporanea rischiano di essere esaltate. C'è - e la viviamo tutti faticosamente - una propensione leaderistica nelle società contemporanee che si combina con processi duri di passivizzazione delle masse.
Come si fa a non vedere che la combinazione fra il presidenzialismo ed un sistema elettorale così funzionale a quello spinge in questa direzione ed ha una forte accentuazione del tratto della persona sull'assetto delle forme politiche organizzate in elementi partecipativi? E come si fa a non vedere che la semplificazione forzosa del sistema della rappresentanza costituisce anche qui un rischio ulteriore, per altro per il motivo che è sia
GIORGIO REBUFFA. Vorrei iniziare un breve intervento con la valutazione del discorso che ella, presidente, ha fatto, e che ho trovato apprezzabile, di prospettiva, di respiro. Alcuni aspetti li condivido, altri li condivido meno.
Mi consenta di dirle con la sincerità che vorrei usare anche in questi rapporti che forse, se questo discorso di prospettiva fosse stato fatto in altra data, il processo politico che ci troviamo ad affrontare oggi avrebbe preso un corso diverso.
Giacché ne ho l'occasione devo dire che apprezzo anche quanto è avvenuto dopo il voto del 4 giugno: nonostante le tentazioni ed alcuni sorprendenti dichiarazioni quel voto è stato mantenuto, sulla base del principio di minima democrazia per cui un voto è un voto.
Espongo gli elementi che ho apprezzato nel suo discorso, rappresentati dal fatto che la prospettiva di una costruzione di un sistema elettorale cui andiamo incontro non è in grado di produrre maggioranze omogenee. L'altro aspetto - sono contento di sottolinearlo perché in altra occasione mi sembrava di aver colto un indirizzo diverso - è rappresentato dall'affermazione che il doppio turno può produrre aggregazioni ma non è detto che coincida con gli interessi di tutte le parti che in questo momento sono in causa.
Siamo di fronte ad un emendamento che chiede una cosa precisa: la costituzionalizzazione di un principio elettorale. Mi chiedo anzitutto quali siano le condizioni di fronte alle quali ciò può essere fatto. È vero che molte Costituzioni europee adottano questo metodo, ma è anche vero che i sistemi politici delle altre nazioni europee sono consolidati, che da lungo tempo si sono lasciati dietro la fase di transizione e che le loro dinamiche future sono abbastanza conoscibili e prevedibili. Siamo in un sistema politico in cui le dinamiche future non sono certamente né conoscibili né prevedibili con facilità; sono auspicabili, ma è un'altra cosa.
In queste condizioni credo sia molto difficile costituzionalizzare un principio elettorale e, per spiegarne il motivo, vorrei per un minuto fare un piccolo passo indietro. Da quando è cominciata questa lunga fase di transizione, cioè dall'inizio degli anni novanta, l'Italia ha scelto per caso la scorciatoia del sistema elettorale e la ragione per la quale è stata istituita la Commissione bicamerale risiede nel fatto che la scorciatoia del sistema elettorale non ci ha portati ad uscire dalla fase di transizione. Se scegliamo ancora una volta la scorciatoia del sistema elettorale, francamente non so di quale modello stiamo parlando.
Pertanto, la costituzionalizzazione di un principio elettorale mi trova in questa fase assolutamente contrario. Tuttavia, ripercorriamo brevemente le tappe del percorso che abbiamo compiuto; ce ne sono tante, ma io voglio partire da quelle che si sono svolte qui. Siamo entrati in questa Commissione avendo in mente un processo che terminasse con una certa fase politica ed io farei
CIRIACO DE MITA. Abbiamo votato a favore della richiesta di anticipare la discussione su quest'emendamento, perché - lo dico con molta franchezza - mi è parso che avessimo bisogno di liberarci di un equivoco e di un pretesto. Infatti, lo sforzo che la Commissione sta compiendo dopo il voto che ci ha divisi, è caratterizzato da una quantità di segnali positivi, che dovrebbero impegnarci tutti a verificare quale sia il grado di approdo possibile.
La richiesta di anticipare, quasi si trattasse di una pregiudiziale, il voto sulla proposta di costituzionalizzare un'ipotesi di sistema elettorale indefinito (perché richiama principi, ma i principi potrebbero essere articolati in centomila modi), suscita in me il dubbio, il sospetto che lo sforzo che ci è richiesto per concludere positivamente la prima fase d'approccio, di definizione della proposta, rischi d'introdurre elementi che potrebbero alterare questo percorso finale.
ROCCO BUTTIGLIONE. Signor presidente, lei ha avanzato una proposta di grande interesse, il cui presupposto fondamentale sembra essere la connessione esistenziale che esisterebbe tra sistema semipresidenziale e la legge elettorale a doppio turno. Tenterò più avanti di contestare questa connessione esistenziale. Tuttavia, mi consenta di rilevare che l'argomento è certamente forte, ma tutti quanti lo sentiremmo con più forza e la sua autorevolezza nel sostenerlo sarebbe rafforzata se fin dal principio lei avesse sostenuto insieme il semipresindenzialismo e il doppio turno.
Le dico anche che se fin dall'inizio lei avesse formulato questa proposta, è molto probabile che essa avrebbe trovato in Commissione un largo consenso. Ma non è stata questa la sua posizione originaria: lei voleva inizialmente il doppio turno in un sistema non semipresidenziale ma neoparlamentare, era cioè contrario al semipresidenzialismo e favorevole al doppio turno. È una posizione pienamente legittima, la quale però induce ad immaginare che possano esistere dei pregi e dei vantaggi del doppio turno che sono indipendenti dalla sua connessione, necessaria o meno, con il sistema semipresidenziale.
Quali possono essere questi pregi? Il doppio turno nei collegi restringe tra il primo e il secondo turno l'offerta politica rispetto alla quale l'elettore può scegliere; le forze politiche minori scompaiono e la forza maggiore di un'area o di uno schieramento può sperare di ereditare il loro voto, senza dover venire a patti né sulla formazione della rappresentanza parlamentare (il numero dei seggi), né sulla formulazione del programma, né sulla composizione del Governo. Dico «può sperare», perché è tutt'altro che sicuro che questo avvenga, anche perché i sistemi elettorali in Italia funzionano in un modo particolare: quando un sistema elettorale tenta di forzare una situazione politica che non è matura, quel sistema elettorale viene usato per mimarne un altro. Si usa un sistema elettorale uninominale, per esempio, per mimare i risultati che si sarebbero ottenuti con i proporzionale attraverso un'adeguata distribuzione di candidature o con altre modalità. Tuttavia è possibile tentare di realizzare quella forzatura. Certo, in quel modo il sistema politico viene semplificato, ma a che prezzo?
Una forza del 20 per cento dei voti può sperare, in condizioni favorevoli, di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento. La compressione della rappresentanza dei cosiddetti minori è, in queste condizioni, intollerabile concretamente, qui ed ora in Italia. Se le forze principali messe insieme rappresentassero più dell'80 per cento del corpo elettorale, come avviene per esempio in Francia o anche in Inghilterra pur se con diverso sistema elettorale allora, anche se brutale, la semplificazione sarebbe probabilmente accettabile. Questo, però, non è ciò che avviene in Italia, dove i partiti grandi sono ancora troppo piccoli per reggere il peso che l'emendamento Mussi vuol mettere sulle loro spalle, e non è gonfiandoli che acquisiscono la forza, la muscolatura, la spina dorsale per reggere al compito. A questo proposito l'onorevole De Mita ha fatto osservazioni certamente condivisibili.
È necessario piuttosto lavorare politicamente per aggregare, magari in forma federativa, le forze politiche; se si fosse lavorato più intensamente a questo obiettivo (so che lei ha provato, ma forse bisognava provare un poco di più nella sua area e anche nella nostra), ci troveremmo ad affrontare questo dibattito in una differente condizione politica; né a questa difficoltà di carente rappresentanza si può ovviare attribuendo ai minori un diritto di tribuna. L'elettore, giustamente,
PRESIDENTE. Passiamo ai voti. Pongo in votazione l'articolo aggiuntivo Mussi IV.12arti
(È respinto).
È stato chiesto di procedere alla votazione, a questo punto, dell'emendamento D'Amico II.2.4 che stabilisce il principio che i tre quarti dei deputati siano eletti in altrettanti collegi uninominali con metodo maggioritario, propone cioè di costituzionalizzare un principio dell'attuale legge elettorale.
Lo pongo in votazione.
(È respinto).
Rinvio il seguito dell'esame alla seduta di domani alle 9.30. Pregherei i colleghi di operare una certa selezione e concentrare l'attenzione sugli emendamenti che correggono il testo, tenendo conto di quelli presentati dal relatore.
La seduta termina alle 21.30.
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